Ho un’amica che si è messa in testa di regalarmi una serata speciale. Dice che non esco con un uomo da troppo tempo. Così me ne ha scovato uno lei, su internet, a pagamento. “Un gigolò?” le chiedo, inorridita. “No, un accompagnatore”, risponde lei, serafica, “fa più chic”. Sarà pure più chic, ma si tratta pur sempre di un uomo a pagamento. Sono fortemente indecisa, decisamente imbarazzata, per dirla tutta: il solo pensiero mi fa orrore. Ma lei insiste fermamente! Mi accusa di essere una repressa cronica, dice che sono troppo all’antica. Sì, mi sento una matusalemme, ma tutta questa libertà di costumi non mi si addice. L’incontro è per domani e, prima di allora, avrò avuto tutto il tempo di pentirmene mille volte. Alla fine so che romperò il contratto. Non voglio avere nulla a che fare con un accompagnatore di professione. Cercherò la sua complicità. Non dovrà far altro che prendere i soldi e dire che è andato tutto bene. Gli chiederò soltanto di dire una piccola bugia. Non gli costerà nulla.
Eccola, Sua Soavità, sorridente e splendente, davanti alla mia porta.
- Entra. – le dico seccamente, senza sorriderle di rimando.
- Che hai? Ti ha morso quella bestia pelosa? – mi chiede, mentre accavalla le gambe dal divano.
- Morgana non morde. Sono io che mordo, semmai. Ce l’ho con te, se proprio vuoi saperlo. Mi hai messo in una situazione imbarazzante.
- Uscire una sera, con un uomo, ti sembra una situazione imbarazzante? Sarà divertente, invece, vedrai. Non ti si chiede alcun tipo di coinvolgimento, solo ed unicamente prendere tutto alla leggera, per qualche ora. Poi non lo rivedrai mai più. E’ così difficile, per te?
- Ma chi te l’ha chiesto? Non potevi regalarmi un libro, come fanno tutti?
- Ma che dici? Il trentacinquesimo compleanno va festeggiato alla grande! Te lo ricorderai con piacere e nostalgia, nei futuri anni bui in cui la decadenza fisica ti coglierà alla sprovvista. Non ci pensi? Tra qualche anno sarai piena di rughe e cellulite, e per tenere alto il seno ci vorrà un’impalcatura. Dammi retta. Fai qualcosa di esagerato per una volta in vita tua, mentre sei ancora così in forma.
- Va bene, mi hai convinta. – le mento, solo per farla smettere di parlare.
- Bene, allora hai già pensato cosa metterti?
- Oddio! Mi metterò qualcosa, non preoccuparti.
- Invece devo preoccuparmene, visto che non lo fai tu. E poi devi fare un salto dal parrucchiere.
- Ma perché, cos’hanno  i miei capelli?
- Sembrano un covone di grano in cui si siano rotolati un paio di maiali.
- Sei una strega.
- Ma ti voglio bene.
- Pensa un po’ come tratti quelli a cui vuoi male!
- Avanti! Niente storie. Andiamo a dare un’occhiata al tuo guardaroba. – dice alzandosi e avviandosi verso la mia camera da letto.
- No. – urlo, raggiungendola e appoggiandomi con tutto il peso del mio corpo sulle ante dell’armadio.
- Questa è un’inviolabile proprietà privata. – aggiungo, mentre lei si siede sul mio letto, con espressione combattiva.
- Apri quel mausoleo, non fare la scema.
- No.
- Senti, tanto lo so che là dentro non c’è niente che possa andar bene. Risparmiamo tempo. Ti porto nella mia boutique. E poi facciamo un salto dal parrucchiere.
- Perché mi fai questo? – le chiedo, con voce rotta.
- Poi mi ringrazierai. – mi risponde, afferrandomi per un braccio e trascinandomi via.

 

Perché vince sempre lei? Come ho fatto a permetterle di interferire in maniera tanto devastante nella mia vita? Adesso che mi guardo allo specchio, prima di uscire, devo però ammettere che aveva ragione. L’abito forse, in qualche occasione, fa il monaco. E i miei capelli fanno tutto un altro effetto. Se mi fosse importato qualcosa di questo incontro, magari ci sarei arrivata da sola. Questo è il punto. Comunque la mia decisione è irrevocabile. Porterò a termine la mia missione.
Sono all’angolo convenuto per l’appuntamento da appena due secondi, quando da un’auto parcheggiata scende un uomo elegante e, devo ammetterlo, molto attraente. Viene verso di me con passo sciolto e deciso. So già che è lui, come lui sa benissimo che sono io. Ecco, comincio a sentirmi ridicola anche nei pensieri.
- Buonasera, Madame. – dice, sparandomi in faccia un sorriso smagliante.
- Buonasera.
- Lei è Agnese?
- Sì, e lei?
- Mi chiamo Diego Menichetti. Prego. – mi dice invitandomi con disinvoltura a precederlo verso la macchina nera.
Mi apre la portiera dal lato passeggero e mi fa accomodare all’interno. Poi gira davanti al cofano, aggiustandosi la cravatta e sale anche lui.
E’ il momento di parlare, mi dico.
- Diego, vorrei chiederle un favore.
- Tutto quello che vuole: è la sua serata.
- Quello che voglio è tornare a casa. Quello che voglio è che lei dica alla mia amica che abbiamo trascorso una bellissima serata e che mi sono molto divertita. Può farlo?
- Mentire? Sì, posso farlo. Ma lo scopo di questa serata era un altro. Vede Agnese, la sua amica Giulia è preoccupata per lei. Dice che sta sempre chiusa in casa con i suoi libri e il suo cane e non si prende mai uno svago, un momento di leggerezza. Teme che la sua vita sia un po’, come dire, sprecata.
Gli ha raccontato tutti i fatti miei! Giulia mi pagherà anche questa.
- Come vivo la mia vita, sono solo affari miei. Spero concordi. Io le ho chiesto un favore. Lo farà o no?
- Se è proprio quello che desidera, lo farò. Ma prima senta la mia proposta. Invece di cenare da sola in casa, non potrebbe valutare l’ipotesi di cenare in un bel ristorante con me? Poi la riaccompagno a casa.
Sono fortemente indecisa.
- Conosco un posto dove cucinano divinamente. – insiste lui, guardandomi fisso, per carpire ogni mia espressione.
- Non era quello che avevo in mente.
- Ma ormai lei è qui, ed è così elegante! Perché sprecare quest’occasione? Il ristorante è vicino, vi si mangia davvero bene. Ci pensi un attimo.
Ci penso. Sono così elegante… truccata e pettinata a dovere. Devo pur farmi vedere da qualcuno. Altrimenti per cosa mi sono presa tutto questo disturbo? Ci penso.
- Dov’è? – chiedo, cominciando a cedere.
- A venti minuti da qui.
- Lontano.
- Ci arrivo in quindici, se ha fretta. 
- Va bene. – cedo completamente – ma ci metta il tempo che ci vuole. Odio essere fermata dalla polizia stradale.
- Grazie. – mi dice Diego, accendendo un sorriso, il motore, i fari e lo stereo tutti insieme in un nanosecondo.
Tutto sommato, non voglio che vada sprecato un vestito come non ne ho mai avuti e un taglio di capelli che mi è costato un occhio.
Diego guida con morbida precisione e intanto tenta una educata conversazione. Non posso fare a meno di pensare che è tutto studiato, che lo fa per mestiere e che lo pagano per farlo.
Sono stupita dell’attenzione che mostra alle mie risposte, come se davvero gli importasse qualcosa di quel che penso e che dico. Devono esserci delle scuole per questo. O il suo è un talento naturale? 
Quando arriviamo, esattamente venti minuti dopo, parcheggia con una sola carezza al volante, spegne il motore, esce dalla macchina e mi viene ad aprire lo sportello. Non ricordo un’altra volta in cui mi sia capitato. Comincio a sentirmi bene.
Alla porta del ristorante non mi cede il passo. Entra prima lui, impeccabile, si guarda in giro e poi mi lascia passare. Forse è proprio così che si fa. Devo accertarmene. Ho iniziato il gioco di trovargli una pecca.
Per tutto il tempo, nell’attesa delle pietanze che abbiamo ordinato, si interessa della mia vita. E’ una specie di psicoterapia? Ha scelto un locale dove si cena a lume di candela e per qualche misteriosa ragione questo non mi fa arrabbiare. Intorno a noi non ci sono solo coppiette in romantica intesa, ma anche un paio di comitive che mantengono il vociare a livelli sopportabilissimi. Mi distraggo. Diego però non me lo permette. Torna a incalzarmi con domande su cosa mi piace e cosa mi infastidisce. Alla fine della cena ne sa di me più lui che molte mie amiche di vecchia data. Mi sento libera di parlare perché lui non conta. Non lo rivedrò mai più e non me ne importa un fico secco se conoscerà ogni mio più recondito segreto. E’ molto liberatorio, davvero.
Ho bevuto molto. Comincia a sciogliermisi la lingua e inizio a porre domande anch’io. Non che mi importi qualcosa, ma trovo che sia giusta un po’ di reciprocità.
- Ho studiato arte a Siena. – mi confida – mi sarebbe piaciuto fare il pittore. Ma dipingere non è un mestiere che dia da vivere.
- Naturalmente. – dico, pensando che un mestiere per vivere l’ha comunque trovato.
- Vuoi altro vino? – mi chiede, passando a darmi del tu, senza invito.
Ecco la prima pecca, mi dico trionfante.
- Scusa, ti ho dato del tu senza accorgermene. Ti dispiace?
- No, va bene. – rispondo, concludendo che vale comunque mezza pecca.
- Devo confessarti che non ho mai incontrato una donna interessante come te.
- E con così poche pretese. – aggiungo, ignorando la sua sviolinata.
Lui ride. E il riflesso della fiammella accesa sul tavolo accende anche un brillio nei suoi denti perfetti.
- Quanti anni hai? – gli chiedo, pentendomene subito dopo.
- Trentotto. 
Un matusalemme.
Non mi chiede quanti ne ho io. E mi rimangio la mezza pecca di poco fa. Poi mi ricordo che Giulia gli ha detto che questa serata è un regalo di compleanno. Ci avrà già pensato lei a informarlo sulla mia età.
Al timido tentativo di Diego di portarmi a ballare, ho opposto un secco rifiuto. Serata perfetta. Quasi mi dispiace che non si ripeterà.
- Com’è stato? – mi chiede Giulia, al telefono.
- Molto professionale. Impeccabile. Perfetto. Grazie, Giulia. E’stato un bellissimo regalo.
- Allora lo rivedrai?
- Mai!
- Ma come!? Hai appena detto che è stato perfetto.
- Sì, perfetto. Ma la perfezione non si può duplicare. Chiuso l’argomento.
- Come vuoi. Io, però non ti capisco.
- Mi capisco io e mi basta.
- Vedo con piacere che il tuo umore è sempre lo stesso!
- Credevi che una serata al ristorante con un perfetto sconosciuto potesse far mutare il mio umore? Giulia!
- Hai ragione. Sono la solita illusa.
- Su-su, non buttarti giù.
Dopo aver riagganciato mi è tornato in mente il sorriso di Diego. Capperi! Voglio cancellarlo immediatamente dai miei files.

Giulia mi sta di nuovo trascinando alla sua boutique preferita, dove è iniziata una svendita a suo dire imperdibile. Mi obbliga a comprare un sacco di capi, con la scusa che mi stanno benissimo e che costano la metà. La odio, ma mi sto divertendo un sacco. Non so cosa mi stia succedendo. Forse i complimenti di Diego hanno prodotto il loro effetto ritardato. Anche il commesso non smette di guardarmi e di dirmi che sto benissimo. Ha anche detto una volta che sono bellissima, correggendosi subito dopo con un colpetto di tosse, imbarazzato. Giulia è entusiasta. Spendo mezzo stipendio in un pomeriggio, ma sono incredibilmente felice. Come mai? Non mi è mai interessato il mio aspetto, prima d’ora. Saranno i primi sintomi della vecchiaia? Sto uscendo fuori di testa? Non saprei proprio.

 

Mia madre al telefono. Non la sento da due settimane, sarà arrabbiata con me. Invece no. La sento eccitata.
- Che succede, mamma?
- Ho una notizia fantastica!
Penso immediatamente a una terza gravidanza di mia sorella Sofia.
- Mirella si sposa. –  mi annuncia, invece.
- Davvero? E’ fantastico. –  esclamo, fingendo un entusiasmo che non provo.
L’ultima delle mie tre sorelle va all’altare. Buon per lei, ma adesso mi aspetto l’attacco di petto di mia madre, che non ha mai rinunciato alla speranza che anch’io convolassi a giuste nozze. E infatti…
- Agnese, tu sei la maggiore, e ancora non ti sposi! Cosa aspetti? Cosa c’è in te che non va?
- Niente, mamma, non c’è niente che non vada. – mi difendo.
- Ma per l’amor del cielo, hai già trentacinque anni!
- Lo so, mamma, ma le cose non sono sempre così facili per tutti.
- Per le tue sorelle lo sono state? Anche loro hanno fatto fatica a trovare l’uomo giusto, ma quando lo hanno trovato, se lo sono tenuto stretto. Non hanno fatto tante storie. Forse non saranno proprio l’ideale di uomo che stavano cercando, ma ci andava vicino e si sono accontentate. Perché non lo fai anche tu?
- Mamma, ti prego. – comincio ad innervosirmi sul serio.
- Ascoltami, Agnese. Trovati uno straccio d’uomo e sposati, come fanno tutte le donne normali.
- Uno straccio d’uomo? Ma niente affatto! Io ce l’ho già un uomo, e non è uno straccio, è un uomo fantastico. – mento, sconsideratamente.
- Vuoi dire che hai un fidanzato?
- Certo che ce l’ho. –  ormai sono costretta a sostenere la mia stupida farsa.
- E da quando?
- Da quattro anni. – mi sento dire. Sono impazzita?
- Quattro anni? E non me ne hai mai parlato? Non ci credo. Sei la solita bugiarda patentata.
- E’ verissimo. E te lo dimostrerò. Lo porterò al matrimonio.
- Finché non lo vedo, non ci credo.
- Ti dovrai rimangiare quello che hai detto, mamma.
- Lo spero per te. – mi risponde, quasi urlando. E chiude la comunicazione.
Ecco, adesso sono proprio nei guai. Come posso tornare sui miei passi? Mi ha fatto innervosire, mi ha costretta a mentire. Perché non riesco mai ad avere una conversazione decente con la mia famiglia?

Sono depressa. Racconto tutto a Giulia.
- E adesso come pensi di cavartela? – mi chiede.
- Dirò che ci siamo lasciati.
- Penserà che le stavi mentendo, non ti crederà mai.
- Aiutami, Giulia. Come posso fare? Mi fingo malata. Non vado al matrimonio.
- Otterrai esattamente lo stesso risultato. Questa volta ti crederà soltanto se ti presenti con un uomo. E deve essere… come le hai detto? Un uomo fantastico.
- Conosci qualcuno che risponda ai requisiti?
Giulia riflette per qualche istante e poi mi chiede:
- Com’era Diego?
- Cosa? Sei impazzita? Affittarlo per quattro giorni a tempo pieno? Dovrò accendere un mutuo!
- Se ne può sempre discutere. Si tratta di affari.
- Non credo proprio che sarebbe in grado di sostenere la parte.
- Io credo di sì. E comunque, prima chiediamogli cosa ne pensa.
- No. Assolutamente no.
C’è qualcosa, in Giulia, che non funziona come dovrebbe. Per lei un no, non ha mai significato un rifiuto.

 

Giulia è in vena di mondanità. Una serata tra amiche, niente di che, mi dice. Va bene, accetto. Metto uno di quei completi che ho da poco inserito nell’armadio, nella zona “abiti che non metterò mai”. Andiamo allo Zanzibar, un locale molto carino, appena fuori dal centro.
Appena sedute ad un tavolino, si avvicina un cameriere in camicia bianca fosforescente e gilè di velluto nero. Fa molto caldo e ha la fronte leggermente imperlata di sudore. Prende le nostre ordinazioni e si allontana.
- Che bel ragazzo. – dice Giulia, osservando la sua schiena allontanarsi.
- Sì. – rispondo laconica.
Giulia continua a guardarsi intorno.
- Non c’è nessuno che conosci? – le chiedo.
- No, stasera no. Non ancora.
Arrivano i cocktails e inizio con metodo la mia missione di sbronzarmi. E’ a questo scopo che sono uscita.
Ad un tratto una mano calda mi si posa sulla spalla e mi volto.
- Diego.
- Agnese.
Sì, questi sono i nostri nomi.
- Ciao. – dico, tanto per superare l’imbarazzo.
- Ciao. – risponde lui. – Posso sedermi?
- Prego. – risponde Giulia, per anticipare un mio eventuale rifiuto.
Superate le formalità, Diego mi guarda e mi sorride.
- Vedo con piacere che le tue erano solo illazioni, Giulia: Agnese non passa tutte le sue serate in casa. – commenta, con espressione ironica.
- Forse avevo un po’ esagerato. – risponde Giulia.
- Ne sono felice. Quali locali frequentate, di solito?
- Nessuno. – rispondo. – Non so come abbia fatto Giulia a convincermi, stasera.
- Non credi che potrebbe essere l’inizio di una buona abitudine? Sai, è carino entrare in un posto e dire al cameriere “Gaetano, il solito!”
- Davvero? Non credo che sia la mia maggiore aspirazione. 
- Peccato. – ribatte lui, ridendo.
Una donna in top di lamè nero si avvicina al nostro tavolo e saluta con trasporto Giulia. Sembra che non si vedano da secoli e che a un tavolo in fondo ci sia il resto della compagnia. Giulia non può esimersi dal seguirla e scompare in fondo al locale, scusandosi e lasciandomi da sola con Diego.
Lui mi afferra al volo la mano e me la bacia, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Io resto di stucco, ma mi organizzo una faccia di bronzo senza espressione alcuna. Sono molto imbarazzata.
- Giulia mi ha raccontato della tua disavventura. Volevo dirti che sono disponibilissimo a darti una mano. E anzi, che lo farò con grande piacere.
- Di cosa stai parlando? – gli chiedo, tremando all’idea di quello che Giulia può avergli detto.
- Giulia mi ha raccontato la storia che hai inventato per tua madre. Sarò io il tuo fidanzato, se vuoi.
Sono senza parole. Devo tirarmi indietro.
- Ho già trovato una soluzione, grazie.
- So che non è vero. Non è necessario che tu finga anche con me.
- Grazie, ma non posso accettare.
- Agnese, sarà divertente. Non vuoi prenderti una rivincita sulle tue sorelle? Poi potrai inventarti quello che vuoi, ma intanto loro ti avranno vista col tuo fidanzato e sapranno che non mentivi. Fidati di me.
- Penserai che mia madre abbia ragione, che sono una bugiarda patentata, ma non è vero. E’ che la mia famiglia ha sempre preteso troppo da me, solo perché ero la maggiore.
- Quanti fratelli hai?
- Tre sorelle. Tre pestifere, odiose sorelle. – mi sento rispondere.
- Allora, vuoi accettare il mio aiuto?
Sarei tentata di accettarlo, ma penso al mutuo.
- Quanto mi costerà? – riesco a chiedergli.
Diego sembra offeso. O deluso. Ha assunto un’espressione indecifrabile.
- Non preoccuparti. Non sono un tipo venale.
- Era solo per regolarmi. – mi difendo. Ma perché mi sto difendendo? Non è forse vero che lo fa di mestiere?
- Certo. Ma in questo caso, non ti costerà nulla.
- Perché? – chiedo, stupita.
- Lo faccio solo perché mi piaci.
Resto a bocca aperta. Non so cosa rispondere.
Torna Giulia a interrompere i miei pensieri e mi impedisce di rispondere. Tanto non sapevo cosa dire.
- Vi siete accordati?
- Sì, – risponde Diego – accompagnerò Agnese a Roma. E’ deciso.
- Veramente ci stavo ancora pensando. – mi oppongo.
- Tempo scaduto. E’ deciso. Ti telefono domani per stabilire i particolari.
Saluta Giulia con una stretta di mano e una strizzata d’occhio di cui non sono sicura, bacia la mia mano e se ne va, scomparendo in mezzo alla gente che affolla il locale.
- Mi telefona?  - mi chiedo, come risvegliandomi da  coma vigile - ma non ha il mio numero!
- Sì, che ce l’ha. Gliel’ho dato io. – mi corregge Giulia.
- Perché ho l’impressione di non avere più voce in capitolo, in questa storia?
- Perché non ce l’hai. Per una volta in vita tua lascia che siano i tuoi amici a guidarti. Non possono fare più danni di quanti tu non ne abbia già fatti.
- Giulia, ti odio.

Porto Morgana al parco, come ogni giorno. Mi siedo su una panchina e guardo le sue corse sfrenate. L’erba è coperta di rugiada. Il sole si è appena alzato e comincia a splendere in un cielo senza nubi. Sto assaporando la mia beata solitudine, quando una voce nota mi fa sobbalzare.
- Buongiorno, Principessa. – mi dice Diego.
- Buongiorno a te, straniero.
- Forse sarà meglio che ti abitui a chiamarmi “Tesoro”. – mi corregge, sedendosi accanto a me.
- Tesoro? – inorridisco.
- E come allora? Preferisci “caro”, o “pucci-pucci”?
- Non dire sciocchezze. Perché dovrei usare questi ignobili nomignoli?
- Siamo fidanzati da quattro anni. Dobbiamo per forza avere un vezzeggiativo tutto nostro.
- Davvero? E’ così che fa la gente? – gli chiedo.
- Fidati, Principessa. Trovami un nomignolo adatto. Sarà tutto più credibile.
- Che te ne pare di “Passerotto”? – lo stuzzico.
- Atteniamoci a “Tesoro”. – risponde lui, deciso.
- D’accordo, Tesoro. Come mai sei qui a quest’ora?
- Sono venuto a fare la mia corsetta mattutina.
- Perché proprio qui, Tesoro?
Mi guarda male.
- Abito in uno di quei palazzi verdi. – mi informa, indicandoli con la mano.
- Non sapevo che abitassi qui anche tu.
- Ci sono troppe cose che non sai di me, Principessa. Dobbiamo metterci al lavoro. Per quando mi presenterai alla tua famiglia, dovremo sapere tutto l’uno dell’altra.
- Hai ragione. Sarebbe più credibile.
- Quando vuoi cominciare?
- Quando vuoi tu. – gli rispondo. In fondo è lui che sta perdendo il suo tempo per me.
- Va bene stasera? – mi chiede.
- Va bene. Benissimo. – rispondo, sentendomi leggermente in colpa.
Mi saluta con un bacio sulla guancia, si alza e se ne va, correndo lungo il vialetto delineato dagli alberi.
Mi accorgo che non abbiamo deciso dove ci vedremo, né a che ora. Perché mi fa andare fuori di testa? La sua presenza mi rende irrazionale. Non posso permetterlo. Vado a riprendere Morgana e torno a casa. Tra poco devo essere al lavoro.

 

Dopo una giornata da sfinimento, torno a casa e ceno con un panino. Sto per mettermi comoda di fronte al televisore, quando suonano alla porta. Vado ad aprire in calzoncini rosa e t-shirt slabbrata e me ne pento immediatamente.
- Diego!
- Ciao, Principessa.
- Non sapevo che conoscessi il mio indirizzo. – dico, stupita.
- Me l’ha dato Giulia.
Cerco di elaborare un pensiero coerente.
- Tu e Giulia siete amici? – mi informo. Non c’è altra spiegazione.
- Sì, abbiamo fatto delle lunghe chiacchierate al telefono.
- Capisco. Bene, Tesoro, non stare lì sulla porta. Accomodati, mentre vado a cambiarmi.
- Perché, cos’hai che non va?
- Di solito non ricevo in pigiama.
- Devi essere più spontanea con me, Principessa. Si suppone che dopo quattro anni io ti abbia vista sotto tutti i possibili aspetti.
- E’ vero, hai ragione. – approvo.
- Cominciamo dall’inizio, vuoi? – mi dice, afferrandomi una mano e trascinandomi sul divano, accanto a lui.
- Sono un po’ imbarazzata. – gli confesso.
- Agnese, è proprio per questo che ci dobbiamo frequentare il più assiduamente possibile. Non ci devono essere imbarazzi tra noi, quando saremo a Roma. E dovrà davvero sembrare che ci conosciamo da anni. E’ questo lo scopo di queste sedute. Da qui al matrimonio di Mirella, ci vedremo tutte le sere e ci diremo tutto. Sei d’accordo?
- Sono stupita. Perché perdi tutto questo tempo per me?
- Mi sto divertendo, – mi risponde – comincia a mostrarmi il tuo appartamento, vuoi?

Si può capire molto di una persona, dal posto in cui vive. Adesso Diego ha un’idea molto chiara di me ed io di lui. Il suo appartamento è molto essenziale, senza fronzoli né soprammobili. Si è concesso solo qualche quadro alle pareti, niente tappeti, qualche cuscino sul divano. Non c’è niente fuori posto. Forse perché non c’è niente e basta. E’ un appartamento zen. Ha molti libri, ma tutti ordinatamente inseriti in una libreria con mensole di ciliegio. Una delle mensole è occupata da una fitta collezione di CD. Ascolta musica appena può, proprio come me. Abbiamo scoperto di avere molte cose in comune. E’ strano. Ed è davvero molto rilassante. Dopo quasi due mesi di serate trascorse quasi tutte allo Zanzibar, a dire “Gaetano, il solito!”, Diego ha insistito per venire a trascorrere un intero fine settimana da me. Sostiene che dobbiamo abituarci a vivere insieme, perché saremo costretti a farlo, una volta ospiti di mia madre. Dobbiamo essere credibili. Io penso che sia una vera esagerazione, ma “Tesoro” ci tiene molto. Vuole che siamo perfetti. Mi domando spesso cosa gliene viene. Perché ci tiene tanto? Quello che mi spaventa più di ogni altra cosa è che io mi sto affezionando a lui in un modo eccessivo. Non riesco a pensare al dopo, quando tutto sarà finito e non ci sarà più bisogno di fingere. Quando dirò a mia madre che ci siamo lasciati, ci resterà male. E anch’io.
Mentre Diego sfoglia una rivista in soggiorno, io sto preparando il caffè. Squilla il telefono. Mi precipito per rispondere, ma Diego ha già sollevato la cornetta. Lo sento pronunciare frasi senza senso, infine dice “A presto, non vedo l’ora di conoscerla.” e poi mi passa il microfono, dicendo – E’ tua madre.
Adesso capisco tutto.
- Ciao, mamma.
- Ciao, cara, come stai? – non è mai stata così dolce, con me.
- Bene, e voi? Come vanno i preparativi?
- Benissimo. Tua sorella è già entrata nel panico, ma per sabato si sarà calmata. E’ una caratteristica di famiglia.
- Lo so. – dico, immaginando che anche Mirella sarà nevrastenica, come le altre due, alle soglie del matrimonio.
- Il tuo fidanzato sembra simpatico. Lo porterai, vero?
- Certo, te l’ho già detto, no?
- Sì, me l’hai detto. E’ strano però che tu non me ne abbia mai parlato, in tutti questi anni. Non so neppure come si chiama.
- Si chiama Diego, mamma. E lo conoscerai presto. Va bene?
- Va bene. Vi aspetto venerdì. Resterete qualche giorno, no?
- Dovremo ripartire domenica.
- Peccato. Ma mi accontento. A presto, Agnese.
- A presto, mamma.
Sono tutta sudata. Stava per ricominciare, lo so. Non l’avrei sopportato.
Diego mi posa una mano sulla spalla.
- Tutto bene? – mi chiede, con espressione preoccupata.
- Tutto bene. – rispondo. – Beviamoci quel famoso caffè.
Diego insiste per ricapitolare tutto quello che sa di me. Scopro che sono un sacco di cose, davvero un sacco.
- Bravo! Che memoria! Come fai a ricordarti tutto così bene? Hai una memoria mostruosa.
- Ho preso appunti e ho studiato diligentemente. – mi risponde serio.
- Mi sento in colpa. Io non ricordo proprio tutto quello che mi hai raccontato.
- Dimmi quello che ricordi. – mi sfida.
Sono giusto due o tre cose.
- Va meglio. Hai visto che puoi farcela? –
- E’ facile, per quello che riguarda te. Abbiamo gli stessi gusti.
- Non è fantastico? – mi dice, stringendomi le mani.
- Già. Sono sicura che mia madre sarà entusiasta di te.
- E le tue sorelle?
- Loro mi odiano. Non siamo mai andate d’accordo. Ti troveranno mille difetti. Cercheranno di mettermi in cattiva luce con te, cercheranno di farci litigare. Le conosco. Sarà un inferno.
- E noi le batteremo. Dovranno arrendersi di fronte all’evidenza.
- Quale evidenza? – chiedo, sbarrando gli occhi.
- Che ci amiano, che siamo una coppia perfetta, fatti l’uno per l’altra. – mi risponde, ridendo.
Lui scherza, l’ha presa come un gioco.
- Diego, tu non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando. – commento, con aria preoccupata.
- Sarà una passeggiata. Rilassati, ci divertiremo.
Questa storia del divertirsi alle spalle della mia famiglia comincia a darmi sui nervi. Non è così che intendevo districare questa matassa. Ma ormai sono stata travolta dagli eventi. Posso solo seguire la corrente e sperare che mi conduca ad un approdo sicuro, senza farmi annegare prima del tempo.

 

Allo scoccare della mezzanotte, io annuncio che vado a letto. Diego ha il divano. Si è messo un paio di calzoncini di maglina blu ed è a torso nudo. Sto per fare un commento sul suo fisico atletico, ma mi blocco in tempo. Tutto questo è ridicolo. Gli dico “buonanotte” e gli volto le spalle.
- Principessa. – mi blocca sulla porta.
- Sì? 
- Buonanotte. – mi dice, dopo avermi baciato su una guancia.
Vado a letto pensando che c’è qualcosa di enormemente sbagliato in tutto questo.
Il mattino seguente Diego, senza che gli comunichi i miei dubbi, concorda con me, dandomi una dimostrazione di quello che sarebbe stato il comportamento più consono.
Mi dice “Buongiorno, Principessa.” baciandomi sulle labbra. Un bacio lievissimo e veloce, ma pur sempre un bacio più adeguato alla farsa che ci apprestiamo a rappresentare. Ne rimango leggermente scossa. Quest’uomo mi piace da morire.
Rimango di pessimo umore per gran parte della mattina. Ma non so spiegargliene il motivo. Mi accorgo che mi segue con lo sguardo, con un’espressione tra il divertito e il provocatorio. Se vuole la guerra, l’avrà.
Ha portato fuori Morgana, mi ha portato delle brioches appena sfornate e si è offerto di cucinare qualcosa per pranzo. E’ troppo perfetto per fargli la guerra. Lui lo sa. Lo sa e si diverte. Quanto lo odio!

Finalmente siamo arrivati al giorno fatidico. Mi rendo conto che del matrimonio di Mirella non mi importa nulla. Tutte le mie preoccupazioni sono concentrate sull’effetto che Diego avrà sulla mia famiglia. Avrei voglia di fuggire.
- Stai tranquilla, Principessa. Saremo all’altezza della situazione. Tu ti getterai subito tra le braccia di Mirella e le chiederai di mostrarti il vestito, i regali, le farai un milione di domande sul matrimonio, sulla casa dove andranno a vivere e sul viaggio di nozze. Così mi darai il tempo di conquistare tua madre. O.k.?
- Ci proverò.
- Lo so. Devi solo fare del tuo meglio. Lo so che non vorresti neanche rivolgerle la parola, ma sono sicuro che Mirella si farà distrarre dalle tue attenzioni e non penserà ad attaccarti.
- Tu non conosci le mie sorelle.
- Ma mi hai detto che con Mirella andavi d’accordo più che con le altre.
- Era un modo di dire.
- Capisco la sfumatura.
- Ecco, siamo arrivati. Parcheggia qui.
Appena scesi dalla macchina, vedo mia madre e Mirella che si precipitano fuori dalla villetta, attraverso il cancello già aperto. Abbracci e baci e poi…
- Vi presento Diego, il mio fidanzato. – annuncio.
Diego ha le braccia dietro la schiena. Si avvicina a mia madre e le porge un mazzo di fiori. Poi le prende la mano e la bacia, così come ha fatto tante volte con me. Mi sento quasi gelosa.
- E’ un vero piacere conoscere la madre di Agnese, anche se sembrerebbe più una sorella. – le dice, sorridendo.
Mia madre si scioglie al suo complimento. L’età è uno dei suoi punti deboli e Diego ha imparato bene la lezione.
Poi si rivolge a Mirella e fa lo stesso con lei, fiori compresi.
- Agnese non mi aveva detto di avere una sorella tanto affascinante.
- Non stento a crederlo. – risponde Mirella, guardandomi male.
- Non esagerare! – lo ammonisco sottovoce, mentre ci guidano in casa.
Parto all’attacco di Mirella e tento di entusiasmarmi per il suo abito col velo, per le perle che le ha donato la suocera e per mille altre sciocchezze di cui in realtà non mi importa un fico secco. Ma devo tenerla occupata intanto che Diego si lavora mia madre.
Eccola che ci raggiunge, invitandoci ad unirci a loro per un caffè.
Mia madre mi guarda in modo strano. Oddio, cosa sta per dirmi?
- Agnese, hai trovato davvero un uomo speciale. Per quale motivo non ce ne hai parlato prima?
- Non ero sicura che durasse. Mi sembrava troppo bello per essere vero. E non volevo deluderti. So come sei fatta. – mento.
- E’ proprio un bell’uomo, e di una cortesia come non se ne trova più. – continua mia madre.
- Sì, hanno buttato lo stampo. –  commenta Mirella, con ironia.
Torniamo di sotto e ricomincia la farsa. Diego è completamente a suo agio. Sembra perfettamente padrone della situazione. Non fa una grinza. Ecco a voi l’uomo senza pecche. Lo so che lui è così, ma mi fa un po’ rabbia. Come può essersi così perfettamente calato nella parte? E’ un vero attore. Un bugiardo da Oscar al cui contronto io sono solo una misera dilettante. Mi manca l’allenamento, perché sono anni che mi impongo di non mentire. Non credevo che mi sarebbe servito ancora. Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio? Mi sento inadeguata.
Ma c’è una forza misteriosa che ci spinge avanti e sempre più a fondo nella finzione. Alla fine comincio a crederci anch’io, mentre raccontiamo viaggi mai fatti, di cui improvvisiamo particolari tanto incongruenti da sembrare veri. Diego mi stringe la mano, oppure mi avvolge un braccio intorno alle spalle. Non mi lascia un attimo.
- Tesoro, vado a disfare la valigia. – gli dico ad un tratto, sciogliendomi dal suo abbraccio.
- Posso aiutarti, Principessa? – mi chiede.
- No, grazie, faccio in un attimo. – gli rispondo, sorridendo e mi allontano da tutta quella melassa con un senso di nausea e il timore di un attacco di diabete.
- E che ne avete fatto del cane? – sento dire a mia madre, mentre salgo le scale.
- Abbiamo portato Morgana in una pensione. –  risponde Diego, chiamando il suddetto cane per nome.
Mi chiudo la porta alle spalle e mi ci appoggio con tutto il peso del corpo. Vorrei chiudermi a chiave e non riaprire mai più. Che ci faccio qui? mi chiedo, guardandomi attorno. Questa è la mia stanza. Qui ho diviso lo spazio con mia sorella. Qui ho sognato la mia vita da adulta, ho sofferto per i primi amori, ho pianto per le mie delusioni, mi sono azzuffata col mondo. Qui sono stata estremamente felice e immensamente triste. Qui è dove è cominciato tutto. Ma è così lontano, ora. E’ come visitare un museo, come fare un salto nel tempo o in un’altra dimensione. Qui è dove dormiremo stasera, Diego ed io. Oddio.
Appendo gli abiti e ripongo la valigia. Sento un vociare sostenuto al piano di sotto. Ecco, è finita. Diego ha commesso un errore e loro hanno scoperto tutto. Mi precipito di sotto e vengo sommersa da bambini e adulti che mi saltano al collo. Una folla eterogenea di nipoti, sorelle e cognati mi fa immediatamente temere per i miei timpani e per la mia salute mentale. Ridendo vado a sedermi accanto a Diego, allo scopo di proteggerlo. Non so se fosse davvero preparato a questo, ma dal suo sguardo comprendo che neppure un simile caos riuscirà a impedirgli di andare fino in fondo.
Si sta divertendo, glielo leggo in faccia. Si sta divertendo un mondo. Adesso tocca dividersi. Gli uomini vanno a fumare in giardino, e io resto alla mercè delle mie temute sorelle.
- Bell’uomo. – mi fa Giorgia – Dove l’hai pescato?
- Ci ha presentati Giulia.
- E che lavoro fa?
- Lavora alla MTM, con Giulia. E’ architetto d’interni.
- Mamma mi ha detto che sei fidanzata da quattro anni. Quando pensavi di dircelo? – aggiunge Sofia, con uno sguardo carico di rancore.
- Agnese non era sicura che la loro storia durasse. Voleva esserne certa, prima di comunicarcelo, per evitarmi una delusione. E’ stato un pensiero gentile. - mi difende la mamma. A memoria d’uomo è la prima volta che lo fa. Ne sono quasi sconvolta.
- E quando pensate di sposarvi? Tu hai già trentacinque anni. Alla tua età diventa pericoloso avere figli. – ha ripreso la palla Giorgia, per cui non c’è cosa al mondo che conti più del procreare.
- Presto. – mento.
Mento spudoratamente, superando un senso di panico improvviso, che mi sottrae l’aria dai polmoni. Mi sembra di soffocare. Ho un dolore al petto. Mi sento pronta alle lacrime, ma non posso permettermele. Non ora.
La voce profonda e calda di Diego sopraggiunge a salvarmi. Vuole che dia un’occhiata a qualcosa in giardino. Lo raggiungo più velocemente che posso.
- Grazie. Mi hai salvato.
- Resisti. Hai una faccia! Che ti hanno detto? – mi chiede, abbracciandomi e posandomi un bacio sulla fronte come si fa per consolare un bambino impaurito.
- La solita storia. Ho trentacinque anni e quando mi sposo, ed è troppo tardi per far figli.
- Non dargli retta. Guarda questa tartaruga. Ne hai mai vista una così grossa?
- Sì, abbiamo sempre allevato tartarughe giganti. Erano già così grosse quando io ero piccola.
- E laggiù c’è una capanna. Non me ne avevi parlato. – mi rimprovera.
- Me ne n’ero dimenticata. – rispondo, ridendo.
- Questo era il nostro regno, quando giocavamo alle streghe. Il giardino era il bosco e fingevamo che fosse abitato da elfi e gnomi. Una volta ne ho visto uno. Davvero.
- Scusami se faccio fatica a crederti. – mi sussurra Diego.
- E’ vero. – insisto, seria.
- D’accordo. – mi dice, guardandomi con una strana espressione. – Stai bene?
- Sì, sto bene. E tu?
- Tutto sotto controllo. – afferma. E poi, sotto il ciliegio della mia infanzia, mi bacia. Un bacio vero, non uno di quelli che abbiamo provato per la farsa.
Mi tremano le gambe, il mio cuore si inceppa, il respiro si blocca e mille lucciole svolazzano sotto le mie palpebre chiuse. Quando ci stacchiamo, vedo che abbiamo avuto numerosi spettatori. I bambini ridacchiano e scappano via. Praticamente ci hanno visto tutti. Ne sono felice, non so spiegarmi perché. Non mi sembra più tanto di rappresentare una parte in una commedia. Comincia davvero a sembrarmi tutto piuttosto reale. Diego mi guarda sorridendo.
-Volevo farlo da un sacco di tempo. – mi confessa sottovoce.
Io non so cosa rispondere, quindi non lo faccio. Mi stacco da lui e mi faccio rapire dai miei nipotini.

 

Fila tutto liscio fino al momento di andare a dormire. Tutta la tribù si è già congedata, perché i bambini devono andare a dormire presto. Anche Mirella si è ritirata in camera sua. Domani è il suo giorno e vuole apparire fresca come una rosa.
Mia madre è felice come una pasqua. Credo di non averla mai vista così. E glielo dico.
- Mia cara, ti confesso che sono felice soprattutto di aver conosciuto Diego. Trovo che siate una coppia perfetta. Davvero. Adesso non vedo l’ora di vedervi sposati.
Io tossisco. Mi è andata la saliva di traverso. Diego mi batte alcuni delicati colpetti sulla schiena. Mia madre mi dice di guardare in alto e mi porge un bicchier d’acqua. Spero di averla almeno distratta, quando sento Diego pronunciare la frase compromettente. Stavo per soffocare nella mia stessa saliva e lui non ha colto l’input. Sono rovinata.
- Ci sposiamo in autunno.
- Cosa? – mi sento chiedere, con voce soffocata.
- Certo, non abbiamo ancora una data precisa perché stiamo cercando di combinare la disponibilità della nostra chiesetta preferita con quella di un locale dove vorremmo offrire un rinfresco. Ma le comunicheremo la data, appena possibile.
- E’ meraviglioso! – urla mia madre, che non sta più nella pelle.
Stento a crederci. Non può succedere davvero. Non a me.
- Diego, sei impazzito? – gli chiedo a bassa voce, appena in camera nostra, dopo aver accuratamente chiuso la porta.
- Perché? – mi risponde, con espressione serafica.
- Cribbio! Gli hai appena detto che ci sposiamo! Ci è mancato poco che gli comunicassi anche la data, il nome della chiesa e quello del ristorante! – dico, arrabbiatissima.
Mi riesce male litigare a bassa voce. Vorrei picchiarlo.
- Non hai visto com’era felice?
- E non pensi a come sarà delusa, quando dovrò dirle che non se ne fa nulla?
- Da qui all’autunno possono accadere mille cose.
- Per esempio, che io espatri e scompaia per sempre senza lasciare un recapito? Solo così potrei salvarmi. Tu non hai idea del casino in cui mi hai messo.
- Calmati, Principessa. A tutto c’è un rimedio. – mi consola Diego tentando di abbracciarmi, mentre io lo respingo con tutte le mie forze.
- Sei arrabbiata con me?
- E perché mai? Solo perché questa sarà probabilmente l’ultima volta che vedrò la mia famiglia?
- Non essere così melodrammatica. Sono tutte persone squisite, in gamba, comprensive. E ti vogliono bene. Perché esageri?
Vorrei rispondere, ma non avrei il tono di voce giusto. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Diego tenta di far pace, ma senza successo. Alla fine riapro gli occhi e gli ordino di andare a letto.

La sposa è pronta dalle dieci. Noi non ci siamo scambiati una sola parola. Diego si è prodigato in ogni modo possibile, pur di evitarmi. Io ho fatto lo stesso. Quando è arrivato il fotografo, mi sono trasferita in giardino, sotto il ciliegio. Il profumo dei fiori mi inebria e versa un balsamo calmante sui miei nervi scoperti. Il cielo è di un azzurro mai visto. Anzi, visto solo nei ricordi collegati alla mia vita qui a Roma. A Milano un cielo così non esiste. Uno scricchiolio alle mie spalle mi mette in allarme. Sono pronta alla fuga. Oddio, perché sono così nervosa?
La voce un po’ roca e profonda di Diego mi chiede se penso di evitarlo per tutto il resto della mia vita.
- Mi dispiace. Mi sono lasciato trasportare. – si scusa. – Puoi perdonarmi?
Mi volto a guardarlo e quello che leggo nei suoi occhi è vero rammarico. Sta fingendo?
- Mi stai prendendo in giro? Ti stai divertendo?
- Non puoi dire sul serio. Non mi conosci abbastanza? Mi dispiace davvero.
- Va bene, mi hai convinto. Ma d’ora in avanti ti proibisco di prendere altre iniziative.
- Agli ordini, capo. – mi dice, facendomi il saluto con la mano, come fanno i militari. Poi mi bacia la mano e mi porta in casa. – Ci vuole un caffè. Che te ne pare?
- Certo, un caffè è proprio quello che ci vuole.
Quando la caffettiera è pronta, il profumo della bevanda attira in cucina mia madre e Sofia, che è appena arrivata, con uno splendido abito color ciclamino.
- Sofia! Sei uno splendore! – le dico.
- Non si può dire altrettanto di te. – mi risponde – Quand’è che vai a vestirti? Tra poco dobbiamo andare.
- Tu sei quella che arriva ovunque con mezz’ora di anticipo. Me n’ero dimenticata. – le rispondo.
Diego si offre di versare il caffè per tutti.
Chiede: - Quanto zucchero? – solo a Sofia. Poi ne mette un cucchiaino in quello di mia madre e lascia il nostro amaro.
- Conosci già i gusti di mia madre? Impari in fretta. – commenta Sofia.
- Cos’hai stamattina, cara? I bambini ti hanno fatto innervosire? – le chiede la mamma.
- No, non è niente. – risponde lei.
- Vado a vestirmi. – annuncio, uscendo dalla cucina.
Diego mi segue.
- Impari in fretta! – lo investo, imitando la voce di mia sorella, non appena ha chiuso la porta alle sue spalle.
- Pensi che abbia intuito qualcosa? – mi chiede.
- Non lo so. Spero di no.

 

Sono elegante come non mai, sottobraccio all’uomo più affascinante che abbia mai frequentato. Tutti ci guardano, quando ci addentriamo tra i banchi della chiesa addobbata da fiori bianchi. Ci sono tutti i miei parenti. Gente che non vedo da secoli. Tutti mi fanno cenno, ma per fortuna siamo in ritardo e non posso concedermi a saluti più approfonditi. Questo verrà dopo. Intanto Mirella entra in chiesa in un tripudio di velo bianco e di musica, al braccio di mio cognato Filippo, che è il più anziano.  Per tutta la durata della cerimonia, scorgo donne che si slogano il collo nel tentativo di guardare Diego in tutto il suo splendore e di attirare la sua attenzione. Mi accorgo anche di qualche sguardo invidioso lanciato verso di me. Cosa vogliono tutte queste streghe? Ogni tanto Diego mi guarda e mi sorride.
Mi si piegano le gambe. Perché mi guarda così? La nostra farsa sta assumendo una dimensione decisamente esagerata. Non dovevo arrivare fino a questo punto. Avrei dovuto dire a mia madre che il mio fidanzato era in Australia per lavoro.
Ecco l’applauso. E’ finita. Mia sorella è raggiante, mia madre in lacrime e tutti i miei parenti mi aspettano al varco con espressione curiosa e rapace. Diego è un trionfo di gentilezze e garbata ironia. Non credo che molti di loro abbiano compreso le sue battute, soprattutto le donne, che lo guardavano in trance. Non pensavo che facesse un effetto simile sul genere umano femminile.
- Fa il modello? – mi chiede una cugina.
- No, fa l’architetto. – rispondo secca.
Ma la domanda più frequente è, manco a dirlo: - Quando vi sposate?
Credo di aver risposto – Presto. – almeno venti volte.
L’ho perso, inghiottito dalla folla che si accalca intorno agli sposi. Me lo immagino stritolato da un’orda di donne assatanate, ma non sono in grado di difenderlo. Mi avvio, rassegnata, verso la macchina. Diego è già lì. Rido. Ride anche lui.
- Che gente calorosa!
- Hai fatto colpo. – gli dico – Soprattutto sulle donne.
- Davvero? – ride ancora. – Andiamo? – mi propone, aprendomi  la portiera dalla parte del passeggero.
Vedo mia madre che guarda verso di noi. Ha visto tutta la scena.
Le scopro un sorriso compiaciuto. Come farò a dirle che tutto questo non è che una messinscena? Non voglio pensarci. Non ora.
A tarda sera, scalze e semidistrutte, con i nostri begli abiti definitivamente stazzonati, mia madre ed io ci buttiamo sul divano. Diego ha avuto la forza di andare a cambiarsi e noi ci ritroviamo da sole.
Mia madre si guarda in giro.
- Adesso sarò definitivamente sola. – commenta.
- Che dici, mamma? Sono sempre tutti qui! Quando è che sei sola?
- Voglio dire che dormirò in casa da sola.
- E già.
- Eppure sono così felice. – sospira.
- E io sono felice per te.
- Diego è piaciuto a tutti, sai? Le tue zie sono entusiaste di lui. E le tue cugine ti invidiano.
- L’ho cercato tanto, uno così. Ancora adesso mi sembra impossibile. E’ tutto così irreale. Mi sembra un sogno dal quale mi sveglierò per scoprire che non esiste nella realtà.
Che sto dicendo? Non posso dire a mia madre che è stato solo un sogno. Lei lo ha conosciuto.
- Diego ti ama molto. Mi ha confessato di essersi innamorato di te dalla prima volta che ti ha vista, con Giulia. E poi ha fatto di tutto per conoscerti. Ti ha definita la sua anima gemella. Agnese, sono così felice, per te, per voi.
Non è esattamente la versione che avevamo concordato. Diego prende decisamente troppe iniziative arbitrarie. Ma ormai è fatta. Domani si riparte e mi lascerò tutto questo alle spalle. Mi viene un groppo in gola. Per darmi un contegno vado in cucina a bere un bicchier d’acqua. Quando torno trovo Diego che ride con mia madre di qualcosa che hanno visto al matrimonio.
Diego mi lancia uno sguardo adorante ed io mi sento arrossire, come una ragazzina di quindici anni. Smettila di guardarmi così! Non era nei patti. Ma quali erano i patti? Non me lo ricordo più.
- Bene, ragazzi, è ora che trascini le mie vecchie ossa fino al letto. – dice mia madre, alzandosi.
- Vecchie? – chiede Diego, con espressione sbalordita - non più giovani, vorrà dire!
- Diego, tu sei un adulatore fatto e finito. – lo rimprovera lei, ma ride, gongolando. L’ho sorpresa un paio di volte a flirtare con lui. Non mi ero sbagliata. Che succede a tutti quanti?

Siamo a letto, la luce è già spenta. Solo dalle persiane traspare qualche lamella di luce.
- Complimenti. Hai conquistato mia madre in poche ore.– gli dico.
- Anch’io mi sono innamorato di lei. – gli sento rispondere.
- Cosa? – dico, saltando sul letto.
Sento la calda risata di Diego salire dal lato opposto della stanza.
- Voglio dire che mi sembra una donna affascinante, piena di brio, simpatica, solare e molto giovanile, per la sua età. Sei l’unica delle figlie che le assomigli.
- Devo prenderlo come un complimento?
- L’intenzione era questa.
- Diego, sei stato grande. Grazie per tutto quello che hai fatto per me.
- L’ho fatto anche per me. Davvero. E’ stato un piacere.

 

Siamo al casello di Melegnano, in una domenica di giugno calda e piena di promesse.
Mi chiedo cosa sarà di noi. Devo dimenticarmi in fretta di tutto questo. Troverò una scusa con mia madre. Forse cambierò casa. Forse diventerò un’alcolista. Non so cosa mi aspetta, ma di una cosa sono certa. Devo dimenticarmi di Diego. Gli sono infinitamente grata di tutto quello che ha fatto per me. E gratis, per di più. E non oso pensare a tutti i guadagni che ha perso, trascorrendo le serate di due lunghi mesi con me, anziché con le sue clienti. Potrebbe citarmi per danni, se il suo fosse un lavoro onesto. Per fortuna non lo è.
Mi accompagna a casa, portando su la valigia. Io la disfo e gli restituisco i suoi abiti. Lui li trasferisce in un borsone e poi si siede sul divano. Perché non se ne va?
- Vuoi qualcosa da bere? –  gli chiedo.
- No, grazie, sto bene così.
- Bene. Vorrei farmi una doccia. – gli comunico, sperando che questo gli faccia capire che vorrei restare da sola.
Diego ha recepito la mia freddezza.
- Vuoi che me ne vada? – mi chiede, a disagio.
- Beh, ecco, vorrei stare un po’ da sola, adesso.
- Va bene, Principessa. Torno a casa. – dice, afferrando il borsone e aprendo la porta. Poi si volta, mi sorride, e se ne va, lasciando un gran vuoto nel soggiorno e nel mio cuore.
Perché cavolo gli ho detto di andarsene? Già mi manca.
Telefono alla mia ancora di salvezza e lei si precipita da me.
Mentre le racconto tutto, per filo e per segno, Giulia passeggia avanti e indietro per il soggiorno, misurandolo a passi calmi e regolari, commentando qua e là. Alla fine si siede accanto a me e mi appoggia una mano sulla coscia.
- Ti sei innamorata. – mi annuncia.
- Come posso essermi innamorata di un gigolò? Ti sbagli.
Giulia mi osserva con sguardo smarrito.
- Ci sono alcune cose che dovete chiarire. – mi spiega.
- Sicuramente. Ma non saprei da dove cominciare. In fondo non è poi così grave. Io torno alla mia vita e lui al suo lavoro. Le sue serate saranno di nuovo molto piene e remunerative, e le mie molto vuote, tutto qui.
Giulia si muove sul divano come se fosse seduta su un cactus.
- Cosa c’è? – le chiedo, vedendola così a disagio.
- Ci sono cose che non dipendono da me. Perché è tutto così complicato, quando basterebbe un nulla per renderle chiarissime? – sospira.
Mi batte un colpetto sulla coscia e annuncia che deve proprio andare. Si alza e se ne va con l’espressione di quando ha preso una decisione dalla quale nessuno può farla desistere.
Anch’io ho preso la mia decisione. Diego è una storia finita. Mi farà male per un po’, forse per un bel po’, ma alla fine me ne sarò dimenticata e sarà solo un ricordo lontano che ogni tanto tornerà a farmi visita, ogni volta più lieve, ogni volta meno doloroso, ogni volta sempre più sbiadito.
Cavolo, vorrei solo ripetere quella prima serata. Quella sera racchiude qualcosa di magico, un sapore piccante e indecente, una ventata di libertà e incoscienza, che mi ha riportato indietro nel tempo, a com’ero a vent’anni. Ci rimugino sopra per qualche tempo, poi decido. Lo contatterò sul suo sito, senza dirgli chi sono. Fisserò un appuntamento, lui capirà, quando mi vedrà allo stesso angolo, con lo stesso vestito, la stessa pettinatura. Un addio. Forse accetterò di andare a ballare. Voglio chiudere in bellezza.

Avvio il computer e intanto cerco l’indirizzo.
Ma dov’è? L’ho annotato mentre parlavo al telefono con Giulia. Deve essere qui, in mezzo a tutti questi biglietti pieni di numeri di telefono senza nomi. Non capisco perché li tengo qui. Dovrei gettarli via. Eccolo!
Il sito è piuttosto anonimo, con lo sfondo nero e i caratteri rossi. Non gli assomiglia per niente. Invio una e-mail.
Quando ricevo la conferma, mi preparo, mi vesto e mi pettino con la massima cura. Voglio che sia tutto uguale a quella sera.
Allo stesso angolo, alla stessa ora, un uomo scende da un’automibile sportiva e mi viene incontro. Elegante, il passo sciolto ed elastico di un atleta, il volto abbronzato e molto molto giovane. Chi diavolo è?
Capisce al volo che qualcosa non va.
- Si aspettava un altro tipo d’uomo?
- Lei chi è? – gli chiedo.
- Alessio. Lei ha fissato un appuntamento sul mio sito?
- Sì, ma l’altra volta è venuto qualcun altro. – rispondo, con voce incerta.
- Impossibile. Io lavoro da solo. Deve aver contattato qualcun altro, in un altro sito.
- No, era proprio questo. Non ne conosco altri. – insisto.
- Le ripeto che è impossibile. Ha fissato l’appuntamento di persona?
- Veramente no. E’ stata un’amica.
- Allora la sua amica deve aver cambiato idea e ha contattato qualcun altro, dimenticandosi di informarla.
- Deve essere così. – ammetto, sempre poco convinta.
Non se ne fa niente. Cosa me ne farei di questo bambolotto palestrato?
Giulia, cosa mi hai combinato? All’improvviso mi sento tradita, non so perché. Quei due sono in combutta e in qualche modo si sono presi gioco di me. Mi sento molto tradita e ancor più arrabbiata.
Mentre percorro la strada del ritorno, completamente immersa nei miei foschi pensieri, qualcuno chiama il mio nome. Mi guardo intorno, pur convinta che non chiamino me. Invece qualcuno si sporge dal finestrino di un’auto, mi fa cenno con la mano, poi scende e mi viene incontro a braccia aperte.
- Agnese! Agnese Tiberi, sei proprio tu! – mi urla, entusiasta.
Non posso crederci. E’ il passato che ritorna.
- Tony, quanto tempo…
Mi abbraccia e poi si fa indietro di un passo e mi squadra dalla testa ai piedi.
- Sei fantastica.
- Grazie. Anch’io ti trovo bene.
Tony, il mio caro vecchio compagno di facoltà. Quante risate ci siamo fatti insieme.
- Stai andando a una festa? – mi chiede.
- No, no. Avevo un appuntamento, ma è saltato. Stavo tornando a casa.
- Ah, no. Allora vieni a cena con me. Ho un sacco di cose da raccontarti. Non ci vediamo da un secolo.
Così mi ritrovo prima ad essere scarrozzata per mezza città su una monumentale Mercedes e poi coccolata in un elegante ristorante del centro, molto “in”.
A Tony le cose sono andate di lusso. E’ avvocato. Ha uno studio ben avviato in via Torino, una villa a Monza, una ex-moglie che vede troppo spesso e due bambini che vede troppo poco. Da quando ci siamo persi di vista, ha messo su qualche chilo e ha perso un po’ di capelli, ma il suo sguardo blu è sempre lo stesso, vivace, brillante, ironico, vivo. Sono felice di averlo incontrato.
-  Sai, quando ti ho vista attraversare la strada, ero fermo al semaforo. Da principio ti ho seguita con lo sguardo senza riconoscerti, ma poi qualcosa nella tua andatura, nel modo di scostarti il ciuffo dagli occhi, mi ha fatto scattare un campanello d’allarme. Ho fatto inversione di marcia e ti ho seguita. Alla fine sono stato certo che fossi proprio tu. Che sorpresa!
- La cosa sorprendente è che viviamo qui da quindici anni e non ci siamo mai incontrati prima.
- O forse sì, ma non ce ne siamo accorti.
Rivanghiamo il passato, riesumiamo le nostre allegre domeniche in bicicletta a Villa Pamphili, le passeggiate al Gianicolo al tramonto. Stavamo bene insieme. Ma qualcosa ci aveva sempre impedito di portare il nostro rapporto al di là di quella bella amicizia. Una specie di paura. Paura di lasciarsi andare, paura di commettere uno sbaglio, paura di non appartenere più a noi stessi, di appartenere a un altro. La nostra amicizia era libera, senza peso, era un rapporto leggero, come un cielo limpido, senza nubi, aperto fino all’orizzonte. Cambiarlo avrebbe significato imporre delle sbarre, bloccare qualcosa, forse la visuale di quel cielo, rimpicciolendone lo spazio.
Tony sta forse seguendo lo stesso filo dei miei pensieri, perché ad un tratto mi chiede:
- Come mai non ci siamo messi insieme?
- Forse per non rovinare un’amicizia che  sembrava perfetta.
- Ma abbiamo sbagliato, me lo sento. – commenta lui, stringendomi la mano attraverso il tavolo.
- Forse. – ammetto – Chi può dirlo?
- E’ troppo tardi per ricominciare? – mi chiede, abbassando la voce.
- Da dove vorresti riafferrare il bandolo di questa vecchia matassa?
- No, niente vecchie matasse. Bisognerebbe ricominciare tutto da capo, come due sconosciuti che si incontrano per caso, per la prima volta.
- Ma noi non siamo due sconosciuti.
- Forse sì. Io ti vedo per la prima volta. Conoscevo una ragazza che ti assomigliava, una volta, ma chissà dove è finita?
- Anch’io conoscevo un ragazzo che ti assomigliava. L’ultima volta che l’ho visto mi annunciò che si era innamorato di una tale, che era gelosa di me e gli aveva imposto di non incontrarmi più.
- Cazzo, è vero. Quella vipera! Mi ha distrutto la vita e poi l’ha ricreata a sua immagine e somiglianza. Mi è costato un occhio in analisti, liberarmi della sua nefasta influenza e tornare ad essere me stesso.
Povero Tony, chi l’avrebbe detto?
- E oggi la tua vita sentimentale come va? – gli chiedo, dopo questo sfogo.
- Dopo un’esperienza simile, pensi che abbia avuto ancora voglia di una vita sentimentale? No, grazie. Non intendo innamorarmi mai più.
- Capisco, - commento, pensando che abbia tutte le ragioni del mondo.
- Ma per te potrei fare un’eccezione. – mi annuncia, a sorpresa.
- Mi rendo conto. – rispondo, un po’ a vanvera. Questa nuova piega della conversazione non era prevista. Non so cosa rispondere e quindi sto zitta.
- E’ una proposta. – insiste lui, allora. – Vuoi fare un tentativo? Ricominciare tutto da capo e vedere come va a finire?
Ci rivediamo dopo quindici anni e mi fa una proposta del genere? Non è un tantino azzardata? A meno che non si senta sicuro del fatto che io non potrei mai farlo soffrire.
- Non mi ritieni un rischio, quindi. Sei sicuro che di me non ti innamoreresti mai.
- Non intendevo questo. So che se accadesse, tu non mi ridurresti mai come ha fatto Sara.
- E’ un voto di fiducia, dunque. – concludo.
- Assolutamente.
Così Tony rientra nella mia vita, proprio mentre Diego ne esce.

 

Quattro tentativi di approccio più tardi, sono qui al telefono a spiegare a Diego, per la quinta volta, che gli sarei grata se non mi telefonasse più. Non se ne fa una ragione. Come può essere così insensibile da non capire?
E adesso ecco anche Giulia, che misura il mio pavimento, più agitata del solito. Sono un po’ fredda con lei, da quando ho capito che era in combutta con Diego e che si sono divertiti a prendermi in giro, anche se non ho ben compreso né come né perché. E soprattutto non capisco cosa vogliano ancora da me.
Dopo il suo ennesimo tentativo di convincermi che sono innamorata di Diego, cosa di cui non c’è alcun bisogno che mi convinca, ripeto a Giulia il mio ritornello preferito:
- Non mi metterò mai con un uomo a pagamento. Vorrei che fosse chiaro una volta per tutte.
- Ma ancora non vi siete chiariti? – mi urla, sollevando le braccia al cielo.
- Cosa c’è da chiarire? Mi ripeti sempre questa cosa. Spiegati, una buona volta.
Giulia mi fissa con lo sguardo offuscato. Apre la bocca come per dire qualcosa. Poi la richiude. Afferra la sua borsa e se ne va, salutandomi appena. Mentre esce, la sento ripetere, come una litania: - Questa storia si deve chiarire. Questa storia si deve chiarire.
- Quale storia si deve chiarire? – dice Tony, attraversando la porta dalla quale Giulia è appena uscita.
Così mi ritrovo a raccontargli l’intera storia. Tony mi interrompe per esclamare, con volto scandalizzato:
- Cosa? Un uomo a pagamento? Dov’è finita la mia ragazza?
Io lo ignoro e proseguo con il mio racconto. Sono ormai giunta alla fine, quando Tony ripete per la terza volta:
- Dov’è finita la mia ragazza?
- Tony, per l’amor del cielo! Sono passati quindici anni. E’ qui, da qualche parte, la tua ragazza, ma adesso non ricordo proprio dove l’ho messa!
Mi butto sul divano e sospiro, mentre lui, ancora con la sua brava espressione scandalizzata, mi guarda come se mi fossi improvvisamente trasformata in un alieno.
- Siediti. – gli dico – E togliti quell’espressione dalla faccia. Non ti rende più attraente.
- Hai detto che era un regalo di compleanno?
- Proprio così.
- Devo essermi perso qualche passaggio. Forse sto invecchiando. Nessuno mi ha mai regalato una puttana, per il mio compleanno.
Mi sento offesa.
- Un accompagnatore non è esattamente come una puttana.
- Ci vai a letto lo stesso. Chiamalo come ti pare. E lo paghi per farlo.
- Io non ci sono andata a letto.
- Ti ha fatto lo sconto?
Vorrei picchiarlo, ma gli spiego con calma che Diego si è comportato sempre come un gentiluomo e che non ha mai tentato un gesto che non fosse improntato alla massima cortesia e gentilezza.
- Un esemplare raro! – commenta, ironico.
- Tony! – urlo, esasperata, e gli lancio un cuscino sulla faccia.
Lui me lo restituisce e ci ritroviamo come due ragazzini stupidi a rotolarci sul pavimento tentando di soffocarci a vicenda. Non può essere. Stiamo delirando. Poi ci baciamo appassionatamente e scoppiamo a ridere.
- Questa nostra involuzione è sorprendente. – esclama Tony, rialzandosi dal pavimento coperto di cuscini.
- Molto liberatoria. – commento.
- Sono geloso. Parli di questo Diego come se fossi innamorata di lui.
- Può darsi, ma tra noi non ci sarà mai niente.
- Dovrei esserne compiaciuto, ma non ci riesco. Perché?
- Affari tuoi. – gli dico.
- Se sei così convinta che sia un perfetto gentiluomo, perché non vuoi avere una storia con lui? E bada che sto andando contro i miei interessi, dicendo questo.
- Ma non pensi a quante donne ha avuto? Devono essere un numero impressionante.
- Anch’io ho avuto un numero impressionante di donne, ma non ne ho amata nessuna. E’ stato solo sesso.
- Ma lui lo ha fatto per denaro!
- A me invece lo hanno spillato. Forse lui è più furbo di me.
- Ho come l’impressione che tu lo stia difendendo, adesso.
- Deformazione professionale. Sono abituato a vedere la situazione sotto ogni possibile punto di vista.
- Tu e Giulia vi siete messi d’accordo?
- Giulia è quella che ho visto uscire poco fa?
- Esatto.
- Carina, non la conosco. Potresti presentarmela?
- Ah, smettila, vecchio gufo!
- Nessuno mi ha più chiamato così, da quando abbiamo smesso di vederci.
- Già.

Le cose con Tony vanno avanti da un po’, ma non riesco a lasciarmi andare, non ancora. E’ tornata la nostra bella amicizia, ma anche questa volta, c’è qualcosa che non ci fa progredire. Sono convinta che l’ombra di Diego si stenda tra di noi. Tony non ne ha parlato più, ma lo capisco. Sta aspettando che mi passi. Forse ci vorrà più tempo di quanto immaginassi.
Ci siamo incontrati un paio di volte, al parco, dove Diego va a correre e io a portare Morgana. La prima volta mi ha detto solo che gli mancavo molto. L’altra, che dovevo dargli una seconda occasione. Ieri sera mi ha telefonato e mi ha detto di avermi vista con un uomo. So che stava parlando di Tony, perché non frequento nessun altro. Mi ha chiesto se è una storia seria. Gli ho detto che si tratta di un vecchio amico. Non so perché. Avrei dovuto dirgli che effettivamente è la storia più seria che abbia mai avuto, ma gli ho lasciato uno spiraglio di speranza. O l’ho lasciato a me stessa? Diego ha chiuso informandomi che deve assolutamente parlarmi di una cosa. Credo che sia la decima volta che me lo ripete. Ma vuole che parliamo a quattr’occhi e io gliel’ho sempre negato. Anche stavolta.

 

Lo racconto a Tony.
- Cosa  credi che  voglia dirmi, che non può dire  al telefono?
- Forse che lavora sotto copertura, che è un agente segreto.
- Dai, smettila.
- Che è ricercato dalla polizia?
- Ho capito, cambiamo argomento.
- No, questo argomento mi interessa molto, invece. E’ il mio diretto rivale, mi aiuterebbe scoprire tutto di lui.
- Speri che sia un delinquente, per farlo arrestare e togliertelo di torno?
- A quali infimi estremi può giungere un uomo innamorato e geloso! – commenta Tony, ridendo.
- Devo farlo? – gli chiedo, cercando il suo sguardo.
- Vuoi saperlo da me? Sei tu che devi decidere. Non sei una ragazzina spaventata, o sì?
- Forse. Ecco dov’era finita la tua ragazza. E’ tornata, proprio adesso che non ho alcun bisogno di lei.
Tony mi abbraccia. E poi mi dice nei capelli – Io posso solo dirti che finchè non ti libererai di questa storia, noi due non riusciremo a fare un solo passo avanti.
Ha ragione. Ma adesso non riesco a decidere.

Sono con Giulia al parco. E’ una domenica strana. Il cielo è di un grigio compatto, l’erba è secca e gialla. La fontana è spenta. Mi sento un macigno sul cuore, ma non parlo con la mia amica da troppo tempo. Si è persa quella confidenza spontanea che esisteva tra noi. Anche se mi sono sforzata, non sono più riuscita a vederla come la mia più cara amica. Mi ha tradita. Perché dovrei raccontarle ancora i fatti miei? Lei invece non è cambiata affatto.
- Agnese, hai più visto Diego? – mi chiede, mentre accende una sigaretta, con aria annoiata.
- No. – rispondo con indifferenza. Non voglio che sappia che penso ancora a lui.
- E tua madre lo sa?
Che c’entra mia madre? Non voglio pensarci. Lei si aspetta un matrimonio da un momento all’altro. Beh, potrebbe anche non restare delusa se decidessi di sposare Tony. Forse non se ne innamorerebbe come gli è successo con Diego, ma sarebbe pur sempre un marito per la sua figlia maggiore.
- Le ho detto che si trova in Belgio per lavoro e che non si sa quando potrà rientrare in Italia.
- E non ha fatto commenti?
- Sì. Ha detto “la carriera ha sempre la priorità su tutto”. Mi voleva consolare.
- Gentile. Prima non ti trattava così bene, o mi sbaglio?
- E’ vero. Diego ha compiuto questo miracolo. Mia madre ed io ci siamo riavvicinate.
- Devi essergliene molto grata, immagino. – commenta Giulia.
- Se hai qualcosa da dirmi, fallo e basta. – le ingiungo con una durezza maggiore di quanto fosse mia intenzione.
- Certo che avrei qualcosa da dirti, ma non posso. L’unico che può farlo è quello svitato di Diego, che mi ha fatto giurare che non t’avrei detto nulla. Quindi, se vuoi farti un favore, e farne uno anche a me, esci con Diego e ascolta quello che ha da dirti, anche se non te ne frega più niente, solo per chiarire le cose e per liberarmi di questo peso.
- Non puoi darmi nemmeno un accenno?
- No. Se tu mi chiedessi di mantenere un segreto, io non andrei a spifferarlo in giro. Che amica sarei? Però trovo che sia stupido non farti almeno sapere che c’è qualcosa di cui devi essere informata. Hai preso delle decisioni senza avere tutti gli elementi per valutare la situazione. Potresti accorgerti che non erano quelle giuste, alla luce dei fatti.
- Sei stata molto chiara e molto misteriosa allo stesso tempo. E mi hai incuriosito, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente corretto nei confronti dei tuoi amici. Complimenti. Ti avevo giudicato male. Ti devo delle scuse.
- Mi avevi giudicato male? In che senso? – mi chiede Giulia.
- Ero convinta che tu e Diego vi foste messi in combutta per prendermi in giro.
- Non è esattamente così. Quando parlerai con Diego, ti sarà tutto chiaro. Fallo, ti prego. Sono enormemente stanca di tutta questa storia.
- Lo farò.

 

Ho detto a Tony dell’appuntamento di stasera. Non ha fatto commenti, ma i suoi occhi sono stati attraversati da un impercettibile lampo di smarrimento. Forse me lo sono solo sognato, tanto è stato breve. Ormai non sono sicura più di nulla.
Sono allo stesso angolo, alla stessa ora, con lo stesso vestito e la stessa pettinatura di quella volta. Spero sia l’ultima.
Diego è affascinante come quella sera, mi viene incontro con uno sguardo meno sicuro di allora, come appannato, ma il sorriso è il suo. Senza chiedermi nulla mi porta nello stesso ristorante, allo stesso tavolo, con la stessa candela accesa.
Fin’ora abbiamo parlato di sciocchezze, come se questo incontro fosse banale, uno dei tanti, senza importanza. Ma io sento l’aria elettrica come prima di un temporale, quando si accumulano le forze invisibili che scateneranno gli elementi.
Devo essere io ad estorcergli la verità, o devo lasciare che si prenda il suo tempo e decida quando è giunto il momento di parlare? Cos’è questa cosa tanto difficile da dire?
- Sono un bugiardo. – afferma all’improvviso.
- Dici a me? Non darti tante arie, io sono campionessa mondiale di menzogna!
- Sì, dico a te, Principessa. Tu ti sei fidata di me, ed io ti ho mentito.
- Pazienza. Chi la fa l’aspetti. – commento, accomodante.
- Devo assolutamente raccontarti come sono andate le cose.
- Sono tutta orecchi. – gli comunico, appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento alle mani.
Dunque è questo il grande segreto, mi dico ridendo dentro di me. Diego non è affatto un gigolò, ma un collega di Giulia. Quando mi ha detto di lavorare alla MTM, non era una bugia a beneficio della mia famiglia, ma la pura verità. La bugia l’aveva raccontata a me, dicendomi di essere un pittore che faceva il gigolò per sbarcare il lunario. Naturalmente non ha nulla a che fare col sito a cui mi sono rivolta. Alessio aveva ragione. Giulia mi ha combinato un incontro con Diego, perché lui le dava il tormento. Ci aveva viste insieme un paio di volte ed era rimasto impressionato da me. Diego ha detto proprio così: “Sono rimasto impressionato da te.”  E una volta presa la china delle menzogne, non aveva più saputo tirarsene fuori. Non ho mai visto uno che si vergogni tanto di qualche bugia. L’unico risultato che ha ottenuto, è stato quello di darsi la zappa sui piedi. Pensava davvero che mi sarei messa con uno così?
- Hai messo Giulia in croce, in tutto questo tempo? Non potevi lasciare che fosse lei a dirmelo? Sono mesi che la vedo sulle spine.
- Sono io che ho avuto questa brillante idea. Dovevo essere io a confessarti la verità.
- E potrei sapere perché ci hai messo tanto?
- Ero convinto che anche tu ti fossi innamorata di me, e che non fosse importante. Poi ti ho vista con quell’altro e ho capito che mi sbagliavo. Ho aspettato troppo.
- Buonasera. – dice una voce alle mie spalle – Sono quell’altro.
- Tony! Che ci fai qui?
- Ero curioso.
- Diego, questo è Tony. Tony, Diego. – dico, imbarazzata, gesticolando e urtando il mazzolino di fiori appoggiato sul bordo del tavolo.
L’acqua schizza da tutte le parti e Tony, che intanto ha fatto mezzo giro del tavolo e si trova proprio sulla traiettoria della doccia, fa un salto indietro urtando un cameriere che passa con un vassoio di aragoste. Una pioggia di crostacei cade sui commensali di un altro tavolo, che a loro volta si alzano di scatto facendo volare forchette e tovaglioli. Quando il caos si ricompone, io sono paonazza nel tentativo di smorzare la mia ilarità. Diego e Tony si guardano in faccia, poi guardano me e per buoni cinque minuti non riusciamo a smettere di ridere. La gente ci guarda male. Cosa possiamo farci? E’ una seria crisi di ridarella, di quelle che da ragazzi si potevano spegnere solo allontanandoci gli uni dagli altri. Credo sia questo il caso. Mi dirigo disinvolta verso il bagno delle signore e mi ci chiudo dentro, approfittando per rifarmi il trucco. Mi si è sciolto tutto. Mi riprendo, emetto un sospiro profondo e torno al tavolo sperando che sia tutto finito. Trovo Diego e Tony che parlottano ridendo, ma con molta moderazione. E’ una mia impressione, o ci dovrebbe essere almeno un pizzico di ostilità, tra questi due? Invece pare proprio di no. Io sono passata in secondo piano. Adesso i protagonisti sono loro. Io li sto a guardare e sentire, cercando di capirci qualcosa. Ecco svelato l’arcano: hanno fatto il servizio militare insieme. Non posso crederci. La vita è davvero piena di sorprese. Adesso parlano dei loro compagni, chiamandoli per cognome. Questa serata si sta facendo strana. E’ più di un quarto d’ora che non mi degnano della minima attenzione. Mi alzo e chiedo alla cassiera di chiamarmi un taxi, poi esco dal locale e mi accendo una sigaretta. Sbirciando dal vetro mi rendo conto che quei due non si sono nemmeno accorti che me ne sono andata. Serata perfetta.
Mi faccio accompagnare sotto casa di Giulia e le citofono.
- Che ci fai qui? – mi urla dal muro.
- Aprimi. – rispondo con voce piatta.
Giulia non crede alle sue orecchie, come io non ho creduto ai miei occhi.
- Ero lì. Puoi credermi. Scommetto che non si sono ancora accorti che sono sparita.
- Gli uomini sono tutti bastardi. – afferma, convinta.
- O.k. Adesso quale atteggiamento mi consigli di adottare?
- Scaricali tutti e due. – mi propone, un po’ drasticamente.
- E’ quello che si meritano. – ammetto.
- Non c’è dubbio. – conferma.
- Mi ospiti per la notte?
- Non c’è neanche bisogno di chiedermelo. E domani resti qui. Passeremo tutta la domenica a parlar male degli uomini, che bastardi!

Circa venti minuti dopo la mezzanotte, io e Giulia ci stiamo tranquillamente sbronzando, quando suona il telefono.
Giulia risponde con voce leggermente impastata.
- Diego, che vuoi a quest’ora? … Certo che stavo dormendo. … No, non so dove sia finita Agnese. Non era con te? … Come sarebbe è sparita? … E tu non ti sei accorto che si alzava dal tavolo? … Distratto da chi? … Capisco. … No, non le dirò che la stai cercando. … E mi chiedi anche perché? … Cerca di starmi alla larga, potrei diventare violenta. - e sbatte la cornetta sull’apparecchio.
Poi mi guarda e scoppia a ridere.
- Gli sei scomparsa sotto il naso e non si sono accorti di nulla!
- Cosa c’è da ridere? – le chiedo, malinconicamente.
- Un paio di bicchieri di troppo?
- Se è così, mesci, oste! Voglio ridere anch’io!

 

Domenica di penitenza. Giulia ed io paghiamo lo scotto di una sbronza misura extra-large e la mia recente avventura non mi rende particolarmente di buon umore. Lei è pensierosa, ma anche agitata.
- Domani, al lavoro, vedrò Diego, che piaga!
- Non dirgli nulla. Non so ancora cosa deciderò. Anzi, non ci voglio pensare.
- Fai bene. Fatti passare prima i postumi della sbronza.
- Ottimo consiglio. – commento.
Ci guardiamo un bel film, dopo uno spuntino leggero. Poi giochiamo a Scarabeo e infine ci guardiamo vecchie foto. Tutti i miei dubbi su di lei sono scomparsi.
Di nuovo il telefono. Di nuovo Diego. E’ preoccupato. Vuole denunciare la mia scomparsa alla polizia. Tony è d’accordo con lui. Giulia è costretta a dirgli che non sono scomparsa. Sa dove mi trovo e sto bene.
- Non vuole essere disturbata. Siete capaci di lasciarla in pace? - le sento dire.
- Non farò proprio niente. Mi hai capito bene? E non tirarmi più dentro a questa storia. Veditela tu!
Ancora una volta sbatte giù il telefono. Grande Giulia! Dove la trovo un’altra amica come questa?
- Grazie. – le dico, grata.
- Non c’è di che.
E torniamo alle nostre foto.

Una volta tornata in casa, metto la segreteria telefonica e rifiuto ogni telefonata di Diego e di Tony. Tutti e due mi tampinano come segugi. Spero non facciano irruzione in casa mia. Non sono ancora pronta a rivederli. Mi sento profondamente umiliata dal loro comportamento. Mi hanno ignorata a tal punto…
Non sono certa di volerli rivedere, per molto molto tempo.
E’ una settimana che mi aggiro per il quartiere come una ladra, attenta a non farmi scorgere, nel caso uno dei due sia appostato ad aspettarmi. Comincio a chiedermi se non sia davvero il caso di cambiare appartamento, numero di telefono, lavoro, città.
Ma poi è Giulia che mi illumina, come sempre.
- Sono loro che dovrebbero andare a nascondersi! E’ vergognoso come ti hanno trattata. Smettila di fare la vittima. Non se lo meritano. Sei tu l’offesa.
- Hai ragione. – le dico, sbarrando gli occhi per la sorpresa. – Perché non ci ho pensato prima? Sono io l’offesa.  E spetta a me, decidere di perdonarli oppure no.
- Esatto. E cosa hai deciso?
- Oppure no.
- Brava!
- Ho un po’ di ferie. Voglio andare a Roma e stare un po’ con mia madre. Ho deciso di raccontarle tutto.
- Davvero? – si stupisce Giulia.
- Esatto. Voglio rimettere un po’ d’ordine nella mia vita. Che ne pensi?
- Penso che sia una magnifica idea. Mi porteresti con te?
- Perché no?

 

Perché ho sempre idee così cretine? Giulia è alle prese con le mie sorelle, che sembra parlino lingue diverse. Mia madre è ancora convinta che Diego sia in Belgio ed io non ho ancora trovato il coraggio di dirle la verità. E qui c’è sempre troppa confusione. Mia madre non è mai, mai sola. Questo è il punto. Per parlarle dovrei rapirla e trasferirla in un covo della Sila.

 Finalmente ci liberiamo di tutti a un orario decente, non è ancora mezzanotte, l’ora limite di mia madre, dopo la quale è inutile parlarle, perché sarebbe in catalessi. Io lancio un’occhiata a Giulia e lei mi capisce al volo. Facciamo accomodare la mamma in mezzo a noi, sul divano, la mettiamo comoda e poi porto a termine la mia missione, con l’aiuto prezioso di Giulia.
Abbiamo parato i colpi peggiori, ammorbidito gli spigoli, omesso qualche piccolo dettaglio irrilevante, e ce l’abbiamo fatta.
La mamma non sembra troppo scossa. Me ne stupisco. Giulia mi guarda con espressione interrogativa. Io alzo le spalle per dirle che non capisco. Poi la mamma si alza, si mette di fronte a noi e ci dice, semplicemente:
- Lo sapevo già.
- Cosa? – diciamo in coro, stupite.
- Diego mi ha raccontato tutto. E mi ha parlato anche di Tony, quel tuo vecchio amico d’infanzia.
- Infanzia? Mamma, avevo vent’anni!
- Una bambina. – insiste mia madre.
- E quando  ti avrebbe  fatto questa confessione spudorata?
- La settimana scorsa.
- Perché?
- Perché sapeva che mi aspettavo di ricevere notizie sulla data del vostro matrimonio, e temeva che tu non me l’avresti mai detto. Non voleva che aspettassi invano. E’ stato molto gentile. Mi piace molto quel ragazzo.
- Lo so, mamma, ma non è un ragazzo, è un uomo!
- E’ un uomo che mi piace. Invece quel Tony non mi è mai piaciuto, ricordi? Ti dicevo di lasciarlo perdere, che ti faceva solo sprecare del tempo prezioso.
- Sì, mi ricordo. – ammetto, sospirando, rassegnata.
Mia madre ha sempre avuto idee molto precise sulle persone che frequentavo. E non è mai stata capace di tacermele.
- E adesso cosa intendi fare? – mi chiede.
- Non lo so. Pensavo di espatriare. Così, tanto per sparire un po’ dalla circolazione.
- Sii seria, Agnese. Quell’uomo sta aspettando una risposta.
- E quale sarebbe la domanda?
- Vuoi sposarlo o no?
- Cosa? Non mi ha mai chiesto niente del genere!
- Lo ha chiesto a me. Io sono la sua portavoce ufficiale.
- Mamma!
- Mamma, mamma, sai dire solo questo. Trovi un uomo capace di inventarsi qualunque cosa pur di uscire con te, di montare un intero spettacolo teatrale per aiutarti ad uscire fuori da un vespaio che ti sei costruita da sola con le tue stupide bugie, che non si è tirato indietro davanti a niente, pur di starti vicino e di compiacerti in tutte le tue stupide richieste, e tu che fai? Gli dici “Grazie, non ho più bisogno di te, ora sparisci da dove sei arrivato.” Ingrata! Ho una figlia ingrata e pure stupida, oltre che bugiarda. Sei così bugiarda da essere contagiosa, te ne rendi conto? Tutti quelli che ti frequentano sono condannati a diventare bugiardi come te. Ne sarai molto fiera, immagino.
Dopo questa tirata, riprende fiato. Ha ancora le mani sui fianchi e sembra una comare sul punto di mollare un ceffone alla sua più acerrima nemica.
- Mamma, calmati. – riesco a dire.
- No, che non mi calmo. Hai trentacinque anni e non hai imparato niente dalla vita. Come faccio a calmarmi?
- Sembra quasi che tu tenga più a lui che a me. – la rimprovero.
- E’ la stessa cosa. Non capisci? Con un uomo come lui al tuo fianco, io sarei finalmente sicura che non potresti più combinare guai e rovinarti la vita, come stai cercando di fare dalla nascita.
- Questa è bella. – mormora Giulia, ridacchiando.
- Sei d’accordo con lei! – l’accuso.
- Solo un pochino. – mi conferma.
- Ecco, vedi, anche Giulia ti conosce bene. Quante volte è stata lei a guidarti fuori da un casino in cui ti eri cacciata?
- Qualche volta, lo ammetto. Ma questo che c’entra? Dovrei sposarmi solo per evitare di cacciarmi in qualche guaio?
- No, dovresti farlo perché sono sicura che ne sei innamorata, solo che sei così testarda che ti pesa ammetterlo. Ti riempi la bocca di tutta quella tua indipendenza, di tutta quella tua stupida libertà, che non significano niente. Anzi, no, significano che rimarrai per sempre sola. E’ questo lo scopo della tua vita? Se è questo che vuoi, fai pure. Hai deciso di buttare alle ortiche l’occasione della tua vita? Va bene. Io mi rassegnerò. Non era per me, che ci tenevo tanto, era per la tua felicità. Ma se per te conta così poco, non importa. Sei tu che devi decidere. A me va bene tutto. E non te ne parlerò mai più, puoi starne certa. Non avrai bisogno di mentirmi ancora. Te lo assicuro.
- Perché ti scoccia tanto ammettere che sei innamorata di Diego? - si intromette Giulia.
Ecco, ora sono tra due fuochi.
- Non è così. E’ che non ne sono del tutto certa.
- Se è così, allora è vero, non ne sei innamorata. Questa è una cosa che si sa, punto e basta. E non occorre pensarci. –  commenta la mia amica.
- Hai ragione, Giulia. Non occorre pensarci. Non parliamone più. Adesso devo proprio andare a letto. – conclude la mamma, avviandosi verso le scale, con aria stanca e disgustata.
- E’ veramente innamorata di Diego! Perché non se lo sposa lei? – mi chiedo, a voce bassa.
- Ti ho sentita. – dice Giulia ridacchiando. – Speriamo che sia un’infatuazione momentanea.
- Lo spero per lei. – borbotto, ancora provata dai rimproveri risentiti di mia madre.

 Dopo il mio ritorno da Roma, mi sento in pace con tutti, compreso Tony, ma escluso Diego.
Tony mi ha fatto recapitare una fascio di rose rosse con una lettera di scuse. E’ stato molto carino. Mi ha confessato di essere venuto al ristorante, quella sera, con l’intento preciso di rovinarmi la serata. E ci è riuscito. Lo ha fatto per gelosia. Sa che siamo solo amici, in fondo, e che non avrebbe dovuto farlo. A questo proposito, mi ha pregato di non citarlo per danni. Ma è stato più forte di lui. In fondo non mi costa nulla perdonarlo.
Invece, essere stata ignorata da Diego, mi brucia ancora, nonostante la sua stupida richiesta di matrimonio alla quale, del resto, non ero presente e che posso quindi spensieratamente ignorare.
La mia vita potrebbe essere davvero a posto, adesso, se non fosse per un piccolo problemino sul lavoro. Da quando ho cambiato look, ho risvegliato l’interesse di un tale. Diciamo che all’inizio non mi dava fastidio, ma ora si sta rivelando decisamente eccessivo. Mi segue ovunque, mi perseguita, mi asfissia. E non posso neanche dirgli di andare a farsi fottere: è il mio capo.
Per scrollarmelo di dosso mi sono messa al dito un anello e ho detto che sto per sposarmi. L’anello mi è costato poco, è pura bigiotteria, ma fa la sua sporca figura. Quello che mi è costato di più è stato dover ricominciare a mentire. Come mi è venuto in mente? Quando l’ho raccontato a Giulia, ha alzato gli occhi al cielo e ha mormorato: - Oddio! Non di nuovo! – con voce disperata.
- Cosa potevo fare? – le ho chiesto.
- Ricominciare  a vestirti come una barbona, per  esempio. – mi ha suggerito.
- Non ci avevo pensato.
- Tu non pensi mai, questo è il tuo problema. Prima lanci una bomba e poi ti guardi intorno per scoprire se ci sono morti o feriti. E se ci sono, te ne stupisci. Non pensi che le bombe servono ad uccidere. Se ti serviva solo un po’ di rumore, allora, non potevi far saltare un petardo?
- O.k. sei stata molto chiara e convincente. Ma adesso cosa faccio?
- E che ne so? Devi per forza fare qualcosa?
- Devo andare a una festa aziendale e tutti vogliono conoscere il mio fidanzato. 
- Agnese!
- Sì?
- Sei incorreggibile!

 

Nonostante le sue rimostranze, Tony si è convinto a venire con me alla festa e a fingere di essere il mio fidanzato. Ha molto lavoro, però, quindi mi raggiungerà al locale. Mi sono infilata in un tubino bordò scuro e ho messo i tacchi a spillo. Perché mi stia dando tanto da fare per sembrare una bambola sexy, resterà sempre un mistero. Quella gente mi ha sempre vista in jeans e maglioni slabbrati, perché dovrebbe importarmi? Non so. Deve essersi rotto qualche delicato equilibrio dentro la mia testa. Entro nel locale con molta calma, tanto so che Tony farà tardi. C’è la musica. Mi ero dimenticata che qui si balla. Con questo vestito mi sarà quasi impossibile. Arrivo al tavolo, saluto tutti e comincio a chiacchierare con i miei vicini. I camerieri iniziano a distribuire gli antipasti e Tony ancora non si vede. Spero proprio che non mi dia buca. Il mio capo potrebbe iniziare a pensare che mi sono inventata tutto. Lo so che è proprio così, ma lui non deve saperlo. Ma certo, troverò una scusa. Ho già detto che era impegnato con una causa importante e che avrebbe fatto tardi.

Si comincia a ballare. Li osservo con distacco, mentre qualcuno dei miei colleghi mi fa cenno con la mano di unirmi a loro in questo ballo di gruppo. E’ uno di quelli in cui, se non conosci alla perfezione i passi, ti ritrovi tra i piedi della gente, aggrovigliata in nodi inestricabili. No, grazie, non è per me.
I camerieri distribuiscono i primi piatti. Si balla ancora. Dopo un ritmo sud-americano che fa agitare tutti sulle sedie, ecco un lento. Un magnifico, romantico lento da mattonella. Peccato che Tony non sia ancora arrivato.
- Balli? – sussurra al mio orecchio una voce conosciuta.
Sono esterrefatta. E’ Diego. Cosa ci fa qui?
Si volta verso la mia vicina e le tende la mano presentandosi:
- Sono Diego, il fidanzato di Agnese.
- Mi era parso di capire che si chiamasse Tony. – commenta.
- E’ solo un soprannome. – le rispondiamo in coro, Diego ed io.
Poi ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere. Lui mi solleva di peso dalla sedia e mi porta a ballare.
- Bell’anello. Quando te l’ho regalato?
- Due settimane fa.
- Suppongo di essere un avvocato.
- Esatto.
- C’è qualcos’altro che devo sapere?
- Tu no, ma io sì. Che ci fai qui?
- Tony non può venire.
- E ha mandato te?
- Per forza. Non poteva lasciarti impantanata in questo nuovo disastro.
- Disastro? Ti sbagli. E’ solo un piccolo equivoco.
- Certo. Come al solito, immagino.
- Ma…
- Sssst! – mi interrompe.
Balliamo. Mi stringe da togliermi il fiato e mi sento senza difese. Così non vale. Cosa è saltato per la testa a quella zucca vuota di Tony? Non poteva semplicemente darmi buca? Forse dovrei cedere alla tecnologia digitale e comprarmi un cellulare. Li ho sempre odiati, ma in questo caso mi avrebbe fatto comodo. Tony avrebbe potuto chiamarmi e mi avrebbe detto che non poteva venire. Io mi sarei fatta sentire dai colleghi. Avrei spiegato loro che era stato trattenuto e tutto si sarebbe risolto lì. Invece, per colpa del mio odio verso i cellulari, mi trovo stritolata tra le braccia di Diego, soprannominato Tony. Per di più a qualcuno ho detto che il mio fidanzato possiede dei magnifici occhi blu. Come farò a giustificare gli occhi neri di Diego? Dirò che sono lenti a contatto che lo riparano dalla luce, perché ha un difetto alla vista, una malattia rara. Che mi sto inventando? Dio mio!
La musica finisce. Finalmente torno a respirare. Diego mi sta dicendo qualcosa a proposito di un tale in camicia azzurra, ma non lo sto a sentire. All’improvviso qualcuno mi abbranca dal fianco destro, strappandomi alla presa di Diego. E’ il mio capo,  ha una camicia azzurra e non mi piace come mi sta guardando. Mi trascina in un ballo che non mi è mai piaciuto, una specie di valzer del moscerino. Sto fissando sgomenta la sommità nuda del suo cranio, quando incrocio lo sguardo divertito di Diego. Lo odio. Ma lo guardo disperata, tentando di trasmettergli un messaggio telepatico: salvami!
A metà del ballo, forse mosso a compassione, picchietta delicatamente sulla spalla del mio capo, e gli chiede un cambio.
- E lei chi è? – gli fa.
- Sono il suo fidanzato. – risponde.
- Ah, se l’è presa comoda. – commenta. Poi, a malincuore, mi trasferisce tra le sue braccia.
- Grazie. Non ne potevo più. – gli dico, sentendomi un  
    pacco postale.
- Ti rendi conto che trascorri la maggior parte del tempo a dirmi “grazie”?
Non ho la forza di commentare.
La serata è finita. Sono ancora tutta intera. Nessuno ha fatto storie e ho conservato il mio posto di lavoro. E’ stato un successo. Adesso viene la parte più delicata. Tornare a casa. Davanti al locale c’è una confusione incredibile. Diego mi chiede se voglio un passaggio. Che figura farei se non andassi via con lui? Certo che mi deve dare un passaggio!
Una volta in macchina cala il silenzio. A metà strada sento uno strano rumore, come un singhiozzo trattenuto, ritmato. Mi volto verso di lui e scopro che sta ridendo, ma in sordina. Sono certa che stia ridendo di me. Lo odio.
- Era quello il tizio da cui Tony ti doveva salvare? – mi chiede.
- Era quello, sì. Ed è il mio capo.
- Non potevi semplicemente dirgli che non è il tuo tipo?
- Sai cos’è il mobbing?
- E tu sai cos’è  la molestia  sessuale in ambito lavorativo?
- Sei per caso anche tu un avvocato?
- Non è necessario essere laureati in legge, per sapere queste cose. – ribatte Diego, accostando la macchina al marciapiede sotto casa mia.
- Vuoi salire? – mi sfugge.
- Desideri davvero che io salga o me lo stai chiedendo solo per cortesia?
- Mi piacerebbe fare due chiacchiere con te, visto che ci siamo.
- Visto che ci siamo? Che invito accattivante!
Scende dalla macchina, ma non viene ad aprirmi la portiera. E’ la prima volta che si comporta così. Capisco che è la risposta al mio invito poco educato. Ho mostrato scarsa sensibilità? L’ho offeso? Farò ammenda, ma è decisamente giunto il momento di affrontare la cosa.
Appena mettiamo piede in casa, suona il telefono.
E’ Tony.
- Tutto bene, sì. – rispondo alla sua domanda.
- Diego è lì, vero? Me lo passi?
- Vuole parlare con te. – dico a Diego, passandogli la cornetta.
Diego ascolta per un po’, poi accavalla le gambe e dice:
- Che genere di accordo? - Capisco. – Ci pensi tu? – Non ne farei parola, per il momento, fossi in te. – Ancora non lo so.
Poi riaggancia.
- Di cosa stavate parlando? – chiedo, curiosa.
- Affari. – risponde laconico.
- Che genere di affari? – insisto.
- Affari miei, se non ti dispiace.
- Ok, ok. Stai diventando permaloso?
- Devo proteggere i miei interessi.
- Non ti fidi più di me?
- Dovrei?
- D’accordo. Ricominciamo da capo. 
Vado a prendere una bottiglia di Porto e due bicchieri. So che gli piace, quindi vado sul sicuro. Metto un po’ di musica: l’ultimo disco che ho comprato. L’ha scelto lui, quindi vado sul sicuro anche in questo caso. Mi siedo sul puff, di fronte a lui e gli riempio il bicchiere. Ho intenzione di farlo ammorbidire un po’. Dobbiamo risolvere la nostra disputa. Anche se non ho la minima idea di come fare.
Di nuovo il telefono. Oddio, perché non mi lasciano in pace?
- Sono qui con Diego. Ti chiamo domani. – e chiudo. Giulia capirà.
Guardo Diego che mi guarda. Sorrido, ma lui non risponde.
- Ce l’hai con me? – sbotto, alla fine.
- Perché dovrei?
- Dimmi perché hai chiamato mia madre.
- Perché  è una  persona squisita e avevo voglia di sentirla.
- Lo sai che hai scatenato una nuova faida?
- Davvero? Non avevo idea.
- Se avevi qualcosa da dirmi, perché non l’hai detta a me? Mia madre non è mai stata un buon messaggero.
- Mi è sembrata piuttosto comprensiva, invece, forse sei tu che nutri dei preconcetti nei suoi confronti.
- Ho l’impressione che tu stia facendo la parte dell’offeso. Ma l’offesa dovrei essere io, non trovi? Quella sera, prima che arrivasse Tony, a scombinarmi tutto, ero convinta che ci saremmo parlati a cuore aperto, che avremmo davvero, definitivamente, chiarito le nostre posizioni e le nostre intenzioni. Poi la situazione ci è sfuggita di mano. E voi mi avete bellamente ignorato per mezz’ora. Come pensi che mi sia sentita? Certo, è una sciocchezza. Due vecchi compagni d’arme che si ritrovano dopo anni hanno la priorità su tutto. Certo. Ma mezz’ora! E non vi siete neppure accorti che me n’ero andata. Vi ho visto dalla vetrina. Non vi siete scomposti di un millimetro. Forse avrei anche potuto morire, lì, a quel tavolo, e voi ve ne sareste accorti al momento di scostare le sedie. Ti ha offeso il mio silenzio? A me la tua mancanza di attenzione. Eri lì per me, per noi, non per il tuo vecchio compagno d’arme.
Ancora il telefono. Come lo odio! Mia madre.
- Mamma, ti chiamo domani, adesso ho da fare. - Perché pensi che Diego sia qui?
- Diego, mia madre vuole parlarti. – gli dico con voce monocorde ed espressione rassegnata, tendendogli la cornetta.
D’improvviso Diego si anima. Ride, chiacchiera del più e del meno, fa battute, elargisce complimenti. Poi ascolta, ascolta a lungo, concentrato. Quindi promette qualcosa, non so cosa, e chiude la comunicazione.
- Bene, hanno chiamato tutti. Adesso possiamo parlare in santa pace. - commento.
- Dove eravamo rimasti? – mi chiede.
- Non lo so. Non lo so più. Mi sono confusa. Sono stanca. Mi piacerebbe ascoltare te, se hai qualcosa da dire.
- Secondo me il tempo delle parole è scaduto. Ora è tempo di agire.

 Sono ancora viva. Diego non ha tentato di uccidermi. Mi è solo saltato addosso per impedirmi di fuggire ancora. Mi ha inchiodato sul divano e mi ha baciato con ardore. Poi siamo passati a una superficie più comoda, il mio letto, e mi ci ha tenuto sveglia praticamente tutta la notte. Adesso capisco cosa significa l’espressione “una notte di fuoco”.
L’unico problema è che non abbiamo parlato. E’ stato magnifico, sì, ma non ho la più pallida idea di quali siano le sue intenzioni. Conosco invece perfettamente le mie. Voglio dire, alla mia età, bisogna proprio che metta la testa a posto. Non sarebbe un’occasione fantastica?

 

Diego ha preparato la colazione e stiamo riprendendo le forze. Finisce di bere il suo caffè e sparisce. Torna dopo un attimo, mi afferra la mano e tenta di sfilarmi l’anello. Devo aiutarlo, prima che mi stacchi il dito.
- Ti dava tanto fastidio? – gli chiedo, mentre mi massaggio l’anulare indolenzito.
- Sì, perché devo metterci questo. – e così dicendo mi infilza in un vero anello di fidanzamento, un solitario che squilla alla luce del sole.
- E’ accecante! – commento, abbracciandolo.
- Bene. Adesso sei tenuta a dire sì. 
- Cosa?
- Hai accettato il mio anello, quindi devi sposarmi.
- Ah, è così che funziona?
- Sì, è così che funziona.
- Sarei tentata. – indugio.
- Principessa, adesso basta con gli scherzi. Voglio una risposta, e la voglio subito.
- Anche se a volte dimostri una totale assenza di senso dell’humor, credo che ti sposerò.
Bussano alla porta. Chi diavolo è di domenica mattina?
Tony! Oddio. Mi ero totalmente dimenticata di lui.
- Fatto? – chiede a Diego, entrando.
- Fatto. – risponde Diego.
Di che cosa stanno parlando?
- Congratulazioni! – gli dice, stringendogli la mano e poi mi abbraccia e mi posa un bacio sulla fronte, dicendomi: - Auguri, cara.
Lo fisso, smarrita.
Come se nulla fosse, si siede e dalla valigetta ventiquattrore estrae un plico, aprendolo davanti a sé, sul tavolino.
- Ho preparato un contratto per voi. - esordisce.
Cominciamo a parlare tutti contemporaneamente.
- Di che cosa sta parlando? – chiedo a Diego, senza ricevere risposta.
- Che fretta c’era? – chiede lui a Tony.
- Il ferro si batte finché è caldo. – gli spiega.
- Di cosa stai parlando? – chiedo a Tony, senza ottenere la sua attenzione.
- E’ proprio necessario? – gli chiede Diego.
- E’ doveroso, viste le circostanze. – gli risponde.
- Pronto? C’è qualcuno che mi spiega cosa sta succedendo? – urlo.
D’improvviso scende il silenzio. Diego abbassa lo sguardo e si siede. Tony mi fa cenno di accomodarmi e poi tossisce per schiarirsi la voce, esattamente come un oratore che stia per imbarcarsi in un lungo discorso.
- Visto che state per sposarvi… - inizia.
- Come fai a saperlo? – lo interrompo.
- Me lo avete appena detto. – mi spiega, con l’irritante atteggiamento di un adulto che stia parlando con una bambina deficiente.
- Non me ne sono accorta. – replico, piccata.
- Eri distratta. – mi suggerisce, tanto per darmi un contentino – Come stavo dicendo, visto che vi sposate, ho ritenuto opportuno stilare per voi un contratto prematrimoniale.
- Tu hai visto troppi telefilm americani. – lo interrompo nuovamente – Cosa cavolo ce ne dovremmo fare di un contratto prematrimoniale? Non siamo mica ereditieri.
- Se mi facessi la cortesia di tacere, Agnese, sono certo che, una volta terminata la lettura, anche a te apparirebbe chiara la necessità di firmare questo contratto, che ha lo scopo di proteggere sia beni materiali che morali.
- Beni morali? – mi sfugge.
- Vuoi stare zitta? – mi urlano in coro.
Ok, sto zitta e ascolto distrattamente il mucchio di stronzate che Tony ha scritto per noi. Cosa? Cosa ha letto in fondo alla pagina? “la firmante si impegna ad astenersi dal creare fantasiose variazioni della realtà dei fatti e a mantenere la promessa di essere sempre sincera nel rapporto…” Che cosa? Che cosa? Questo è il colmo!
Quando Tony termina di leggere, alzo la mano, come si fa a scuola.
- Sì? – mi dice Tony.
- Posso fare una domanda?
- Sì, certo. Adesso puoi farne quante ne vuoi.
- In questo interessantissimo documento sta scritto che mi impegno a non mentire? – pronuncio a voce pericolosamente bassa. Mi sento sul piede di guerra.
- Esatto. E’ solo una precauzione, perché sai, a volte ti lasci davvero prendere la mano. – si giustifica.
- Puoi farmi un favore?
- Tutto quello che vuoi. – acconsente.
- Puoi cambiare “la scrivente” con “i contraenti”? – gli suggerisco. – Sempre che tu sia d’accordo, “Tesoro”.
- Assolutamente. Assolutamente. – si affretta a rispondere Diego, mantenendo un contegno spudoratamente serioso.
- Bene. Adesso che sappiamo come, in caso di separazione, ci divideremo gli averi che non possediamo, non ci resta che firmare. – concludo, per sbarazzarmi di Tony al più presto.
- Alt! Prima devo leggere la lista degli averi, come li chiami tu. – mi corregge, con un sorriso sornione e l’aria di uno che non ha alcuna fretta di andarsene.
- Quali averi? Io non ho niente. – ribatto.
- Ma Diego sì.
Tony attacca a leggere un nuovo fascio di fogli dattiloscritti, nell’intento di farmi credere di essere la futura moglie di un ricco possidente. Scopro che Diego, nella sua fantasia malata, risulta proprietario di tenute, case, barche e persino un’isolotto, più una lista di altre cose che ho smesso di ascoltare, tappandomi le orecchie.
- Perché fai così? – mi chiede Tony, staccando le dita dai miei padiglioni auricolari.
- Perché non voglio saperlo. Non voglio saperlo! – urlo.
- Ma come, non ti interessa di quali beni entreresti in possesso se il matrimonio fallisse?
- Vecchio gufo, se avessi un sentore, anche vaghissimo, anche lontanissimo, che in questo matrimonio qualcosa non dovesse funzionare, nonostante tutte le tue liste del cazzo, non mi sposerei mai!
Mi alzo ed esco con dignità dalla stanza, lasciando lui a bocca aperta e Diego a ridacchiare sotto i baffi.
Ecco cosa ci ho guadagnato da tutta questa storia. Adesso anche Tony si prende gioco di me. Ha preparato questo bel documento al solo scopo di darmi della bugiarda e forse anche dell’avida. Io però non gli ho mai chiesto niente, e neppure a Diego. Come gli è venuto in mente di pensare che sia un’avida approfittatrice? E’ un modo di vendicarsi di me, perché gli ho preferito Diego? Geloso e vendicativo, calunniatore e perfido. Che bell’amico! Aveva ragione mia madre.
Dallo spiraglio della porta mi giungono le loro voci.
- Vuoi firmare tu per primo?
- A che serve tutto questo, Tony? –
- Se ricomincerà a mentire, tu potrai lasciarla senza darle un centesimo. Non sarebbe la giusta punizione?
- Tony, io non lascerò mai la bugiarda più divertente che mi sia mai capitato di incontrare, anche se dovesse sperperare tutti i miei beni.
- Tu sai che vorrei essere al tuo posto, vero? L’unico dubbio che mi assalirebbe sarebbe questo: quando Agnese mi dovesse dire “Tesoro, ti amo”, mi chiederei “starà dicendo la verità o si tratta di una di quelle farse complicate e indistricabili in cui è specializzata?” e non dormirei la notte.
- Io credo che per me sia più importante amarla che essere ricambiato nello stesso modo. Voglio solo viverle accanto.
- Sì, Diego, ho capito. Firma qui. – gli consiglia, con voce rassegnata.
Torno in soggiorno e firmo anch’io. Sto al gioco. Che m’importa? In fondo, quello che conta è che si siano divertiti loro.

Per Giulia lo shopping sta diventando un’ossessione. L’accompagno senza entusiasmo, sapendo che mi costringerà ad acquistare abiti ed accessori di cui non sento la necessità. Tra una vetrina e l’altra, della lunga fila di negozi, le racconto lo scherzo che Tony mi ha giocato con la complicità di Diego.
- E tu l’hai firmato? – mi chiede con espressione seria.
- Certo. Si stavano divertendo così tanto!
- Mi dispiace che tu debba saperlo da me, ma vedi, Agnese, tutte quelle balle sulle proprietà di Diego non sono balle.
- Sei complice anche tu! Lo sapevo. Quando è stato che sono diventata il vostro zimbello?
- Agnese, te lo giuro, è tutto vero. – si difende.
Comincia ad insinuarsi in me l’atroce dubbio di aver firmato un autentico contratto prematrimoniale.
- Me lo giuri?
- E’ tutto vero. – insiste Giulia.
- Oddio, cos’ho firmato? –
- Non lo sai? – mi chiede lei, sbarrando gli occhi per la sorpresa.
- No. Pensavo si trattasse di un gioco. Non lo stavo ascoltando, non sono stata attenta.
Giulia mi guarda senza espressione e poi esclama:
- Sei proprio una frana!
E va bene. Chissenefrega. Non può essere così grave. L’unica cosa certa è che abbiamo sottoscritto l’intenzione di essere sinceri l’uno con l’altro. Un po’ di verità non ha mai danneggiato nessuno. Per il resto, qualunque cosa fosse, chissenefrega.

 

Diego ha cucinato per me, in casa sua. Mi sento un po’ a disagio ora che ho realizzato che è pieno di soldi. Trovo ridicolo che uno come lui si sia inventato la storia del gigolò. Non poteva semplicemente combinare una cena con Giulia e me? Sono sicura che la mia amica avrebbe trovato il modo di convincermi. Lo fa sempre. Probabilmente anche lui, come me, preferisce ogni tanto deformare un po’ la realtà, per divertimento, per necessità, o solo per deformazione caratteriale. Che sia un ottimo attore non si può negare. Forse è per questo, perché ci assomigliamo così tanto, che si è innamorato di me ed io di lui. Mentre penso a questo, sto fissando un quadro molto bello, appeso sopra la parete nuda in fondo al soggiorno.
- L’ho dipinto io. Ti piace? –  dice Diego alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
Ero così concentrata nei miei pensieri che non l’ho sentito arrivare.
- Allora è vero che dipingi! – commento, stupita.
- Sì, è vero, ma non mi va di farlo sapere in giro.
- Perché? Hai talento. Questo quadro è bellissimo.
E comincia a descrivermi, con enorme dovizia di particolari, come l’ha creato. Mi parla del tipo di tela, di spatola, di olio, di granella di polistirolo, di ritagli di lana di vetro e lì mi perdo. Si spegne la magia.
E’ come quando stai mangiando una pietanza divina e qualcuno si mette ad elencarti tutti gli ingredienti e l’esatta esecuzione della ricetta. Non voglio saperlo. Voglio che resti un mistero. A me non interessano i retroscena! Voglio limitarmi ad ammirare l’opera terminata ed a goderne. Altrimenti scompare tutta la poesia.
Diego capisce che non lo ascolto più e mi chiede:
- Ti sto annoiando?
Così sono costretta a propinargli la mia teoria sulla bellezza, poesia e magia della totale ignoranza degli ingredienti che compongono un’opera d’arte. Diego ride.
- Allora non ti dirò mai cos’ho messo nell’arrosto. – conclude.
Ci sediamo a tavola. Diego è davvero un artista. Musica in sottofondo, luci soffuse, una tavola apparecchiata con eleganza e stoviglie di design, due lunghe candele accese, lui ed io. C’è proprio tutto.
- Dovremmo iniziare a fare programmi. – mi dice.
- Che genere di programmi? – rispondo, mentre già sento salire l’ansia.
- Stabilire una data, ad esempio. 
- Mi stupisce che tu non l’abbia già decisa con mia madre. – gli rispondo, ironica.
- In effetti…
- In effetti? Lo avete fatto. Giusto?
Diego tossicchia, mistificando un’espressione imbarazzata. So che sta fingendo. Si sta come al solito divertendo alle mie spalle. Comincio a farci l’abitudine.
- Tua madre pensa che sarebbe carino se ci sposassimo a Roma.
- Non avevo dubbi. E avete già prenotato la chiesa?
- Sta facendo tutto lei, per la verità.
- Anche su questo non avevo dubbi.
- Sai che ha un’amica che organizza matrimoni?
- Certo che lo so. E’ una di famiglia.
- Le ho dato carta bianca. Pensi che abbia sbagliato?
- No, figurati, mi sento sollevata. Non sono portata per questo genere di cose.
- E’ quello che ha detto tua madre.
- E ha detto anche quando ci sposiamo?
- Il quindici ottobre.
- Ma è tra due settimane! – grido, agitata.
- Hai ancora un’intera settimana, prima di entrare nel panico prematrimoniale  di cui  mi ha parlato  tua madre.
- Oddio! Devo comprarmi un vestito, trovare un parrucchiere, un visagista…
- Due settimane non sono sufficienti?
- No! no! no! Non lo so. Che ne so? Non mi sono mai sposata prima.
- Rilassati. Ti aiuterà Giulia.
- Già, è vero. C’è Giulia. – ammetto, rilassandomi immediatamente.
- E adesso assaggia questo arrosto.

Non sapevo che per rendere felice una donna come Giulia bastasse coinvolgerla nell’acquisto di un abito da sposa. Giriamo da tre giorni come trottole. Si è presa una settimana di ferie, per aiutarmi. Che amica unica!
Ora sono qui, davanti a uno specchio formato famiglia, col cuore che mi batte forte, perché finalmente l’ho trovato. E’ lui. Mi giro e mi rigiro ammirando la mia immagine e vedo nel riflesso che anche Giulia sorride.
- E’ questo. – le comunico, sicura.
- Credo anch’io. Quell’abito ti assomiglia. Sembra fatto su misura per te. Niente fronzoli, così semplice da risultare sofisticato. Il massimo dell’eleganza col minimo di sontuosità.
- Posso prendere nota di quello che ha appena detto? – le chiede la donna in abito giallo che si sta occupando di noi.
- Perché? – chiede a sua volta Giulia.
- Perché la didascalia di quest’abito sul catalogo è “semplicità, semplicità e ancora semplicità”. Non trova che sia inadeguato? Farebbe tutto un altro effetto se fosse “Così semplice da risultare sofisticato. Il massimo dell’eleganza col minimo di sontuosità”. Che ne dice?
- Approvo. Può prendere nota. – le risponde Giulia con l’espressione troppo seria di quando sta prendendo in giro qualcuno.
- Lo prendo, Giulia. Pensi che a mia madre piacerà?
- Tua madre guarderà solo Diego.
- Hai ragione, cosa mi preoccupo a fare? Del resto sono l’ultima delle figlie. Ha già visto trionfi di pizzi, strascichi con fiori finti applicati, e salsicciotti color panna pietosamente offuscati dal velo. Io non conto.
- Tu sarai la più elegante di tutte. Si mangeranno le unghie per l’invidia. E io sarò là a guardarle. Forse immortalerò le loro espressioni in qualche foto.
- Pensi che si debba fare qualche modifica?
- No! – esclamano in coro Giulia e la signora in giallo.

 

 La ricerca delle scarpe richiede solo mezzo pomeriggio. Quella del visagista un intero giorno, dopo averne trascorso un altro all’interno di un Centro Bellezza senza ritegno. Non ho mai speso tanto denaro per le mie cure, ma adesso sono liscia e levigata come una rosa, idratata come una felce e truccata come una star. Naturalmente ho dovuto imparare a truccarmi da sola, e ho dovuto acquistare un quintale di cosmetici. Spero di non sembrare una maschera di carnevale. Giulia ha assistito a tutto il processo di trasformazione e ha detto che mi aiuterà lei. Mi ha promesso che non sarò troppo bianca, né troppo abbronzata e che le mie guance non saranno troppo rosee. Insomma, se ci pensa lei, sono tranquilla. Ma il panico mi investe a ondate. Nel bel mezzo di una frase qualsiasi, mi sento soffocare e devo bloccarmi per deglutire. Oppure mi manca il fiato e devo fermarmi di botto, qualunque cosa stia facendo. Mia madre dice che ho esattamente gli stessi sintomi delle mie sorelle, e che, a suo tempo, furono anche i suoi. Quindi, di non preoccuparmi. Mi passerà esattamente il giorno del matrimonio. Lo spero.

Diego mi ha telefonato. Vuole vedermi. Sono davanti alla sua porta col cuore in gola eppure sono salita in ascensore. Perché? Cosa mi sta succedendo?
Mi apre la porta col suo sorriso smagliante, mi bacia e mi trascina dentro con aria felice.
- Di cosa volevi parlarmi? – gli chiedo, per togliermi il peso che ho sullo stomaco.
- Della casa.
- Quale casa?
- Appunto. Quale casa? Dove vorresti che andassimo ad abitare?
- Qui non va bene? – chiedo, smarrita – E’ abbastanza grande, è luminosa, ben arredata. Cosa c’è che non va in questa casa?
- Sono in affitto. – ammette, con espressione inspiegabilmente imbarazzata.
- Come? – non lo seguo. Con tutti gli appartamenti che possiede, perché ha deciso di stabilirsi in un alloggio in affitto? -  Non capisco.  Perché non  abiti in uno dei tuoi?
- Ho affittato questo quando ti ho conosciuta. Per starti vicino.
- Cosa? – chiedo stupita.
- Per spiarti dalle finestre. – confessa.
- C o s a ?? – ripeto a voce più alta.
- Con questo. – mi spiega, mostrandomi un binocolo e indicandomi la finestra con vista sul parco.
Afferro il binocolo e vado a guardare dai vetri. Inquadro quasi immediatamente la mia panchina. La mia panchina! Quella su cui mi siedo ogni mattina, mentre Morgana scorrazza sull’erba.
Non so cosa pensare. Penso tutto il bene e tutto il male possibile. Sono confusa.
- Lo hai fatto altre volte? – gli chiedo, voltandomi ad osservarlo attraverso il binocolo.
- No. E’ la prima volta. C’è qualcosa in te che agisce in modo strano sul mio cervello e mi obbliga a fare cose stravaganti.
- Ho l’impressione che non si tratti di un complimento. – commento.
- Non lo so neanch’io. – ammette, ridendo.
Bene, stavamo parlando di questo appartamento.
- Torniamo al dunque. Dove proponi di piazzare il nostro nido? – gli chiedo.
- Avrei una villetta molto graziosa vicino al parco del Ticino. Che te ne pare?
- Zanzare?
- In quantità industriale.
- Alternative?
- Un appartamento in porta Ticinese, in un vecchio palazzo con i soffitti a cassettoni. – mi propone.
- Parcheggi?
- Nulli.
- Alternative?
Continuiamo così per un pezzo. Alla fine mi viene un’idea.
- Quest’appartamento è perfetto. Perché non restiamo in affitto?
- Perché non lo compriamo?
- Come vuoi, purchè non ci spostiamo di qui. – decido.

 

Arriviamo a Roma con tre giorni di anticipo, per risparmiare sul telefono. Pare che gli ultimi dettagli necessitino tutti indistintamente della nostra approvazione e con l’orecchio incollato al telefono tutto il santo giorno, la qualità della mia vita cominciava a risentirne.
Mia madre sembra più giovane di dieci anni. Sono arrivati anche i miei suoceri, che vedo per la prima volta. C’è anche il fratello Carlo, con una moglie e il piccolo Davide, di cui ignoravo l’esistenza. Ho così scoperto che Diego mi ha tenute nascoste alcune informazioni. Dopo tutto, non è esattamente come me. Io deformo la realtà, lui, semplicemente, la omette.

Sono seduta sotto il ciliegio della mia infanzia e sto riflettendo su questo nuovo aspetto del suo carattere, quando Diego mi viene a scovare.
- Pensierosa, Principessa?
- Quante altre sorprese hai in serbo per me? – gli chiedo, con leggerezza, mascherando il rimprovero.
- Se te le comunicassi  prima,  non  sarebbero più sorprese. – mi spiega, saggiamente.
- L’omissione di verità e la deformazione della realtà sono due concetti molto simili, non trovi?
- Ma non sono esattamente la stessa cosa. – afferma.
- Sei sicuro che non ci sia proprio niente altro che vuoi dirmi di te, prima che io ti sposi?
- No, non credo ci sia altro d’importante.
- C’è qualcuna, delle cose che non mi hai rivelato, che potrebbe indurmi a mandare a monte il nostro matrimonio, qualora ne venissi a conoscenza?
- Certo che no. – mi risponde, sicuro.
- Ne sei certo? – insisto.
- Assolutamente. Sono cose senza importanza, che riguardano il passato. Quello che conta per me, oggi, è solo il futuro. Sei tu. 
Mi propina queste sviolinate quando vuole distrarmi da qualcosa. Ma io non mi lascerò deviare.
- Mi dici almeno dove saremo dopodomani?
- Assolutamente no.
- Ma ne ho bisogno! – lo imploro.
- Perché?
- Come faccio a preparare i bagagli se non so che cosa mi servirà? E se mettessi in valigia una valanga di maglioni e poi mi ritrovassi ai Caraibi? E se invece portassi il costume e il pareo e poi mi ritrovassi a Capo Nord?
- E se non porti niente e comprassi tutto là?
- A questo non avevo pensato. – ammetto, rassegnandomi. – ma non capisco perché vuoi fare tanto il misterioso.
- Perché mi diverte. – risponde con espressione angelica.
- Ti ho mai detto quanto sei irritante quando ti comporti così?
- Solo un centinaio di volte.
- Troppo poche. – concludo.

 

Il matrimonio è un evento molto caotico e agitato. Il panico ha lasciato il posto a una sorta di trance, piena di movimento, di colori, di folla, di mani che stringono le mie, di baci, di persone sconosciute che mi trattano come se dovessi conoscerle. Io sorrido. Sorrido molto. E dico “grazie” in risposta agli auguri, come un automa. Sono stordita dai flash delle macchine fotografiche, dalle voci che parlano tutte insieme, dal profumo dei fiori e dal caldo. Caldo a metà ottobre? Ah già, dimenticavo: “non esistono più le mezze stagioni!”. Il mio abito riscuote il successo sperato e l’approvazione incondizionata di mia madre. Lei è la più bella di tutte, come si conviene alla madre della sposa che sta coronando il suo sogno. Finalmente la maggiore delle sue figlie si sposa, e non con un uomo qualunque! E’ orgogliosa di me, per la prima volta nella vita. Viene sommersa dai complimenti di tutte le sue parenti, come se fosse merito suo. E forse un po’ lo è. E Diego? Nonostante la mia trance mi sono resa conto che è emozionato. Non sta fingendo. E’ frastornato almeno quanto me e ha perduto una impercettibile patina della sua sicurezza. Ma oggi sembra il dio greco dell’amore. Tutte le invitate fanno a gara per stargli vicino e lui è gentile con tutte. Per ciascuna trova un complimento, sia giovani che anziane. Sembra nato per conquistare i cuori femminili. “Ti rendi conto della fortuna sfacciata che hai avuto?” mi dice Sofia, esponendomi alle radiazioni pestilenziali della sua invidia. Non può esserci luce senza buio, né amore senz’odio. Me ne rendo conto. E del resto, dalle mie sorelle non mi attendevo di meno. Giorgia e Mirella sono state più discrete, si sono limitate ad ignorarmi quasi del tutto e gliene sono grata.
Poi, nel bel mezzo dei balli e della festa, Diego mi trascina via. Saliamo in ascensore nella suite dell’hotel, senza salutare nessuno. Non ha importanza, credo, tanto sono tutti piuttosto brilli, come noi.
Nella suite ci attende un carrello con ostriche e champagne e un immenso letto avvolto in lenzuola di seta. Sarà del tutto banale, ma sono felice.

Sta piovendo a dirotto. L’inverno è così. Cala all’improvviso, porta via le foglie degli alberi e muta il colore dei pensieri. Diventano tutti grigi come nebbia, come il cielo di Milano, e umidi, con quell’odore di marcio e di cantina che fa pensare al buio, alla muffa, al gelo.
Finito il viaggio di nozze, che ci ha portato in mongolfiera sugli incantati panorami del deserto del Sahara e a dormire nelle tende dei Tuareg, con lo sguardo ammaliato da un cielo senza confini, completamente popolato da una miriade incredibile di stelle, l’impatto con questo cielo che ci sovrasta è devastante. Qui sembra che manchi l’aria, la vitalità intrinseca della vita, l’essenza stessa del suo senso.
Dicono che sia così per tutti, quando si lascia il deserto. Poi passa, si dimentica o meglio, ci si rassegna. Spero di riuscirci presto anch’io.
Diego, che c’era già stato, voleva che provassi anch’io queste sensazioni. Ha detto che una nostalgia condivisa diventa più sopportabile. Potrebbe avere ragione. Per ora ci capita di non parlare d’altro, come se avessimo vissuto là una vita e ora non ci riuscisse di sopportarne un’altra in questo luogo estraniante. Ma questa è casa nostra, dobbiamo persuadercene.

 

Chiamo Diego in ufficio perché ho urgenza di parlargli e mi risponde la segretaria.
- Mi spiace, signora, suo marito è allo studio. Tornerà nel pomeriggio.
Così faccio la stupefacente scoperta che Diego ha un suo studio. Perché nessuno me ne ha mai parlato prima? Chiamo Giulia e lei cade dalle nuvole.
- Ero convinta che lo sapessi. Diego va là quando lavora ad un progetto importante, così nessuno può distrarlo, è più concentrato e anche più veloce.
- Dimmi dov’è. 
Sì, dimmi dov’è che Diego va a rinchiudersi ed io scoprirò cosa c’è sotto. Perché non me l’ha mai detto? C’è qualcosa che vuol tenermi nascosta, un’altra delle sue solite omissioni. E voglio sapere cos’è.
Il portiere dello stabile è molto comprensivo. Gli ho detto che volevo fare un regalo a mio marito, un mobile dove riporre i disegni, e che si tratta di una sorpresa. Ho bisogno del suo aiuto per prendere le misure.
Lui mi accompagna di sopra. Sul campanello non c’è il nome.
Una volta dentro, resto a bocca aperta. Il saloncino è pieno di quadri. Ce ne saranno un centinaio, no, di più. Sono appoggiati alle quattro pareti, uno sopra l’altro.
Mi dirigo verso l’altra stanza e qui trovo il tavolo da disegno. Lungo due delle pareti sono allineati un numero incredibile di portaombrelli, ciascuno pieno di disegni arrotolati.
- Ha proprio bisogno di quel mobile, Signora. – mi dice il portiere, sorridendo.
- Lo credo anch’io. – concordo, tirando fuori un metro e iniziando a prendere le misure.
Poi dò un’occhiata in cucina. Ci sono solo il lavabo e un grande tavolo coperto di barattoli pieni di pennelli. Anche qui, materiale di ogni tipo, appoggiato alle pareti.
- Intanto pensiamo al mobile. – dico.
- Certo che gli artisti sono sempre disordinati. – commenta il portiere.
Io approvo col capo e guadagno l’uscita. Prima di salutarci gli ricordo che è una sorpresa. Non voglio che dica a Diego che ho cacciato il naso nel suo regno segreto. Per tutta la strada del ritorno, ho in mente la firma che ho letto sui suoi quadri: “A.Venturini”. Lo conosco. I suoi quadri sono valutati moltissimo. Ma che uomo ho sposato? Questa dunque è la fonte dei suoi insoliti guadagni. Perché non me ne ha mai parlato? Mi sento spiazzata.

Siamo a cena. Muoio dalla voglia di fargli sapere che conosco il suo segreto, ma vorrei girarci intorno.
- Tesoro, ho visto un quadro bellissimo in una galleria sui Navigli. E’ di un certo A. Venturini. E mi piacerebbe comprarlo.
Diego, che sta bevendo, si blocca spruzzando acqua in giro come una foca. Io gli batto qualche colpetto sulla schiena, ridendo dentro di me.
- Perché vuoi comprare un quadro?
- Perché si compra un quadro? Per attaccarlo alle pareti.
- Certo, certo.
Io lo guardo dritto in faccia, ma lui non fa una piega.
- Verrò a vederlo con te, se ci tieni tanto. – aggiunge, tornando a mangiare.
E’ deciso,  gli comprerò quel mobile e allora capirà.

 

La consegna del mobile è avvenuta senza incidenti ieri sera. Non so se Diego l’ha visto, ma da quando è tornato a casa ha una strana faccia.
Non mi ha ancora detto nulla. Mi aspetto da un momento all’altro che scoppi il temporale.
- Ce ne hai messo! – mi dice ad un tratto.
Si riferisce alla mia scoperta?
- Ti stupisce?
- Un po’ sì. Ero convinto che la tua curiosità su di me si fosse del tutto assopita.
- Non fidarti mai di una donna innamorata. – gli consiglio.
- Perché sei venuta allo studio? Cosa ti aspettavi di trovare?
- Un covo di seduzione per le tue amanti. – rispondo.
E lui scoppia a ridere. Poi mi abbraccia e mi tiene stretta, cullandomi come una bambina.
- Grazie per il mobile dello studio. Non sai quante volte mi sono  ripromesso di ordinarne uno.
- Ti piace?
- E’ perfetto. Proprio ciò di cui avevo bisogno.
- Ne sono felice, A. Venturini.
Diego si fa serio in volto.
- Giurami che non lo dirai mai a nessuno.
- Sarà il nostro segreto segretissimo. – gli prometto.
Non capisco perché voglia tenere segreta la sua altra personalità, ma tant’è, ognuno ha le sue manie. E a me non resta che assecondarlo.
    
Via Torino è un tripudio di addobbi natalizi e la folla è quasi impenetrabile. Raggiungo lo studio di Tony, e lui, lievemente sorpreso, mi invita ad entrare.
Poiché Diego non ha espresso il desiderio di parlarmi della sua seconda personalità, chiedo a Tony se ne sa qualcosa. Tony è molto reticente, in fondo è diventato il suo avvocato. Lo capisco. Mi spiega soltanto che Diego è molto schivo, non gradisce la pubblicità ed è molto geloso della sua vita privata. Aggiunge che è arrivato al punto di fornire una falsa foto per un sito dove è inserita una sua biografia. Non si è mai presentato ad una mostra dei suoi quadri e ha sparso in giro la voce che abita su un’isoletta sperduta delle Maldive. Tutto questo non gli ha impedito di divenire uno dei più quotati artisti contemporanei.
- Ho appagato la tua curiosità? – mi chiede Tony.
- Credo di sì. – gli rispondo.
- Bene. Sono sempre a tua disposizione. – mi congeda, con fare molto professionale.
- Tony, come va? – gli chiedo, per smorzare il suo distacco.
- Bene, benissimo.
- Ne sono felice. – commento.
- Se non ti dispiace, ora avrei del lavoro da sbrigare.
- Naturalmente. Scusami se ti ho fatto perdere del tempo prezioso. – gli dico, comprendendo che mi sta cacciando via.
Mentre esco dal suo studio, incrocio una donna che ho già visto da qualche parte. Solo ora, che sono giunta in strada, mi ricordo dove l’ho già vista. In una foto di famiglia che Tony tiene in studio e che ritrae lui e la sua ex-moglie con i due bambini.
Mentre sto per avviarmi verso casa, mi rendo conto di aver lasciato i guanti sulla scrivania di Tony. Torno indietro per recuperarli.
“L’avvocato è impegnato.” Mi comunica la sua segretaria. Mi rassegno ad attendere. Dalla porta non giungono voci. Deve essere insonorizzata. Naturalmente, per la privacy. Quando si riapre la porta, Tony e la sua ex-moglie escono insieme. Tony ha in mano i miei guanti. Io mi alzo e lui, scorgendomi, me li porge. Lo ringrazio, salutandolo, ma lui mi blocca, presentandomi la donna:
- Questa è mia moglie. – dice.
Sua moglie (non ex-moglie, come mi ha sempre detto) mi porge la mano, dicendomi:
- Dunque è lei la famosa Agnese. Sa, sono stata gelosa di lei anni fa.    
- Mi auguro che Tony le abbia spiegato che eravamo solo amici.
- Oh, sì. Solo che io non ci credevo.
- E adesso ci crede? –  la provoco.
- Sì. Mi ha detto che si è sposata da poco.
- Esatto. Mi ha fatto piacere conoscerla, ma ora devo proprio andare. – le dico.
Vuoi vedere che questi due si sono riconciliati? Devo estorcergli la verità al più presto. Sono troppo curiosa.
Trovo Diego già a casa e gli racconto tutto, omettendo accuratamente il motivo per cui sono andata da Tony.
- Pare che stiano tentando di riprovarci. – mi conferma Diego.
- Che vigliacco! Perché non me l’ha detto?
- Per scaramanzia, credo. – lo giustifica.
- Bella scusa. – commento.

Ed ecco di nuovo il mio compleanno. Mi sono presa un giorno di vacanza. Diego è tornato a casa a metà pomeriggio, con un giardino in un cesto gigantesco e un pacchettino ben avvolto in carta d’argento. Al suo interno ho trovato un incredibile paio di orecchini con diamante. Quest’uomo è pazzo. Mi ha trascinata fuori per portarmi a cena, caricandomi su un’auto con autista e scomparto frigo con champagne. Naturalmente non ha voluto dirmi dove stiamo andando, ma ho capito che si tratta di un lungo viaggio. E a un tratto vedo il mare. Guardo Diego e lui mi sorride. Una cena in riva al mare? No, una cena su una barca a vela, tutta legni lucidi e ottoni.
- Che bella sorpresa! – gli dico.
- Questa è la nostra barca. Ci porterà in giro per il Mediterraneo, la prossima estate. Che ne dici?
- Che devo dire? E’ fantastico.
Cercherò di tenere a bada il mio mal di mare.
Non so se le scoperte e le sorprese finiranno mai, accanto a Diego, ma mi va bene così. Sono consapevole che la felicità è uno stato provvisorio, ma oggi non voglio pensarci. Oggi sono felice.