Una missione non autorizzata

Al terzo giorno di sciopero alla miniera d'oro, Ari chiamò il suo amico Nush al laboratorio di genetica.
– Nush, mi è venuta un'idea. Forse ti sembrerà folle, ma potrebbe risolvere questa faccenda. Ci possiamo vedere?
– Certo, sarò al campo tra dieci minuti.
Ari sollevò lo sguardo al cielo. Era di un colore intenso, incredibile, e non ci si era ancora abituato. Il settimo pianeta era piuttosto piccolo e girava su se stesso a grande velocità, tanto che giorno e notte si susseguivano con un ritmo impressionante. Ma loro non ci facevano molto caso, a quattro chilometri di profondità dalla superficie. Là sotto, nei tunnel, faceva parecchio caldo. La temperatura arrivava anche a 65 gradi che, a volte, davano fastidio nonostante le tute termiche.
Nush arrivò con il suo monoposto. Atterrò negli appositi spazi, uscì dall'abitacolo e si guardò intorno. Ari gli andò incontro.
– Sono parecchio incazzati, eh?
I suoi compagni erano quasi tutti fuori dagli alloggi, radunati in gruppetti vocianti. Ce l'avevano con An, il grande capo. Mami era quella più infuriata di tutti.
– Noi siamo astronauti, non minatori! Ci siamo rotti di questa situazione! Vogliamo il cambio! – stava urlando.
– Sì, siamo incazzati, Nush, per questo volevo parlarti – spiegò Ari.
– Va bene, facciamo due passi, lontano da questo chiasso. Dimmi tutto.
Mentre s'inoltravano nell'esotica foresta alle spalle del campo base, Ari raccolse le idee per qualche istante, poi sparò la sua proposta oscena.
– Stammi a sentire, Nush, e fammi finire, prima di dirmi di no.
– Sai già che ti dirò di no? – lo interruppe.
– È probabile, ma stammi a sentire lo stesso. Siamo tutti stanchi. Non ne possiamo più. Del resto, come darci torto? Eravamo stati inviati qui soltanto in perlustrazione. Certo, nessuno poteva immaginare che nel frattempo, a casa, la situazione sarebbe degenerata così in fretta.
Nush lo interruppe di nuovo.
– Veramente i fisici lo andavano ripetendo da tempo. L'atmosfera si stava raffreddando a ritmi impensabili, ma il Consiglio si è mosso con la solita proverbiale lentezza. Quando gli esperti hanno stabilito che per mantenere il calore ci volevano ulteriori forti nebulizzazioni di microparticelle d'oro ad alta quota, noi qui avevamo appena trovato questi giacimenti. Era ovvio che ci ordinassero di cominciare subito l'estrazione.
– Questo non è in discussione. Siamo felici di essere d'aiuto al nostro pianeta, ci siamo offerti volontari all'esplorazione di questo sistema proprio per trovare l'oro. Siamo stati fortunati a individuarlo così presto e così vicino. Il punto è che a noi ora sembra di aver fatto abbastanza e vorremmo proprio che un'altra squadra ci desse il cambio, cosa cui non sembrano pensare affatto. Quindi, ecco la mia idea. Avrai visto in giro quel branco di umanoidi che si aggira curioso intorno al nostro campo.
– Sì, li ho osservati, anche se sono molto guardinghi e riservati. Sono vagamente simili a noi. Sembrano piuttosto robusti, ma non hanno cervello.
– Ecco, qui entri in ballo tu.
– Cosa? E cosa dovrei fare, secondo te?
– Tu sei un genetista. Stai mutando le piante di questo pianetino per renderle commestibili e gradevoli per noi, stai facendo la stessa cosa con le piccole bestie che mangiamo. Che ne diresti di manipolare geneticamente questo umanoide per fornirgli un po' di cervello e magari anche un po' più di muscoli, per farlo lavorare nelle miniere d'oro al posto nostro?
– Tu sei pazzo, Ari. L'Ammiraglio mi spellerebbe vivo. Un esperimento del genere sarebbe contrario a tutte le nostre leggi. È già un miracolo che ci permettano di modificare leggermente la flora e la piccola fauna all'interno del campo laboratorio. Lo sai quali misure di sicurezza abbiamo dovuto adottare per evitare che queste mutazioni debordino per sbaglio fuori dall'orto genetico.
– Faremmo la stessa cosa con gli umanoidi. E prima di andarcene, li distruggeremo tutti, come distruggeremo l'orto.
– No, Ari. Senza autorizzazione non farò niente del genere. Oltretutto, non sono sicuro di poterci riuscire, non abbiamo le attrezzature adatte.
– Intanto provaci! Sono sicuro che ce la puoi fare. E quando ci sarai riuscito, chiederemo l'autorizzazione. E siccome per decidere il Consiglio ci metterà una vita, noi intanto li addestreremo e ci faremo sostituire. Se poi dovessero decidere per un no, torneremo in miniera.
– Mi dispiace, Ari. È contro i miei principi. Le cose potrebbero sfuggirci di mano.
Ari comprese dall'intonazione della sua voce che non si trattava di un secco rifiuto come voleva far credere. Era sicuro che Nush ci avrebbe riflettuto. Con un po' d'insistenza e con l'appoggio di Ninhur, poteva permettersi di nutrire ancora qualche speranza. Nush amava le sfide, e quella che gli aveva offerto era sicuramente molto più interessante della trasformazione di un'amara mela selvatica in una commestibile. Per quello Ninhur era più che sufficiente. Sapeva benissimo che in quella missione Nush si sentiva sprecato.

Nell'alloggio che Ari divideva con Berin c'era un bel fresco. La tuta termica del compagno era appesa dietro la porta. Immaginò che lui fosse nella cuccetta. Approfittava di tutto il tempo libero per dormire. Era uno dei suoi passatempi preferiti. Al primo posto però ce n'era un altro, lo stesso che Ari, da quando dividevano l'alloggio, aveva messo al primo posto. Senza indugio si spogliò ed entrò nella cabina-letto.
Berin era disteso di fianco. La sua schiena era magnifica, i glutei robusti e tondi gli procuravano un immediato desiderio di morderli. I capelli biondi, chiarissimi, si erano allungati ed erano sparsi sul cuscino formando dorate onde di marea. Si distese accanto a lui, appoggiando il torso alla sua schiena e cingendolo con un braccio. Berin non si voltò.
– L'hai convinto?
– No – rispose Ari.
– Accidenti.
– Ma Ninhur al laboratorio è pronta a lavorarselo per benino.
– Allora non ci resta che aspettare?
– Sì. Nell'attesa, ci diamo da fare?
– Per te, sempre disponibile.
Ari non se lo fece ripetere.

Ninhur si avvicinò a Nush fino a sfiorarlo con la spalla. La tuta imbottita rendeva le sue spalle molto più larghe di quanto fossero in realtà. Già da tempo avevano capito che non c'era niente su quel pianeta che potesse minacciarli, ma il protocollo di sicurezza doveva comunque essere rispettato. La rigida disciplina che consentiva i viaggi spaziali era del tutto inutile in quell'ambiente così innocuo. I pericoli erano altri. Quel pianeta influenzava i suoi pensieri, rendendoli leggeri, liberi e persino ribelli.
– Sai, pensavo che avremmo bisogno di un po' di aiuto, quaggiù. Gli androidi non capiscono la differenza tra una leggera innaffiatura e un affogamento.
– Che genere di aiuto vorresti, Ninhur?
– Potremmo prendere un paio di quegli umanoidi che sono qua intorno e addomesticarli. Credo che loro capirebbero come innaffiare il nostro orto. Daremmo loro in premio del cibo, per stimolarli.
Nush si voltò di scatto verso di lei, abbandonando il microscopio. C'era un'accusa che si leggeva chiaramente sulla sua fronte aggrottata e minacciosa.
– Tu hai parlato con Ari, vero?
– La sua idea mi sembra molto buona. A te no?
– Questo pianeta vi sta dando alla testa. Cosa vi ha preso? Le regole che abbiamo sempre seguito vi cominciano a stare strette? Ma non capisci le implicazioni che avrebbe questo progetto?
– Non vogliamo affatto interferire con la natura del pianeta. Una volta cessata l'utilità di questo centro e della miniera, faremmo sparire tutto.
– E se l'esperimento sfuggisse al nostro controllo?
– Abbiamo armi sufficientemente potenti per distruggere tutto in un'area molto vasta. Il pianeta riparerebbe i danni in pochissimo tempo. Lo vedi come qui è tutto più veloce.
– Questo è vero – ammise Nush.
– Non ti piacerebbe tentare, come scienziato, intendo?
– Certo che mi piacerebbe. Non mi si è mai presentata una simile opportunità. Sarebbe davvero interessante.
– Con il vantaggio che i risultati sarebbero subito chiari. La velocità dello sviluppo della vita qui è incredibile. E poi, il successo potrebbe darti nuovo lustro. Diventeresti famoso. Ti potrebbero promuovere, una volta finita questa missione.
Nush sorrise.
– So quello che stai facendo, Ninhur. Cercare di circuirmi e stuzzicare la mia ambizione non sono atteggiamenti consueti per te. Non sei allenata.
– Ho esagerato?
– Un pochino.
Ninhur abbassò il capo, fingendo di essere mortificata.
Nush le sollevò il mento con un dito, le sorrise e poi la baciò.
– Va bene, Ninhur, hai vinto. Contravverrò a tutte le leggi del Servizio Spaziale, ma sia chiaro, se qualcosa va storto, darò tutta la responsabilità a te.
Ninhur sorrise a sua volta, poi scoppiò in una risata. Quel pianeta la faceva sentire sempre un po' brilla. Doveva essere qualcosa che c'era nell'aria, ma che non aveva ancora identificato. Qualcosa che non si poteva misurare, non si poteva analizzare e nemmeno vedere con i loro potenti microscopi. Era la vita, la vita stessa del pianeta, che dava alla testa.
– So come ti senti. Siamo tutti sovreccitati. Questo pianeta è troppo veloce, tutto è troppo veloce. Non siamo abituati a queste frequenze. Dobbiamo studiare un modo per darci una calmata.
– Lo faremo. Ma prima gli umanoidi. Dobbiamo mandare qualcuno a catturarne un paio.
– Dal momento che l'idea è venuta a Ari, ci manderemo lui.
Ninhur lo chiamò immediatamente per informarlo.

Berin si fermò a osservare il piccolo branco nascondendosi dietro il tronco di un grosso albero.
– Ma ti pare che dovevo fare tutta questa strada per diventare un cacciatore di animali?
– Non lamentarti. Tra non molto avremo dei validi sostituti alla miniera. Scegline uno robusto – disse Ari.
– Secondo te, perché ci sono così pochi maschi rispetto alle femmine?
– Forse i maschi si allontanano dal branco per cercare cibo. Del resto anche noi qui siamo quasi tutti uomini.
– Per forza, le donne che si sono offerte volontarie non possedevano la competenza specifica.
– Nemmeno noi eravamo preparati a fare i minatori. Un conto è l'esplorazione geologica e un altro mettersi a scavare tunnel nel sottosuolo.
– Vai a spiegarlo al Consiglio, quando ti capita.
– Il Presidente Al pagherà caro per questo scherzo. Ho saputo che il Consiglio lo sta mettendo sulla griglia per gli scarsi risultati ottenuti. Penso che presto si convincerà a mandarci una vera squadra di minatori esperti.
– Non ci sperare. È solo un gioco politico e lo stanno giocando sulla nostra pelle.
– Fino a quando i cargo che ci mandano ritorneranno a casa carichi d'oro, il Presidente Al resterà in sella, ci puoi scommettere.
– E noi cerchiamo un'alternativa per sopperire all'incapacità sua e a quella del Consiglio di prendere decisioni in fretta. Vai a cercare una femmina, prima che faccia buio. Io ho trovato il nostro campione.
Berin sollevò l'arma e puntò. Poco dopo, un raggio luminoso si allargò intorno alla preda, abbattendola. Tutti gli altri fuggirono mugolando come se fossero stati colpiti a loro volta. Berin si avvicinò all'umanoide addormentato, mutò la frequenza della sua arma e la puntò di nuovo sull'ignara forma immobile, sollevandola a pochi centimetri da terra, quindi la trainò facilmente al campo base.
Intanto Ari adocchiò la sua preda tra le numerose bestie sedute intorno a un grande albero con i loro piccoli. A differenza delle altre, non aveva cuccioli e sembrava più giovane. Aveva un bel portamento eretto, e il pelo lucido, come se si fosse appena bagnata al fiume là vicino. La prese di mira e sparò. Si aspettava dalle altre femmine la stessa reazione di fuga che poco prima aveva rilevato nel gruppetto dei maschi, ma rimase molto sorpreso. Le femmine, infatti, circondarono subito la forma che giaceva a terra, cercando di farla rialzare, sollevandole la testa, accarezzandola e sollecitandola con suoni gutturali. Ari non sapeva come comportarsi. Gli avevano insegnato a non interferire con l'ambiente alieno. Mostrandosi avrebbe sovvertito l'equilibrio di quel micro ambiente? Ma del resto, non erano proprio quegli animali ad aggirarsi intorno al campo per curiosare? Il danno era già fatto. La sua azione non poteva peggiorare di molto la situazione. Ari si decise. Uscì allo scoperto e si avvicinò al branco. Con un movimento perfettamente sincronizzato, tutte le teste si voltarono all'unisono verso di lui, e tuttavia rimasero immobili dove si trovavano. Nello stesso tempo, con la coda dell'occhio, Ari percepì un movimento dietro gli alberi. Si voltò solo un attimo per valutare la situazione. Il gruppetto dei maschi si stava avvicinando.
Ari decise che ci voleva un elemento di sorpresa per allontanarli tutti.
– Berin, dove sei? – disse al comunicatore.
– Dietro di te. Mi sto divertendo un sacco.
– Beh, smettila di divertirti e vieni a darmi una mano.
– Cosa vuoi che faccia?
– Rumore. Fai un po' di baccano e vediamo se la sorpresa sarà sufficiente a farli allontanare.
– E rumore sia! – rispose Berin, attivandosi.
Il rombo di un'esplosione colpì immediatamente le orecchie di Ari, quelle del branco e probabilmente quelle dell'intero campo base a poca distanza. Nello stesso tempo il tronco di un albero si schiantò a metà come colpito da un fulmine. Questa volta l'intero branco sparì in una nuvola di foglie sollevate dalla fuga precipitosa. Rimase a terra, immobile, soltanto la preda designata.
– Ti hanno fatto faticare, eh? Va bene, potevi dirmelo che dovevo fare tutto io – scherzò Berin, sollevando la vittima addormentata con un leggero campo levitante.
– Andiamo a consegnarli subito a Nush. Tutta questa agitazione mi ha messo una strana voglia.
– Perché perdere tempo, allora? Vieni da Berin, mio bel cacciatore.
La piccola umanoide ripiombò a terra senza molta delicatezza, insieme alla pistola e al leggero equipaggiamento da esplorazione breve. Seguirono, in un unico mucchio, scarponi, tute, caschi di protezione e bracciali comunicatori.
Il tappeto del sottobosco non era piacevole sotto la pelle come le sofisticate lenzuola del Servizio Spaziale, ma in un certo senso procurava un brivido d'avventura, un senso di ribellione alla stretta disciplina che guidava le esperienze esplorative progettate con maniacale ristrettezza di vedute. Quella era la libertà. E inoltre, sembrava proprio che quel pianeta vergine partecipasse in qualche modo alla loro intimità. Era come una presenza viva tra Berin e Ari, riscaldava le loro carezze, vibrava nei loro baci, spingeva con più forza il membro di Ari che si accaniva nel varco tra i magnifici glutei di Berin. Beveva il sudore di entrambi, assorbendolo, valutandolo, riconoscendolo, accettandolo.
Infine, sfiniti, si ritrovarono entrambi distesi a osservare un varco di cielo tra il fitto fogliame, respirando ritmicamente per riprendere fiato.
– Ari, non ho parole. Non avevo mai goduto tanto.
– Nemmeno io. C'è qualcosa su questo pianeta. È qualcosa che ti fa sentire più vivo.
– Sì, è qualcosa che ti tiene in continua eccitazione.
– Sarà dannoso?
– Non lo so, ma vuoi sapere cosa penso? Non me ne importa niente. È bellissimo sentirsi così.
– Anche gli altri sono molto eccitati, vorrebbero spaccare tutto e tornarsene a casa. Meglio che portiamo questi esemplari a Nush, prima che la situazione degeneri.

Già dalle prime prove, Ninhur comprese che la femmina non era adatta a portare avanti una gravidanza. La sequenza genetica dell'ominide era compatibile con la loro, ma all'atto dell'inseminazione, il sistema immunitario dell'esemplare si metteva in moto in maniera inarrestabile, espellendo il feto nel giro di poco tempo.
Provarono con una femmina più adulta, che aveva già un cucciolo, ma i risultati furono ugualmente deludenti.
Ninhur arrivò a pensare che il seme di Nush non fosse idoneo e chiese a Ari di fornire il suo. Berin rise per due giorni, immaginando tanti piccoli minatori con la faccia di Ari. Ma in laboratorio il processo si ripeté come una copia esatta della prima serie di esperimenti, con i medesimi deludenti risultati.
Intanto la miniera riprese la sua regolare attività. Gli uomini sapevano che i genetisti si stavano dando da fare e questo li aveva convinti a essere pazienti.
Un giorno Ari decise di andare al laboratorio a vedere come proseguissero le sperimentazioni effettuate grazie al contributo del suo seme. Visto l'umore dei suoi colleghi, sarebbe stato il momento giusto per riportare qualche buona notizia.
Al laboratorio fu accolto da uno degli androidi che, nonostante fosse rivestito di una pellicola dorata, possedeva credibili sembianze umane.
Ninhur lo ricevette con un sorriso tirato e poi lo informò dei mancati progressi.
– Niente. Non ce la fanno. Abbiamo già provato con tre soggetti. Questi umanoidi hanno un sistema immunitario di tutto rispetto. Qualunque cosa il loro corpo riconosca come estranea viene espulsa in tempi brevissimi. Se riuscissimo a far crescere i feti un po' di più, potremmo tentare di proseguire la crescita al di fuori dell'utero, ma è una strada improbabile con le nostre attrezzature.
– Allora non ci sono speranze – commentò Ari, avvilito.
– Forse potrebbe esserci un'alternativa – affermò Nush, che era presente all'incontro.
– Davvero? E quale? – domandò Ninhur, sorpresa.
– Potremmo fare il contrario di quello che stiamo tentando.
– Sarebbe a dire?
– Impiantare il seme modificato del maschio umanoide in una femmina umana.
Ninhur impallidì, crollando su una sedia.
– Vorresti che IO diventassi parte diretta dell'esperimento? Sei impazzito? – urlò.
– Sei tu che tenevi tanto a questo esperimento, no? Di sicuro ci sarebbero maggiori probabilità di successo, in questo caso.
– Dimmi che stai scherzando. Non posso fare niente del genere. È impossibile. Non potrei nello stesso tempo essere l'osservatore e l'osservato. Dobbiamo trovare un'altra donna disponibile.
Quindi, Ninhur ammutolì, indignata.
– E chi, per esempio? – le domandò Nush.
Ninhur non rispose.
Ari ci pensò sopra per qualche istante, poi decise.
– Mami! –
Ninhur e Nush lo guardarono stupiti, poi entrambi sorrisero.
– Mami è perfetta. È quella che più di tutti cerca di sollevare una rivolta. In questo modo otterremo due risultati: elimineremo un sobillatore dalla miniera e otterremo gli umanoidi modificati che ci servono.
– Chi ti dice che come incubatrice possa riuscire meglio delle umanoidi?
– Mami dà il meglio di sé solo nelle imprese impossibili. È l'unica che riesce là dove tutti gli altri hanno fallito.
– Dovrete fare dei turni più lunghi per evitare che si noti la sua assenza alla miniera.
– Non si noterà alcuna differenza – affermò Ari con sicurezza.
– Allora non ti resta che proporglielo. Auguri!

Se la scelta si fosse effettuata in base alla bellezza, non avrebbe potuto essere più indovinata. Mami era la donna più bella della missione. I suoi occhi erano due cristalli azzurri e i suoi capelli biondi brillavano come una cascata d'oro puro. La sua pelle bianchissima possedeva una trama fine e compatta. Nonostante le curve sinuose, la sua figura era slanciata e armoniosa. Se la scelta si fosse invece effettuata in base al carattere, non avrebbe potuto essere peggiore. Mami era tremenda, o per dirla con Ari, era una donna impossibile, insopportabile e intrattabile.
Ciononostante Ari riuscì a convincerla nel breve volgere di due passaggi dal buio alla luce, o come si erano ormai abituati a dire, in due giorni.
Berin non era particolarmente paziente e nemmeno troppo diplomatico, quindi si era arreso in poche ore. Ari aveva dovuto perciò combattere la sua battaglia da solo. Quando era ormai giunto all'estremo limite della sua pazienza e iniziavano a passargli per la mente convincenti immagini di storditori, bavagli e sequestri, lanciò per caso la formula magica.
– Allora torniamo tutti in miniera e che nessuno si lamenti più del nostro ingrato destino, dal momento che avevamo una possibilità e l'abbiamo buttata via.
Esasperato, Ari le voltò le spalle senza salutare e si diresse con decisione verso il proprio alloggio.
– Aspetta! – urlò Mami.
– Che altro c'è?
– Ci ho ripensato. Proverò.
Ari sentì un moto di vittoria sgrovigliare i suoi visceri, ma non volle mostrare il suo entusiasmo. Si permise un sospiro di soddisfazione solo una volta varcata la porta del suo alloggio. Berin sentì il sospiro dalla cabina-letto.
– Non dirmi che sei riuscito a convincerla.
– Sì! – urlò Ari, prima di precipitarsi tra le sue braccia per ricevere la giusta ricompensa.

Per Nush e Ninhur iniziò un intenso periodo di lavoro e sperimentazione, quindi Mami si trasformò in incubatrice, non senza prima aver dato il giusto filo da torcere a entrambi. I primi sette tentativi diedero risultati orripilanti, oltre che fantasiosamente deformi, ma poi si arrivò finalmente a ottenere una creatura degna di questo nome. Era dotata di due braccia, due gambe, una spina dorsale e una bella testa. Forse ce l'avevano fatta.
L'ibrido aveva i capelli neri e gli occhi scuri dell'umanoide donatore, e la pelle di un colore scuro, ma non tanto quanto quella dell'ignaro benefattore. Presto ci si rese conto che poteva parlare e che capiva. Nush e Ninhur si affrettarono a produrne dei cloni. Alla fine erano cinquanta in tutto.
Furono gli astronauti minatori a terminare la loro istruzione, insegnando ai giovani schiavi come usare i laser per tagliare la pietra. Con il loro contributo il lavoro proseguì con maggiore celerità.
Intanto Mami ritornò intrattabile. I suoi protetti avevano vita breve. Secondo il suo parere bisognava fare nuovi esperimenti per renderli più longevi e inoltre creare qualche femmina perché si riproducessero da soli.
Nush era assolutamente contrario.
– Ninhur, aiutami a convincerlo. Sono così belli!
– Mami, spero che tu stia scherzando.
– E va bene, ma è colpa vostra. Potreste fare di meglio. Sono così intelligenti, così pronti a fare qualunque cosa gli chiedi. Bisogna farne altri. Sono disposta a fare da incubatrice per tutto il tempo che riterrete opportuno.
– Ti ricordo che non abbiamo ancora chiesto l'autorizzazione per questo esperimento.
– E non la chiederemo finché non avremo ottenuto un ibrido degno di essere presentato ai nostri superiori sull'astronave madre.
– Mami, se sapessero quello che stiamo facendo qui, ci abbandonerebbero sul primo asteroide disponibile per i prossimi trentasei secoli.
– E noi non diremo niente a nessuno. Però, se dobbiamo macchiarci di una grave disobbedienza, che sia almeno per una creatura migliore di questa. Lo esigo.
Nush sospirò.
– Mami, sei una donna impossibile. Pur di farti smettere, sono pronto a riprovarci.
– Evviva!

La seconda generazione di piccoli ibridi apparve dopo poco. Questa volta ciascuno fu il frutto di esperimenti singoli, con altrettanti donatori e senza clonazione. Si produssero sette femmine e sette maschi, alcuni più chiari, altri più scuri; tra loro persino un albino e un esemplare con i capelli rossi, che diede non poco da pensare. Non avevano mai visto capelli di quel colore, eccetto che nei ritratti dei musei.
– Sapevi di avere antenati rossi, Mami?
– Certo che no. Perché voi sapete chi sono i vostri antenati?
– Basta fare un semplice test genetico.
– Lo so, ma non mi è mai interessato. A chi importa sapere chi c'è stato prima di te?
– Hai ragione, però mi turba sempre pensare che il nostro genoma è adesso parte di questa creatura ibrida – commentò Ninhur.
– Forse non dovevamo farlo – ammise Nush.
– Senti, Nush, queste creature sono magnifiche e insieme a loro mi sento felice. Quindi non guastarmi tutto. Penserò io a loro. Li nutrirò e li educherò. E spero che questi durino più degli ultimi. Non appena ti abitui a loro, ecco che muoiono.
Al campo si costruì un grande alloggio per Mami e i suoi cuccioli ibridi. Tutti dovettero ammettere che Nush e Ninhur avevano fatto un gran lavoro. Dopo di che, gli ibridi non tardarono a riprodursi da soli, sotto lo sguardo soddisfatto di Mami. La miniera fu in breve lasciata totalmente alla gestione degli schiavi, con un solo astronauta controllore per gruppo di lavoro.

Mami si prendeva cura degli ibridi con grande impegno. Non solo si era assunta il compito di badare a loro, ma si arrabbiava molto per qualunque interferenza. Ascoltava i consigli dei compagni con insofferenza, soprattutto quando comprendevano una critica per il suo essersi affezionata a loro come se poi non dovessero essere distrutti.
Esasperata, un giorno ne parlò con Ari, che sembrava l'unico in cui nutrisse ancora un barlume di fiducia.
– Mami, non possiamo lasciarli qui, lo sai.
– No, non lo so. Sono intelligenti, sono docili, ubbidienti, affettuosi. Sono dotati di virtù che noi neppure riusciamo a vedere, perché non le riconosciamo più. Ari, promettimi che non ne parlerai mai con nessuno, ma... prometti.
– Prometto. Per cosa sto promettendo?
– Ari, io credo che abbiano qualcosa di diverso da noi, qualcosa di più.
– Certo che sono diversi da noi. Sono piccoli e vivono poco. Ma più di noi cosa?!
– No, dico sul serio, hanno qualcosa di speciale. Ho cercato di analizzare di che cosa si tratta, ma anche Nush si è dovuto arrendere. È come se fossero collegati intimamente con il pianeta. E provano sentimenti che noi non proviamo.
– Mami, possono anche essere le creature migliori dell'universo, ma non possiamo lasciarli qui. Se scendesse un Osservatore all'improvviso, saremmo tutti radiati immediatamente dal Servizio Spaziale.
– Mettiamolo ai voti. Indico un'assemblea per domani mattina e voglio qui anche Nush e Ninhur. Dirama l'annuncio, per favore.
– Come vuoi, Mami.
L'assemblea si trasformò in una grigliata all'aperto sotto il cielo notturno. Fu in quell'occasione che scoprirono i benefici effetti del fumo prodotto dal grasso bruciato. Aspirandolo si sentirono tutti più rilassati e tranquilli. Avevano trovato per caso il rimedio a quella sorta di frenesia che li accompagnava costantemente dal momento in cui avevano messo piede sul pianeta. Da allora fu pratica comune e costante bruciare il grasso degli animali, sopra una grande griglia posta al centro del campo. Questo compito fu assegnato agli ibridi, che lo presero molto sul serio.

Quando gli esperti annunciarono il cessato pericolo per l'atmosfera del loro pianeta, al campo giunsero i complimenti del Presidente Al e del Consiglio. Quello che non si aspettavano era una visita ispettiva in coincidenza con l'annuncio di fine missione.
L'Osservatore Mikol scese dal cargo appena atterrato. A riceverlo c'era solo la squadra pronta a caricare le pesanti casse. Tra loro si trovò per caso anche Ari. Riconoscendo la divisa, gli venne un colpo. Lasciò la squadra di nascosto e a gran velocità raggiunse la casa di Mami mentre con il comunicatore avvertiva del pericolo Nush al laboratorio e Berin alla miniera. Mami andò su tutte le furie.
– Non lascerò che uccidano i miei ragazzi.
– Sono diventati i tuoi ragazzi, adesso? Non ti sembra di esagerare?
– Lascia perdere, non c'è tempo per discutere. Io accompagno nella foresta quelli che sono in casa. Tu fai uscire tutti quelli che sono alla miniera e li fai nascondere verso nord. Che sia chiaro per tutti che non devono farsi vedere da nessuno. Devono sparire!
– Ci proverò – promise Ari, correndo via.
Non molto più tardi, sopraggiunse l'Osservatore Mikol, accompagnato da Nush e da Ninhur, a piedi. Per lasciare più tempo a Mami e a Ari di nascondere la loro assurda disobbedienza alle regole ferree del Servizio Spaziale, loro stessi si erano precipitati al campo di atterraggio senza i loro monoposto, dichiarando che il campo base era vicinissimo. In effetti lo era, ma Mikol era abituato a spostarsi in ogni caso a bordo di un mezzo meccanico, per cui storse leggermente il naso per quello che ritenne un imbarbarimento degli usi.
Il campo base era deserto. Tutti gli astronauti si erano infatti trasferiti velocemente nella miniera per sostituire gli schiavi fuggiti con Ari. Quando vi giunsero Mikol e i suoi accompagnatori, furono accolti da Berin, che manovrava gli ascensori dall'esterno.
– L'Osservatore Mikol – lo presentò Ninhur.
– Benvenuto alla miniera che sta salvando il nostro mondo – disse Berin.
– Sono qui per annunciare la fine della missione – affermò orgoglioso l'Osservatore.
Berin sorrise e ringraziò, poi si attaccò al comunicatore annunciando la lieta notizia ai suoi compagni.

– Figli miei, la nostra missione qui è terminata. Tra poco voleremo sul nostro mondo. Ma vi prometto che tornerò, un giorno. E adesso, mi raccomando, rimanete nascosti.
Non vi dimenticherò – disse Mami ai suoi protetti.
Quando Mami fece per andarsene, tutti la circondarono, abbracciandola, piangendo e pregandola di restare con loro. Ma lei doveva andare. Le restò nelle orecchie e nel cuore quell'implorazione: Mami, Mami, Mami...
Davanti alla miniera trovò il caos dei suoi compagni che vociavano di gioia perché presto sarebbero tornati a casa. Ari la raggiunse.
– Sono tutti in salvo, Mami, ma siamo sicuri di fare la cosa giusta?
– Sì, sono sicura.
– Ma come se la caveranno da soli, senza il cibo del campo, senza vestiti, senza tutto ciò a cui sono abituati?
– Ce la faranno. Ho insegnato loro tutto ciò che hanno bisogno di sapere.
– Tranne una cosa che impareranno da soli, la libertà – aggiunse Ari.

Bastò una settimana per smontare il campo e caricare i moduli sui cargo, man mano che anche gli astronauti venivano trasferiti sull'astronave madre. L'orto e il piccolo allevamento di Nush e Ninhur furono distrutti con maniacale precisione. Una squadra fu fatta scendere sul pianeta appositamente a questo scopo. Dovevano controllare che non rimanesse alcuna traccia del loro passaggio. Ordini del Servizio Spaziale.
Quando l'ultimo cargo fece ritorno all'astronave madre, l'Ammiraglio ordinò di fare rotta verso casa.
A tutti i reduci della missione fu concessa una settimana di riposo. Ari e Berin sapevano come utilizzarla, anche se il distacco dal pianeta si era già manifestato con un immediato calo di quella frenesia cui si erano assuefatti.

Mami osservò il pianeta allontanarsi nello spazio, con una strana malinconia. Era blu, con grandi continenti verdi e un piccolo satellite. Laggiù sulla Terra aveva lasciato un po' di lei. "Miei cari figli, un giorno tornerò" pensò.