Capitolo tre

Rey Delgado colpì con l’indice un tasto d’avorio, mentre il medio l’anulare e il mignolo si rincorrevano sull’ebano. Poi, insofferente, riafferrò il bicchiere e si allontanò dal pianoforte. Di tutte le serate di merda della sua vita, quella gli sembrava senza appello la peggiore. Scolò il bicchiere in un colpo, con un grugnito al bruciore che gli corse per l’esofago, poi lo lanciò con rabbia contro il muro. Come per dispetto, il tumbler si rifiutò di frantumarsi, rimbalzando sul divano e rotolando poi sul tappeto, fino a fermarsi davanti ai suoi piedi. Questo è troppo, pensò Rey. Indossò un impermeabile e si calcò in testa il suo Borsalino, entrambi rigorosamente neri, guardò con disgusto il portaombrelli all’ingresso e, snobbandolo ostentatamente, uscì sbattendo la porta. Pioveva da un mese.
Alicia si avvicinò al tavolo 7, dove Delgado si era appena seduto.
– Hola, Rey.
– Ciao, Alicia. Stasera vorrei dei frijoles refritos e un paio di Pacifico Clara.
– Ordini per uno?
– Vedi qualcun altro seduto qui? – ribatté, duramente.
– Scusa Rey, di solito vieni con Paco.
– Beh, scordatelo. È in trasferta. Lo rivedrai tra un paio di mesi.
– D’accordo. Ti porto subito la birra e passo l’ordine in cucina.
Forse, lo rivedrai, si corresse Rey, mentalmente. Dopo la stupida lite di quel pomeriggio, non ne era del tutto sicuro. Era stata una discussione idiota e talmente infantile da deprimerlo; una caduta di stile che non si sarebbe mai aspettato da se stesso. Gliel’aveva mostrato lo sguardo calmo e un po’ stupito di Paco, che dopo il suo sfogo, aveva ribadito, con il tono con cui si parla a un bambino con dubbio quoziente intellettivo:
– Sono solo due mesi, Rey. Lo sai che non posso dire di no.
Certo che lo sapeva. E allora, come aveva potuto essere tanto idiota? 

Consuelo aveva appena finito di ascoltare il resoconto del collega Manuel Rubio, su un episodio avvenutogli quella notte. Mentre percorreva la N120, aveva visto un uomo nudo, che camminava ondeggiando sulla parallela ciclabile di Calle de Villadiego. Quando l’aveva fermato, si era subito reso conto che era completamente sballato. L’aveva quindi accompagnato al pronto soccorso, dove i medici di turno si erano accorti di un cavo usb che gli penzolava dall’ano. Avevano perciò scoperto che aveva il mouse di un computer infilato nel retto. Dalle analisi eseguite, avevano dedotto che il trip del soggetto era dovuto all’ingestione di mescalina. I pesanti commenti di Manuel la lasciarono come sempre del tutto indifferente.
Quando Manuel si decise a lasciare la stanza, entrò Rey, commentando:
– Racconto affascinante.
– Buongiorno, capo. Tutto bene?
Non si era accorta che Rey fosse sulla porta ad ascoltare.
– Non potrebbe andar peggio.
Consuelo pensò al detto popolare che al peggio non si potevano porre limiti, ma lo tenne per sé.
– Non è strano che giri della mescalina? Che significa? Scarseggiano ecstasy, eroina e quell’altra merda chimica di cui si fanno di solito?
– Dev’esserci sulla piazza qualche nuovo arrivato dal Messico, che tenta il business spacciando qualcosa di esotico – commentò Delgado.
– Che effetto fa? – chiese Consuelo, curiosa.
– Non so, non l’ho ancora provata – rispose Delgado seriamente.
– Come?
– Cosa vuoi che ne sappia, Torres? Ti sembro un esperto di quella merda?
– Ah, stavi scherzando…
– Svegliati, Torres. Vatti a prendere un caffè.
– Ne vuoi uno anche tu?
– Meglio di no, il mio livello di eccitazione è più che sufficiente.
Consuelo rifletté sul fatto che Delgado, a volte, riusciva anche a fare battute spiritose, che lei però non era ancora in grado di apprezzare, forse perché l’intento ironico del suo boss non era accompagnato da un’espressione facciale in sintonia. Al distributore incrociò ancora l’agente Manuel Rubio, che le strizzò l’occhio con un atteggiamento di complicità che le parve del tutto fuori luogo. Cos’avevano gli uomini, quel giorno?

L’uomo giunse davanti alla robusta porta di metallo dipinta di verde, su cui spiccava un graffito multicolore. Con un poco di attenzione, vi si poteva distinguere la parola Chueca. Avvicinando la sua keycard al sensore RFID, provocò la simultanea accensione di un led verde e il click della porta che si apriva. Nel vasto corridoio non c’era nessuno. La guardarobiera gli sorrise, in attesa che si sfilasse l’impermeabile e glielo consegnasse. La ragazza bruna gli porse un gettone numerato, quindi sparì dietro una tenda di pesante velluto amaranto. L’uomo spinse i battenti imbottiti, rivestiti di pelle, dopo aver sbirciato all’interno dagli oblò di vetro, notando che la prima sala del locale era abbastanza affollata, come il solito. Raggiunse lentamente le scale che portavano al piano inferiore, dov’erano i tavoli da gioco, discendendole con disinvoltura. Si affacciò al vetro delle casse per il cambio delle fiche, dov’era seduto Tavor, nome d’arte che lo fotografava con precisione chirurgica, dal momento che Tavor era sì il nome di un tranquillante, ma anche quello di un fucile d’assalto israeliano.
– Hola! – lo salutò la voce graffiante del cassiere.
– Ciao, Tavor. Ti ho portato la prima rata – rispose, mettendogli davanti una piccola mazzetta di banconote viola.
Tavor non mosse un muscolo, le fece passare per una contasoldi, poi si mise ad armeggiare con il suo terminale. Quand’ebbe finito, compilò una ricevuta e gliela consegnò, con l’espressione impassibile di una tortilla.
– Sai che non puoi giocare?
– Sì, lo so, ma tanto stasera mi sento sfortunato.
– Tieni, offre la casa. Vai al tavolo di Gabrio.
L’uomo raccolse la fiche ed eseguì l’ordine inatteso. Si avvicinò al tavolo d’angolo, il più affollato, puntando sul 2. Gabrio sorrise al nuovo arrivato, poi fece girare la ruota della roulette, gettando la pallina, che sobbalzò, girò, vibrò, s’incanalò, finché non fu chiaro che si era fermata sul 3. Per un attimo ci aveva creduto.

Alle nove del martedì, Consuelo rispose a una telefonata molto concitata. C’era un cadavere in un appartamento di Calle de Villadiego. Questa era l’unica informazione certa che era riuscita a strappare alla donna che urlava impazzita nella cornetta.
Delgado entrò nell’appartamento per primo. Era sceso al volo dall’Alfa 159, mentre Consuelo parcheggiava. Quando giunse anche lei sul posto, trovò Delgado nello studio. Si fermò sulla porta, con le copriscarpe in mano, osservando con attenzione la scena. Il cadavere, nudo, era sul pavimento, ai piedi di un divano. In un angolo erano ammonticchiati alcuni abiti. Sulla scrivania troneggiava un computer. Accanto alla tastiera c’era una bustina vuota. Dietro di lei entrò il fotografo del dipartimento, già armato di copriscarpe e tuta, come Delgado.
– Inizia da qui – gli ordinò Rey.
– Dalla scrivania?
– Sì. Poi passa a quei vestiti buttati nell’angolo. Tu Torres, mettiti i cappucci ai piedi o quelli della scientifica ti staccano la testa.
– Non preoccuparti, non entro.
– Il medico legale sta arrivando?
– Sì, mi ha detto che sarebbe partito subito – rispose Consuelo.
– Bene, intanto che arriva, facciamo due considerazioni.
– Vuoi farmi un esame? Non è il primo omicidio che mi capita.
Delgado la osservò, perplesso, poi le si avvicinò con espressione sorniona.
– Lo so che pensi che sia una carogna, ma non era questo che intendevo, Torres. Sei un po’ prevenuta nei miei confronti. E sei anche un po’ permalosa, lo sai?
– Scusa boss, ma finora non hai tenuto in nessuna considerazione le mie capacità professionali.
– L’hai detto, finalmente! Mi domandavo quanto ci avresti messo.
– Va bene, l’ho detto, e adesso?
– Adesso vediamo di tirare un po’ le somme di quello che abbiamo sotto gli occhi, senza farci distrarre da certe stronzate.
Consuelo sospirò.
– Prima di tutto, in quel mucchio di vestiti, c’è qualcosa che non quadra. Ci sono due paia di scarpe. E da qui mi sembra di vedere due maglioni e due paia di pantaloni. E al computer non è collegato un mouse. Chi è che usa il computer senza il mouse?
– Vedo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda – approvò Delgado.
– Non era difficile, capo. Basta fare due più due. L’uomo nudo con il mouse incorporato dev’essere uscito da qui.
– Ciò non toglie che i miei precedenti collaboratori non ci sarebbero arrivati.
– È una specie di complimento?
– Non ti allargare, Torres – commentò Delgado, sorridendo sotto i baffi.
Poi si avvicinò agli indumenti, tastandoli senza spostarli.
– Qui di documenti non ce ne sono.
L’agente Manuel Rubio, raggiunto telefonicamente, non aveva la più pallida idea di chi fosse l’uomo che aveva portato al pronto soccorso. Essendo nudo, ovviamente, era privo di documenti e quando l’aveva lasciato alle cure dei sanitari, non era ancora tornato dal suo viaggio, quindi non aveva potuto appurarlo.
– Inizierei da là. Al pronto soccorso non possono averlo dimesso senza registrazione. Se siamo fortunati, sarà ancora ricoverato.
– Sì, vai a vedere, Consuelo – approvò Delgado.
– Agli ordini, capo.
Intanto era arrivato il medico legale.
– Che ne dici, Pérez?
– Non lo so. Sembrerebbe un arresto cardiaco, ma non ci potrei giurare. Ti telefono appena finita l’autopsia.
– Probabilmente ha assunto della mescalina – affermò Delgado.
– Come lo sai?
– Non ne sono sicuro, ma questo potrebbe avere a che fare con uno strano caso di domenica notte. Puoi dirmi a quando risale il decesso?
– Adesso non ti dico proprio niente. Ti telefono quando avrò tutti i risultati.
– Approssimativamente?
– Al contrario, con certezza, dopo che avrò fatto l’autopsia.
– Sei sempre il solito pignolo.
– E tu sei sempre il solito squassapalle.


Beltran Rodríguez passò direttamente dalle dimissioni ospedaliere alla poltroncina azzurra dell’ufficio di Delgado, su cui si sedette con estrema cautela. Consuelo l’aveva beccato giusto in tempo. Delgado l’osservava già da qualche momento, con la sua espressione più seria e intimidente, in perfetto silenzio. Quell’esame fece esplodere Beltran Rodríguez:
– Non so niente di quella droga. Non ho idea di dove il mio amico l’abbia presa. Non sono un consumatore abituale. Non mi potete arrestare per consumo. È solo la prima volta.
– Signor Rodríguez, era in casa di Vicente Ruiz, domenica notte?
– Sì, è da lui che mi sono fatto. Mi ha detto che aveva trovato della roba speciale e che voleva provarla con me.
– È il suo fornitore abituale?
– Ma che dice? Vicente e io ci facciamo una canna ogni tanto. Non so come gli sia venuto in mente di procurarsi quella roba. Siamo amici da anni e non era mai successo prima.
– Tra voi non c’è per caso qualcosa di più di una semplice amicizia?
– Questo cosa c’entra?
– Signor Rodríguez, le ricordo che è stato trovato nudo per la strada. A me e alla mia collega sembra strano, e a lei?
– Non ero in me. Ci ho messo dodici ore a uscire da quella specie di arcobaleno psichedelico.
– È stato bello, almeno?
– Bellissimo.
– Come se lo spiega che se ne sia andato nel bel mezzo del viaggio, abbandonando il suo amico?
– Non lo so. Non mi ricordo quasi niente. Nel sogno, a un certo punto, è apparso un uomo tutto vestito di nero. Mi sembra che avesse un lungo impermeabile e un bel cappello nero. È stato lui a farmi uscire. Poi mi sono ritrovato in ospedale, ma non so come ci sia finito. E non so ancora come sta Vicente.
– Vicente Ruiz è morto, signor Rodríguez.
Sul volto di Beltran si rincorsero velocemente diverse espressioni, l’una più improbabile dell’altra, finché grosse lacrime gli si affacciarono agli occhi. Portò le mani al viso e singhiozzò disperatamente per qualche minuto.
Consuelo gli mise davanti un bicchiere d’acqua.
– Signor Rodríguez, anche il suo amico era nudo. Stavate facendo qualche giochetto che vi è sfuggito di mano?
– Come dice?
– Le hanno estratto un mouse dal retto, signor Rodríguez, questo se lo ricorda?
– Me l’hanno detto, sì. E fa ancora male.
– E non si ricorda come ci sia finito?
– Non mi ricordo niente.
– Se dovesse tornarle in mente qualcosa, ce lo comunichi, signor Rodríguez. Può tornare a casa, ora, ma si tenga a disposizione.
– Va bene, commissario – rispose, con espressione afflitta.
Una volta uscito Rodríguez, Consuelo guardò Rey con un punto interrogativo stampato in faccia.
– Che c’è?
– Forse non sarai l’unico a Burgos, ma quando ha parlato di un uomo vestito di nero con un impermeabile lungo e un bel cappello, ho pensato a te.
– Anch’io, Torres.
– Non sarà meglio aspettare il referto autoptico, prima di azzardare qualunque ipotesi?
– Senza dubbio.
– E se intanto cercassi lo spacciatore di mescalina?
– Sì, certo. Hai carta bianca.
– Grazie, capo.
Consuelo si stupì della remissività di Delgado. Sembrava distratto. Che diavolo gli stava succedendo? Poi si ricordò che Paco era via per lavoro. Possibile che gli facesse quell’effetto?

 

Prendendo servizio, il mattino seguente, Delgado la trovò già immersa nelle sue ricerche.
– Hola, Torres.
Consuelo sussultò.
– Buongiorno, capo – rispose, voltandosi a guardarlo, come si osserva il cielo al mattino per capire che tempo farà.
– Trovato qualcosa?
– Sì, ma…
– Esprimiti, Torres.
– Pare che la mescalina non uccida, a meno che non sia assunta in dosi da cavallo e chi l’assume non sia già affetto da particolari patologie.
– Capisco. E che altro sai?
– Ho saputo che la maggior parte dello spaccio di sostanze non convenzionali avviene nelle discoteche, ma le più vicine sono due a Miranda de Ebro e altre due ad Aranda de Duero.
– Ma sono a 75 chilometri da qui! Prima cerchiamo nelle vicinanze, Consuelo. Di sicuro c’è qualcosa anche a Burgos.
– In effetti c’è un locale dove si dice che giri di tutto, ma è una specie di club privato, diciamo esclusivo. Non è facile entrarci. Bisogna farsi presentare da qualcuno che sia già stato ammesso.
– Ti riferisci al Chueca, immagino.
– Lo conosci?
– Sì, naturalmente. Tu sei nuova di Burgos, ma chiunque abbia la febbre del gioco d’azzardo, prima o poi ci è passato. Inoltre ha una splendida reputazione per ogni altro genere di svago illegale.
– Bisognerebbe mandarci qualcuno. Non credo che sarebbe difficile scoprire se ci gira anche la mescalina, soprattutto se si tratta di una novità. Ci terranno a pubblicizzarla, suppongo.
– Credo di conoscere qualcuno che ci va regolarmente – disse Delgado, con espressione riflessiva.
– E chi è?
– Il tuo amico Manuel Rubio.
– Non è mio amico – ribatté Consuelo, quasi risentita.
– Davvero? Allora perché viene qua a raccontarti le sue avventure notturne?
– Ci credi che non lo so?
– Forse gli piaci.
– Se così fosse, non sarebbe reciproco.
– È un bel ragazzo… – insinuò Delgado.
– Capo, la bellezza è l’ultima cosa che mi attira in un uomo.
Delgado sorrise.
– Sei una vera dura, Torres.
– Sono come sono – rispose, ancora imbronciata.
– E ne hai tutto il diritto. Adesso, basta chiacchiere, vai a cercare il tuo… mi correggo, vai a cercare Rubio.
Manuel Rubio era davvero un bel ragazzo, ma c’erano caratteristiche che Delgado non sopportava in lui, come il suo atteggiamento smargiasso, il suo egocentrismo, l’abitudine di trinciare giudizi sparando a zero su chiunque e, per finire, la consuetudine di spettegolare come una vecchia comare. Su ogni argomento sembrava ne sapesse più di tutti, intromettendosi in conversazioni che non lo riguardavano, magari per gettare in faccia agli interlocutori soltanto qualche dose di aria fritta. Consuelo la pensava esattamente allo stesso modo e con questa felice predisposizione lo andò a cercare, conducendolo nell’ufficio di Delgado. Il commissario gli illustrò in fretta cosa volesse da lui. Gli disse anche che lo conosceva come assiduo frequentatore del locale, tanto per evitare di perdere tempo.
– Non sarà un problema. Ci vado questa sera stessa – confermò Rubio, sapendo benissimo distinguere gli ordini dagli inviti. Delgado, comunque li presentasse, sapeva dare solo i primi.
 
Il giorno seguente, la telefonata del medico legale preannunciò l’arrivo del referto autoptico sulla scrivania di Delgado. Nel corpo di Vicente Ruiz, oltre alla mescalina, Pérez aveva trovato abbondanti tracce di un’altra sostanza che chiamavano doves red. Circolava da poco in Europa, ma aveva già mietuto vittime in abbondanza. Era però la prima volta che se ne aveva notizia nel paese.
– Ci mancava proprio – aveva commentato Delgado. – E la causa della morte?
– Te l’ho appena detto, Delgado, ma mi stai ascoltando? Si chiama doves red. In associazione con la mescalina, ha provocato un arresto cardio-circolatorio.
– Strano, in casa abbiamo trovato solo una bustina che aveva contenuto la mescalina.
– Questi sono problemi tuoi.
– Senza dubbio. E adesso mi puoi dire a quando risale il decesso?
– Nella notte tra domenica e lunedì, intorno all’una.
Delgado si domandò come mai nell’appartamento di Ruiz non avessero trovato traccia di quella doves red. E se a portarcela ci avesse pensato Rodríguez? Decise immediatamente di fare una perquisizione nel suo appartamento. Avrebbe dovuto pensarci prima, si rimproverò. Dopo averne informato Consuelo, le chiese:
– A che ora è stato ricoverato Rodríguez, quella notte?
– All’una e mezza.
– Probabilmente Ruiz gli è morto sotto gli occhi ed è per questo che è scappato via.
– Ma capo, Rodríguez non era in sé in quel momento, non poteva accorgersi di niente.
– Allora, vorresti archiviarlo come decesso per overdose?
– Non ne sono del tutto convinta. Se è vero quello che dice Rodríguez, Ruiz era uno che si faceva appena qualche canna ogni tanto. E all’improvviso decide di fare un salto di qualità e si fa un mix letale? Posso capire la mescalina, ma aggiungerci la doves red, non mi pare credibile. Oltretutto, perché non avrebbe dovuto dividere anche quella con Rodríguez? E perché c’era solo la bustina di mescalina? E poi c’è la storia dell’uomo in nero. Chi era e perché era lì? Capo, ripeto, questa storia non mi convince.
– Intanto perquisiamo l’appartamento di Rodríguez, poi vedremo come proseguire le indagini.

Beltran Rodríguez appariva ancora in fase post-trip. Quando Consuelo bussò, il suo volto dall’espressione depressa si affacciò lentamente allo spiraglio della porta. Riconoscendo lei e Delgado, la spalancò per farli entrare. Dietro di loro seguirono altri due agenti.
– Signor Rodríguez, ho un’autorizzazione per perquisire il suo appartamento – gli comunicò Delgado.
– Fate pure. Non ho niente da nascondere.
Ovviamente, pensò Delgado, se qualcosa c’era, hai avuto tutto il tempo per farla sparire.
– Come sta, Signor Rodríguez? – chiese Consuelo, con autentico interesse.
– Meglio, grazie.
– Non dev’essere facile, per lei.
Beltran la guardò negli occhi, con una chiara sfumatura di stupore.
– No, non è facile. Vicente e io eravamo amici da dodici anni. Eravamo più che amici.
– La capisco benissimo – aggiunse Consuelo.
Beltran seguì con lo sguardo Delgado, per un lungo momento, poi, all’improvviso, puntò un dito nella sua direzione, urlando, a sorpresa:
– È lui! È lui!
– Chi, Signor Rodríguez?
– L’uomo che mi ha fatto uscire da casa di Vicente. È lui, sono sicuro.
– Era vestito come lui, vuol dire?
– Sì, sì, lo stesso impermeabile, lo stesso cappello.
– E la faccia se la ricorda?
– Non l’ho visto in faccia, ma era lui.
– Eppure, le assicuro che non poteva essere Delgado.
– Mi pare ovvio che lei lo difenda – disse, con astio.
– Il commissario era con me, a casa mia, quindi non poteva essere lui.
Delgado aveva seguito l’intera conversazione con grande interesse.
Più tardi, lontano da orecchie indiscrete, osservò:
– Come ti è venuto in mente di renderti mia complice? Dovresti fare rapporto, immediatamente, anziché offrirmi un alibi.
– Non eri tu, lo so. Ma c’è qualcuno che vorrebbe lo si pensasse. Che cavolo ci faceva là, quell’uomo?
– Ottima domanda. Vai avanti.
– Più avanti non ci arrivo ancora.
– Potremmo chiederci se è lui lo spacciatore, per esempio. In tal caso, perché è tornato a trovare il suo cliente? Vicente gli aveva chiesto altre sostanze e lui gliele aveva portate? Comunque, perché ha fatto uscire Rodríguez? Che senso ha? Forse si è accorto che Vicente stava facendo un brutto viaggio? Sarà per questo che Rodríguez si è ritrovato il mouse nel posto sbagliato? O in quello giusto, a seconda delle preferenze…
– Ma l’ha lasciato uscire nudo per la strada, in quelle condizioni, ti sembra normale? Faceva freddo e per giunta pioveva, quella notte.
– Ti prego, Torres, non farmici pensare. Qua piove sempre, ormai – commentò, disgustato.
– Se lo spacciatore gli ha portato quella nuova merda, come mai non ne abbiamo trovata traccia? – si chiese Consuelo.
– Gliel’ha fatta ingerire e se n’è andato, tutto qua.
– Ma Ruiz era già nel bel mezzo di un viaggio. Non se ne sarebbe neppure accorto. Quali vantaggi poteva trarne lo spacciatore? Semmai solo il rischio di perdere un cliente appena acquisito. Non è così che ragionano, capo. Un cliente morto non è più un cliente.
– No, non ha molto senso. Neppure quello di buttare fuori Rodríguez in quelle condizioni.
– Non so, mi sembra una storia sempre più assurda – commentò Consuelo.
– Comunque, adesso sei mia complice – concluse Delgado, con una delle sue espressioni più serie.
Consuelo si mise a ridere. Delgado la guardò stupito, convincendosi che stava perdendo qualche pezzo.
 
Durante una delle sue quotidiane telefonate di Paco, Rey gli raccontò la storia di Beltran Rodríguez, compresa la sua accusa di essere l’uomo che l’aveva spinto a uscire nudo dall’appartamento di Vicente Ruiz.
– Non metterti nei guai, Rey. Lo sai che non posso venirti a trovare in carcere, per il momento.
– Non preoccuparti, ho un alibi di ferro. Ero a casa di Consuelo, quella notte.
– Come?
– Dicevo che ho un alibi di…
– … Quello l’ho capito, ma che dicevi di Consuelo?
Delgado si rese conto che sarebbe stato molto pericoloso ammettere al telefono che il suo alibi era falso. Così finse di sentire troppi disturbi sulla linea e interruppe la telefonata. Paco avrebbe capito.
Consuelo si accorse che Delgado aveva la testa tra le nuvole, quindi decise di riportarlo con i piedi per terra, ponendogli una domanda molto prosaica.
– Capo, scusa. Si sa qualcosa di Rubio?
– Eh?
– Manuel Rubio si è già fatto vedere?
– No, stamattina no.
– Allora vado a cercarlo.
– Ah, sì, hai ragione. Ieri sera doveva andare al Chueca.
– Ti vedo strano, Delgado. Stai bene?
– Sì, come no!
– Sì o no?
– Torres, perché mi dai il tormento? Non hai appena detto che saresti andata a cercare Rubio? E allora vai, adelante!
– Agli ordini, capo.
Il suo boss era troppo distratto, pensò Consuelo. Così non andava bene. Non andava bene per niente. Manuel Rubio, come Consuelo scoprì in fretta, aveva il turno pomeridiano, per cui non le restò che tornare da Delgado. Intanto era arrivata la posta. Raccolse le buste indirizzate espressamente al commissario e lasciò il resto allo smistamento. Tra le altre, c’era una relazione della scientifica. Rientrando in ufficio, la appoggiò sulla scrivania, sotto gli occhi di Rey. Delgado osservò la busta per qualche istante, come se possedesse la capacità paranormale di leggerne il contenuto, senza neppure aprirla.
– Insomma, Delgado, si può sapere che diavolo ti piglia?
– Niente Consuelo. Proprio niente.
– Allora, vogliamo vedere cosa ci dice la scientifica?
– Aprila tu.
Consuelo volse lo sguardo al cielo, sospirando, quindi si accinse a squarciare la busta con una foga forse eccessiva. Il foglio conteneva poche righe, ma sperava che le prove rilevate potessero contribuire in maniera rilevante all’indagine.
– Che dice? – chiese Delgado.
– Un attimo…
– Insomma, che dice?
– Dice che non c’è traccia di stupefacenti.
– E fanno due.
– Per me, lo spacciatore era presente quando Ruiz è morto. Così ha pensato bene di portarsi via tutto quello che avrebbe potuto ricondurre a lui.
– Ma ha lasciato la busta della mescalina – obiettò Delgado.
– Forse quella non gli interessava, perché non gliel’aveva procurata lui. Comunque, in casa di Beltran Rodríguez non potevamo trovarci proprio niente. È un bene avergli fatto quella perquisizione, in modo da scagionarlo da qualunque possibile accusa.
– Lo difendi, Torres?
– Sono sicura che non abbia fatto un bel niente, tranne un viaggio alquanto scomodo, e un successivo ritorno brusco e doloroso alla realtà.
– Aspettiamo Manuel Rubio, poi decideremo cosa fare. Ti va di venire a mangiare un boccone?
– Sì, andiamo, tanto qua non combiniamo niente.
– Torres, sei sempre iperattiva. Rilassati, ogni tanto. Va bene tenere in funzione il cervello, ma una pausa meditativa, di tanto in tanto, può davvero essere salutare, soprattutto se affrontata in silenzio.
– Davvero?
– Temo che questo caso non sarà facile. Forse avremmo dovuto fin dall’inizio archiviarlo come decesso per overdose. I colleghi della narcotici ci stanno prendendo per il culo. E’ una settimana che ridono.
– Lasciali ridere.
– È esattamente quello che sto facendo. E adesso zitta. È un ordine.

 

 

Appena arrivato al commissariato, Manuel Rubio si presentò nell’ufficio di Delgado per fare rapporto, comportamento che Consuelo, ormai in preda all’ansia di ricevere notizie, apprezzò molto.
– Tutto ciò che ci si può procurare al Chueca, sono un po’ di cocaina e qualche pasticca di ecstasy. Devo ammettere, però, che il tizio con cui ho parlato chiama ecstasy qualunque sostanza chimica prodotta in laboratorio, tanto per semplificarsi la vita. Comunque di quella doves red non ha mai sentito parlare, e quando gli ho chiesto della mescalina, si è messo a ridere.
– Allora dobbiamo cercare altrove, nei soliti luoghi di spaccio, per le strade. Mi faccio dare qualche dritta dalla narcotici – disse Consuelo.
– No, facciamo di meglio. Passiamo la pratica a loro – affermò Delgado con tono definitivo – Grazie, Rubio, puoi andare.
– Ho una strana sensazione – ammise Consuelo.
– Esprimiti, Torres.
– Non la so esprimere, capo. È come se non riuscissi a vedere quello che ho sotto gli occhi.
– Poi ti passa – la consolò Delgado.

Pedro Noriega non rispondeva mai al telefono, perché si era posto come obiettivo primario quello di evitare le rogne. Però, quel mattino, alla narcotici, c’era solo lui, motivo per cui fu costretto a fare un’eccezione. Ovviamente, non poté non pentirsene immediatamente dopo, dal momento che la voce alterata con cui aveva avuto un breve scambio di battute, l’aveva spinto a lasciare la sua comoda poltroncina, per recarsi al piano inferiore, davanti all’armadietto metallico contrassegnato con il numero 5, quello del commissario Delgado. Si sedette sulla panca e rimuginò sul da farsi. Aspettare il commissario? Scassinare la serratura? Chiamare un collega per avere testimoni? Lasciar perdere tutto, prendendo la spiata come lo scherzo di qualche buontempone suo collega, che adesso se la rideva sotto i baffi, aspettando che lui facesse una cazzata, con relativa figura di merda? A quel punto, il suo cervello si mise in loop, ricominciando le stesse domande esattamente da capo. Al terzo giro, arrivò Delgado.
– Senti, commissario, poco fa è arrivata una telefonata anonima. Dice che hai della droga nell’armadietto.
– Vuoi scherzare? Sei tu l’esperto di quella merda. Io non voglio nemmeno sentirla nominare.
– Lo so. Però, per assicurarmi che si sia trattato davvero di uno scherzo, dovresti lasciarmi dare un’occhiata al tuo armadietto.
– Accomodati – disse Delgado, incazzato, infilzando le chiavi nella piccola serratura, come se volesse sbudellare l’anta di metallo.
– Scusami, Delgado, così siamo sicuri tutti e due.
– Certo, certo, guarda pure.
A Pedro Noriega non fu necessario far altro che alzare lo sguardo. Appena aperta l’anta, poté constatare che c’erano in bella vista due sacchetti di polvere chiara, proprio sul bordo esterno della mensola superiore.
– Joder! Cos’è quella roba? – esclamò Delgado.
Noriega prese uno dei sacchetti e lo aprì, assaggiandone una quantità infinitesimale.
– Non sono sicuro. È meglio portarla al laboratorio.
– Sono d’accordo. Potrebbe anche essere veleno per topi.
– Devo fare rapporto, Delgado, sono desolato.
– Ma certo. Comunque, sia chiaro che non ce l’ho messa io, qualunque cosa sia.
– Io ti credo, se questo può servire.

 

 

Consuelo, messa al corrente dell’episodio, chiese immediatamente:
– Chi può avercela messa? A chi fa gioco?
– Non ne ho la più pallida idea.
– Andiamo, in tutti questi anni, qualche nemico te lo sarai anche fatto! Con il tuo caratteraccio, poi.
– Non ti allargare, Torres.
– Non ti allargare, non ti allargare… esprimiti, Torres, stai zitta, Torres… Dobbiamo andare a fondo di questa storia. O vuoi finire al fresco, insieme con quelli che ci hai mandato tu?
– Se qualcuno se l’è legata al dito, io non lo so. È probabile, certo, ma in questo momento non mi viene in mente nessuno in particolare.
– Riflettiamo, Delgado.
– Sì, riflettiamo.
Poco dopo, Consuelo affermò sicura:
– Questa storia ha a che vedere con la morte di Vicente Ruiz. È da lì che è cominciata, dall’uomo in nero che Beltran ha riconosciuto in te. Se la roba che avevi nell’armadietto è la stessa che ha ammazzato Ruiz, è la dimostrazione che qualcuno vuole incastrarti.
– Io non ci vedo un senso.
– Forse stiamo guardando le cose dal lato sbagliato. Per prima cosa, chi può aver messo la polvere nel tuo armadietto? C’è un collega che può avercela con te?
– No, non credo.
– Allora, qualcuno di fuori. Qui c’è gente che va e viene continuamente.
– Aspettiamo le analisi, intanto.
– Sembra che si debba sempre aspettare qualcosa. Io ho bisogno di agire!
– Facciamo una cosa, Torres. Fai tu, decidi tu, prendi in mano le indagini. Io tanto sono parte in causa, e quindi non dovrei nemmeno sapere quello che fai. Anzi, guarda, non dirmi niente. Io mi prendo una pausa di riflessione, sempre che non mi sospendano prima.
– In effetti, ti converrebbe presentarti al magistrato, prima ancora che ti convochi.
– Hai ragione, Torres. Ci vado subito.
– Vuoi che ti accompagni?
– No, tu resta qui. Comincia a ficcare il naso in giro.
– Come vuoi.

Nella delicata situazione in cui si trovò a galleggiare, così all’improvviso, Delgado sentì tutto il peso della sua solitudine piombargli addosso. Erano bastati quei sei mesi per capire che c’era una bella differenza tra l’apprezzare la solitudine e il sentirsi soli. Che potesse capitargli qualcosa del genere, doveva averlo intuito anche Paco, dal momento che trovò il modo di tornare da lui per il fine settimana.
– Se non fossi il commissario Delgado, saresti già in prigione, in attesa di processo – commentò, abbracciandolo.
– Questa storia non sta in piedi. Vicente Ruiz si è ammazzato con la doves red, una sostanza di cui nemmeno conoscevo l’esistenza. Mi ficcano nell’armadietto la stessa roba che ha preso lui, che però pare introvabile sul mercato. È qualcuno che viene da fuori. Da dove, e perché ce l’ha con me?
– Consuelo cosa dice?
– Sta indagando ad ampio raggio.
– Cioè, non sa dove sbattere la testa...
– No, ti sbagli. Lei segue una sua logica. Forse a volte è un po’ spiazzante, ma alla fine ottiene quello che vuole.
– E adesso me lo dici che ci facevi da lei quella notte?
Delgado si stupì, poi ricordando, scoppiò a ridere.
– Era il mio alibi.
– Questo me l’hai già detto.
– Se l’è inventato lei. Io ero alla Casa Babylón.
– E lei non lo sapeva?
– Non mi sono mai ricordato di dirglielo. E adesso basta con questa storia deprimente. Fammi controllare se i tuoi capezzoli sono sempre al loro posto – disse, prendendo a sbottonargli la camicia.
– Stai tranquillo, non si sono spostati, nessuno dei tre.
– Però mi pare che qualcos’altro si stia spostando.
– Mi sei mancato, Rey.
– Anche tu mi sei mancato.
Poi, per tutto il resto, non ci fu bisogno di parole.
Strisce di luce annunciarono il livido mattino di novembre, dalle persiane socchiuse. Sotto le coperte, Paco si mosse, cercando il calore di Rey. Con il corpo aderì alla sua schiena, mentre con le braccia gli strinse il torace. Rey finse di dormire ancora. Restò del tutto immobile, godendo di quel momento e sentendo nel solco tra le natiche crescere il desiderio di Paco. Paco lo accarezzò a lungo, poi una mano scese lentamente, sempre accarezzandolo con dolcezza, fino a raggiungere il suo membro ormai rigido. Gli baciò la nuca, ne percorse le spalle con la lingua, con deliberata lentezza, metodicamente. Aveva un sapore che gli faceva tornare in mente l’odore del pane, il respiro del mare e il vento del sud. Qualcosa di vitale ed essenziale, cui rinunciare gli sembrava ormai impossibile.
Stringendolo, gli morse delicatamente un lobo e poi gli sussurrò nell’orecchio:
– Posso offrirti una robusta colazione?
– Sì, Paco, ho una fame incredibile.
– Lo sento.

 

 

Consuelo andò a trovare Beltran Rodríguez. Non aveva un vero e proprio scopo. L’incontro faceva parte di quel vago ventaglio di chance che aveva deciso di offrirsi. Qualcuno, prima o poi, le avrebbe offerto l’input più utile, forse senza neanche saperlo. Le bastava solo un piccolo appiglio.
Con alcune domande mirate, riuscì a farsi raccontare da capo tutto quello che Beltran ricordava di quella notte. Poi gli chiese dove di solito si rifornissero di fumo.
– Ci pensava Vicente. A me non me ne fregava niente delle canne. Da un po’ di tempo andava al Chueca, e da allora si prendeva anche qualche dose di coca. Io non l’ho mai provata, a dire il vero, ma lui diceva che poi si sentiva un dio. Quando la prendeva, me ne accorgevo da come scopava.
Al sentir nominare il Chueca, Consuelo provò un brivido, ma, solo un attimo dopo, ricordò che al locale Rubio non aveva trovato né mescalina, né doves red.
– Non riesci proprio a ricordare dove Vicente abbia preso la mescalina?
– L’ha presa al Chueca, non te l’avevo già detto?
– No, Beltran. Avevi detto che non ne sapevi niente.
– Cazzo, quel viaggio mi ha messo k.o.
Consuelo ripensò alle parole di Manuel Rubio. Secondo lui al Chueca non giravano altro che coca e qualche pastiglia di ecstasy.
– Tu ci sei mai stato?
– Un paio di volte con Vicente. Lui aveva la chiave elettronica.
– Potresti entrarci senza problemi, se ti procurassi quella chiave?
– Certo. Una volta che entri, sei un cliente.
– Allora perché non hai la chiave anche tu?
– Perché a me non interessava.
– Troverebbero strano vederci una come me?
– Se ti vesti da donna, no.
– Che vuoi dire?
– Da donna. Lo sai, no? Gonne corte, scollature, tacchi a spillo e due dita di rossetto. Poi ancheggi un po’ e nessuno capisce che sei un poliziotto.
– Sono sicura che tu ci riusciresti meglio di me.
– Cosa vuoi andare a cercare al Chueca?
– Mescalina e doves red.
– Tu procurami la chiave e io te le vado a prendere.
– Lo faresti davvero? Perché?
– Perché mi sei simpatica. Sei l’unica che s’interessi di capire davvero cosa sia successo a Vicente.
– Allora, affare fatto. E adesso parlami di lui.
– Che vuoi che ti dica? Era un vulcano d’idee, aveva sempre qualche progetto in corso. A volte erano divertenti e strampalati, impossibili da realizzare, ma in altre occasioni, mi convinceva che erano del tutto concreti, come quello che aveva in ballo adesso, un locale gay, come a Burgos non ce ne sono mai stati. Sarebbero venuti da tutta la regione, ci scommetto. Ci voleva mettere la musica dal vivo, barman acrobati, affascinanti, vestiti solo dei loro tatuaggi, le stanze di sopra per chi voleva fermarsi. Sarebbe stato divertente. Doveva solo convincere il fratello, che non era molto d’accordo.

Consuelo entrò alla Casa Babylón, sicura di trovarci Delgado. Lui era in un angolo, spalle al muro, sguardo fisso su una bottiglia di Pacifico Clara, e faccia rilassata, dall’espressione vagamente sognante.
– Disturbo?
– Ah, Torres. Stasera il cuoco è malato. Se sei qui per mangiare, non azzardarti a spingerti oltre un burritos.
– No, sono qui per te, cioè, per parlare con te.
– Beh, siediti. Ti ascolto.
– Manuel Rubio ha mentito. Al Chueca non solo spacciano mescalina, ma anche doves red.
– Come lo sai? – chiese Rey, con una contrazione involontaria della mascella.
– Ci ho mandato Beltran Rodríguez.
– Te la fai con il nemico, adesso?
– Dal nemico so guardarmi, sono gli amici che mi fottono.
– Ne hai tanti?
– Di che?
– Di amici.
– Nessuno.
– Ho la vaga sensazione che io e te ci assomigliamo.
– Può essere. Sto indagando anche sugli operatori del servizio di pulizia.
– Perché?
– Fa parte dell’ampio spettro di cui ti parlavo l’altro giorno.
– E hai trovato qualcosa di vagamente interessante?
– La stessa impresa, l’Espejo, ha un contratto anche con il penitenziario di Burgos.
– E questo dove ti porta?
– Il cielo mi fulmini, se lo so.
Delgado scoppiò a ridere.
– Sei fuori, Consuelo. Stai perdendo il filo delle indagini.
– Lo perderei se ce l’avessi. La verità è che mi sembra di annaspare in un mare di stronzate senza collegamento. Però una cosa mi è chiara: Manuel Rubio ha mentito. E io voglio scoprire perché.
– Se è stato lui a mettere quella roba nel mio armadietto, non poteva certo ammettere di averne trovata al Chueca.
– Ma se è stato lui, perché?
– Il cielo mi fulmini, se lo so.
Il sorriso sghembo di Consuelo non fu proprio all’altezza del gioco, ma Delgado si accontentò.

 

 

Consuelo scese al laboratorio di analisi. Andò direttamente da Roberto, l’unico che conoscesse, e gli chiese se fosse possibile, analizzando le sostanze che aveva portato con sé, stabilire se appartenessero alle stesse partite di quelle rinvenute nell’armadietto di Delgado. Ricevuta una risposta positiva, si spinse oltre.
– E sapere se è la stessa assunta da Vicente Ruiz?
– Se Pérez ha fatto le cose per bene, sì, potrebbe essere fattibile.
– Se ti sente, ti fucila. Fai il possibile, per favore. Te l’affido.
– È urgente? – le domandò Roberto.
Consuelo non solo lo guardò male, ma trovò superfluo rispondere. Lo sapevano tutti che il commissario Delgado era in un mare di guai.

Delgado prese con una certa filosofia quel periodo di pausa. Aspettava notizie da Consuelo, per mettere insieme i vari pezzi di quel puzzle in cui non riuscivano neppure a intravedere un vago disegno. Se ne andava in giro tutto il giorno, sotto la pioggia, oppure usciva di città, in macchina, correndo senza meta, un po’ come faceva quando era giovane e il mondo gli sembrava tutto da scoprire. Anche quel giorno si mise in macchina, approfittando della necessità di fare rifornimento di carburante. Alla Elf si fermò in coda all’unica altra vettura presente al distributore del self service e scese dall’auto. Quando l’uomo si voltò per riposizionare la pompa nel suo alloggiamento, Delgado riconobbe Beltran Rodríguez.
– Come va?
– Bene, grazie.
Delgado vide un mazzo di fiori sul sedile del passeggero. Beltran seguì il suo sguardo, provando la necessità di giustificarsi, come se il possesso di fiori fosse illegale.
– Sto andando al cimitero a trovare i Ruiz.
– I Ruiz? Perché, è morto qualcun altro?
– Il padre di Vicente, qualche mese fa, dopo che il fratello è finito in galera. Non ha retto al dispiacere e alla vergogna.
Delgado lo rivide in un lampo.
– Sta parlando di Esteban Ruiz?
– Sì, è proprio lui. Che famiglia disgraziata.
Mentre l’auto di Beltran Rodríguez s’immetteva sulla strada, Delgado era già al telefono con Consuelo, per metterla al corrente di quella nuova informazione, che al pari delle altre, non aveva alcuna rilevanza e non portava da nessuna parte.
– Che famiglia disgraziata! – commentò Consuelo, senza sapere di ripetere esattamente le stesse parole di Beltran, poco prima.
– Ricomincia a piovere. Me ne torno a casa, Torres. Se ti va, vienimi a trovare, quando stacchi.
– Sì, capo. Passerò di sicuro, ma non so quando. Qui c’è il caos, oggi.
– Allora sei nel tuo elemento naturale.
– Certo, io in mezzo al casino ci sguazzo.
– L’avevo intuito.

 

 

Il casinò del Chueca era più affollato del solito, quella sera. L’uomo, con un sorrisetto soddisfatto, allungò una corposa mazzetta di banconote viola, attraverso l’ampio foro nel vetro della cassa. Tavor fece scorrere i biglietti di banca nella contasoldi e li infilò in un cassetto, senza neppure guardare. Quindi, inserì i dati nel suo terminale e compilò la solita ricevuta.
– Con questo hai esaurito il tuo debito – annunciò Tavor, porgendogliela.
– Adesso posso giocare? – chiese, pur sapendo che la sua domanda era del tutto superflua.
La faccia di cuoio al di là del vetro approvò senza sorridere.
– Non mi hanno comunicato limitazioni. Quante fiche vuoi?
– Per ora facciamo diecimila – disse posando sul banco altre banconote.
Quella sera si sentiva fortunato.

Consuelo non fece molto tardi. Quando giunse nel complesso dove abitava, si diresse a destra, anziché a sinistra. Entrando per la prima volta nell’appartamento 3/F, ebbe la sorpresa di trovare all’ingresso un portaombrelli in cui se ne stavano, piuttosto stretti, ben cinque ombrelli, tutti ugualmente neri.
– Non ti ho mai visto, con l’ombrello – commentò Consuelo, mentre tentava d’infilarci anche il suo, viola e grondante.
– Li odio. Non li uso mai – esclamò Rey.
– Allora che te ne fai?
– Me li hanno regalati. Lascia perdere, è una lunga storia.
Poi, entrando in soggiorno, Consuelo vide il pianoforte.
– E questo? Lo suoni tu?
– Torres, hai preso la china delle domande stupide? Certo che lo suono io. Questa è casa mia.
– Ma non ti viene mai voglia di fare due chiacchiere in relax, senza mettere tutti i puntini sulle fottute “i”? Devi essere sempre così… così…
– Stronzo. È questo il termine che cercavi?
– Non esattamente, ma volendo, anche questo calzerebbe a pennello.
– Allora, hai novità?
– Ho fatto qualche ricerca sulla famiglia Ruiz – annunciò Consuelo, buttandosi a peso morto sul divano.
– E che cosa hai scoperto?
– Don Vicente era un diplomatico. Uno di quelli vecchio stampo, tutto onore e gloria della grande Spagna. A differenza di tanti suoi colleghi, lui non si portava la famiglia in giro per il mondo, per evitare che potesse essere contaminata. Un tipo strano. I figli hanno vissuto con la madre e con le due zie non sposate, tutti insieme in una grande villa subito fuori Burgos. Vicente era il figlio maggiore, ma con lui non è mai andato d’accordo. Il giovane Ruiz aveva idee progressiste che mettevano il vecchio a disagio, poi era anche un po’ pazzo, un’artista, senza arte né parte, una cosa che don Vicente non riusciva né ad approvare, né a digerire. Quando ha scoperto che era pure gay, gli ha detto che non voleva più avere niente a che fare con lui, che non lo riteneva più suo figlio e infine che l’avrebbe diseredato. Intanto, una dopo l’altra, erano morte la madre e le zie. A don Vicente non restava che cercare soddisfazione nel secondo figlio, Esteban. Era l’unico su cui facesse affidamento per portare lustro alla famiglia.
– Figurati! – commentò Rey.
– E comunque, era soddisfatto che Esteban avesse fatto carriera. Quando è finito in galera, per il caso delle esplosioni degli uffici postali, gli è venuto un colpo, nel vero senso della parola. Non si è più ripreso e dopo un paio di mesi è morto. Quando, a sorpresa, Vicente ha scoperto di non essere stato diseredato e che quindi metà della grande villa era sua, ha iniziato a fare progetti su come sfruttarla e gli è venuto in mente di aprire un locale gay.
– Chissà se Esteban lo sa?
Rey osservò Consuelo con quello sguardo che le lanciava a volte, come se si stesse ponendo domande inquietanti su di lei.
– Ci ha pensato Vicente a dirglielo, in prigione, e pare che in quella stessa occasione l’abbia anche accusato di aver fatto morire il padre. Esteban ha dato in escandescenze, urlando che non avrebbe mai dato il suo consenso a trasformare casa sua in un troiaio e altre amenità del genere. Quando è saltato sul fratello, afferrandolo alla gola, hanno dovuto trascinarlo fuori dalla sala colloqui con la forza.
– Dimmi una cosa, Consuelo. Come cazzo fai a sapere tutti questi particolari?
– Me li ha raccontati Beltran.
– Certo, gola profonda.
– Sono stati insieme per dodici anni. Si amavano molto. Per lui la morte di Vicente è stata una vera tragedia.
– Capisco. Dodici anni certo sono tanti, però non vivevano insieme.
– Ci stavano pensando. Ma quando si trova la persona giusta, secondo me, non ci si dovrebbe pensare tanto a lungo.
Rey provò un lieve brivido alla nuca.
– Già, forse hai ragione.
– Che ne pensi di questa storia? – chiese Consuelo.
– Di quale storia?
– Delgado, non ti distrarre, stavamo parlando dei Ruiz.
– Ah, sì. Penso che Esteban sarà ben contento che la sua grande casa non rischi più di diventare un finocchiaio.
– Se non fosse in carcere, si potrebbe quasi pensare che…
Rey la guardò, con espressione sorniona.
– E chi ce lo impedisce? Noi pensiamolo lo stesso. Adesso abbiamo un probabile movente, quindi facciamo finta che non si tratti più di un caso di overdose. Ipotizziamo che si tratti di omicidio e trattiamolo come tale, sei d’accordo?
– Sì, d’accordissimo.
– Passiamo al come. Come ha fatto Esteban Ruiz?
– Ha contattato all’esterno qualcuno che potesse aiutarlo.
– Certo, ma chi? Riprendi a scavare nella sua vita. Moreno e Alonso sono ancora dentro? C’è qualche loro amico che può aver fatto questo per lui? Ripartiamo da lì. Indaga, Torres.
– Un attimo. C’è un’altra cosa di cui volevo parlarti.
Consuelo afferrò il cuscino che era accanto a lei e se l’appoggiò sullo stomaco, come avesse bisogno di proteggersi.
– La tua esitazione mi preoccupa. Non lasciarmi sulle spine.
– La mescalina e la doves red che erano nel tuo armadietto provengono dalla stessa partita che ha ucciso Vicente Ruiz.
– Allora non dobbiamo più cercare chi, ma semmai come collegarlo a Esteban Ruiz.
– Intendi Manuel Rubio?
– E chi altri? Non avrebbe avuto alcun motivo di mentirci, se non fosse stato coinvolto sin dall’inizio. È stato lui a mettermi quella roba nell’armadietto, ci scommetto.
– E come diavolo li colleghiamo?
– Scopri se hanno qualcosa in comune, qualunque cosa. Insomma, questa è routine. Non c’è bisogno che ti dica niente.
Consuelo spostò il cuscino dallo stomaco.
– Sta a vedere che dovrò davvero comprarmi una gonna.
– Come?
– Credo che dovrò fingere che Manuel mi piaccia.
– E non puoi farlo con il tuo abbigliamento consueto?
– Secondo Beltran, per certe cose dovrei vestirmi da donna.
– Non lasciarti fuorviare dal nemico.
– Beltran non ti piace, vero?
– Come l’hai capito?
– Mah, sporco intuito da poliziotto – commentò Consuelo, sorridendo.
– A proposito, prima che me ne dimentichi ancora. La notte in cui è stato ucciso Vicente Ruiz, io ero alla Casa Babylón. Non c’è bisogno che tu menta per me.
– E non potevi dirmelo prima? Menomale che non l’ho detto a nessun altro, tranne che a Beltran. Sei troppo distratto, Delgado. E proprio in questo momento, che stai rischiando il culo, occorre tutta la tua attenzione. Rimettiti in riga, per favore.
– Tanto ci sei tu, che lavori per due.
– Ti odio.
– Lo so.

 

 

Consuelo si concentrò su Esteban Ruiz. Contattò l’investigatore che si stava occupando del suo caso, dopo averlo ereditato da Paco Ramírez. Pablo Suelos appariva giovanissimo, sembrava un ragazzino appena uscito da scuola, con il suo zainetto in spalle, gli auricolari dell’iPod e i jeans con il cavallo alle ginocchia. Consuelo ebbe un momento di esitazione.
– Tu sei Pablo Suelos?
– Sì, bella. Ci siamo sentiti poco fa al telefono. Sono io che mi sto interessando delle prove a carico nel caso Ruiz.
– Ah, scusa, ma sembri così giovane.
– Però sono anche in gamba, scusa la modestia. In ogni caso, una cosa non esclude l’altra, ti pare?
– Naturalmente – commentò Consuelo, benché poco convinta.
– Sediamoci là – disse Pablo, indicando una cafetería all’angolo di Calle de Victoria.
Consuelo ormai preferiva svolgere il lavoro lontano dal commissariato. Chi poteva affermare che Manuel Rubio non avesse altri complici all’interno della sede?
Ordinarono un caffè, poi andarono a sedersi in un angolo, lontano da orecchie indiscrete. Parlando a bassa voce, Consuelo gli chiese se avesse potuto farsi un’idea precisa dei redditi di Ruiz, e quanta parte ultimamente ne era uscita senza una ragione plausibile.
– Cosa stai cercando, esattamente? – le chiese Pablo.
– Sospetto che abbia fatto uccidere il fratello. Un possibile movente potrebbe essere la proprietà della villa che avevano ereditato dal padre. Se ha pagato qualcuno, questi soldi devono essere passati di mano in mano.
– Aspetta un attimo – rispose Pedro, estraendo il suo portatile dallo zainetto – Facciamo un passo alla volta.
– Giri armato, eh? – commentò Consuelo.
– Sempre.
Pablo Suelos si accanì sulla tastiera per qualche minuto, a una velocità sconcertante, infine sollevò la testa verso di lei, con un sorriso incredibilmente infantile.
– Trovato.
– Dimmi.
– La metà della villa è sempre di Esteban Ruiz, ma l’altra metà appartiene a un certo Beltran Rodríguez.
– Cosa? – urlò Consuelo.
Metà degli avventori si voltò a guardarla.
– Lo conosci? – chiese Pablo, a bassa voce.
– Sì, era il compagno del fratello ucciso.
– Allora, forse, erano sposati.
– Ma no.
– Eppure… Fammi controllare.
Il ticchettio dei tasti accompagnò i pensieri singhiozzanti di Consuelo. Possibile che Vicente Ruiz avesse fatto testamento in favore di Beltran? Possibile che Beltran non ne sapesse niente? Possibile che Beltran le avesse mentito?
– Ti sbagli, bella. Erano sposati. Sono stati tra i primi a sposarsi, quando è passata la legge.
– Cazzo! Quindi mi ha mentito!
– Ti dirò ancora un’altra cosa. È in corso la vendita della sua parte in favore di Esteban Ruiz, che gli ha già versato un acconto.
– Ho capito.
– Spero di esserti stato utile.
– Sei stato prezioso.
Consuelo iniziò a porsi nuove domande. Come mai, se Beltran e Vicente erano sposati, vivevano in case diverse?
– Pablo, tu hai accesso alle registrazioni delle proprietà immobiliari, se ho ben capito…
– Ho accesso a qualunque cosa, bella. Tu chiedi, e io troverò quello che cerchi – affermò Pablo, con sicumera.
– 6 di Calle de Briviesca, primo piano, appartamento 2.
– Eseguo.
Il ticchettio dei tasti, questa volta, fu come la musica che accompagna un film, nell’attimo prima che subentri una svolta.
– Eccola. Appartiene a Beltran Rodríguez da sei mesi.
– Quindi è probabile che si fossero separati da poco – considerò Consuelo.
– Hai altre domande?
– Conosci il Chueca?
– Beh, sì. Perché?
– Sai se ci sono telecamere all’interno?
– Certamente. Ce ne sono parecchie, su ogni piano. Anche nelle camere sopra. E non puoi immaginare quanta roba circola in rete…
– Festini? Orge?
– Di tutto.
– Se volessi vedere chi frequenta il locale…
– Passato e presente sono disponibili, per il futuro non sono ancora attrezzato.
– Se ti procuro le foto di quelli che sto cercando, riusciresti a…
– Niente di più facile. Ho un programma per il riconoscimento facciale.
Consuelo lo osservò con curiosità.
– Ma tutto questo non è legale – commentò.
– Per chi? Se c’è da combattere, non ci si può presentare alla guerra armati di un gambo di sedano.
– Sono d’accordo con te, ma non lo diciamo a nessuno.
– Aspetto le foto.
– Dammi la tua e-mail.

Delgado ascoltò con attenzione il resoconto di quell’incontro, poi soffiò nel telefono:
– Beltran Rodríguez non mi convince. Se fosse stato proprio lui a sistemare Ruiz?
– Come fai a dirlo? Il solo collegamento sicuro che abbiamo è la vendita della sua parte di villa. Esteban vorrà rientrare in possesso dell’intera proprietà, e siccome a Beltran non interessa, gliela cede. Ma Beltran era legato sentimentalmente a Vicente, anche se si erano separati. Lui lo amava ancora. Semmai lo vedrei come contatto tra Esteban Ruiz e Manuel Rubio. In seguito, qualcuno dell’Espejo può aver fatto da collegamento tra il carcere e il commissariato. Mi è capitato spesso di vedere Rubio parlare con uno dei loro uomini delle pulizie. Sembravano in confidenza.
– Siamo ancora in alto mare.
– In attesa di altre notizie da Pablo Suelos, voglio accertarmi che Beltran sia in combutta con Rubio. Adesso inizia la fase “mi piaci”. Voglio che Rubio si tradisca da solo. Mi faccio raccontare di nuovo come ha trovato Beltran per la strada, quella notte, come l’ha portato al pronto soccorso e ogni altro particolare possibile. È un tale sbruffone che mi dirà qualcosa di troppo, ne sono sicura.
– Stai attenta, Torres.
– Fidati di me, capo.
– Mi fido.

 

 

Rey Delgado sapeva che le sue vacanze stavano per finire. Sentiva che ci sarebbe stata ben presto una svolta nelle indagini. Una parte di lui lo desiderava, ma un’altra, una di cui si era dimenticato, lo temeva. Gli piaceva perdersi nei suoi pensieri e, come mai prima, nei suoi ricordi, soprattutto quelli più recenti. Aveva passato in rassegna tutti i suoi incontri con Paco. Cominciavano sempre con un’immensa dolcezza, per trasformarsi poi in lotte corpo a corpo, cariche di passione, quasi violente. Una volta esaurito il desiderio, ritornavano a essere teneri, dolci, intensamente languidi. Amava quel ritmo. Era come una musica che avrebbe voluto essere capace di riportare in note sul suo pianoforte. Ci stava provando. Ma ogni volta, le immagini di quegli incontri lo prendevano come una malia, lo prostravano con un desiderio che non poteva esaudire e lo sfinivano in una nostalgia che lo annientava. L’amore sarà questo? si chiedeva. Da qualunque punto di partenza i suoi pensieri intraprendessero il viaggio, il luogo di arrivo era sempre lo stesso, Paco. Tutte le strade portavano a Paco.
Non posso permettermelo, si diceva. Non ora. Devo pensare a togliermi dai guai. Devo riflettere. Devo far funzionare il cervello. Ma sembrava proprio che l’unica cosa che funzionasse, senza essere interpellata, fosse posizionata più in basso. Doveva prendere una decisione drastica. Evidentemente era giunto il momento.

Manuel Rubio incontrò Consuelo Torres al distributore di caffè. Gli piaceva, quella donna. Gli piaceva molto. Aveva un che di terribilmente duro nell’atteggiamento, che diceva lontano un miglio “stammi alla larga”. Tutto ciò costituiva per lui una sfida eccitante, un invito irresistibile, un elettrizzante nuovo gioco da giocare. Aspettava solo di trovare un varco in quell’affascinante corazza. Quando Consuelo gli sorrise, ne rimase quasi ipnotizzato. Si avvicinò a lei come attirato da un filo invisibile.
– Vuoi un caffè? – gli chiese lei.
Manuel deglutì, annuendo con un grazie appena mormorato. Non era da lui. Doveva riprendersi immediatamente.
– Come va la vita? Come si sta senza Delgado?
– Benissimo, puoi immaginartelo – rispose Consuelo, con un sorriso complice, accorciando impercettibilmente le distanze.
Era il suo modo di dimostrarsi disponibile. Manuel lo afferrò al volo, sistemandole una ciocca di capelli che le era finita sugli occhi.
– Che fai sabato? Verresti al cinema con me? – le propose Manuel senza tanti preamboli, convinto di dover approfittare dell’attimo fuggente.
– Mmm. Se il film vale la pena…
– Il film lo scegli tu. Io ti propongo solo la compagnia.
– Allora va bene.
Manuel pensò che in fondo non era una che se la tirasse troppo, contrariamente alle apparenze. Alla fine il suo fascino aveva avuto il sopravvento, come sempre.
Seduta alla scrivania del suo capo, Consuelo passò cinque minuti buoni tentando di farsi passare la nausea. Cosa le era venuto in mente di fare tutte quelle moine a quel verme? Non era sicura di farcela. Già immaginava il momento in cui la sua pazienza si fosse esaurita, scaraventandola contro di lui per suonargliele di santa ragione. Pregustava lo scricchiolio delle ossa che avrebbe risposto ai suoi colpi ben assestati. Oddio, come lo desiderava!

 

 

Il vicolo su cui si affacciava l’ingresso del Chueca era poco illuminato. Per questo la coppia che stava per entrare inciampò nel corpo di quell’uomo, disteso sull’asfalto, sotto la pioggia battente. La donna si sfilò le calze di seta, picchiettate di strass, l’uomo s’infangò i calzoni neri, con la piega a filo di rasoio. Entrambi si arrabbiarono molto, e poi chiamarono la polizia. Non c’erano testimoni, ma la telecamera installata sopra il grande portone metallico, sicuramente, aveva ripreso la scena. Il cadavere fu subito identificato grazie ai documenti che portava con sé. Non gli trovarono addosso né soldi, né orologio. Con ogni probabilità, Manuel Rubio era stato vittima di una rapina. Consuelo non aveva fatto in tempo a portare avanti l’operazione mi piaci. Non appena ricevuta la notizia, si precipitò a scrivere una mail a Pablo Suelos. La risposta fu quasi immediata: Tra un’ora al solito posto.
Consuelo arrivò con largo anticipo. Aveva chiesto a Delgado di raggiungerla nella cafetería, dove lui si presentò con quella sorprendente espressione svagata, che aveva assunto di recente.
– Come stai, Rey?
– Benissimo. Questa vacanza mi ha rimesso al mondo.
– Beato te! Allora, adesso, è ora che torni tra i vivi. Stanotte hanno fatto fuori Manuel Rubio, proprio davanti al Chueca.
– Joder!
– Tra poco sarà qui Pablo Suelos, l’investigatore di cui ti ho parlato.
– Hai saputo altro da lui?
– No, spero che abbia trovato qualcosa. Ah, eccolo!
– Hola!
– Ciao, Pablo, questo è il commissario Delgado.
– Piacere – disse sedendosi.
– Hai trovato qualcosa?
– Ho trovato tre incontri tra Beltran Rodríguez e Manuel Rubio. In una di queste occasioni c’è uno scambio tra i due, ma non si vede bene, potrebbero essersi passati qualunque cosa, denaro o magari qualche bustina di coca. Le immagini di stanotte invece sono inequivocabili. Si sono incontrati davanti al Chueca. Hanno avuto un diverbio, si sono spintonati, poi Beltran ha estratto una pistola e gli ha sparato. Si vede un solo lampo.
– Infatti, a ucciderlo è stato un colpo secco, dritto al cuore – confermò Consuelo.
– Credo che sia ora che tu vada ad arrestarlo – le disse Delgado.
– Agli ordini, capo.

Delgado riprese servizio esattamente nello stesso momento in cui Consuelo metteva le manette ai polsi di Beltran Rodríguez. Entrando, il suo ufficio gli parve più stretto e soffocante. Brutta storia abituarsi agli ampi spazi della libertà. Spazi cui gli era parso di aver rinunciato da tempo. Paco stava per rientrare. Preludio di un ritorno a un’apparente normalità. Eppure, aveva avuto tempo per riflettere. Tempo e spazio. Aveva valutato passato e presente, e affacciandosi su panorami mai esplorati, aveva fantasticato immaginando un futuro. Poi era tornato indietro, risucchiato da un vortice irresistibile, fino a quella scrivania, a quell’ufficio angusto, all’eterogenea umanità, per lo più marcia, che vi era transitata e che vi avrebbe sfilato ancora, constatando che quella era tutta la sua vita.

 

 

L’interrogatorio di Beltran Rodríguez non si protrasse a lungo. Consuelo lo conosceva bene e non le fu difficile trovare la chiave per aprire lo scrigno. Delgado la lasciò fare. Comprese che nel tono delle sue parole c’era un margine di sofferenza che il rapporto personale con lui le stava causando. Quella stilla di superflua compassione, unita alla sofferenza di sentirsi tradita, le donavano un’espressione severa e martirizzata insieme, che la rendeva profondamente umana. Quando comprese che Consuelo sapeva già tutto, Beltran confessò. Aveva conosciuto Manuel Rubio al Chueca, proprio la notte in cui questi aveva perso, in un colpo solo, novantamila euro, che naturalmente non possedeva. Il casinò gli aveva concesso credito, negandogli però la possibilità di giocare, finché non avesse estinto il suo debito. Beltran vi aveva subito intravisto la possibilità di trovare in lui un complice. Si era convinto che per soldi Rubio avrebbe fatto qualunque cosa. Beltran voleva sbarazzarsi di Vicente Ruiz, che era diventato per lui un’ossessione. Si erano sposati il 2 settembre del 2005, sette anni dopo aver iniziato la loro relazione. Ma la convivenza si era trasformata ben presto in un incubo. Vicente era asfissiante, pretendeva di controllare ogni sua mossa, di essere coinvolto in qualunque sua decisione, tanto che Beltran si era sentito soffocato. Litigavano continuamente, finché, giunto oltre il limite della sopportazione, Beltran si era deciso a lasciarlo. Ma questo non era bastato, dal momento che se lo ritrovava continuamente tra i piedi. Esasperato, aveva pensato che l’unico modo per liberarsene, una volta per tutte, fosse di sopprimerlo. Approfittando della sua inclinazione per le sostanze stupefacenti, Beltran aveva progettato di eliminarlo con un’overdose. Pensava che nessuno ci avrebbe fatto caso. Cose del genere avvenivano tutti i giorni. Per non mettere in sospetto Vicente, pensò di farsi insieme con lui, proponendogli la novità della mescalina, e di far poi intervenire un complice per assestargli il colpo di grazia. Come previsto, Manuel Rubio, in cambio dei soldi che gli servivano, si rese disponibile a fare qualunque cosa. Per convincerlo a collaborare gli aveva consegnato diecimila euro subito, e una volta venduta la sua parte della villa, gliene avrebbe consegnati altri centomila. Rubio aveva pensato di approfittarne per gettare un po’ di merda su Delgado, che gli stava cordialmente sul cazzo. Così era nata la storia dell’uomo in nero e della droga nell’armadietto.
– Una divagazione di cui non ci sarebbe stato alcun bisogno – commentò Consuelo.
A quel punto Delgado intervenne con una sola domanda:
– Manuel Rubio voleva altri soldi? Ti ha ricattato?
– Certo, aveva perso ancora una bella somma e non sapeva dove sbattere la testa. Ma io non avevo intenzione di pagare i suoi debiti per sempre.
– Perché mi hai aiutato a provare che al Chueca si spacciavano mescalina e doves red? – chiese Consuelo.
– Pensavo di allontanare i sospetti da me. Non credevo che avresti mai trovato un collegamento tra me e Rubio, anche se è stato lui a portarmi al pronto soccorso. Ma questa informazione tu non potevi averla. E poi volevo vendicarmi di lui, per la storia del mouse. Ha approfittato che fossi fuori di me, quello stronzo. E quando non è più riuscito a tirarlo fuori, ha pensato di portarmi all’ospedale. Ma mi ha trascinato in strada nudo come un verme, al freddo e alla pioggia. Tutto questo non faceva certo parte del mio piano.
– Se Manuel Rubio non me l’avesse raccontato, nessuno ti avrebbe mai collegato a lui, né alla morte di Vicente Ruiz.
– Ho fatto proprio bene a sparargli.

 

Delgado riprese posto alla sua scrivania.
– Te la sei cavata bene, Torres. Era un caso difficile. Anzi, non sembrava neppure un caso.
– E dire che Beltran mi piaceva – commentò Consuelo, sconsolata.
– E adesso?
– Mi piace come un mal di denti.
Delgado le sorrise nel vano tentativo di consolarla. Strano, rifletteva, tutti dicono di volere la verità, ma spesso, una volta conosciuta, si rendono conto che non la volevano davvero. La verità non è diplomatica. La verità è fredda e implacabile. A volte, quando l’hai davanti agli occhi, preferiresti essere cieco. Certe verità sono così. Eppure, ce ne sono che è meglio conoscere subito. Se non ti piacciono, soffri per qualche tempo, ma prima o poi ti passa. Quella sera, Paco tornava a casa. Avrebbe avuto modo di dirgli quella cosa. L’avrebbe buttata lì, tra un abbraccio di bentornato e una frase innocente qualsiasi. Era meglio dirglielo subito.

Paco sbuffò, uscendo dal parcheggio sotterraneo di Plaza Santo Domingo. Pioveva ancora. Sembrava che una nube temporalesca si fosse incagliata per sempre sul cielo di Burgos. Per fortuna, la sua trasferta era filata via liscia, evitandogli una permanenza più lunga. Neanche a lui piaceva troppo l’idea di stare lontano da casa, ma a preoccuparlo erano soprattutto le reazioni di Rey. Le sue telefonate si erano fatte sempre più strane. L’aveva sentito allontanarsi, giorno dopo giorno, come se si stesse preparando a un addio. Per questo Paco, avvicinandosi al complesso in cui abitava Rey, sentiva le gambe un po’ molli, che si rifiutavano di avanzare. Una volta arrivato, non avrebbe potuto più fingere che tutto andasse bene, come continuava a ripetersi da giorni. È solo frutto della tua fantasia, si diceva, Rey non vuole lasciarti. Per quale motivo dovrebbe aver cambiato idea? Ma certo, un uomo come lui, lasciato da solo per troppo tempo, era capacissimo di ripensarci, di accorgersi che la libertà era il suo paese ideale, il posto migliore in cui vivere, in perfetta solitudine come un’aquila nel cielo. Rallentando il passo, fin quasi a fermarsi, raggiunse l’appartamento 3/F. Immobile davanti alla porta, prese fiato, cercando di farsi coraggio. Sentiva il suono ovattato del pianoforte. Ora doveva bussare, un atto semplicissimo, che per la prima volta gli parve come un gesto irreversibile. Si sentiva sull’orlo di un baratro, mentre ogni sua cellula lo avvertiva con tragica urgenza di non cascarci dentro. Per un attimo chiuse gli occhi, poi si fece forza e bussò. Immediatamente il suono del pianoforte si spense, slittando su un’ultima nota stonata. Il moro hidalgo che gli aprì la porta, lo accolse con il suo sguardo di ossidiana e un abbraccio quasi imbarazzato, come ne avesse perduto l’abitudine.
– Finalmente! Ero in ansia. Pensavo che saresti tornato prima.
– Ho dovuto sistemare una faccenda dell’ultimo minuto – rispose Paco, con una lieve esitazione.
Notò che Rey sembrava sulle spine. Esibiva un’espressione strana, incredibilmente tesa e seria. Aveva gesti quasi impacciati, mentre andava a sedersi. L’imbarazzo di Rey si trasmise immediatamente a Paco, che fu colto da un’ansia indicibile. Avvicinandosi al divano, osava appena respirare, mentre il timore si trasformava in un pugno di ferro che gli strizzava le viscere.
– Siediti, Paco. Hai fame? Hai sete? Vuoi venire a vivere con me?
Paco spalancò gli occhi per lo sbalordimento e le gambe gli cedettero, facendolo precipitare sul divano, accanto a lui.
– Sì, che voglio – rispose, con un sospiro di sollievo che sembrò una calda folata di vento.
– Mangiare, bere, o…?
– Te, Rey. Voglio solo te – esalò, abbracciandolo.

Più tardi, mentre Rey suonava al pianoforte una musica che aveva composto per lui, Paco gli si avvicinò alle spalle, stringendogli la testa tra le mani. Chinandosi, lo baciò sulla nuca, dietro l’orecchio, sulla tempia, poi, raddrizzandosi, tornò ad appoggiarsi a lui. Erano entrambi ancora nudi. Il contatto del caldo corpo di Paco sulla sua schiena, rallentò i movimenti delle dita di Rey, che su un ultimo accordo vibrante s’immobilizzarono.
– Peccato, mi piaceva – si rammaricò Paco.
Rey ruotò sullo sgabello, fino a trovarselo di fronte. Lesse negli occhi di Paco la tensione del desiderio. Guardò l’uccello che aveva di nuovo preso il volo, proprio di fronte al suo volto, un’offerta che non poteva rifiutare, tanto che vi si tuffò immediatamente con la bocca. Gli piaceva il suo sapore, lo elettrizzava il suo odore. Sulla lingua sentì la liscia seta della cappella, provando un brivido di eccitazione. Giocò intorno alla fossetta, su cui ben presto si affacciò una goccia lievemente salata. Poi, lentamente, lo accolse fin dove gli fu possibile. Nell’avanzare fino a urtare la gola, e nel ritrarsi fino alla cappella, ritmicamente, la sua saliva aumentò, finché un filo si affacciò dall’angolo delle labbra, perdendosi nel folto del tappeto. Paco infilò le dita tra i suoi capelli, tirandoli con dolcezza e cominciò a mugolare in sordina, com’era sua abitudine, quasi temesse di farsi sentire. Il suo respiro era ansante, mentre il ritmo pian piano cresceva, adeguandosi al movimento dei fianchi sotto le sue mani. Rey gli strinse i glutei robusti, sentendo i muscoli guizzare sotto le sue dita, sempre più velocemente, fino a quella specie di singhiozzo che in Paco accompagnava l’estasi dell’orgasmo. Un singhiozzo che per Rey era una musica afrodisiaca. Sapere di essere proprio lui a farlo godere, gli regalava ogni volta una gioia sottile. Paco era suo.
– Ti amo, Rey – sospirò Paco.
– Anch’io ti amo. L’ho capito davvero solo quando ti ho perduto.
– Ma tu non mi hai mai perduto…
– Quando eri via, era come se non ci fossi più.
– Ero sempre con te. Ti ho pensato ogni minuto. Mi sei mancato da morire.
– Ma io non lo sapevo.
– Eppure te l’ho detto.
– Ma forse io non ci credevo.
– Ti amerò per sempre, Rey.
Rey pensò che il sempre non esisteva davvero, che nel mondo reale si poteva convertire in un’involontaria bugia, ma decise che illudersi, una volta nella vita, non gli sarebbe stato fatale, come neppure avere Paco inginocchiato davanti a sé, con la testa tra le sue gambe, come in quel meraviglioso momento.

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Con tutta l'anima