Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: "Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni". 
(Genesi 6, 1-4)


Rigim si addentrò nel bosco al primo chiarore dell’alba. L’oscurità ancora fitta tra i lecci era il riflesso delle ombre presenti nel suo animo inquieto. Camminò a lungo, finché i suoi pensieri non si tinsero di quella luce che, finalmente, filtrava tra i rami. Allora si fermò, sospirò e con andatura indolente tornò verso casa.
Il suo nome attuale era Goffredo Perez d’Aleccio, in onore dello straordinario pittore Perez d’Aleccio, che aveva magnificamente ritratto l’assedio di Malta del 1565, nel Palazzo del Gran Maestro, a La Valletta.

In cucina lo attendevano il giornale e la colazione che Siranush gli aveva preparato, prima di salire al piano superiore, per la pulizia delle camere.
Goffredo si servì una tazza di caffè e prese il quotidiano. Le notizie di politica e di cronaca non lo interessavano molto. Era alla ricerca di un’unica notizia, ben consapevole, da sempre, che su quelle colonne non l’avrebbe mai letta. Accanto al giornale c’era un depliant che annunciava l’inaugurazione di una nuova nave da crociera della MSC. Le foto erano splendide. Goffredo pensò che non era mai salito su una nave tanto bella. Mangiò svogliatamente qualche biscotto, di quelli che Siranush faceva apposta per lui, poi si trasferì in giardino, passeggiando lentamente attraverso l’oliveto che arrivava in cima alla collina. Da lì spaziò con lo sguardo fino al mare, ripensando al suo primo viaggio attraverso il Mediterraneo, su una galea che, da Malta, lo aveva condotto fino al porto di Genova. Di solito non amava rivangare il passato ma, quel giorno, già dal suo risveglio, molto prima dell’alba, il suo umore aveva oscillato tra una profonda infelicità ed una cupa disperazione. Quando si trovava oppresso da quei lugubri sentimenti, la sua mente si voltava indietro e sprofondava in un lungo tunnel che sembrava non avere inizio. Ricordò una frase di suo padre: “Per aver amato una figlia degli uomini, molto presto morirò, ma se non l’avessi amata, tu non saresti qui, figlio mio”.

 

L’immensa nave salpò lentamente dal Molo Angioino. Era alta 60 metri e grande come un paese galleggiante, 333 m. di lunghezza per 38 m. di larghezza. Poteva ospitare 3.952 croceristi, distribuiti in 1.637 cabine, tra le quali Goffredo aveva scelto un’esterna con balcone. Era dotata di ben 13 ponti passeggeri, 14 ascensori e 52 saloni tematici. La “MSC Fantasia” era al suo primo viaggio e splendeva come un gioiello, trasportando con sé anche un equipaggio di 1.325 addetti.
Era sul balcone della sua cabina, comodamente sprofondato su una poltroncina nuova di zecca, mentre il suo sguardo si perdeva fino ai confini sfumati di quell’orizzonte marino, ricco degli scintillanti riflessi dell’ultimo sole.
Da un’eternità se ne andava a zonzo per mare, cercando una compagna. Durante la sua lunga ricerca aveva trovato donne di ogni età e genere, ma mai quella giusta. Ripensò a quanti viaggi per mare avesse compiuto, ogni volta diversi e sempre più confortevoli, girando tutto il mondo, sempre in cerca di un’unica rarità: una discendente dei Setiti.
Suo padre proveniva dall’Armenia e aveva vagato fino in Siria, dove aveva conosciuto sua madre e dove lui era nato, in un’oasi del deserto di Jazira, a metà strada tra Damasco e Baghdad. Per amore, laggiù, suo padre si era trasformato in beduino.
Goffredo aveva girato il mondo in cerca dei discendenti dei Setiti, di cui suo padre gli aveva inculcato la genealogia, nelle lunghe serate seduti davanti alla tenda, sotto la volta di un cielo incredibilmente stellato.
Set era il terzo figlio di Adamo ed Eva, ed era vissuto 912 anni.
Enos era il figlio di Set ed era vissuto 905 anni.
Kenan era figlio di Enos ed era vissuto 910 anni.
Maalaleèl era figlio di Kenan ed era vissuto 895 anni.
Suo figlio Jared era vissuto 962 anni.
Suo padre gli aveva insegnato che Enoch, il figlio di Jared, era asceso in cielo.
Il figlio primogenito si chiamava Matusalemme ed era vissuto 969 anni. Il fratello di Matusalemme si chiamava Rigim, e da lui Goffredo aveva ereditato il nome.
Lamech era figlio di Matusalemme ed era vissuto 777 anni.
Il figlio di Lamech era Noè ed era vissuto 950 anni.
I suoi figli si chiamavano Sem, Cam e Jafet. Dopo altre numerose generazioni, da Jafet era disceso suo padre, Ofir. Quando era nato Rigim, Ofir aveva 500 anni. Goffredo pensava che se ancora esistevano discendenti diretti, come lui, sapevano nascondersi molto bene. Del resto non si era anche lui nascosto tutta la vita? Non aveva dissimulato, non era fuggito, non aveva osato qualunque stratagemma perché il suo segreto non fosse svelato? Aveva cercato a lungo, in ogni luogo, in ogni modo, persino con i moderni mezzi messi a disposizione dalle recenti tecnologie, come internet. Ma il suo entusiasmo e le sue speranze si erano sempre miseramente arenati. Così si era arreso ed ora sperava soltanto di conoscere una qualsiasi figlia degli uomini, con cui andare almeno d’accordo, procreare, ed in breve, morire. Probabilmente era proprio lui l’ultimo dei Setiti. Era nato nel 1408: aveva già compiuto 600 anni. Se avesse avuto un figlio, gli avrebbe tenuto nascosto il suo segreto, in modo che la sua vita fosse esattamente uguale a quella di chiunque altro. A che gli era valso, in fondo, vivere tanto a lungo? A soffrire dieci volte più di quanto avvenga per un essere umano qualsiasi? A quale scopo? Una volta unitosi ad una figlia degli uomini, la sua vita sarebbe stata breve, lo sapeva bene, ma quella infruttuosa ricerca lo aveva definitivamente sfinito.
Il buio calò in fretta e Goffredo si accinse a lasciare la cabina, dopo essersi cambiato per la cena. I volti dei passeggeri che incontrava avevano espressioni serene. Essendo il primo giorno di navigazione, nutrivano curiosità per tutto ciò che li circondava. Le coppie si sorridevano e qualcuna si teneva per mano. Goffredo si recò al Ristorante Etnico. Conosceva pressoché tutte le tradizioni culinarie del mondo, perciò non si attendeva alcuna sorpresa. Un cameriere lo accompagnò ad uno dei tavoli rotondi, dov’erano già sedute due donne, all’incirca della stessa età, intorno ai trenta. Si presentarono, poi continuarono la loro conversazione, ignorandolo. Al tavolo si unirono, in breve tempo, due uomini ed un’altra donna. La conversazione generale si sviluppò con la presentazione del menù della serata. I piatti che venivano offerti erano accolti con un entusiasmo che Goffredo non condivideva appieno. La donna che si era seduta per ultima, presentandosi come Miranda, era l’unica che, similmente a lui, non avesse partecipato né all’entusiasmo, né alla conversazione. I suoi occhi neri si erano comunque spostati con una pacata curiosità sugli altri commensali. Sedeva proprio di fianco a Goffredo, ma non si era mai voltata a guardarlo in viso. Prima del dolce, lui si decise a lasciare quella insulsa compagnia, scusandosi.
Andò a passeggiare sul ponte, sicuro che in quella crociera si sarebbe annoiato in maniera intollerabile. Forse sarebbe sceso a Malta e da lì avrebbe preso un aereo per l’Italia. Quel viaggio era stato un errore. Non era sbagliata la crociera in sé, ma non era giusto il momento.  In qualche modo era stata Siranush a convincerlo, anche se non avrebbe saputo spiegare come. La nave era splendida, ma Goffredo, nonostante si sentisse terribilmente solo, trovava gravoso cercare compagnia. 

Alle prime luci del giorno, il ponte della nave era invaso da uomini e donne intenti al loro jogging, mentre Goffredo passeggiava con indolenza, godendosi la vista del mare. Ad un tratto, tra le persone che correvano, si trovò di fronte Miranda, che lo guardò dritto negli occhi. Un colpo di sciabola una volta gli aveva fatto lo stesso effetto: si era sentito trapassare da parte a parte. Si fermò di colpo, senza fiato. Poi si voltò indietro e vide Miranda, ferma due metri più avanti, che si appoggiava al parapetto. Anche lei si girò. Si fissarono nuovamente per un brevissimo istante, prima che Miranda voltasse di scatto il viso verso il mare.
Goffredo si avvicinò alla donna.
- Si sente bene, Miranda?
- Chi è lei? – rispose, seccata, come se rivolgerle la parola fosse stato uno sgarbo imperdonabile.
- Sono Goffredo. Ieri sera, al ristorante, ero seduto accanto a lei. – le ricordò.
- Non me ne rammento, ed in ogni caso non le ho mai dato il permesso di chiamarmi per nome. –
- Mi perdoni, signora. Ho avuto l’impressione che non si sentisse bene. Chiedo scusa per l’invadenza. Le auguro una buona giornata.
La donna, senza neppure rispondere, si staccò dal corrimano e ricominciò a correre. I suoi capelli, neri come la notte, possedevano sorprendenti riflessi di blu.
Miranda gli ricordava qualcuno. Doveva essere stato molto tempo addietro. Ci avrebbe riflettuto con calma. Non era poi così importante.
Pranzò al ristorante più vicino alla sua cabina e si accorse con sorpresa che anche Miranda era seduta poco lontano. Per fortuna i loro sguardi non si incrociarono. Quella donna gli provocava un’inquietante sensazione, inoltre la trovava arrogante, scontrosa e, con un eufemismo, poco simpatica. Purtroppo, quando decise di lasciare il ristorante per tornare in cabina, si scontrò, sulla porta, proprio con lei.
- Mi scusi. – mormorò Miranda, abbassando lo sguardo.
- Scusi lei. – rispose Goffredo, cedendole il passo, con un leggero inchino.
Poi la seguì, suo malgrado, lungo il corridoio, scoprendo, dispiaciuto, che erano vicini di cabina.
Entrambi introdussero la tessera magnetica nella fessura ed il bip dell’apertura risuonò all’unisono.
Miranda gli lanciò uno sguardo sorpreso, poi passò attraverso la porta, che chiuse con delicatezza. Goffredo fece altrettanto.
Un libro lo aspettava sul tavolino del balcone, dove si accomodò, senza più pensare a lei. Sprofondato nella lettura e del tutto dimentico del mondo, ad un tratto avvertì un colpo di tosse alla sua sinistra. Sorpreso, sollevò lo sguardo e si avvide che il balcone accanto al suo era occupato dalla sua vicina, anche lei intenta alla lettura di un grosso volume. Goffredo rientrò in cabina e si buttò sul letto. Aveva deciso di non correre rischi con quella donna. Non voleva in alcun modo che Miranda potesse pensare che s’interessasse di lei. Nemmeno per sbaglio. La nave attraccò al porto di Palermo.
Mentre i passeggeri della nave scendevano per il primo scalo, Goffredo se ne restò a bordo, godendosi una passeggiata sugli altri ponti. Al decimo, imbattendosi da lontano in Miranda, fece dietro front e salì sul primo ascensore libero. La incontrò ancora al nono e poi all’ottavo. A quel punto Goffredo decise di scendere a terra. Tuttavia, appena messo piede sul molo, si trovò Miranda a meno di due metri di distanza.
- Mi sta seguendo? – gli sfuggì, guardandola con incredulità.
- No, anzi, stavo per chiederle la stessa cosa. –
- In realtà, sono sceso a terra per non incontrarla ovunque. – ammise Goffredo.
- E’ bizzarro: è lo stesso motivo per cui sono qui. – affermò Miranda, sorridendo, per la prima volta.
Goffredo pensò che quel sorriso era stato come un raggio di sole.
- Beh, visto che siamo qui e che abbiamo perso tutti i pullman organizzati per le visite, cosa facciamo? – chiese lei, stupendolo.
Goffredo si riprese in fretta.
- Dove vorrebbe andare? – le chiese, sorridendo anche lui.
- Che ne direbbe di Monreale? La sua Cattedrale è stupenda e la rivedrei con molto piacere. –  propose Miranda.
- Sono d'accordo. Possiamo prendere un taxi. – suggerì Goffredo.
- Anche lei l’ha già vista? –
- Sì, molto tempo fa. –
Non osò nemmeno pensare quanto.
Doveva essere il 1585. Mentre si festeggiava l’ingresso trionfale del vicerè Diego Enrìquez Guzmàn, conte di Alba de Liste, lui, seduto su una panca in fondo alla navata centrale, decideva proprio allora di lasciare la Sicilia, senza aver trovato quello che cercava. Dopo vent’anni, riteneva ormai del tutto inutile continuare ad inseguire il suo sogno.
Il taxi li lasciò proprio davanti alla Cattedrale. All’interno trovarono un folto gruppo di croceristi, che si aggiravano ammirati tra le colonne dorate. Durante il breve viaggio, Goffredo e Miranda si erano scambiati pochissime parole. Ora si guardavano intorno con la medesima espressione. Quella di chi stenta a riconoscere un luogo già visto. 
- Manca qualcosa. – mormorò Miranda.
- Il silenzio. – asserì Goffredo, che aveva già compreso il motivo del suo disagio.
Miranda lo guardò con un lieve sorriso di approvazione, apprezzando l’esattezza della sua affermazione. Il vocio dei visitatori disturbava la sacralità del tempio e ne sminuiva quasi la bellezza.
Un paio d’ore più tardi, Goffredo invitò Miranda a tornare al porto.
- Mi spiace strapparla alla sua contemplazione, ma la nave riparte alle venti. Dovremmo andare.
- Oserebbero ripartire senza di noi? – chiese, fingendosi scandalizzata.
- Non ho dubbi, signora. –
Un lieve sorriso apparve sulle labbra di Miranda.
Il taxi, dopo un percorso affrontato nel più totale silenzio, si fermò al molo cui era attraccata la “MSC Fantasia”. Goffredo ne emerse velocemente e aprì la portiera per far scendere Miranda, tendendole la mano. La donna, scendendo a sua volta, gli disse:
- Grazie, mio cavaliere. –
Goffredo trasalì.
Appena risaliti sulla nave, mentre prendevano un ascensore, dagli altoparlanti si diffuse l’annuncio della partenza per Malta.
- Appena in tempo. – esclamò Miranda.
- Anche per la cena. – aggiunse Goffredo, incerto se invitarla a mangiare insieme.
- Ho visto un bel ristorante al ponte nove. – commentò lei.
- Preferisce che ci incontriamo là per caso, o ci andiamo insieme? – domandò Goffredo, con ironia.
- Tanto vale che andiamo insieme. Mezz’ora le basta? –
- A me sì e a lei? –
- Busserò alla sua cabina, quando sarò pronta. – affermò Miranda, inserendo la tessera nella fessura.
Dopo il bip si salutarono con un cenno del capo.
Quando fu pronto, Goffredo si affacciò al balcone. La notte era fresca, il cielo limpido era affollato di stelle e nella sua mente continuava a girare a vuoto un’immagine che non riusciva a precisare né a trattenere. Aveva l’impressione, sempre più marcata e prepotente, di aver già incontrato una donna come Miranda, qualcuna che le somigliava straordinariamente. Ricordare chi fosse, avrebbe potuto cambiare qualcosa? Si trattava di certo di una semplice coincidenza.
Udì bussare alla porta.
- Stava dormendo? – chiese Miranda, seccata.
- No, perché? – rispose Goffredo, sorpreso.
- Ho bussato a lungo. –
- Ero sul balcone, forse il vento mi ha impedito di sentirla. –
- E’ pronto, almeno? –
- Sì, certo. Possiamo andare. –
Quella donna gli ispirava pensieri confusi e contrastanti. A momenti in cui gli appariva aristocratica e deliziosa, ne seguivano altri in cui si mostrava scostante, altera ed arrogante. Tuttavia, se in un primo tempo avrebbe preferito evitare qualunque rapporto con lei, ora ne era talmente affascinato da sentirsi indulgente verso i suoi difetti e curioso di scoprirne i pregi e le virtù.
Avviandosi lungo il corridoio, si arrischiò a porgerle il braccio. Miranda vi si appoggiò con estrema titubanza, come se a quel semplice contatto temesse di contaminarsi. Goffredo sorrise dentro di sé. All’ingresso al ristorante le cedette il passo con un leggero inchino, che le provocò un fuggevole sorriso. Quei sorrisi, che gli concedeva con estrema parsimonia e apparentemente a malincuore, costituivano per Goffredo una nuova fonte di attrazione.
- Lei è deliziosa quando sorride, lo sa? Peccato che le sfugga di rado. – si rammaricò Goffredo.
- Devo prenderlo come un complimento o come un rimprovero? – replicò Miranda.
- Lo intenda come un complimento e come un invito a ripeterlo più di sovente. – affermò Goffredo, sorridendo a sua volta.
- Sa che anche lei non è un tipo facile? A prima vista sembra un lupo solitario, che non ha alcuna intenzione di mescolarsi alla volgare plebe. Poi, quando si lascia andare, fa immaginare che dietro la sua maschera rigida e scostante sia celato un animo nobile e cortese, pronto a correre in soccorso del prossimo in difficoltà. Lei mi ricorda un cavaliere senza macchia e senza paura. Qual è la verità?
- Come sempre la verità giace nel mezzo. Andiamo a sederci. – le propose.
Il cameriere li accompagnò ad un tavolo per due, dov’era già accesa una lampada dalla calda luce rosata.
- Lei viaggia molto? – le chiese Goffredo.
- Più di quanto possa immaginare. – rispose lei con un sospiro. – Ma ho intrapreso questa crociera solo per riposare.
- Io invece non so nemmeno perché mi sia imbarcato. Credo mi abbia incuriosito questa nave, che in effetti è splendida. Viaggiare per mare, una volta, non era così comodo. – commentò Goffredo.
- Ha assolutamente ragione. Molto tempo fa, viaggiare per mare costituiva piuttosto un incubo. – affermò Miranda, con la sicurezza di chi parla con cognizione di causa, assurdità che Goffredo non ritenne opportuno sottolineare.
- Oggi siamo fortunati. Questa nave è un vero gioiello.
- L’ha già vista tutta?
- Sarebbe impossibile. Siamo appena partiti.
- Allora potremmo esplorarla insieme. – propose Miranda.
- Con grande piacere.
Tra poco giungeremo a Malta. E’ l’unico attracco che m’interessi davvero, sia per il suo indiscutibile fascino, che per motivi personali.
- E’ così anche per me. In effetti stavo valutando la possibilità di fermarmi lì. – dichiarò Goffredo.
- Sa che la stessa idea aveva sfiorato anche me, non è strano?
- Forse, alla fine, scopriremo di avere alcune cose in comune. - ipotizzò Goffredo, fingendosi allarmato.
- Per farlo dovremmo abbattere qualche muro. – commentò Miranda, non troppo convinta.
- In effetti non è la mia specialità. E la sua?
- No, nemmeno la mia. Sono d’indole sospettosa e mi tengo sempre a debita distanza. Magari si riconosce anche lei in questa descrizione?
- Completamente. – rispose Goffredo, ridendo.
Un’altra caratteristica in comune, dopo tutto. – commentò lei, ridendo a sua volta.
Quando il cameriere giunse con le ordinazioni, iniziarono a mangiare in silenzio. Goffredo osservò la grazia e l’eleganza dei movimenti con cui la donna portava il cibo alle labbra e pensò che non avrebbe sfigurato alla tavola di un re. Miranda era affascinante, sebbene il suo carattere presentasse aspetti sconcertanti. Forse, più che una dama, gli ricordava una regina, sia per l’arrogante sicurezza, che per la spontanea superiorità che trasparivano dai suoi modi. Ne aveva conosciuta qualcuna, tanto da vicino da poter affermare che Miranda appariva persino più regale di loro.
- Gradisce un dessert? – le chiese, quando ebbero finito.
- No, grazie. Per me basta così. – si difese Miranda.
- Una passeggiata, allora?
- Sì, accetto con piacere.
Sul ponte si erano riversati molti croceristi, che passeggiavano lentamente, nonostante l’aria umida e fresca della notte.
- Questo cielo mi ricorda quello del deserto. – commentò Miranda, sospirando.
- Ci sono troppe luci. Nel deserto il cielo è profondamente nero e le stelle risaltano maggiormente. – obiettò Goffredo.
- Sì, è vero. Lei quale deserto ha visto?
- Ho vissuto nel deserto di Jazira.
- Ah, nel regno di Zenobia! – esclamò Miranda.
- Esatto. Lo conosce?
- Un po’. Ma credo che in fondo i deserti si assomiglino tutti.
- Può darsi. – rispose Goffredo, che non era per nulla convinto di questa affermazione, ma trovava del tutto irrilevante discuterne.
- Che lavoro fa? – chiese Miranda, cambiando argomento.
- Sono un antiquario. E lei?
- In un certo senso, anch’io. Commercio in libri antichi. Ed ecco un’altra straordinaria coincidenza. – esclamò, guardandolo stupita.
- Come mai questa specializzazione?
- Ho soltanto ereditato l’attività di mio padre. Vede, sono nata e cresciuta in mezzo a tomi antichi e polverosi. Non saprei mai staccarmene.
- Capisco. – disse Goffredo.
- E lei come ha iniziato? – si interessò Miranda.
- Beh, da principio ero soltanto un collezionista. Poi sono sopravvenuti gli scambi, ed infine il commercio vero e proprio.
- Interessante. E la sua famiglia dove vive? – chiese Miranda, saltando di palo in frasca.
- Purtroppo non ho più una famiglia. – ammise Goffredo, a malincuore.
Miranda lo guardò con espressione rincresciuta e lievemente incredula.
- Anch’io ormai sono sola al mondo. Appartenevo a una famiglia antica, con tradizioni solide e radicate.
- Non ha mai pensato di formarsi una famiglia tutta sua, avere dei figli e ricominciare tutto da capo?
- Non è facile. Le tradizioni della mia famiglia d’origine erano molto rigide in proposito ed io sono fermamente decisa a seguirle.
- Io ho sentito di tradizioni una più strana dell’altra. Una volta ho conosciuto un uomo che avrebbe potuto unirsi esclusivamente con le discendenti di una data famiglia, ma non ne trovò e così rimase solo. Io credo, però, che tutte le tradizioni abbiano una motivazione di sussistere solo finché mantengono uno scopo, qualunque esso sia, ma che poi debbano modificarsi, secondo le necessità del tempo, che mutano col variare della società in cui si vive. L’alternativa è sparire, estinguendosi, come quell’uomo, l’ultimo della sua discendenza.
- In un certo senso quell’uomo mi assomiglia. – ammise Miranda.
- Non so come, ma l’avevo intuito. – concluse Goffredo.
- Le spiace se rientriamo? Comincio a sentire freddo. –
- Niente affatto. Si è fatto tardi. – acconsentì Goffredo.
Giunti davanti alle cabine, Goffredo le augurò la buonanotte baciandole la mano, con un leggero inchino. Miranda gli sorrise con una singolare espressione di complicità, lasciandolo ad arrovellarsi sul significato di quella sorprendente manifestazione.
Goffredo ripensò alla loro conversazione. Miranda gli assomigliava davvero. Anche lei doveva essere l’ultima della sua discendenza e, per quanto figlia degli uomini, la comprendeva benissimo. Forse anche lei avrebbe potuto comprenderlo, giustificando la sua storia e la sua decisione di abbandonare la ricerca infinita che lo aveva portato alla disperazione. Per una donna come lei, forse, avrebbe potuto cedere e mutare il suo destino.

 

Gli altoparlanti annunciarono il prossimo attracco al porto di La Valletta. Goffredo era sul balcone, seguendo l’accostarsi della nave all’isola. Anche Miranda stava ammirando l’incantevole città che si avvicinava, con una strana espressione dipinta sul volto. Ad un tratto si voltò verso di lui e lo salutò.
- Scende con me? – le chiese.
- Con molto piacere. Ma aspettiamo che siano scesi gli altri. Odio la ressa.
All’idea di mescolarsi alla folla, anche Goffredo provava la medesima repulsione. Così rimasero sul balcone a guardare la nave attraccare al molo e i croceristi sciamare a frotte dalla nave. Quando sembrò che il grosso fosse ormai disperso per le strade della città, Miranda si voltò verso di lui, limitandosi a fargli un cenno col capo.
La zona del porto era in pieno fermento. A poca distanza c’era il capolinea degli autobus, gialli e rossi, con il tetto bianco. Miranda volle prenderne uno per Mdina.
- Da lassù si gode di una vista splendida. – affermò.
- Lo so. – rispose Goffredo, sorridendo della sua ingenua esaltazione.
L’autobus li trasportò verso ovest. Mdina si trovava a circa 15 Km da La Valletta, abbarbicata sopra un’altura rocciosa. Aveva mantenuto il suo aspetto tipicamente medievale, con i suoi edifici barocchi e normanni, le sue strette viuzze acciottolate e le piazzette su cui si affacciavano chiese e palazzi. Sulla piazza centrale spiccava la bellissima Cattedrale Siculo-Normanna.
Quando giunsero alle mura, Miranda corse ad affacciarsi.
- Guardi! Da qui si vede tutta l’isola. – lo invitò.
- Sì. E’ spettacolare. – commentò Goffredo.
- Lo sa che questo luogo ha 3000 anni di storia?
- Sì, un tempo era il centro politico di Malta. – specificò lui.
- Lei la conosce bene, vero?
- Sì. Ci ho vissuto per qualche tempo.
- Anch’io ci ho vissuto, molto tempo fa. – ammise Miranda.
- Non sarà qui che l’ho già incontrata?
- Impossibile. – fu la secca risposta di Miranda.
- Eppure mi sembra d’averla già conosciuta. – commentò Goffredo, osservandola pensierosamente.
- Ma non qui. – ribadì Miranda, con espressione sicura.
- Eppure… –
- Allora, andiamo? – lo incitò, voltandosi verso di lui, che era rimasto immobile e la guardava frastornato. Un pensiero fugace gli aveva attraversato la mente per un istante, come un’illuminazione, ma l’invito pressante di Miranda gliel’aveva fatto sfuggire.
Passeggiarono a lungo, percorrendo i vicoli e sbucando sulle piazzette piene di gente. Poi si fermarono in un bar, con tavolini riparati da grandi ombrelloni bianchi.
- L’atmosfera è completamente cambiata. –  commentò Goffredo.
- E’ il turismo di massa che ha rovinato tutto. – affermò Miranda, imbronciata.
- Anche noi siamo turisti, oggi.
- E’ vero. Ha ragione. – riconobbe lei.
- Andiamo a mangiare? –
- Ottima idea. Sono affamata. –
Trovarono un ristorante poco lontano e dopo il pranzo tornarono a La Valletta, continuando la loro passeggiata lungo i bastioni, che si affacciavano sul mare.
- Tornerebbe a vivere qui? – chiese Miranda, osservando il mare.
- Non credo. Mi sono affezionato alla Toscana. –
- Nemmeno io. C’è troppo caos. A me piacciono i luoghi tranquilli, senza tutta questa agitazione.
- Allora dovrebbe venire a trovarmi. Io vivo in un piccolo castello in mezzo al nulla. A perdita d’occhio solo colline, boschi, oliveti ed il mare in lontananza. – descrisse Goffredo.
- Ci vive da molto?
- Soltanto da qualche anno. Sono stato per la maggior parte della vita una specie di nomade.
- Capisco che si sia stancato dei traslochi. La Toscana è un bel posto dove fermarsi. – commentò Miranda.
- Si sta facendo tardi, signora. Sarà meglio tornare verso la nave.
- Ma può chiamarmi Miranda!
- Se me ne dà il permesso…
- Ma certo. Andiamo. Malta mi ha deluso.
- Sperava di incontrare qualcuno? – le chiese Goffredo.
- No. Qui non c’è più nessuno che conoscessi. E lei?
- Nessuno, non più. – dichiarò Goffredo.
- Ma non c’è alcun motivo di essere tristi. In fondo, pur essendo partiti da soli, adesso ci troviamo in buona compagnia. – lo consolò Miranda.
- Ringrazio il cielo di averla incontrata, Miranda. Trovo la sua compagnia squisitamente piacevole.
Miranda assunse all’improvviso un’espressione molto seria.
- Goffredo, anch’io mi trovo bene con lei, però mi preme mettere in chiaro una cosa. Tra noi non può esserci altro che una semplice amicizia. 
- Non desidero altro. Questa è una straordinaria novità per me. – commentò Goffredo, senza batter ciglio.
- Vuol farmi credere che non ha amici?
- Credo di essere l’uomo più solo del mondo. – si lasciò sfuggire Goffredo, sperando di non provocare la sua commiserazione.
- Anch’io sono terribilmente sola. Sono contenta di averla conosciuta. – dichiarò Miranda.
- Forse potremmo rivederci ancora.
- Non credo. Finita questa crociera, ciascuno tornerà alla sua vita. – affermò Miranda, con convinzione.
- E non le andrebbe di sentirci o vederci, qualche volta? – propose Goffredo, che già rifiutava l’ineluttabilità di quella separazione.
- Ci devo pensare. – temporeggiò Miranda.
- Faccia con comodo. Ho tutto il tempo. – mormorò Goffredo, pensando “tutto il tempo del mondo”.

Per l’ultima sera a bordo, era in programma un grande ballo d’addio. Per l’occasione, Miranda indossò un lungo abito color pervinca, molto scollato, spolverato di minuscoli strass. Ne aveva anche tra i capelli, raccolti in alto, con ciocche che le ricadevano sul collo e sulle spalle.
- E’ splendida, Miranda. – si complimentò Goffredo, vedendola.
- Grazie, mio cavaliere. Anche lei è molto elegante.
Goffredo le offrì quindi il braccio, al quale Miranda si appoggiò con la sua grazia innata e con la confidenza ormai acquisita durante quella settimana, in cui si erano assiduamente frequentati.
- Mi dispiace che sia finita. – si rammaricò, come leggendo nel pensiero di Goffredo, che non si rassegnava assolutamente all’idea che la crociera stesse terminando.
- Possiamo vederci ancora, Miranda, basta che lei lo voglia.
- Sarebbe troppo complicato.
- Non c’è niente di complicato. Lei mi dirà quando e dove, ed io sarò là.
- Lei non può capire. E’ meglio che finisca ora, glielo assicuro. – affermò Miranda, con espressione combattuta.
- Credo che potrei capire, se mi spiegasse le sue ragioni. – commentò Goffredo.
- In realtà non posso, ma lo dico per il bene di entrambi. – sostenne Miranda.
Goffredo, scoraggiato, decise di non insistere oltre.
Il salone era affollato in maniera soffocante. Il volume delle casse acustiche era quasi intollerabile, ma la bravura dell’orchestra era all’altezza dell’alto standard della nave.
Goffredo e Miranda ballarono in mezzo alla folla. Goffredo la teneva tra le braccia con delicatezza. Il calore del suo corpo ed il suo profumo sottile gli provocarono un inatteso, sconosciuto e sorprendente languore. Dopo alcuni balli lenti, che lo disposero in uno stato tra l’ipnotico e il sognante, la donna lo pregò di uscire a prendere una boccata d’aria. A stento riuscirono a farsi largo tra la calca.
Quando arrivarono a guadagnare l’uscita, scoprirono che anche il ponte era pieno di gente. Miranda aveva lo sguardo smarrito, come se fosse in preda ad un attacco di panico.
- Andiamo di sopra. – suggerì Goffredo, trascinandola via.
Al ponte superiore, la piscina era deserta e si accomodarono sui lettini.
- Qui va meglio. – affermò la donna, sospirando.
Dopo qualche minuto di silenzio, Goffredo azzardò:
- Ci ha pensato, Miranda?
- A che cosa?
- Al nostro futuro.
- Che vuol dire? – chiese la donna, allarmata.
- Mi darà il suo numero di telefono? Mi permetterà di chiamarla?
Miranda si rilassò.
- E lei mi darà il suo?
- Naturalmente, con piacere.
- Va bene, così potremo ancora sentirci, qualche volta.

 

Nonostante quest’ultima affermazione, il mattino seguente, Goffredo e Miranda si salutarono al Molo Angioino, con l’espressione di due persone convinte che non si sarebbero sentite né viste mai più.
Goffredo raggiunse la sua auto al parcheggio, depose la valigia nel portabagagli ed entrò nell’abitacolo. Con un sospiro avviò il motore e si diresse verso casa.
Grazie a Miranda, era consapevole che il suo cuore viveva ancora, stupefacente novità che costituiva, già di per sé, un autentico miracolo. Il sottile dolore che già provava a causa della sua assenza, ne era una prova inconfutabile. Ricordò all’improvviso una pena simile a quella. Si trovava sulle mura di Mdina ed il vento faceva svolazzare una candida sciarpa che aveva legato all’elsa della sua spada. Mirabella l’aveva salutato, per l’ultima volta, fuggendosene chissà dove. Era stata l’unica eccezione che si era concessa in una vita priva di sentimenti profondi. Per la verità, non se l’era concessa, gli si era imposta, al di là della sua ferrea volontà e del suo rigore virtuoso. Il loro rapporto, improntato alla più nobile virtù, non gli aveva lasciato neppure il ricordo di un bacio, rimpianto o rimorso che accomunava l’addio di Mirabella a quello di Miranda. E, per un attimo, nel suo pensiero, le due donne si confusero. Miranda era stata un’amabile compagna di viaggio. Il suo fascino era ammantato di mistero. Avrebbe dato cent’anni di vita per scoprirne gli arcani, nonostante fosse pressoché certo che lei non si sarebbe mai lasciata convincere a rivedersi ancora. Poco prima, sul molo, mentre le sue labbra gli dicevano “arrivederci” i suoi occhi gli avevano detto “addio”.

Come ogni volta che faceva ritorno alla sua ultima residenza, Goffredo si chiedeva: “Per quanto ancora?”
Per quanto tempo era possibile rimanere in uno stesso luogo, senza destare sospetti? Si era deciso ad acquistare quel piccolo, delizioso castello, circondato da un’enorme estensione di terra, perché gli era apparso sicuramente isolato. Cambiava governante e giardinieri ogni due o tre anni, andandoli a cercare sempre più lontano, anche all’estero. Prendeva ogni precauzione possibile, ma le cose si facevano sempre più complicate. Il mondo intero era stato invaso dalla burocrazia e quella era la sua nemica più infida. Cambiare nome non bastava più per rimanere al riparo. Presto, per nascondersi, avrebbe dovuto traslocare sulla Luna.

 

Siranush si accertò che Goffredo fosse in giardino, prima di telefonare.
- Hai saputo com’è andata? – chiese.
Ascoltò la risposta, con un lieve sorriso.
- Allora non ci resta che aspettare. – concluse, chiudendo la comunicazione.

Era tornato da due settimane alla sua vita solitaria, quando un pomeriggio ricevette una telefonata di Miranda.
- Non mi aspettavo di sentirla tanto presto. – si stupì Goffredo.
- Io invece mi aspettavo una sua chiamata, ma visto che non si decideva…
- Mi fa immensamente piacere sentirla, Miranda. Come sta?
- Piuttosto bene. Sono tornata ai miei affari. E lei?
- Ho appena finito di sistemare alcune pratiche in sospeso. Pare che i miei collaboratori non possano vivere senza di me.
- Allora siamo pari. Io però non ho alcuna intenzione di farmi seppellire tra le scartoffie. Che ne direbbe di un fine settimana da qualche parte? – propose Miranda.
- Dove vuole. Ho già la valigia pronta. – accettò Goffredo, tentando di non far trasparire dalla voce il suo incontenibile entusiasmo.
- Decida lei.
- Mi mette in imbarazzo. – si difese Goffredo.
- Allora mi venga a trovare. – propose Miranda.
- Dove abita? –  le chiese.
- Già, non gliel’ho mai detto. Vivo a Roma. Ho un attico che si affaccia su Piazza Navona. Roma le piace?
- Sì, moltissimo, ma ci sono stato poche volte e sempre di passaggio.
- Bene, allora mi raggiunga. – lo invitò Miranda.
- Ne sarò felice.
Goffredo rimase piacevolmente sorpreso dalla telefonata di Miranda. Aveva riflettuto a lungo su quanto tempo fosse conveniente aspettare, prima di chiamarla, temendo che, se Miranda l’avesse ritenuto insufficiente, si sarebbe adombrata, trattandolo freddamente. A questa eventualità Goffredo voleva prepararsi con calma. Evidentemente, ci aveva riflettuto fin troppo. Ancora una volta, quella donna l’aveva sorpreso. Le sue reazioni erano sempre lontane da quelle che lui si attendeva.

Quando Goffredo giunse a Roma, la chiamò per avere maggiori precisazioni sul suo indirizzo. Miranda lo aspettò davanti all’enorme portone del palazzo dove abitava. Salutandola, le porse un mazzo di fiori colorati, avvolto in un velo trasparente, color del tramonto.
- Prima di tutto vorrei cercarmi un albergo nei dintorni. – annunciò Goffredo.
- Sta scherzando? Lei è mio ospite. – rispose Miranda, fingendo un’espressione oltraggiata.
- Mi scusi. Non volevo offenderla. –
- Scusi lei, forse non sono stata chiara, al telefono. Il mio invito comprendeva vitto e alloggio. – affermò sorridendo.
- Lei è di una gentilezza infinita. – commentò Goffredo, attraversando con la donna il portone.
- Non c’è ascensore, mi dispiace. Queste case antiche hanno il loro fascino, ma anche le loro scomodità.
- Non si preoccupi, sono abituato alle scale.
Ciononostante, giunto all’ultimo piano, Goffredo ansimava leggermente.
- Venga. – lo invitò Miranda, aprendo la porta su un immenso salone. - Di qua ci sono le camere degli ospiti. Ecco, questa è la sua, si accomodi. - continuò, aprendo una delle numerose porte del corridoio in cui lo aveva introdotto. - Si sistemi pure e poi mi raggiunga in soggiorno.
La camera era molto grande, con una porta che dava su un bagno privato. Una finestra affacciava sulla piazza, affollata di gente, che passeggiava intorno alla fontana, tra piccioni che svolazzavano e pittori di strada intenti a comporre ritratti a chiunque si lasciasse convincere.
Ripose il suo borsone nell’armadio e poi uscì per raggiungere Miranda.
- Quasi mi perdevo. Il suo appartamento è enorme.
- Sì, lo so, è troppo grande per me, ma mi piace la posizione. Credo che ci rimarrò ancora per un paio d’anni.
- E poi che farà?
- Non so, potrei trasferirmi a Londra, o a Parigi. Non ho ancora deciso. Vede, anch’io sono un po’ nomade, come lei. Non posso restare in un luogo per molto tempo. –
- E’ per questo, forse, che non riusciamo a stringere legami duraturi. – dichiarò Goffredo, fissandola tranquillamente negli occhi.
- Lei si è mai sposato? – chiese Miranda, spiazzandolo.
- No. Non ho mai trovato la persona giusta.
- E come dev’essere questa persona, per essere giusta?
- Potrei girare la stessa domanda a lei. – disse Goffredo, senza risponderle.
- Gliel’ho già detto. Io devo seguire le tradizioni impostemi dalla mia famiglia.
- Pensavo che fosse un comportamento ormai obsoleto. Ma mi sbagliavo, evidentemente. – commentò Goffredo.
- Ci sono comportamenti di cui non sono in grado di spiegarle le necessità. – disse Miranda, senza in realtà scoprirsi.
- O non vuole. – l’accusò Goffredo.
- Credo che sia giunta l’ora di andare a farci una passeggiata; è troppo presto per discorsi così impegnativi, non trova? – suggerì Miranda, regalandogli uno dei suoi rari sorrisi.
- Ne convengo. – acconsentì Goffredo, lasciandosi facilmente affascinare.

 

Camminarono a lungo, schivando i passanti. Roma, in qualunque stagione, era sempre invasa dai turisti.
- Questa città è davvero splendida, ma non è piuttosto inadatta per una donna che ama la pace ed evita accuratamente il caos?
- Sì, lo è, ma ho il mio rifugio, come ha potuto constatare, ed io esco poco. Sono una specie di monaca di clausura. L’esterno mi attrae e mi respinge allo stesso tempo. Non so come spiegarlo.
- Di solito, questo è il frutto di un numero incalcolabile di delusioni. Mi sbaglio?
- No, non si sbaglia affatto. Lei mi stupisce sempre. E’ come se riuscisse a leggermi dentro, più di quanto non creda.
- Ne sono compiaciuto.
- In un certo senso anch’io. Era da tempo che non mi capitava di conoscere qualcuno con cui confrontarmi, senza dover subire il fastidio di sicure incomprensioni.
Goffredo pensò che un giorno, probabilmente, sarebbe arrivato a confessarle il suo segreto, tanta era l’affinità che sentiva con lei.

Cenarono in casa, dove Sirarpì, la cuoca armena, aveva provveduto a preparare i pasti.
- Questa è decisamente un’altra straordinaria coincidenza. Anche Siranush, la mia governante, è armena. – affermò Goffredo, lievemente stupito.
- Non mi sorprende più nulla. Evidentemente abbiamo un destino comune. Spero che ciò costituisca la solida base per una duratura amicizia.
- Ne sono certo. – commentò Goffredo.
Conversarono piacevolmente per il resto della serata, seduti sul terrazzo che si affacciava sulla piazza, mentre gli scrosci d’acqua della fontana del Nettuno ed il vociare dei passanti facevano da sottofondo.
A mezzanotte Miranda lo invitò a rientrare in casa.
- E’ ora che vada a dormire. Non sono abituata a fare le ore piccole, come avrà notato durante la crociera.
- Sì, infatti. Come Cenerentola, a mezzanotte sparisce.
- Ma qui ha un vantaggio. Domani non dovrà venire a cercarmi con una scarpetta di vetro.
- Questa è una buona notizia, perché non saprei dove procurarmene una. –
- Buonanotte, Goffredo. – disse, sorridendogli.
- Buonanotte, Miranda. –
Una volta disteso sul letto, Goffredo notò un quadro appeso alla parete, proprio di fronte a lui. Era un’antica stampa che ritraeva una veduta di Malta dal mare. Chiuse gli occhi e rivide lo stesso paesaggio come l’aveva osservato dal balcone della sua cabina. Miranda lo scrutava a pochi metri da lui. Cosa lo aveva colpito nella sua espressione? Solo in quel momento si rese conto che i sentimenti che aveva riconosciuto sul volto di Miranda erano i medesimi che aveva provato dentro di sé: rammarico, malinconia e rimpianto. Quella notte non riuscì a dormire bene. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, mentre nei suoi sogni c’era sempre Miranda che si allontanava, scomparendo dalla sua vita. Ogni volta ne provava una sofferenza inaccettabile e si svegliava di soprassalto. Prima dell’alba rinunciò al sonno.
Miranda lo trovò sul terrazzo a scrutare l’alba sui tetti di Roma.
- E’ mattiniero!
- Buongiorno, Miranda. – disse voltandosi verso di lei.
- Che splendida mattina. Ha dormito bene?
- Sì, grazie. E lei?
- Non molto. Ho fatto strani sogni, o dovrei piuttosto chiamarli incubi. Perciò mi sono alzata così presto. Ero stufa di quel film.
- Me li racconti. Condividendoli con me, le sembreranno meno brutti. – la invitò Goffredo.
- No. Stanno già sbiadendo e non ho alcuna intenzione di fermarli. Facciamo colazione?
- D’accordo. Sa che lei è una specialista nel cambiare discorso?
- Sono molto allenata.

 

Mentre si dirigevano in cucina, Goffredo notò in un angolo del soggiorno un leggio con un voluminoso tomo aperto, all’interno di una teca di vetro. Incuriosito, si avvicinò per osservarlo.
- Genesi-6. –  constatò Goffredo.
- E’ del milleduecento. Dovrebbe essere esposto in un museo, ma appartiene alla mia famiglia da sempre. E’ un’eredità a cui non posso rinunciare. – ammise Miranda, accarezzando con affetto il bordo di legno della teca.
- Ha tutta la mia comprensione. E la scelta della pagina?
- Un’altra tradizione di famiglia. – asserì Miranda.
- Anche Genesi-5 è molto interessante. La tradizione della mia famiglia mi ha imposto di impararla a memoria appena raggiunto l’uso della ragione. –  le rivelò Goffredo.
- E’ piuttosto normale che siamo un po’ stravaganti, a giudicare dalle famiglie da cui proveniamo, non trova? – commentò Miranda.
- Ma che cos’è, in fondo, la normalità?
- Non ne ho idea. In compenso, ho molta fame. Andiamo a far colazione.
- Ai suoi ordini, signora.
Miranda, che si era già avviata in direzione della cucina, si fermò all’improvviso, voltandosi verso di lui.
- Mi chiami Miranda.
- Le spiace che la chiami signora? –  domandò Goffredo.
- A dire il vero, mi fa sentire vecchia. – chiarì Miranda.
- Una pulzella che si sente vecchia! – la canzonò  Goffredo.
- Non mi provochi, non riuscirà mai a conoscere la mia età.
- Allora mi costringe a tenere segreta la mia. – reagì Goffredo, il cui ultimo pensiero, in quel momento, era di spaventarla con la rivelazione di aver compiuto 600 anni.
- Faccia pure. L’età per me non è altro che un imbroglio dell’anagrafe. Preferisce caffè o tè? –
- Caffè, grazie. -
E con grande efficienza, Miranda troncò il discorso a colpi di biscotti e marmellate.

Quel giorno Miranda portò Goffredo attraverso Via dei Coronari, dov’era la sua libreria, fino al Pantheon.
- Questo è un tempio della Roma antica, – disse Miranda – il meglio conservato dell’antichità. Originariamente era dedicato a tutti gli dei. Forse, grazie a questa ampia protezione, è rimasto in piedi nonostante tutti i terremoti, le guerre, i saccheggi e le devastazioni d’ogni sorta. Nel VII secolo divenne chiesa cattolica, col nome di Santa Maria ad Martyres, ma qui lo chiamano “La Rotonda”, semplicemente, come questa piazza.
- Entriamo? – propose Goffredo, che lo rivedeva volentieri.
Come furono sotto la cupola a cassettoni, il loro sguardo fu attirato dal foro centrale, a cielo aperto.
- La genialità dell’oculo sopra di noi, sta nell’effetto camino. Quando piove, una corrente d’aria ascensionale frantuma le gocce d’acqua, cosicché all’interno si ha l’impressione che non piova. – spiegò Miranda.
- Lei è una guida perfetta. – si complimentò Goffredo.
Quando furono usciti, Miranda gli parlò di un altro tempio rotondo a Roma.
- Non lo conosco. Come si chiama?
- Santo Stefano Rotondo. Si trova al Celio. Lo conoscono in pochi. Lo vuole vedere?
- Sì, con piacere.
Quando vi giunsero, dovettero attendere alcuni minuti, perché i visitatori venivano accolti solo in gruppi di venti alla volta, motivando questa necessità con l’esistenza di restauri in corso, che limitavano i movimenti all’interno del tempio.
Miranda, intanto, gli spiegò che l’edificazione risaliva al V secolo e che era stata effettuata sulla preesistente costruzione di una caserma romana, poi si lanciò in una descrizione persino eccessivamente dettagliata dell’interno.
- In origine la pianta circolare era costituita da tre cerchi concentrici. Lo spazio centrale, col diametro di 22 metri, era delimitato da 22 colonne, quello più esterno aveva un diametro di 42 metri, con colonne collegate ad archi, che però adesso sono inserite in un muro continuo, e l’ultimo, di 66 metri di diametro, che non esiste più, era chiuso da un muro basso. A questo anello erano collegati quattro ambienti di maggiore altezza, che formavano una croce greca. – terminò la donna.
- Dalla sua descrizione mi pare di intravedere una somiglianza con la rotonda della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. – commentò Goffredo, sopraffatto dalla saccente esposizione di Miranda.
- Sì, infatti, ma non soltanto. Somiglia anche ad altri edifici di epoca costantiniana, soprattutto i martyria.
- Ma lei ha fatto la guida turistica di mestiere? – le chiese Goffredo, per prenderla un po’ in giro.
Miranda non rispose, limitandosi a lanciargli uno sguardo di sbieco.
Quando uscirono, dopo una visita molto accurata, Goffredo si guardò intorno.
- E adesso dove mi porta?
- Le va una lunga passeggiata? – propose Miranda.
- Con lei andrei in capo al mondo. – le rispose.
- Non esageri, la prego, mi imbarazza. Qui dietro ci sono le Terme di Caracalla. Andiamo di là. – decise, avviandosi a passo deciso.
- Ai suoi ordini. – rispose Goffredo, seguendola.
Miranda gli lanciò un allarmante sguardo malizioso.
Chiacchierando, attraversarono il lungo Viale delle Terme di Caracalla, quindi il Viale del Parco del Celio, fino a raggiungere il Colosseo.
- E’ stanco? – chiese Miranda.
- Non ancora.
- Ha una bella resistenza, complimenti.
- Adesso, però, mi permetta di offrirle il pranzo. Tutto questo movimento mi ha aperto l’appetito. – dichiarò Goffredo, ignorando l’imponente monumento ai piedi del quale si erano fermati.
Miranda accettò, ridendo.
- Dovrebbe ridere più spesso. Gliel’ho già detto, vero?
- Mi pare proprio di sì.
Trovarono un ristorante poco lontano e quando uscirono Goffredo propose di tornare in centro.
- Prendiamo la metropolitana. In un attimo saremo a Piazza di Spagna. -propose Miranda, dopo aver constatato l’assenza di taxi nei dintorni.
Continuarono a camminare per l’intero pomeriggio, passando da Piazza di Spagna a Trinità dei Monti, da Via della Croce a Via del Corso. Quindi, dopo una breve fermata per un caffè, imboccarono la Via del Seminario, e, passando di nuovo davanti al Pantheon, proseguirono sbucando finalmente in Piazza Navona.
- Caspita! Che giro! – si limitò a commentare Goffredo, nascondendo la sensazione di essere in procinto di soccombere, stramazzando al suolo senza ritegno.
- Caspita! Che resistenza! Mi dica ancora che non è stanco.
- Non posso cedere davanti a lei. Non mi avvilisca. – si difese, scherzando, Goffredo, che stava facendo appello al suo ultimo residuo di dignità.
- Non si preoccupi, non ci tengo. Saliamo in casa. Abbiamo decisamente bisogno di rifocillarci.
Goffredo gliene fu infinitamente grato, nonostante il pensiero allarmante delle scale che ancora lo attendevano.
Una volta in casa, assalirono la cucina.
- La domenica è il giorno libero di Sirarpì, ma qualcosa da mangiare velocemente la troveremo di sicuro.
- Per me va bene tutto. – dichiarò Goffredo, già rinfrancato dalla posizione seduta.
- Panini?
- Perfetto.
Mentre Miranda si dava da fare con un coltello affilato e una serie di involti da cui emergevano formaggi e salumi, Goffredo dichiarò:
- Questi due giorni sono volati. Vorrei rivederla presto.
- Per le prossime settimane sarò molto impegnata, ma non appena mi sarà possibile, la chiamerò, glielo prometto. – gli assicurò Miranda.
- Non le dispiace se intanto la chiamerò io, per sentire come sta?
- Ma no, certo che no. Anzi, mi farà piacere. – rispose Miranda, con tono rassicurante.
- Non trascorrevo giornate così piacevoli da moltissimo tempo. Le sono infinitamente grato.
- La sua gratitudine è fuori luogo. Il piacere che provo in sua compagnia è insostituibile. Lei mi sta cambiando, mio malgrado. Forse è per questo che il mio istinto mi spinge a tenerla a distanza, mentre la mia ragione reclama la sua presenza. – confessò Miranda, con voce incerta.
- Riconosco in me le medesime contraddizioni, quindi non posso biasimarla. – ammise Goffredo, consapevole di mentire all’unico scopo di non farle pesare il suo imbarazzo.
- Perché lei mi capisce così bene? Cosa c’è nel suo passato che l’ha indotta a vivere una vita che assomiglia tanto alla mia? – si stupì Miranda.
- Chi lo sa? Magari un insieme di vicissitudini simili, che hanno segnato la sua esistenza, così come la mia. – suppose Goffredo.
- Impossibile. – affermò Miranda, con quel tono sicuro e secco che non ammetteva repliche.
- Se un giorno avremo abbastanza fiducia l’uno nell’altra, potremmo comunque raccontarcele.
- Forse, un giorno.  

 

Goffredo guardava il mare dalla sua collina. Quella vista non gli procurava più l’impellente bisogno di partire sulla prima nave. Il viaggio cui anelava adesso era diverso, era un’esplorazione nei sentimenti, nei ricordi, nei suoi trasalimenti interiori. Oppure un viaggio per via di terra che, percorsi pochi chilometri, avrebbe potuto condurlo al cospetto di Miranda. L’amava. Non aveva più dubbi. Quell’impaziente agitarsi di tutto il suo essere, quella smania e quell’inquietudine che non si placavano, erano amore. Il suo corpo aveva scoperto il desiderio. Aveva scoperto di essere affamato di quel contatto che aveva sempre ripudiato e respinto come il male assoluto. Com’era stato facile, per tutta la sua vita, mantenere la castità. Non aveva mai dovuto affrontarla come un nemico. Seguiva, semplicemente e naturalmente, la sua indole. Adesso, invece, a quel desiderio Goffredo voleva cedere, e non v’era alcuna sofferenza in questa consapevolezza, bensì un’impazienza ardente, che rasentava da vicino l’ossessione. Non gli importava più della sua discendenza, del suo destino, della ricerca a cui aveva consacrato secoli. Era pronto ad affrontare la fine, così come aveva fatto suo padre, pur di tenere tra le braccia Miranda, la figlia degli uomini che amava tanto teneramente.
Con lo sguardo fisso all’orizzonte, ripercorreva nella mente la sua statuaria bellezza. Nei suoi occhi neri, grandi e profondi, apparivano scintille di luce quando qualcosa la divertiva, una frase ridicola, un pensiero fugace; il suo naso diritto e sottile, così aristocratico, era la rappresentazione della sua dirittura morale e della sua ferrea volontà; le sue labbra carnose e sensuali si schiudevano per ogni raro sorriso, a malincuore, come dovesse raccoglierne la forza da un luogo terribilmente difficile da raggiungere. L’incarnato era ambrato; la pelle vellutata come una pesca, fresca e levigata; i capelli neri come la notte, folti e pesanti come un manto serico, ornamento regale e magnifico, con le sue ondulazioni naturali e come vive; le mani eleganti, sottili e delicate, offerte nude al mondo. Non le aveva mai viste ornate di gioielli, eppure apparivano adorne di ogni grazia. E poi il suo corpo, quello di una dea, vera figlia di Eva, come doveva essere nata nella mente del Creatore.

Ogni settimana la chiamava al telefono, e a volte le faceva pervenire un’orchidea, ma nonostante le confidenze e i resoconti un po’ desolanti della loro routine quotidiana, non progettavano di rivedersi. Quel sabato, trascorso ormai un mese, Goffredo, non riuscendo ad indugiare oltre, aveva aggiunto, al biglietto che accompagnava l’omaggio floreale, un invito, proposto con una semplice frase: “Verrebbe con me a Parigi per il fine settimana?”
Ora attendeva trepidante una risposta. Poiché Miranda non gli aveva ancora telefonato, sperava che gli avesse inviato almeno un biglietto. Era mattina inoltrata, quando si decise a staccare lo sguardo dall’orizzonte di quel mare calmo e immutabile ed a percorrere il lungo vialetto tracciato fra i lecci, che portava ai cancelli della proprietà. Per l’ennesima volta aprì la cassetta della posta, trovandovi finalmente l’atteso biglietto di Miranda, che gli rispondeva:
“A Parigi tra due settimane. Grazie per le orchidee. M.”
Goffredo baciò il biglietto e se lo mise in tasca, risalendo lentamente verso casa, con un sorriso che non riusciva a contenere.

 

Goffredo e Miranda si rividero all’aeroporto di Fiumicino. Dopo un primo momento di imbarazzo, si lanciarono in una conversazione animata e priva di logica, saltando di palo in frasca, come timorosi di non riuscire a comunicarsi tutti i pensieri che affollavano la loro mente.
Salirono insieme sul volo per il Charles De Gaulle. Da lì un taxi li portò nel centro di Parigi, al Louvre Montana, in rue Saint-Roch, vicino ai giardini delle Tuileries e a due passi dal Louvre, dove Goffredo aveva prenotato due singole.
Dopo un quarto d’ora erano già fuori dall’hotel, smaniosi di addentrarsi per le strade della città. Percorsero rue Saint-Honoré fino al Louvre.
- E adesso? Andiamo verso l’Arco di Trionfo o all’Île de la Cité? – chiese Goffredo.
- Meglio all’Île. La luce sarà ancora buona per vedere Notre Dame. – decise Miranda.
- Allora sbrighiamoci, la strada è lunga.
- La resistenza non ci manca, no? – affermò lei, guardandolo ironicamente.
- L’ultima volta mi sembra di averglielo dimostrato. – asserì Goffredo, ricordando il duro colpo al suo amor proprio.
- Ah, sì. Ero convinta che ad un certo punto si sarebbe arreso, invece per poco non mi arrendevo io. – ammise Miranda.
- Beh, smettiamola di fare gli eroi. Quando saremo stanchi, prenderemo un taxi. E’ d’accordo?
- Assolutamente d’accordo. – accettò Miranda.
Presa questa saggia decisione, raggiunsero la stupenda Cattedrale di Notre Dame.
- Beh, mia guida, eccoci qui. Cosa mi dice di questo splendore?
- Cosa posso dirle che già non sappia? Che è una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo? Entriamo? – lo invitò Miranda.
- Siamo qui per questo, no? –
All’interno del tempio una folla incredibile li separò. Goffredo, pur ammirando distrattamente la struttura della Cattedrale, i rosoni e le colonne, continuava a cercare Miranda. Infine la raggiunse, trovandola in contemplazione della Vergine di Parigi.
- E’ bellissima, vero? – gli disse Miranda, quando si accorse della sua presenza accanto a sé.
- Di questa statua posso riferirle un pettegolezzo che mi hanno raccontato. – propose Goffredo.
- Sono tutta orecchi. –
Pare che tra il 1420 e il 1440, alcuni ricchi mercanti abbiano deciso di farla eseguire per aggiungere un ulteriore ornamento al tempio più importante della città. Però non fu apprezzata dai loro contemporanei, i quali commentarono che era esageratamente sontuosa e che simboleggiava più l’arrogante ricchezza di coloro che l’avevano commissionata, che la loro devozione. Tutta invidia, credo. – commentò Goffredo.
- Quali che siano state le ragioni che hanno mosso l’autore ad eseguire questa splendida Madonna col bambino, io la trovo commovente. -  replicò Miranda.
Quando uscirono, Goffredo la trascinò nella piazza antistante fino ad un cerchio di pietra inglobato nella pavimentazione, dov’erano incise le parole “Point zéro”.
- Funziona, sa? – affermò Miranda.
- Come potevo illudermi che non conoscesse la leggenda? – commentò Goffredo, lievemente deluso.
- E’ l’equivalente della monetina che si getta nella fontana di Trevi, per tornare a Roma.
- Che sbadato! Quando sono venuto a trovarla, me ne sono completamente dimenticato. – si rammaricò Goffredo.
- Non si preoccupi. Sono certa che troverà ugualmente modo di tornarci. – lo consolò Miranda.
- Non fosse altro che per rivederla.
- Vede che ha già trovato un buon motivo?
Goffredo la covò con uno sguardo ardente, che si precipitò immediatamente a spegnere.
- E adesso che facciamo? – le chiese, sperando che Miranda non l’avesse notato.
- Che ne direbbe di una gita in bateau-mouche? – gli propose.
- La crociera al tramonto è la più affascinante. Prendiamo il metrò? Qui vicino c’è la fermata di Pont Neuf. – suggerì Goffredo.
Lei ha vissuto qui, vero? – chiese Miranda, con quella sua spiazzante abitudine di cambiare argomento all’improvviso.
- Sì, per un po’. – ammise Goffredo.
- Me la consiglia? 
- Di questi tempi non so. Quando ci ho vissuto io, era meno affollata. – le rispose Goffredo.
- Allora è stato molto tempo fa. – intuì Miranda.
- Abbastanza.
- Non mi può dire quando?
No, non glielo posso dire. – dichiarò Goffredo.
- Ci saranno sempre tutti questi segreti tra di noi?
- No, non per sempre, ma ancora per un po’. Abbia pazienza come io ne ho con lei. 
- Touché! – ammise Miranda.
- Andiamo? Se non ci sbrighiamo farà buio.
- Stacanovista! – mormorò, avviandosi a passo spedito.
Goffredo la raggiunse ridendo.

Sul primo battello disponibile, trovarono posto nella prima fila di sedili.
- La posizione migliore, che fortuna! – esclamò Miranda.
- Alcuni preferiscono gli ultimi posti. – obiettò Goffredo.
Miranda si voltò a guardare gli altri passeggeri. Erano quasi tutte coppiette. Arrossendo lievemente, imbarazzata, riportò lo sguardo verso il ponte.
- Guardi avanti e si goda il panorama. – le consigliò lui, intuendo il motivo di tanto imbarazzo.
- Grazie. Si può sempre fare affidamento sul suo buonsenso. – dichiarò Miranda, con espressione contrariata.
- Perché ho l’impressione che non si tratti di un complimento? – commentò Goffredo.
- Perché non lo era.
- Cosa ho detto?
- Niente. – rispose Miranda, laconicamente.
- A cosa devo questo cattivo umore?
- Forse al fatto che non metto nulla sotto i denti da stamani a colazione? – rispose Miranda, con voce sarcastica.
Goffredo sospirò.
- Ce la fa ad aspettare un’ora? – chiese Goffredo, disposto a scendere anche subito, per farle piacere.
- Credo di sì. –  dichiarò Miranda, con espressione più mite.
- Cosa c’è Miranda, a parte l’appetito?
- Niente.
Goffredo la guardò. Le luci smorzate del battello colpivano il suo profilo, facendolo risaltare nettamente sullo sfondo ormai quasi buio del molo. Affrontando l’eventualità di una sua resistenza, osò prenderle una mano, che Miranda non ritrasse, nonostante un primo moto di sorpresa.
- Le rinunce volontarie sono le più penose da sopportare. – le mormorò. E non alludeva al cibo.
Miranda si voltò verso di lui con uno sguardo in cui si combattevano allarme, disorientamento e malinconia.
- Se lei possedesse doti telepatiche, me lo confiderebbe? – gli chiese.
- Se le possedessi, credo che le aggiungerei alla lunga lista dei miei segreti.
Il battello si staccò dal molo iniziando a seguire il pacato serpente d’acqua della Senna.
Goffredo stringeva la mano di Miranda con il desiderio di prolungare quel momento per l’eternità. Tutta la passione che aveva disertato la sua vita si concentrò nell’atto così ingenuo e puerile di stringerle la mano. Tuttavia, con quel semplice contatto, Goffredo aveva la sensazione di stringere al cuore l’intera donna, la sua anima infelice, i suoi segreti, i suoi timori. Miranda tremò, ma non faceva freddo.
Anche per lui il freddo sarebbe venuto dopo, lontano da lei, pensò Goffredo. Non osava ancora confessarle i suoi sentimenti, nella certezza che avrebbe provocato la sua fuga. S’impose quindi di mantenere un atteggiamento premuroso ma misurato, da amico leale e sincero, che non esigeva altro di più, ben consapevole che quella sarebbe stata l’impresa più ardua che avesse affrontato. Il suo amore per lei aveva ormai raggiunto un’intensità tale che si rifiutava di ritrarsi nell’oblio. Come spiegarlo alla donna che osservava incantata la città scorrere intorno a loro, alle ultime luci del crepuscolo? Avrebbe desiderato poterglielo comunicare attraverso il contatto delle loro mani strettamente unite. Al contrario, ciò che si imponeva era pazientare. Fino a quando? Quando sarebbe giunto il momento giusto per spiare nei sentimenti di Miranda? E se il suo cuore fosse rimasto serrato, blindato, inaccessibile? Un immane vuoto si sarebbe spalancato davanti a lui, sprofondandolo in quell’arido deserto che purtroppo gli era già noto. Quale nuova sofferenza avrebbe dovuto patire? Con quale nuovo rimpianto avrebbe dovuto convivere? Immediatamente lo sconvolse la certezza che non sarebbe più stato in grado di sopportarlo.
Quell’ultimo pensiero sfuggì al suo controllo e s’impresse sul suo volto, conferendogli i tratti irrigiditi di una maschera di pietra.
- Brutti ricordi? – gli chiese Miranda, che lo stava osservando da qualche istante.
Goffredo si riscosse come da un brutto sogno.
- Mi scusi, a volte i miei pensieri smarriscono la strada che è stata tracciata per me, e su cui invece farei bene a mantenermi.
- Ma chi cammina sulle orme degli altri non lascia traccia. – osservò Miranda.
- Infatti uno degli scopi della mia vita è proprio quello di non farmi notare. – le svelò Goffredo.
- Allora ha fallito: io l’ho notata. – obiettò Miranda.
- Ma lei è l’unica al mondo da cui posso accettarlo. –
- Allora non si allontanerà da me? –  domandò Miranda, cautamente.
- Ma come può venirle in mente?  – commentò Goffredo, allarmato all’idea che lei potesse anche solo sospettarlo.
- Neanch’io. – ammise Miranda, con un caldo sorriso rassicurato.
- Grazie. Questa era una delle domande che mi ponevo.
- Bastava chiedere. – concluse Miranda, stringendo più forte la sua mano.
Quando il battello attraccò, Goffredo dovette restituirle, non senza rammarico, la mano che le aveva tenuto per tutto il viaggio. Poi condusse Miranda poco lontano, in rue Bûcherie, in un ristorante chiamato Le Petit Chalet. Un’intera parete a vetri era affacciata sulla Senna e sull’affascinante panorama notturno, che offriva l’impressione di un presepe. L’ambiente era romantico, puramente francese, come pure la sua cucina.
Miranda si riconciliò con la vita.
- Quando ho fame divento intrattabile. Mi scusi per poco fa.
- Non deve scusarsi. Le è piaciuta la gita, almeno? – si informò Goffredo.
- Oh, è stata magnifica. Parigi mi lascia sempre senza parole. – rispose Miranda, con entusiasmo.
- Anche il silenzio può essere eloquente. – commentò Goffredo, scherzando.
- Quello di chiunque, ma non il suo, che al contrario è pieno di mistero. – ribatté Miranda, seriamente.
- Forse è solo un atteggiamento che assumo per rendermi più interessante, non ci ha pensato? –  considerò Goffredo, con l’intenzione di alleggerire il tono della conversazione, che si stava pericolosamente avvicinando ad argomenti che lui non poteva discutere. 
- Se è così, sta riuscendo nel suo intento.
- E lei, del resto, mi rende pan per focaccia. – disse Goffredo, con tono malizioso.
- Che splendida espressione! – esclamò Miranda.
- E come al solito svia l’argomento.
- Perché cambiare una così ben consolidata abitudine? Questo non è forse il nostro gioco preferito?
- Un gioco pericoloso. – si lasciò sfuggire Goffredo.
- Ma che ci mantiene attenti e curiosi. La nostra amicizia perderebbe tutto il fascino e l’incanto della scoperta. La verità è così brutale e definitiva, dopotutto.
- Qualcuno ha detto “La verità rende liberi.”
- “Conoscete la verità e la verità vi farà liberi”, per l’esattezza. E quel qualcuno pare fosse Gesù. – precisò Miranda.
- Come ho potuto dimenticarmene? – si stupì Goffredo, con espressione desolata.
- Non vorrà preoccuparsi per questo! 
- La mia memoria è sempre stata ottima. Lei ha il potere di confondermi. – la accusò Goffredo, scherzosamente.
- Se ho acquistato un qualunque potere su di lei, non penserà che possa dispiacermene. – commentò Miranda, con espressione soddisfatta.
- E’ al potere che aspira? Lei mi tiene già in suo potere. Che cosa ne farà? – la interrogò, fissandola negli occhi, con la vaga speranza di leggervi la risposta che cercava.
- Non ci ho ancora riflettuto.
Goffredo non commentò. Temeva di aver ancora una volta esagerato. Trattenendo un sospiro, che pure gli sgorgava dal cuore, spostò lo sguardo verso il panorama che s’intravedeva dai vetri. Doveva aspettare, evitando di spaventarla. Il momento sarebbe venuto, ma non era quello.

Mentre tornavano in taxi al loro hotel, Goffredo le chiese:
- Dove vuole andare domani?
Che ne dice di Versailles? – propose Miranda.
- Per me va benissimo. – accettò Goffredo.
- D’accordo, allora. Però lei mi sta viziando. Mi accompagna dovunque io voglia, ma non c’è un posto dove a lei piacerebbe andare? – gli chiese.
- Per me non è importante dove, purché sia con lei. – affermò Goffredo, con uno guardo più ardente di quanto si fosse imposto.
- La prego di non esagerare. – lo rimproverò Miranda, sfuggendo velocemente il suo sguardo.
- Mi scusi. Non era mia intenzione. – si difese.
“Stupido!” si rimproverò Goffredo, conscio del madornale errore commesso.
Quando Goffredo la lasciò, davanti alla porta della sua stanza, Miranda gli augurò la buonanotte, molto freddamente.
“La troverò ancora qui, domani, o fuggirà durante la notte?” s’interrogò Goffredo, continuando a rimproverarsi la sua dabbenaggine. Come aveva potuto guardarla in quel modo, subito dopo aver deciso che l’atteggiamento più corretto da adottare fosse proprio il contrario?
La situazione gli stava sfuggendo di mano. Però, buona parte della responsabilità era di Miranda, che gli lanciava messaggi contraddittori. A tratti sembrava disponibile e pronta a lasciarsi andare, e il momento successivo erigeva quel muro di ghiaccio che lo faceva rabbrividire. A peggiorare le cose, il suo essere si era scisso in due parti distinte e separate, ciascuna delle quali lottava strenuamente contro l’altra. Una parte di lui manteneva la calma ed il controllo, era responsabile ed equilibrata, mentre l’altra mordeva il freno, precorreva i tempi, lo sopraffaceva, rischiando di rovinare ogni cosa. Forse era lui che avrebbe dovuto fuggire, per evitare la rovina. Ma era impensabile. La sola speranza di trascorrere ancora un giorno con lei, fosse stato anche l’ultimo, lo spingeva inesorabilmente a restare lì. Fu una notte lunga ed insonne. Sentì il cuore rattrappirsi, stretto in una morsa, la mente avvolta in un silenzio  impenetrabile. Al mattino, emerse dalla sua stanza già stanco e nervoso.
Dopo essersi accertato che Miranda non si trovasse nella sala della colazione, Goffredo si sedette su un divano della hall, tentando di contenere la sua impazienza, in attesa che la donna scendesse. Quando la vide uscire dall’ascensore, le andò incontro sorridendo.
- Buongiorno, Miranda. Ha dormito bene?
- Splendidamente, grazie. – gli rispose, mentre le sue evidenti occhiaie gli parlavano di una notte insonne che, in qualche modo, doveva essere stata gemella della sua.
- Credo che sia assolutamente necessaria una buona colazione. – affermò Goffredo, soprassedendo sul fatto che Miranda non era altrettanto interessata a sapere come aveva trascorso la notte.
- Non ho appetito, stamane. – affermò Miranda, con espressione tesa.
- Allora prenda almeno un caffè. 
- D’accordo. – gli concesse, seguendolo.
Tuttavia, non appena si furono seduti, una cameriera tanto efficiente quanto sorridente, pose davanti a loro un cestino pieno di fragranti croissant e piccoli panini, alcune ciotoline di confettura dal profumo invitante, panetti di burro, bricchi di latte e caffè fumanti. Davanti agli effluvi di quelle delizie, Miranda fu sopraffatta. Goffredo la guardò maliziosamente, mentre lei capitolava e si difendeva con un disarmante:
- Prendo solo un croissant.
- Mangi, mia cara amica. Mangi, riprenda le forze. Abbiamo molto cammino da fare.
Ed anche in quel caso Goffredo non stava alludendo semplicemente alla loro gita a Versailles.

 

Era una luminosa giornata di sole. La reggia splendeva con i suoi marmi, gli ori, gli specchi e i lampadari. Miranda guardava fuori da ogni finestra, ammirando i giardini. Quando giunsero al Salone degli Specchi, si fermarono ad osservare, fuori da una finestra, la fontana di “Apollo che guida il carro del Sole”, che troneggiava proprio di fronte al salone.
- Questa è la parte che preferisco. – affermò Miranda.
Goffredo si trovò d’accordo.
- Quando fu allestito questo salone, gli specchi erano un articolo raro. Lo sa che Colbert predispose appositamente un’officina per crearli in Francia? Fino ad allora tutto arrivava da Murano, a caro prezzo. – commentò Goffredo.
- Già. Qui l’atmosfera è molto veneziana, infatti. E anche le maestranze, le migliori, vennero fatte giungere dall’Italia. Si dice che persino il progetto iniziale della reggia fu sottratto, non si sa come, agli architetti che stavano per iniziare la costruzione della reggia di Venarìa. – aggiunse Miranda.
- Spionaggio industriale, già allora?
- Oh, la gente del ‘600 era molto simile all’attuale. – constatò Miranda.
“Lo so. C’ero.” pensò Goffredo.
- Il Re Sole! Che Re, che uomo grandioso. Ha creato tutto questo dal nulla. Qui esistevano solo un casino di caccia e un’infinita distesa di paludi.
- E’ la prova che i sogni si possono avverare, se si dispone di tempo a sufficienza e di una notevole disponibilità finanziaria. - commentò Goffredo, approvando.
Miranda fissava lo sguardo ancora sul giardino, con espressione sognante.
- Desidera che andiamo a passeggiare nel parco? – suggerì lui, comprendendo il senso della sua costante distrazione.
- Sì, sarebbe magnifico. – rispose Miranda, con foga.
- Perché non me lo ha detto subito? – rilevò Goffredo, con tono di misurato rimprovero.
- Pensavo volesse visitare il palazzo. – si giustificò Miranda.
- Ma io lo conosco a memoria. Sono qui per farle piacere. Mi porti dove vuole. – le ingiunse Goffredo, il cui umore, da quando erano arrivati, si stava facendo sempre più nero.
- Lo conosce a memoria? – si stupì Miranda.
- Ci sono stato molte volte. 
“Ci ho anche vissuto, per qualche tempo, e non ne ho un buon ricordo. ” pensò Goffredo.
- Peccato che le fontane siano spente. – si rammaricò Miranda, con espressione delusa.
- Tenerle tutte in funzione costerebbe troppo. Non siamo più ai tempi del Re Sole. Però le aprono una volta al mese. Se ci tiene ad ammirarle in tutto il loro splendore, potremmo tornarci.
- Ci penserò.
- Intanto possiamo goderci i giardini, e magari arrivare fino al Trianon. – propose Goffredo.
- Andiamo. Oggi non sopporto di restare al chiuso. – ammise Miranda.
Così passeggiarono al sole dei viali e all’ombra degli alberi, parlando di fiori, giardini ed orti botanici.
- Mi verrà a trovare un giorno, nel mio piccolo castello immerso nel verde? Sono certo che le piacerà. – la tentò Goffredo.
- Prima o poi lo farò. – rispose Miranda, con un’espressione distaccata, che non dava adito a crearsi molte illusioni.
- L’aspetterò. – concluse Goffredo, deciso ad aspettarla per sempre.
La giornata volse al termine senza ulteriori incidenti, anche se, con il trascorrere delle ore, Miranda aveva assunto un atteggiamento sempre più freddo.  Un taxi li riportò all’aeroporto ed il volo partì in perfetto orario, con sommo dispiacere di Goffredo, che avrebbe voluto prolungare all’infinito quelle ore. Quando giunsero a Fiumicino, accompagnò Miranda al parcheggio dei taxi.
- Grazie delle splendide ore che mi ha dedicato. – le disse Goffredo, stringendole la mano.
- Grazie a lei. Sono stati due giorni splendidi.
- Arrivederci a presto, Miranda.
- A presto. –  gli rispose, con espressione distante.
Poi seguì con lo sguardo il taxi allontanarsi dal marciapiede ed immettersi nel traffico caotico del Terminal.

Siranush osservò Goffredo, al suo ritorno, con un senso di profonda inquietudine. Qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto. Lo vedeva ora teso e nervoso, ora angosciato e deluso. Un giorno prese il telefono e chiamò.
- Non va come dovrebbe. – annunciò.
Ascoltò per qualche tempo la sua interlocutrice, annuendo.
- Fai quello che puoi. – concluse.

 

Goffredo non vedeva Miranda da un mese. Quando le parlava al telefono non la sentiva vicina a sufficienza. Le aveva rinnovato l’invito a casa sua, ma lei aveva abilmente cambiato discorso. Non gliel’avrebbe ripetuto, né avrebbe cercato di rivederla ancora. Toccava a lei, ora. E il tempo che scorreva spietatamente, non gli sembrava fornire alcuna garanzia che il suo desiderio si sarebbe mai avverato. Miranda possedeva una volontà di ferro. Benché a tratti sembrasse fragile e indecisa, nei fatti aveva dimostrato di essere più forte di lui. I suoi cedimenti erano irrilevanti. Ai suoi princìpi non rinunciava. Volontà, nobiltà, grazia, fedeltà agli ideali: tutte doti per le quali l'amava e per cui la perdeva inesorabilmente.

Goffredo tentò di tornare alla sua vita di sempre, relegando, in un angolo dei suoi ricordi, quel breve intermezzo con Miranda, che gli procurava una fitta d’angoscia. Erano troppo lontani. Miranda era troppo restia. Lui non avrebbe dovuto cedere all’amore per una figlia degli uomini. Tutto gli remava contro. La saggezza gli suggeriva di dimenticarsene, lasciando spegnere pian piano quel fuoco che lo divorava. Pensò di allontanarsi, intraprendendo un viaggio. Magari sarebbe tornato in Armenia. Una sera ne confidò il desiderio a Siranush.
- Non c’è luogo al mondo che possa distrarre da un’inquietudine interiore.- affermò lei, come se gli avesse letto nei pensieri.
- Che cosa vuole dire, Siranush?
- Lei ha già intrapreso un viaggio, glielo leggo negli occhi. Finché non avrà raggiunto la meta a cui aspira, non potrà aver pace, per quanto lontano se ne vada. – gli spiegò.
- E se si trattasse di una meta irraggiungibile? – obiettò Goffredo.
- Nessuna meta è irraggiungibile, se la volontà è forte. Lei è molto forte, Goffredo. Deve avere il coraggio di gettare il cuore al di là degli ostacoli. – gli consigliò Siranush, serenamente.
- Non è il coraggio che mi manca, è la paura a bloccarmi. – affermò Goffredo, ridendo di se stesso.
- Di cosa può mai aver paura, un uomo come lei? – chiese Siranush, senza attendersi davvero una risposta.
- Di essere respinto, come chiunque altro al mondo.
- Ha validi motivi per temerlo? – gli chiese lei, con espressione seria.
- Validi abbastanza per trattenermi dal tentare. – ammise Goffredo, mestamente.
- Mi perdoni se posso sembrarle indiscreta, ma stiamo parlando della sua amica Miranda, vero?
- Ha spiato le mie telefonate?
- Me ne guarderei bene. Tuttavia, quando parla al telefono con la signora Miranda, lei non si accorge più di quanto la circonda, ed è capitato che io mi trovassi vicino abbastanza da sentirla, senza volerlo. – si giustificò la donna.
- Ha ragione, Siranush. Quando parlo con Miranda mi estraneo completamente dal mondo.
- E crede davvero che la sua amica non provi per lei sentimenti molto simili?
- Non ne so niente. Quello che so è che ha sempre bloccato ogni mio trasporto, salvo poi, quando meno me l’aspetto, mostrarsi comprensiva, affabile e persino provocante. So anche che sin dall’inizio ha affermato che tra noi non poteva esistere che una semplice amicizia. – le confidò Goffredo.
- Questo è irrilevante. I sentimenti mutano, le condizioni cambiano, persino le decisioni più ferree cedono davanti al realizzarsi di un destino inevitabile.
- Lei è molto saggia, Siranush, ma, nonostante la speranza che mi offrono le sue parole, non so se le sue certezze basterebbero a smuovere le posizioni di Miranda.
- A me basta che ci creda lei, perché sono le sue convinzioni che smuoveranno il destino. Questo glielo posso assicurare.
- Lei è una maga, per caso?
- Io sono figlia di un popolo antico, il più antico di tutti e porto con me l’esperienza di quanti mi hanno preceduto. Non so se questo autorizzi a definirmi maga, ma ho la certezza che la realizzazione del nostro destino, quando è deciso, può essere ostacolata, persino procrastinata, ma impedita mai. – concluse Siranush.
- Allora non mi resta che crederci.
- Esatto. Ci creda e combatta.
- Combattere? Non mi aveva parlato di combattere! 
- A volte il destino fa così. Se lo si è ripudiato una volta, si offende e vuole essere corteggiato per ripresentarsi.
- Non capisco di cosa stia parlando. – mormorò Goffredo, confuso.
- Non ha importanza. Ciò che conta è che lei tenda fortemente alla meta e faccia di tutto per ottenerla.
- Questo posso farlo. – si convinse Goffredo.

 

Goffredo ripensò spesso a quei due giorni trascorsi a Parigi, analizzando le conversazioni, i gesti, le espressioni di Miranda, sempre più convinto che qualcosa gli sfuggiva. Nei momenti più inattesi le traspariva dal viso un’incomprensibile malinconia. Causata da un rimpianto o dalla nostalgia di qualcuno? Poteva essere causata dalla sua ferrea volontà di non concedersi ai sentimenti? Scorgeva un pericolo in se stessa? Oppure Miranda aveva compreso quali fossero i suoi e ne aveva timore? Non osava sperare che anche lei avesse iniziato a nutrire un affetto particolare per lui. In tal caso, come lo avrebbe vissuto? Probabilmente, respingendolo con tutte le sue forze, soffrendo magari di non riuscire a tenerlo a bada. Cosa aveva capito Miranda di lui? Perché lo trattava tanto spesso con distacco?
Goffredo scese nel suo rifugio segreto. Nel salone sotterraneo, fasci di luce accuratamente indirizzata mettevano in risalto le varie zone in cui lo spazio era suddiviso, mediante archi che si incrociavano sul soffitto a volta. Ogni settore raggruppava oggetti dello stesso periodo, alcuni appoggiati su mensole o basse colonne, altri appesi alle pareti, o inseriti in teche di cristallo, altri ancora erano posati direttamente sul pavimento, coperto di tappeti. In centro, alcune grandi poltrone di pelle componevano un salotto.
Là i suoi pensieri si stemperavano, come si potessero espandere in uno spazio più ampio. Là erano raccolti i ricordi più importanti della sua vita. Purtroppo, mancavano i ritratti. Ricordava molto vagamente il volto dei suoi genitori, e confusamente quello di Mirabella. Ma lei c’era, ricordo intessuto nell’impalpabile tela di una sciarpa. E come ogni volta che pensava a lei, il volto di Miranda si sovrapponeva a quello più antico e ormai sfumato.
Due passi più oltre vide la parrucca che portava alla corte di Luigi XIV. Non era stato uno dei periodi più felici della sua esistenza. Essere tornato a Versailles aveva risvegliato i suoi ricordi. Ma la presenza di Miranda, accanto a lui, ne aveva mitigato l’amarezza. Quel giorno, benché col cuore stretto da una morsa, le aveva sorriso e si era limitato a conversare amabilmente.
Dopo, lontano da Miranda, il suo cuore aveva ripreso ad espandersi, libero di amarla, libero di pensarla, senza restrizioni, senza timore di tradirsi, di offenderla, di provocarne la fuga. “Solo amore platonico, per te, caro Rigim.” si era detto. “Il tuo destino è segnato, che tu lo voglia o no. L’unica volta che sei disposto ad infrangere l’atavica legge, il fato non lo permette. Un segnale invisibile avverte le donne che ti avvicinano di starti alla larga. Miranda non fa altro che rispondere a quel segnale. Ecco svelato il mistero della sua ritrosia.” Poi si era detto che stava impazzendo, che divagava, che probabilmente era rimasto solo per troppo tempo.
Il suo sguardo cadde sul servizio da caffè, in oro, dono del suo antico amico Osman Karim, il medico-mago, che sapeva curare il corpo e l’anima. Le sue passioni per l’astronomia e per l’astrologia lo avevano più volte stupito. Una sera, dopo aver parlato d’amore e di poesia, Osman gli aveva detto:
- Ho letto nelle stelle una storia straordinaria, che ti riguarda. La donna che il destino ti ha assegnato, tu l’hai già incontrata, eppure non vi siete riconosciuti. Ma non ti preoccupare, il vostro incontro futuro è segnato nelle stelle e avverrà per mare. La prossima volta la riconoscerai. Verrà il tempo. Quello che mi turba è quanto lontano nel tempo. Non ho mai visto un simile destino. Credo di aver sbagliato i miei calcoli, ma se non l’ho fatto, ho letto per te una vita così lunga che è come la vita di dieci uomini, uno dopo l’altro. E’ veramente incredibile. Non so spiegarmelo.
Goffredo non aveva mai avuto il coraggio di confermargli che i suoi calcoli erano esatti, svelandogli chi fosse, e Osman era morto senza conoscere la verità. Gli era dispiaciuto d’aver taciuto anche con lui, che forse era l’unico al mondo di cui avrebbe potuto fidarsi. Osman era un grande saggio e comprendeva tutto.
Goffredo passò sopra un tappeto oro, rosso e albicocca, popolato di angeli alati, che aveva acquistato in Armenia. Quel tappeto gli ricordava il suo incontro con Siranush. Un incontro recente, che tuttavia assumeva un sapore di antico, perché avvenuto nel paese ancestrale, quello da cui anche suo padre proveniva. Era stato nei pressi di Ararat, che l’aveva conosciuta, insieme con suo figlio Shadarev e suo marito Nahabed, in una semplice casa di pastori, che avevano trasformato in una sorta di agriturismo, dove accoglievano i viaggiatori con invitanti merende, innaffiate di buon vino Arenì, rosso e denso come il sangue, dolce, aromatico, amaro e frizzante allo stesso tempo. Quello doveva essere il vino di Noè, dal sapore di ciliegia e violetta, che si portava dentro l’anima della terra appena riemersa dal diluvio. Gli avevano servito yogurt, formaggio e pomodori, e poi agnello arrosto con patate e cipolla, all’aroma di menta. Avevano conversato a lungo, soprattutto lui e Siranush, che sembrava molto interessata all’Italia. Goffredo un poco se n’era stupito, perché da quella terra era rimasto completamente affascinato, tanto che si sarebbe voluto fermare là, tra il bianco eclatante del monte Ararat, il verde smeraldo di un grande acquitrino coperto di canneti, il giallo polvere della steppa e l’arcipelago delle colline, in cima alle quali, annodati agli arbusti più alti, sventolavano fazzoletti votivi. Che si potesse non preferire quella terra a qualunque altra, gli era incomprensibile. Quella era la vera culla della civiltà, dove alitava l’immortalità della memoria. Eppure Siranush si era subito offerta di seguirlo. Per qualche anno, aveva detto, giusto il tempo di mettere da parte il denaro sufficiente per ristrutturare la loro casa e trasformarla in un vero e proprio albergo con ristorante. Lo sguardo di Nahabed, dagli occhi neri, accesi come braci, l’aveva osservata attentamente e poi, come se tra loro fosse passato un messaggio telepatico, aveva annuito, come si accetta un destino prestabilito e ineluttabile. Siranush era partita con Goffredo, lasciando Shadarev e Nahabed a sventolare i loro fazzoletti in segno di saluto, davanti alla porta di casa. Goffredo non se n’era mai pentito.
Per la prima volta, si sorprese a paragonare le parole di Osman con quelle di Sinanush. “La donna che il destino ti ha assegnato, tu l’hai già incontrata, eppure non vi siete riconosciuti. Ma non ti preoccupare, il vostro incontro futuro è segnato nelle stelle e avverrà per mare.” gli aveva detto Osman. “Ho la certezza che la realizzazione del nostro destino, quando è deciso, può essere ostacolata, persino procrastinata, ma impedita mai.” gli aveva detto Siranush. Entrambi, comprese, parlavano della stessa donna, la compagna che il destino gli aveva assegnato e che non aveva riconosciuto. L’unica donna che avesse amato, prima di Miranda, era Mirabella.
Si avvicinò ad un’armatura poco oltre. Era quella di Ser Richard, cavaliere di Malta. Portava quell’armatura l’ultima volta che aveva incontrato Mirabella. Non era mai stato innamorato di una donna, prima di allora. Il suo cuore sanguinava, mentre lei gli diceva che stava per lasciare l’isola. Si erano detti addio, mortalmente pallidi entrambi, poi lei aveva superato la porta di Mdina ed era scomparsa per sempre.
Non era stato lui ad impedire la realizzazione del suo destino: era stata Mirabella a fuggire. E anche questa volta, non era lui ad ostacolare il destino, bensì Miranda.  Non era quindi lui che doveva lottare per ottenere ciò che gli spettava di diritto. Lui era pronto, disponibile e desideroso di accettare che il suo destino si compisse. Da parte sua non opponeva resistenza. Era Miranda, che aveva incontrata per mare, era Mirabella…. All’improvviso tutto gli fu chiaro: Miranda e Mirabella erano la medesima donna!  Ecco perché aveva spesso confuso l’immagine dell’una con quella dell’altra. Questo era il pensiero fugace che lo aveva illuminato a Malta e che subito gli era sfuggito, perché Miranda lo aveva confuso. Ad un tratto ne fu assolutamente certo. Ricordò la copia della Bibbia nel suo soggiorno, aperta sulla Genesi, le tradizioni della sua famiglia, la sua vita nomade, tutti i suoi “non posso”. Ripensò a certe affermazioni perentorie, “non le dirò mai la mia età”, “una volta viaggiare per mare era un incubo”, “non posso restare in un luogo per molto tempo”. Questo era il segreto che Miranda teneva così gelosamente nascosto: era una discendente dei Setiti. Una sua simile.
Avrebbe voluto rendere partecipe Siranush della sua scoperta, avrebbe desiderato confidarsi con lei, ma sapeva che la sua sola difesa era sempre consistita nell’assoluto silenzio. Stranamente, mai come quella volta, gli pesava dover mantenere il suo segreto.

Quella sera decise di parlare con Miranda. Quando rispose al telefono, gli sembrò sorpresa.
- Non mi aspettavo una sua chiamata, è domenica.
- Cos’ha la domenica che mi debba impedire di chiamarla, se ne ho voglia?
- Nulla, è solo che non mi ha mai chiamata di domenica.
- Oggi sono decisamente contrario alle abitudini, ai pregiudizi e ai preconcetti. Me lo concede?
- Certo – rispose Miranda, stupita. – Che succede, Goffredo?
- Niente. Vorrei vederla. Che ne direbbe di un fine settimana in Toscana?
- Non posso. Sono troppo impegnata, in questo periodo. – gli rispose.
- E quando sarà sufficientemente libera?
- Adesso, su due piedi, non saprei dirle. La chiamerò appena mi sarà possibile.
- Lavora anche di domenica? – le chiese Goffredo.
- Naturalmente no.
- Allora, domenica prossima, farò un salto da lei. – le annunciò, autoinvitandosi.
- Come vuole. – acconsentì Miranda, con voce priva di entusiasmo.

Siranush, che stava cucinando ed era a due passi da Goffredo, non aveva potuto impedirsi di seguire la telefonata.
- L’ho fatto. – esclamò Goffredo, con un sospiro di sollievo.
- Mi è sembrato un po’ irritato. E’ accaduto qualcosa?
- Sì, mi sono reso conto di una cosa, che cambia tutto.
- Ha capito che la signora Miranda nutre per lei dei sentimenti affettuosi? – chiese Siranush, stupita.
- No. Però ho capito che ho diritto al mio destino.
Siranush lo fissò negli occhi per qualche istante e la profondità di quello sguardo mise Goffredo a disagio. Poi lei annuì, sorridendo, e senza aggiungere altro, tornò ad occuparsi delle sue pentole. 

 

All’alba di quella domenica, Goffredo si allontanò da casa col cipiglio di un cavaliere che parte per le Crociate. Il senso di irritazione, di cui anche Siranush si era resa conto, continuava a seguirlo dal momento in cui aveva scoperto che era Miranda ad opporsi al compimento del loro destino. Aveva il dovere di svegliarla, di scuoterla, di forzarla, se ciò avesse dovuto rendersi necessario. Le avrebbe detto chi era, si sarebbe fatto riconoscere. E avrebbe rivelato a Miranda di aver scoperto il suo segreto. Se Mirabella aveva potuto fuggire, a Miranda lo avrebbe impedito in ogni modo. Non si sfugge due volte al proprio destino.
Quello di Miranda bussò alla sua porta alle dieci esatte di quel mattino.
Miranda aprì la porta per lasciarlo entrare.
- Buongiorno, Goffredo, si accomodi.
- Buongiorno, Miranda.
- Sto preparando il caffè. Venga in cucina. – lo invitò.
Passando in soggiorno, Goffredo si accorse che c’era qualcosa di cambiato nella posizione dei mobili.
Le piace cambiare la disposizione dell’arredamento, ogni tanto? – le chiese Goffredo.
- Mi aiuta a disporre diversamente i miei pensieri.
- E i sentimenti? Quando deve trovar posto per i sentimenti che nascono, cosa la aiuta? – la provocò.
Miranda non raccolse la sfida.
- Lei ha qualcosa di strano. Me ne sono accorta già al telefono, l’ultima volta che ci siamo sentiti. Dev’esserle capitato qualcosa. – concluse.
- Capita sempre qualcosa, nella vita di tutti. A lei non capita mai niente? La sua vita scorre statica ed immobile? – domandò Goffredo, con sarcasmo.
- Ho come l’impressione che lei ce l’abbia con me per qualcosa. – dubitò Miranda, perplessa.
Goffredo si rese conto che il suo atteggiamento avrebbe peggiorato le cose, quindi s’impose di riacquistare la calma, il più in fretta possibile, anche a costo di fingere come non aveva mai fatto.
- Mi perdoni, Miranda. Non è con lei che ce l’ho. Anzi, ho voluto vederla perché la sua compagnia mi aiuta a rilassarmi. Lei mi fa bene.
- Mi fa piacere. Ma adesso mi dica cosa le succede. Per poterla aiutare davvero, devo capire.
- La mia vita è piena di segreti. Non potrei rivelargliene uno, senza rischiare di far emergere gli altri. Sono certo che lei può capirmi. Ci sono cose che non vanno dette, semplicemente perché, chiunque le ascoltasse, non ci crederebbe. – disse Goffredo, come lanciando un amo.
- Ma allora come posso aiutarla? – domandò Miranda.
- Standomi vicino. La sua amicizia è come una medicina miracolosa. Ogni ora che passo con lei mi restituisce il sorriso. – affermò Goffredo, con un tono che contrastava completamente con le sue parole e che non le era mai parso più freddo.
Miranda fissò per qualche istante l’espressione impenetrabile del suo volto, poi versò il caffè nelle tazze, sempre più confusa.
Dopo aver bevuto il caffè, seduta davanti a lui, Miranda sospirò.
- Mi dica, Goffredo, perché ha fatto tutta questa strada per vedermi?
- Noi siamo amici, o almeno voglio illudermi che lo siamo. Non sente quanta affinità c’è tra noi?
- Certo, lo abbiamo ammesso più di una volta.
- E lei pensa sia cambiato qualcosa, da quando ci siamo conosciuti? – le chiese Goffredo.
- Naturalmente. Abbiamo abbattuto molti muri. Altri sono rimasti, ma possiamo sempre rimediare. La nostra amicizia è più forte, ora.
- La nostra amicizia è una frottola. – esplose Goffredo.
- Cosa intende dire? – domandò Miranda, spaesata.
- Mi racconti dei suoi amori. – la sfidò Goffredo.
- Non mi pare il caso. – si difese Miranda, arrossendo.
- Mi parli della sua famiglia.
- E’ un argomento che non tratto con leggerezza.
- Allora mi parli dei suoi veri sentimenti.
- La smetta, Goffredo. – gli intimò lei, sentendosi aggredita.
- Sì, la smetto. Venire qui oggi è stato un errore. Non sono in condizioni normali, come ha potuto facilmente intuire. Mi perdoni. Spero che questa ineducata irruzione nella sua vita privata non abbia influenza sui nostri rapporti. – concluse Goffredo, alzandosi in piedi.
- Si sieda. Parliamo. – lo invitò Miranda, riacquistando il controllo.
- Vuole parlarmi davvero?
- Voglio che rimanga e che mi ascolti. – confermò lei, con decisione.
Goffredo tornò a sedersi e la guardò in viso. Era davvero affetto, quello che leggeva nei suoi occhi? Miranda gli sorrise.
- Entrambi amiamo nascondere molti segreti, eppure questo non ci ha impedito di parlare d’altro, di conoscerci meglio, di consolarci quando eravamo tristi, di ridere quando eravamo felici, di entusiasmarci per sciocchezze. Questa è la nostra amicizia. Può darsi che ci voglia del tempo, perché maturi, ma io sono certa che crescerà e si trasformerà. Dove ci condurrà, se avremo pazienza, presto lo scopriremo insieme. – concluse Miranda, guardandolo dritto negli occhi.
- Mi arrendo alla sua saggezza. Ma adesso devo proprio andare. – annunciò Goffredo, alzandosi.
- Come vuole. – acconsentì Miranda, precedendolo alla porta.
- L’aspetto a casa mia. Quando vorrà venire, ne sarò felice. Nel frattempo, le prometto che non la importunerò più. – affermò Goffredo, congedandosi.
Miranda comprese che si trattava di un ultimatum.
- Un’ultima cosa. – si affrettò a dirgli, prima che scendesse le scale.
- Cosa? – domandò Goffredo, voltandosi.
- Non sarà giunta l’ora che ci diamo del tu? – lo invitò.
Goffredo osservò la sua figura, inquadrata dallo stipite della porta, che la rendeva simile al ritratto di una dama del Cinquecento. I capelli corvini le incorniciavano il volto, che un improvviso pallore rendeva madreperlaceo. Le sorrise.
- Hai ragione, Miranda. Tra amici ci si dà del tu.
- Va tutto bene, Goffredo. Ci rivedremo presto. – gli promise.
- A presto. – rispose Goffredo.

Quando Siranush lo vide arrivare, nel primo pomeriggio, gli andò incontro premurosamente, chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa.
- Non è il suo giorno libero, Sinanush? – le chiese Goffredo.
- Non è un grosso impegno preparare un caffè, un tè o una tisana. – minimizzò.
- Va bene, facciamoci un caffè. Anzi, lo faccio io. Lei si sieda.
Mentre armeggiava con la caffettiera, cominciò a parlare.
- Sono stato da Miranda, ma non è stata una buona idea. Ero troppo nervoso e aggressivo.
- Lei ha compreso quale sia il suo destino, ma deve lasciare il tempo alla signora Miranda di fare altrettanto. Forzandola, non otterrà niente.
- Ne parla come se la conoscesse. – si incuriosì Goffredo.
- La conosco attraverso di lei. – spiegò Siranush.
- Sono così trasparente?
- Dimentica che sono una maga. – ribatté, ironicamente.
- Forse lo è davvero. Parlarle mi aiuta a chiarire i miei pensieri.
Quando il caffè fu pronto, lo versò nelle tazzine e si sedette di fronte a lei.
- Siranush, sono molto contento che lei sia qui.
- Anch’io sono contenta di esserci. – confermò lei, serenamente.
- Mi dica, secondo lei, davvero ci si innamora per destino?
- No, ma è il destino che ci fa incontrare la persona giusta di cui innamorarsi. Lei è stato innamorato altre volte? – domandò Siranush, a sua volta.
- Purtroppo sì. – ammise lui.
- Amori sfortunati?
- Uno solo, veramente. Non ho mai saputo se mi amasse. Se ne andò senza lasciarmi il tempo di scoprirlo.
- Non è detto che la storia si ripeta. – affermò Siranush.
- Miranda non mi ama.
- Perché non ha pazienza? Perché vuole farsi del male a tutti i costi? L’amore a volte nasce a stento, come quei fiori nascosti in profondità in mezzo alle rocce. Quando il sole li scalda abbastanza, fanno un lungo cammino per risalire in superficie e quando finalmente sbucano all’aria, esplodono all’improvviso, con un vigore che non ci si sarebbe mai immaginati da quel tenero e pallido virgulto. Ma una volta sbocciati, sono i più belli, i più duraturi, quelli dai colori più intensi e dal profumo più penetrante. In Armenia ce ne sono molti: li chiamiamo “agner”, che vuol dire pietre preziose. – terminò Siranush.
- Lei ha il potere di restituirmi la serenità. Aspetterò che i sentimenti di Miranda si chiariscano. Eviterò di metterle fretta. E intanto, Siranush, la porterò a fare un giro. Le va?
- Volentieri. Mi porti vicino al mare.
- Lei mi legge nel pensiero. Era proprio quello che intendevo fare.

 

Il giorno seguente, Siranush stava rientrando in casa, quando vide giungere dal vialetto una figura femminile, che le sembrò vagamente di riconoscere, ma alla cui presenza si rifiutava di credere. Si trattava forse di un’allucinazione?
- Come osi interferire? – l’accusò, senza neppure salutarla, quando fu abbastanza vicina da identificarla senza ombra di dubbio.
- State trascinando le cose per le lunghe, senza alcun motivo. Devo intervenire.
- Non ce n’è alcun bisogno. – sostenne Siranush, indignata.
- Ti sbagli. Hanno avuto tutto il tempo di cui avevano bisogno ed ora il tempo è scaduto.  Vi siete convinte che Rigim potrà vivere soltanto al fianco di Betsabel, ma non è così. Ci sono anch’io. Sapete da sempre che Rigim mi piace. Cosa vi fa credere che anch’io non possa piacere a lui?
- Stai infrangendo tutte le regole. Devi andartene immediatamente. – sibilò Siranush.
- Le vostre norme polverose e stagnanti mi hanno stancata. Abbiamo il diritto di ricreare la nostra comunità, di riunirci come un tempo, liberamente. A causa delle vostre arcaiche regole incomprensibili, ci siamo dispersi e rischiamo di estinguerci. – ribattè la donna, con astio.
In quel momento, Goffredo uscì in giardino e le vide.
- Siranush, chi è la sua ospite? – chiese, avvicinandosi incuriosito alle due donne.
- Mi chiamo Ginevra. – disse la sconosciuta, porgendogli la mano con un sorriso radioso. – Sono una compaesana di Siranush. Ho saputo per caso che era qui e sono venuta a salutarla. Così, tu sei Goffredo?
- Sì. Piacere di conoscerti. – rispose lui, faticando a staccarle gli occhi dal volto.
La trovava straordinariamente bella.
- E’ davvero magnifico questo castello in miniatura. – si complimentò la donna.
- Grazie. – disse Goffredo, con non celato orgoglio.
- E’ possibile visitarlo?
- Ma certo. Puoi restare anche a pranzo, così possiamo scambiare quattro chiacchiere. Qui riceviamo poco. Siamo molto isolati. 
- Con grande piacere, Goffredo. – rispose lei, guardando Siranush con espressione di sfida.
Siranush rientrò in casa, dopo aver distribuito un cenno di condiscendente assenso nella direzione di Goffredo ed uno sguardo glaciale e minaccioso in quella di Ginevra.
- Allora, sei qui di passaggio? – le chiese Goffredo, conducendola verso una panchina, all’ombra degli alberi.
- Sì, ho deciso di venire in vacanza in Toscana. Io abito a Roma.
Il pensiero di Goffredo corse immediatamente a Miranda, ma decise di non lasciarsi distrarre.
- Tu puoi senz’altro consigliarmi un albergo da queste parti.– continuò Ginevra.
- Un albergo? Perché non ti fermi qui per qualche giorno? Chissà quante cose avrete da raccontarvi, tu e Siranush.
- Sei molto gentile, ma, a dire il vero, sono qui solo perché mia madre mi ha chiesto di informarmi sulla sua salute. Siranush e mia madre erano grandi amiche, anche se non si sentono da molto tempo, mentre io non sono mai stata in confidenza con lei.
- Capisco, ma potresti restare ugualmente. Mi farebbe davvero piacere.
- Perché no? In fondo nessuno mi aspetta. Sono partita alla ventura. Come vedi, non so neppure dove andare a dormire. E poi questo posto sembra davvero fantastico.
- Bene, allora è deciso. Dove hai lasciato i bagagli?
- In macchina, fuori dal cancello.
- Andiamo a prenderli e poi andiamo a pranzo. Ormai dovrebbe essere quasi pronto. Nel pomeriggio ti farò visitare il castello.

Lo sguardo di muta riprovazione di Siranush sfuggì completamente a Goffredo, quando le impartì disposizioni per ospitare Ginevra, forse perché era intento a studiarne i lineamenti. Aveva un caschetto di capelli neri e lucenti, che incorniciavano un volto dall’ovale perfetto. Aveva la pelle lattea, con evidenti efelidi intorno al naso e sulle gote, particolarità che di solito si associa ai capelli rossi. Il naso era perfettamente diritto; gli occhi grandi, color miele con pagliuzze dorate; le labbra rosa, ben disegnate, piene e morbide; gli zigomi alti. L’insieme risultava molto attraente. Col suo sorriso radioso ed il suo atteggiamento, così spontaneo ed espansivo, risultava affascinante. Era come se la conoscesse da sempre. Sentiva di poter parlare liberamente con lei di qualunque argomento.
Siranush si rifiutò di sedere a tavola con loro,  per il pranzo, affermando che lei sapeva esattamente quale fosse il suo posto. Dicendolo, aveva fissato Ginevra intensamente, con evidente biasimo. Ginevra aveva sorriso ironicamente, lasciandole intendere che riteneva sciocca quella sua formalità, ma che ne era ben lieta, perché le lasciava campo libero. Goffredo non si accorse di nulla, limitandosi a risponderle:
- Come vuole, Siranush.

 

Dopo il pranzo, Goffredo accompagnò Ginevra alla sua stanza, risalendo la lunga scalinata che portava al piano superiore.
- E’ bellissimo, qui. – mormorò la donna, con espressione ammirata.
- Sono contento che ti piaccia, ma non hai ancora visto niente.
La camera affacciava sul retro. Dalla finestra aperta si abbracciava la vista di uno smisurato, secolare, cedro del libano, circondato dal prato all’inglese, mentre, più oltre, si intravedeva un laghetto circondato di bassi cespugli ricchi di fiori multicolori. Più in là iniziava un bosco di lecci. Dopo aver ammirato la vista che le si offriva, Ginevra si guardò attorno, per studiare la stanza dove avrebbe dormito.
- Mi piace molto la combinazione di antico e moderno dell’arredamento e quel camino è davvero bellissimo.
Dopo aver visitato le altre stanze, Goffredo la condusse sulla torre, che era adibita a biblioteca e suo studio personale.
- Quanti libri antichi! Li vendi? – chiese Ginevra.
- Non questi. Io sono un antiquario, ma anche un collezionista. Tutto quello che c’è qua dentro, è un pezzo della mia vita e non è in vendita.
- Ti capisco benissimo. – gli disse Ginevra, sorridendo.
- Adesso scendiamo. Ti mostro il resto.
Anche il cortile con il pozzo rapì Ginevra, tanto che Goffredo dovette insistere per trascinarla oltre. Quando sbucarono dal portone ad est, che dava sul boschetto di lecci, la donna era entusiasta.
- Questo luogo è magnifico, complimenti. – esclamò.
- Lo penso anch’io. – concluse Goffredo, compiaciuto.

Mentre passeggiavano tra gli ulivi, alcuni giorni più tardi, di punto in bianco, Ginevra chiese a Goffredo:
- Tu sai chi sono i Setiti? –
Goffredo si sentì gelare.
- No. Chi sono? – mentì, con voce malferma.
- Non temere, non ti tradirò. Noi condividiamo lo stesso segreto.
Goffredo si bloccò di colpo, assolutamente sbalordito.
- Che cosa vuoi dire?
- Sono una Setita, Goffredo.
- Tu? Una Setita?
- Proprio così.
- E come hai fatto ad individuarmi? – mormorò, travolto da un improvviso senso di panico.
- Ho un certo fiuto per questo genere di cose. Ne ho conosciuti altri. Abbiamo deciso di restare in contatto e di trovare tutti quelli che mancano all’appello, per costituire una nostra comunità.
- Ma la tradizione vuole che ci disperdiamo su tutta la terra. - obiettò Goffredo.
- Una tradizione idiota, non trovi? A che serve? Al contrario, dobbiamo essere più uniti che mai. Abbiamo diritto alla nostra esistenza, alla nostra vita, ad avere una possibilità di scelta. Se vuoi restare isolato, nessuno te lo impedirà, ma se vuoi vivere insieme con i tuoi simili, dovrebbe essere nel tuo pieno diritto.
- Sono frastornato. Non mi aspettavo nulla del genere. – commentò Goffredo.
- Ti capisco. Pensaci con calma. Hai tutto il tempo. 
- Quanti siete? – chiese Goffredo.
- Undici, con te. Poi ce ne sono altri in Armenia, ma sono tutti rispettosi delle regole. Discutere con loro è inutile, vedi, sono convinti di avere un compito. Chi lo abbia affidato loro e di cosa si tratti, però, è un mistero. Di quelli non mi preoccuperei. Magari si decideranno ad unirsi a noi, una volta che avremo fondato il nostro villaggio. Secondo alcuni calcoli basati sulle genealogie, anche tenendoci bassi, dovrebbero esserci in giro almeno un altro centinaio di Setiti, ma molti si sono uniti agli umani. E’ per evitare questa resa senza condizioni, che noi vogliamo ritrovarli e stabilirci in un luogo in cui vivere in pace, tutti insieme.
- Lontano dai figli degli uomini?
- Questo è ancora in discussione. Comunque, in certe zone dell’Armenia, sono già al corrente della nostra esistenza, quindi fondare un villaggio laggiù non ci metterebbe troppo a rischio. 
- Non so. E’ un’eventualità che non avevo mai preso in considerazione. Devo rifletterci.
- Naturalmente. Nessuno di noi ha fretta. Abbiamo tutto il tempo, no? – commentò Ginevra, ridendo.
Poi lo prese sottobraccio e lo spinse a riprendere la loro passeggiata.

 

Goffredo non si capacitava di avere accanto a sé un’altra discendente dei Setiti. Per quanto tempo ne aveva disperatamente cercata una? E adesso, oltre a Miranda, c’erano Ginevra e tanti altri che avrebbe potuto incontrare e conoscere, con cui un giorno avrebbe potuto vivere, fianco a fianco, nello stesso luogo. Ginevra gli piaceva. Lo trattava con familiarità, con quella spontaneità che si raggiunge soltanto con i propri simili. Era questo che lo aveva attratto sin da subito? Aveva riconosciuto in lei una sua pari? Riconoscersi, quindi, non era poi tanto difficile. Come mai lo era invece per Miranda? I guizzi di freddezza  con cui aveva disseminato i loro incontri,  non erano mai stati incoraggianti. Eppure lui l’aveva riconosciuta, mentre Miranda si rifiutava di farlo. Goffredo si scoprì terribilmente stanco di rincorrerla.

Ginevra era libera. Glielo rivelò con grande naturalezza, con un sorriso provocante. Il suo era un chiaro invito a farsi avanti, ma Goffredo aveva altro per la testa.
- Io, invece, credo proprio di essere innamorato. – le confidò lui.
- Credi o lo sei? – reagì Ginevra.
- Lo sono, purtroppo.
- Il tuo “purtroppo” dichiara che lei non ti ricambia.
- E’ inutile che mi faccia delle illusioni. Il suo atteggiamento nei miei confronti è molto chiaro. Non le interesso affatto.
- Meglio così. Tu devi costruirti un rapporto con una Setita. Adesso ci sono qua io. Sono arrivata al momento giusto per salvarti, a quanto pare.
- Per salvarmi da me stesso? E come farai?
- Non sottovalutare mai i poteri di una donna. – gli disse, accarezzandogli il viso.
- Sono certo che sarebbe pericoloso sottovalutare i tuoi. – commentò Goffredo.
- Torna con me in Armenia. – lo invitò, qualche minuto più tardi, mentre passeggiavano lungo il bordo del laghetto.
- Mi stai tentando. – commentò lui, sorridendo.
- E’ un bellissimo paese. Sono sicura che ti troveresti bene.
- Lo so. Ci sono già stato. E’ là che ho conosciuto Siranush.
- Allora vieni con me.
- Perché ci tieni tanto?
- Perché tu mi piaci moltissimo. Potremmo formare davvero una bella coppia, io e te.
- Anche tu mi piaci molto, solo che…
Goffredo non sapeva come continuare senza rischiare di offenderla.
- …Solo che tu sei innamorato di un’altra. Lei però è un’umana. Dovresti proprio dimenticartela.
- E’ una Setita. – le rivelò Goffredo.
- Cosa? E chi è? Dov’è?
- Si chiama Miranda. Vive a Roma.
- Allora la conosco. O meglio, so chi è, ma non l’ho mai contattata. E’ una donna fredda, altera, che se ne sta sempre per conto suo, senza dare confidenza a nessuno.
- Già. – confermò Goffredo, che in quel momento non aveva alcuna voglia di difenderla. In effetti, quello di Ginevra, benché alquanto conciso, era un ritratto piuttosto preciso di Miranda.
- Vieni con me. Te la farò dimenticare.
- Che garanzie mi dai? – scherzò Goffredo.
- Cento per cento. Non sei mai stato così bene con una donna come con me. Ammettilo!
Goffredo rise.
- Sai, Ginevra, in fondo è vero.
- Noi siamo fatti l’uno per l’altra. Saremo felici insieme.
- Sembri talmente sicura di quello che affermi, che sarei tentato di crederti.
- Io ne sono certa.
- Ma l’amore, in tutto questo?
- Beh, io già ti amo. Adesso toccherebbe a te, fare un piccolo sforzo. Non è difficile, sai? Intanto potresti cominciare col baciarmi, visto che siamo soli, al chiaro di luna.
Un bacio? Goffredo aveva 600 anni e non aveva mai baciato una donna. Si irrigidì. Non era quello che voleva, anche se una strana eccitazione prese a fargli battere il cuore più in fretta. In fondo cos’era un bacio? Perché non lasciarsi andare ad un’esperienza del tutto naturale? Ma non era naturale per lui. Gli unici baci che aveva sognato erano quelli di Mirabella, prima, e di Miranda, poi. Quelli lo avrebbero fatto fremere. Con Ginevra sarebbe stato come un esperimento di laboratorio, applicare la pratica ad una teoria, senza alcun coinvolgimento emotivo. Poteva farlo, certo, ma cosa ne avrebbero ricavato? Si sarebbe trattato di un esercizio puramente sterile, privo di senso.
- Come non detto. – mormorò Ginevra, con un tono leggermente esasperato. Goffredo si stava rivelando un osso più duro di quanto avesse previsto.

 

Poiché, come si suol dire, nessun piano di battaglia sopravvive all’impatto con il nemico, Ginevra comprese ben presto che tentare di sedurre Goffredo non si rivelava una strategia adeguata. Goffredo era un Setita all’antica, di quelli che mantenevano a tutti i costi le promesse che si erano fatti, di quelli che restavano fedeli ai loro amori anche se questi amori non erano fedeli a loro. Era impregnato della sua virtù fino al midollo. Ginevra non era stata in grado di strappargli neppure un semplice bacio. Era piuttosto umiliante, specialmente se tutto ciò avveniva sotto lo sguardo ostile di Siranush, che la odiava per aver osato intromettersi, mentre tifava apertamente per Miranda.

Le giornate trascorrevano velocemente. Goffredo dedicava le sue mattine al lavoro, rinchiudendosi nella torre. Scendeva a pranzo, che consumava con la sua ospite, poi si ritirava in camera sua per le prime ore del pomeriggio e finalmente riservava il resto della giornata a Ginevra.  Non si chiedeva cosa facesse lei durante quelle ore, né lei gliene parlava.
Quel pomeriggio, però, Ginevra accennò ad un incontro con un certo Filippo.
- Scusa, chi è Filippo? – chiese Goffredo.
- Uno di noi. Gli ho parlato di Miranda, così ha deciso di incontrarla.
- Perché?
- Te l’ho detto. Abbiamo deciso di contattare tutti, per informarli della possibilità di costituire una nostra comunità. Filippo sta andando a Roma, quindi ne approfitterà per coinvolgerla nei nostri programmi.
- Penso che non sia tipo da approvare il progetto. – commentò Goffredo.
- Vedremo. Potrebbe stupirci.
- Si accettano scommesse. – scherzò Goffredo, sorridendo.
Conoscendo Miranda, era certo che Filippo non sarebbe neppure riuscito ad avvicinarla.

 

Erano trascorsi cinque giorni, quando Goffredo ricevette una sorprendente smentita.
- Ho vinto la scommessa. –  gli annunciò Ginevra – Filippo ha parlato con Miranda, che è entusiasta del nostro progetto. Purtroppo sono costretta a comunicarti anche una brutta notizia. Pare che lei gli si sia buttata tra le braccia come se da secoli non aspettasse altro che il suo arrivo. –
- Miranda? Miranda e Filippo? – balbettò Goffredo.
- Sì, è stato un colpo di fulmine. Può capitare, sai?
Goffredo fu colto da un profondo malessere. Per un momento odiò Ginevra, come se quella catastrofe fosse dovuta interamente a lei. Senza commentare, raggiunse la torre e vi si chiuse a chiave.
Come aveva potuto essere tanto stupido? Avrebbe dovuto chiamare Miranda e confessarle la verità al telefono, prima che quel Filippo potesse raggiungerla. Avrebbe dovuto immaginarlo. Miranda ed il suo cieco attaccamento alle tradizioni… Miranda e la sua leale fedeltà ai Setiti! E se l’avesse chiamata ora? Se le avesse rivelato chi era, offrendole una possibilità di scelta tra Filippo e lui? Ma no. Non era così che avrebbe voluto essere amato da Miranda,  non perché fosse un discendente dei Setiti, bensì unicamente  per se stesso, per quello che era, al di là delle identità fittizie con cui si era presentato a lei, Ser Richard o Goffredo che fosse.  Era forse un uomo indegno di essere amato?
“Orgoglio, Rigim?” pensò. Orgoglio, sì. E poi sentiva acutamente tutta l’ingiustizia di quella situazione. Dopo l’assedio di Malta, aveva cercato Mirabella per vent’anni. Per farlo aveva rinunziato a tutto, aveva abbandonato il suo posto tra i cavalieri di Malta, aveva cambiato nome, si era lasciato ogni cosa alle spalle. Per vent’anni aveva studiato ogni volto di donna che aveva incontrato, vagabondando da Genova al sud, spingendosi fino in Sicilia.  Vent’anni di inutili ricerche che lo avevano reso ancor più solitario e silenzioso. Era forse indegno di Mirabella, lui che l’aveva amata più della sua stessa vita? E dopo quattro secoli, quando infine l’aveva ritrovata, era dunque questo che si meritava? Di non essere neppure riconosciuto? Peggio! Di essere respinto persino come amico. Era evidente che Miranda non sapeva cosa farsene di lui, infatti non lo aveva più cercato. E se pure ne avesse avuto l’intenzione, ora che era impegnata con Filippo, di sicuro non l’avrebbe più fatto.

La mattina seguente, Goffredo era di umore nero. Non si era presentato a cena e si rifiutò di fare colazione. Siranush era molto preoccupata per lui.
-  Come mai è così tetro? – gli chiese, allarmata.
- Miranda non mi ha più cercato. Benché non ne aspettassi una conferma, questa è la prova indiscutibile che non gli interesso minimamente, neppure come semplice amico.
- Perché non la chiama lei? – gli propose Siranush.
- No. L’ultima volta che sono stato a casa sua, le ho detto che non l’avrei più importunata, che l’avrei aspettata qui, se avesse voluto rivedermi. Ma lei non verrà, ed io non la cercherò più. E’ finita, Siranush. So che adesso c’è un altro uomo nella sua vita.
- E’ strano. Non è quello che vedo io.
- Non peggiori le cose cercando di crearmi altre illusioni. Piuttosto, se conosce un metodo che mi consenta di  dimenticarla, me lo insegni subito. Sento la necessità di tornare ad una vita normale. E più presto questo avverrà, meglio sarà per tutti.
- Sono certa che non sarà necessario. Non si scoraggi. Non ne ha motivo, mi creda.
- E’ la maga che parla?
- Forse. – gli rispose Siranush, con una strana espressione.
Goffredo si difese impedendosi di prestarle fede ed iniziò a barricare il suo cuore.

 

Nonostante tutto, Ginevra nutriva ancora una indistinta speranza, dovuta al fatto che Miranda non si era mai fatta viva, da quando lei si era installata al castello, un mese prima. Miranda era completamente all’oscuro della vera natura di Goffredo. Adesso che gli aveva mandato Filippo, si sentiva più tranquilla. Era un Setita che voleva, no? Quindi si sarebbe dedicata esclusivamente a lui. Il motivo che invece tratteneva Goffredo dal chiamarla, le era del tutto incomprensibile, cosa che del resto non aveva rilevanza, visto che giocava a suo favore. Ma come avrebbe potuto sfruttare questo vantaggio? 
- La tua solitudine è finita, Goffredo. Spero che tu possa apprezzare questo cambiamento nella tua vita. Se ti fa piacere, potrei convocare qua i miei amici, così da iniziare a conoscere altri tuoi simili. – gli propose una sera, mentre passeggiavano in giardino.
- Non sono ancora pronto, Ginevra. Vorrei prima risolvere alcuni problemi che ho in sospeso.
- Uno dei quali si chiama Miranda, vero?
- Forse. – rispose, mantenendosi sul vago.
- Di me non ti importa proprio niente, quindi? –
- Ti sbagli. Sei una splendida amica. Io ti voglio bene, ma non chiedermi più di questo, adesso, per favore. In questo momento non sono in grado di offrirti altro.
- Con quanta indifferenza mi lasci soffrire! Il mio amore per te non merita dunque neppure un po’ di considerazione, la possibilità di un dubbio, un punto interrogativo da accostare alle tue solide certezze?
- Mi dispiace che tu ne soffra, Ginevra, ma io non ho fatto nulla per condurti qui, né tantomeno perché tu mi amassi. Dal primo momento ti ho confessato di essere innamorato di Miranda. Cos’altro avrei potuto fare per impedirtelo?
- Hai ragione, non è colpa tua. Però è successo. E neppure io posso farci niente. Così saremo tutti e due infelici. Io perché amo te e tu perché ami Miranda.
- Le cose cambiano. A volte il tempo le risolve. Magari, la prossima volta che ci incontreremo, sarà tutto diverso.
- Mi stai congedando? Vuoi che me ne vada?
- No, al contrario, sono felice che tu sia qui. Resta pure finché ti fa piacere.
- Però non rompermi più le scatole, volevi aggiungere.
- Perdonami, Ginevra, devi avere pazienza con me. Per ora accontentati della mia amicizia. 
- Lo farò, ma solo perché non mi lasci altra scelta.
 
Goffredo aveva imboccato una via stretta e senza uscita. Sentiva di non essere in grado di andare avanti, né di tornare indietro. Bloccato sulle sue posizioni, vedeva il mondo girare attorno a lui, mentre gli era impossibile muoversi. Come accade nei peggiori incubi, gli sembrava di camminare rimanendo sempre nello stesso punto. Non riusciva a strapparsi dal cuore Miranda, trasformata in una spina ben conficcata fino in fondo e fatalmente irraggiungibile. Il suo dolore non trovava conforto. Era cieco e sordo a tutto, sprofondato in un buio silenzioso in cui nulla più aveva importanza. Neppure Siranush riusciva a trovare le parole adeguate per sottrarlo alla sua disperazione.

Più il tempo passava, meno Ginevra riusciva ad accontentarsi della scarsa attenzione di Goffredo. Le sembrava di vitale importanza imporsi ai suoi sentimenti. Qualcosa le diceva che, senza di lui, la sua vita sarebbe naufragata. Non poteva cedere senza almeno il barlume di una promessa. Filippo le aveva assicurato che Miranda era felice della sua compagnia. Ormai era sicura che sarebbero rimasti insieme. Voleva che Goffredo vedesse con i propri occhi che il cuore di Miranda era impegnato altrove, affinché si rassegnasse e spostasse il suo interesse verso di lei. Ginevra voleva al più presto imporsi come la sua unica alternativa, ma per ottenere ciò, Goffredo doveva prima essere messo di fronte all’evidenza della cruda realtà. Alla fine riuscì ad averla vinta almeno su questo punto, approfittando della depressione e dell’apatia in cui Goffredo era precipitato. 
- Mi piacerebbe farti conoscere due miei amici, che in questi giorni si trovano proprio da queste parti. Che te ne pare?
- Come vuoi. – rispose Goffredo, come se la cosa non lo riguardasse affatto, ma volesse soltanto farla contenta.
- Magari potrebbero venire anche Filippo e Miranda, così potremmo approfittarne per conoscerci almeno tra noi. – osò proporgli, sfruttando quel suo momento di remissività.
Goffredo sospirò. Il pensiero di rivedere Miranda, perlomeno in quella situazione, non gli arrideva affatto, ma in fondo, rimandare quel momento, non avrebbe mai potuto renderlo meno penoso. D’altra parte, lo attirava l’idea di osservare come avrebbe reagito Miranda quando avesse scoperto che anche lui era un Setita.
- Va bene, invitali pure. In fondo, prima o dopo, cosa potrebbe cambiare?
Dopo di che, fu Siranush a stupirlo.
- Quattro ospiti? Ha deciso di trasformare questo castello in un bed and breakfast? – commentò la donna, aspramente.
- Siranush, cosa le prende?
- Sono amici di Ginevra, vero? – gli chiese a sua volta, con espressione severa.
- Sì, ma tra loro ci sarà anche Miranda. E poi, che differenza fa di chi siano amici? Se ha bisogno di aiuto, posso far venire qualcuno che le dia una mano.
- Non è per questo. E’ che… Niente, mi scusi, non sono affari miei.
- No, infatti, non lo sono. – affermò Goffredo, irritato.

 

I primi ad arrivare, quel fine settimana, furono Edoardo e Rolando. Entrambi erano alti come Goffredo, ugualmente scuri di capelli e di occhi, con la medesima corporatura. Avrebbero potuto scambiarli per fratelli. Erano stati i primi a mettersi in cerca degli altri Setiti dispersi ed erano fermamente decisi a fondare un villaggio in Armenia, anche subito. Nel pomeriggio, si sedettero tutti all’ombra di un gazebo, davanti al portone principale. La discussione tra loro e Goffredo era in pieno svolgimento, quando videro due figure salire dal vialetto, illuminate dagli ultimi bagliori del tramonto. Una di esse era Miranda. Goffredo l’avrebbe riconosciuta anche al buio. Il suo cuore perse un battito. Una volta che furono vicini, Miranda seguì le presentazioni, con la sua solita espressione pacata, finché Goffredo non si fece avanti e lo sguardo di Miranda non incontrò il suo.
-    Ciao, Miranda. – la salutò, stringendole la mano, senza neppure un sorriso di convenienza.
-    Goffredo… Che cosa ci fai qui? –  balbettò sorpresa, impallidendo.
-    Questa è casa mia. – la informò.
-    Ma… questo significa…
-    …Che sono anch’io un Setita. –  le annunciò, esibendo  un’inesistente noncuranza.
Se possibile, Miranda divenne ancor più pallida.
- Vogliamo entrare? – li invitò Goffredo, precedendoli verso l’interno con Ginevra, mentre Filippo sorreggeva Miranda, che barcollava leggermente.
- Ginevra, per cortesia, vuoi accompagnare i tuoi amici alle loro camere?
Mentre Edoardo e Rolando seguivano Ginevra, Goffredo trattenne Filippo e Miranda, dicendo:
- Alle vostre stanze vi accompagno io. Sono nell’altra ala.
- Goffredo, non immaginavo…
- Lo so, Miranda. Non importa. – la interruppe.
- Eccome, se importa!
- Perché, che differenza fa? – le chiese Goffredo, fissandola negli occhi, senza nemmeno il ricordo del calore di un tempo.
- Questo cambia tutto. – mormorò Miranda.
- Ti sbagli. Questo non cambia proprio niente. – affermò Goffredo, con una freddezza che, solo qualche tempo prima, non si sarebbe mai sognato di ostentare.
Un’espressione di improvvisa comprensione si dipinse sul volto di Miranda.
- Tu lo sapevi… Di me, lo sapevi e non mi hai detto niente. Perché? – domandò Miranda.
- Che differenza avrebbe fatto? – ribatté Goffredo.
- Tu lo sapevi… – ripetè Miranda, come se questa idea si fosse bloccata al centro della sua mente, ostacolando il fluire di ogni altro pensiero. 
- Seguitemi. – tagliò corto Goffredo, ignorandola e iniziando a salire le scale, senza neppure accertarsi che gli stessero tenendo dietro.

Dopo cena si trasferirono nel salone, per discutere nuovamente il progetto a cui Edoardo e Rolando si stavano dedicando con incondizionata abnegazione.  I pensieri di Goffredo naufragavano però in tutt’altra direzione. Il suo sguardo, ogni tanto, si posava su Miranda, per poi schivarla con la massima velocità. In realtà non voleva guardarla, ma i suoi occhi pareva vivessero di vita propria, sabotando tutto l’impegno che prodigava nell’ignorarla. Sul divano, accanto a lui, Ginevra commentava le loro opinioni, posando la mano sulla sua, come per chiedere sostegno al suo parere. Goffredo ne era a malapena cosciente. In quel momento si trovava a distanze siderali, attratto da un buco nero che lo stava risucchiando brutalmente. Ben presto, un’immensa stanchezza si impadronì di lui. Si alzò, si scusò educatamente, pregandoli di continuare in sua assenza e si ritirò.
Cosa gli era venuto in mente di acconsentire a quella stupida riunione, ben consapevole che Miranda sarebbe venuta insieme con Filippo? Si era forse chiesto come avrebbe reagito vedendoli insieme? No. Aveva accettato solo perché si era rifiutato di rifletterci davvero. Come poteva essere diventato tanto stolto e masochista?
Quella notte dormì pochissimo e male. Continuava a darsi dell’imbecille per non aver rivelato a Miranda chi fosse, quando era ancora in tempo. Quella domenica che l’aveva raggiunta in casa sua, non era proprio per questo che ci era andato? Perché aveva rinunciato? Che differenza avrebbe fatto per lui essere amato come Setita o come semplice umano? La sua priorità non avrebbe dovuto essere quella di stringere Miranda tra le braccia, in un modo o nell’altro? E ormai era davvero troppo tardi.

 

All’alba uscì, dirigendosi verso il bosco di lecci. La luce era grigia e piatta. Si sentiva soffocare. Si appoggiò al tronco di un albero e cercò di inspirare profondamente. Avrebbe voluto trovarsi all’altro capo del mondo, lontano da tutto e da tutti. Avrebbe voluto dimenticare ogni cosa, cancellare dalla mente ogni ricordo della sua vita trascorsa, ricominciare tutto da capo, come un uomo che non ha mai vissuto. Pensò che poteva partire subito, abbandonando ogni cosa, così come aveva già fatto mille altre volte, stabilendosi in un luogo lontano, in Patagonia, in Nepal, in Kamchatka, un luogo qualunque, purché fosse ben lontano da Miranda.
All’improvviso, uno scricchiolio di foglie calpestate lo fece trasalire. Si voltò. Era lei. Perché non lo lasciava in pace?
- Buongiorno, Goffredo. –
Riacquistato il controllo, il suo sguardo indugiò sul volto della donna, decidendo che, dopo tutto, quello poteva essere un momento buono quanto un altro. Lei doveva sapere.
- Buongiorno, Mirabella. – le rispose, riesumando il nome del passato.
- Come mi hai chiamata? – domandò lei, incredula.
- Mirabella. Non era così che ti facevi chiamare a Malta, da Ser Richard?
- Come fai a sapere di Ser Richard? –  chiese, stupefatta.
- Non l’hai ancora capito?
- Che cosa? Di cosa stai parlando?
- Ma sei cieca? Guardami, Mirabella. Guardami bene! – le impose Goffredo, risolutamente, afferrandola per le spalle e scuotendola leggermente. 
Lei lo guardò, con espressione priva di comprensione.
- Dunque è proprio vero. Non mi riconosci neanche adesso che ti ho rinfrescato la memoria. Ero io, quel Ser Richard che conoscesti a Malta.
Miranda lo fissò con uno sguardo di persistente incredulità.
- Perché vuoi farmi credere questo? Ti rendi conto di quanto sia crudele?
- E io? Pensi che io ne sia felice? Mi ero illuso che  almeno un po’ mi avessi amato, invece mi accorgo di non aver lasciato alcuna traccia nei tuoi ricordi. Averti ritrovata, dopo tutto questo tempo, solo per scoprire che non sono mai stato niente per te… Oh, sì, è molto divertente.– esclamò Goffredo, con sarcasmo.
- E va bene. Allora, dimostramelo! – lo sfidò Miranda.
- Se è di questo che hai bisogno, vieni con me. – le ingiunse lui, esasperato, strattonandola per un braccio e trascinandola con sé, a lunghi passi decisi.
Era furibondo.
Rientrando in casa, Goffredo la condusse a forza dietro lo scalone dell’atrio e spostò una leva attentamente occultata nelle modanature del muro. Un meccanismo nascosto ne spostò un’intera porzione, attivando, nello stesso tempo, l’accensione di una lunga fila di faretti che illuminavano il percorso. Il varco permetteva il passaggio in un lungo corridoio, in forte discesa, che si apriva su un grande ambiente segreto.
- Ecco, qui c’è tutta la mia vita. – dichiarò Goffredo, entrando.
All’improvviso tutto il suo furore si sgonfiò, sostituito da una sorta di demoralizzata e malinconica rassegnazione.
Miranda si aggirò per il salone, con l’espressione di chi cerca un appiglio per capire, finché non si fermò di fronte all’armatura. Goffredo la seguì e le posò saldamente le mani sulle spalle, come per inchiodarla a quella verità che lei si rifiutava di vedere.
- Te la ricordi? La portavo a Malta, il giorno in cui mi venisti a dire addio alla porta di Mdina. Mi regalasti la sciarpa che è legata all’elsa della spada ed io ti donai un fiore. Era piccolo e bianco, ma era quasi un miracolo. Non c’erano molti fiori a Mdina, quel 16 maggio, solo venti di guerra. Il mio cuore era spezzato, eppure in seguito ringraziai il cielo che fossi partita. Due giorni dopo, infatti, gli Ottomani iniziarono l’assedio che ci decimò. Fu terribile. Per quattro mesi combattemmo come forsennati, finché arrivò la flotta dalla Sicilia a darci manforte, mettendoli in fuga. A quel punto, di 9000 eravamo rimasti in 650. Più tardi tentai di ritrovarti, ma non avevo la più pallida idea di dove fossi andata e dopo vent’anni di inutili ricerche, rinunciai. Come potevo immaginare che fossi anche tu una Setita e che ti avrei ritrovata quattro secoli più tardi? – terminò Goffredo.
Miranda si voltò a guardarlo. Era sconvolta.
- E’ terribile. – mormorò, portandosi entrambe le mani davanti alla bocca.
Poi, barcollando, si lasciò cadere su una poltrona. Il suo sguardo vuoto fissava un punto davanti a sé, con estrema determinazione. Era pallida come una morta.
- Miranda, ti senti bene? – le chiese Goffredo.
- Non credo.
- Potrei sapere qual è il problema? E’ passato tanto tempo da allora. Posso capire che tu non m’abbia riconosciuto. Non ha più importanza chi eravamo. Ora è tutto diverso. Nella tua vita c’è Filippo, adesso. Finalmente hai trovato qualcuno degno del tuo amore. Non badare a ciò che ti ho rivelato. Non preoccuparti. Volevo soltanto che tu lo sapessi.  Come vedi, quando siamo stati insieme a Malta, pochi mesi fa, avevo ben ragione di credere che proprio là ci eravamo già conosciuti.
- Ma come fai a dirmi di non preoccuparmi? Sono fuggita da Malta perché mi ero innamorata di te, Ser Richard. Purtroppo, non mi era concesso d’innamorarmi di un figlio degli uomini, come credevo che fossi. Ma non ho mai smesso di rimpiangerti. Sei stato l’unico che abbia mai amato.
- Mi amavi? – si stupì Goffredo, che stentava a crederlo.
- Ne dubiti? Guarda! – disse Miranda, estraendo un ciondolo che nascondeva sotto i vestiti e dondolandoglielo sotto gli occhi.
Era un medaglione rotondo, all’interno del quale, attraverso un vetro, si intravedeva un fiorellino secco. Come potesse essersi conservato tanto a lungo era un mistero. Goffredo si inchinò per prenderlo tra le dita ed osservarlo, poi glielo restituì. Miranda si alzò dalla poltrona e lo fronteggiò, guardandolo dritto negli occhi, con un’espressione di inquieta aspettativa.
- Sono felice di saperlo. Mi basta questo. Non so perché, ma è un dubbio che mi ha tormentato per tutta la vita.
- Ti basta questo? – mormorò Miranda, incredula e delusa.
- Sì, almeno so di non aver sprecato i miei sentimenti e vent’anni della mia vita. Torna di sopra, adesso. Filippo ti starà cercando. – le disse, freddamente.
- Filippo? – mormorò, smarrita.
- Te ne sei già dimenticata? Filippo, il Setita che ti ha condotta a questa splendida riunione. – le ricordò, con sarcasmo.
- Non è di lui che mi importa, ma di te.
- Già, è per questo che non ti sei fatta viva per tutto questo tempo, perché non sapevi come dirmi che ti importava di me. Come ho fatto a non pensarci prima?
- Tu non mi credi.
- Faccio un po’ di fatica, in effetti. Bizzarro, vero?
- Io ti amo, Ser Richard.
- Sono spiacente. Ser Richard non esiste più, da moltissimo tempo. –  affermò Goffredo, freddo come il ghiaccio.
- Goffredo, quando sei venuto a trovarmi, quella domenica in cui eri fuori di te, stavo per dirtelo, ma poi non ne ho trovato il coraggio. Eri così diverso, così freddo. Ho avuto paura. Però ho cercato di fartelo capire. Te ne ricordi?
- No. – negò Goffredo, con espressione immutata.
- Stavo per telefonarti, il giorno in cui è venuto Filippo. Conoscere finalmente un altro come me, mi ha distratto. Ho pensato che fosse un segno del destino, che proprio mentre stavo capitolando, un Setita si fosse presentato alla mia porta. Il fato mi diceva di non cedere all’amore per un figlio degli uomini. Ho tentato. Ce l’ho messa tutta. Ma di Filippo non mi importa niente. E’ te che amo, te che fino a ieri ignoravo fossi un Setita. Avevo già deciso di venire da te, prima che Filippo mi trascinasse a questa riunione. Quando ti ho visto, pensavo di svenire.
Goffredo la fissò in silenzio, mentre una sottile crepa, dentro di lui, cominciava ad aprirsi. 
- Tu non mi credi. – gemette Miranda.
Goffredo prolungò ancora il suo silenzio per qualche istante, mentre il suo cuore iniziava a galoppare.
- E va bene. Allora, dimostramelo! – la sfidò, con le medesime parole utilizzate da lei poco prima, nel bosco.
Miranda decise che quello era esattamente il momento giusto per dargli quel bacio che aveva rimpianto per così lungo tempo, un bacio che si rivelò decisamente più travolgente di quanto Goffredo si fosse mai sognato. Il momento di stringerla tra le braccia era dunque arrivato. Il suo cuore batteva all’impazzata, facendo schizzare via tutte le difese con cui si era barricato.
- Chi sei davvero, Miranda? – le chiese, quando, a fatica, le loro labbra si separarono.    
- Sono Betsabel, figlia di Chet. E tu chi sei?
- Io sono Rigim, figlio di Ofir.
Goffredo asciugò il viso di Miranda, rigato di lacrime.
- Non piangere, non posso sopportarlo.
- Sono lacrime di felicità. – gli chiarì Miranda, sorridendo.
- Adesso basta. Per le spiegazioni avremo tutto il tempo. Vieni di sopra con me. – decise Goffredo, trascinandola via, spinto da un’impellente urgenza che ormai lo incendiava, impedendogli di respirare e di pensare.

Siranush li vide salire lo scalone strettamente abbracciati ed esalò un profondo sospiro di sollievo.

 

Più tardi, mentre Filippo apprendeva la notizia con grande filosofia, Ginevra, memore d’essere stata causa della sua stessa disgrazia, risultò del tutto inconsolabile.
- Mi dispiace, Ginevra, ma non ho mai cercato di illuderti.
- Lo so, ho fatto tutto da sola. Tu sei stato leale sin dal primo momento. Non è colpa tua. Però è giunto il momento che io me ne vada. – gli annunciò.
- Resteremo in contatto, vero? Devi darmi tue notizie.
- Certo, non preoccuparti. Partirò con Filippo. C’è molto lavoro da fare. Ti terrò informato.
- Sono felice di averti conosciuta, Ginevra. E di aver conosciuto anche gli altri. Un giorno vi raggiungeremo.
- Non pensavo che lasciarti mi avrebbe addolorato tanto. Se lo avessi sospettato, non sarei mai venuta. –  concluse Ginevra, con le lacrime agli occhi.
Goffredo la strinse in un energico abbraccio, pur prevedendo che non sarebbe stato sufficiente a consolarla.
Ma non se ne rammaricò per più di un minuto, perché i suoi pensieri vorticavano altrove. Con l’egoismo proprio di chi è innamorato, per lui contava solo il momento in cui avrebbe potuto di nuovo isolarsi con Miranda e riprendere il dialogo dei corpi che avevano appena iniziato e dovuto presto interrompere. La presenza degli altri ospiti nel castello gli aveva imposto di lasciare a malincuore le braccia accoglienti di Miranda. Ora, l’unico suo desiderio era che se ne andassero tutti al più presto, e finalmente, nel tardo pomeriggio, fu esaudito. Non appena li vide incamminarsi lungo il vialetto, si affrettò a ritornare alla sua nuova agognata conversazione.

Il mattino successivo furono destati da uno strano rumore, simile allo scrosciare di una cascata d’acqua in mezzo alla foresta. Pioveva intensamente, all’improvviso, dopo mesi di siccità preoccupante. Era ottobre inoltrato, ma l’autunno non aveva voluto iniziare, fino a quel giorno.
Goffredo si girò nel letto e accarezzò il viso di Miranda, sorridendole, poi la baciò.
- Sta piovendo. – le sussurrò.
- Persino la pioggia mi sembra piacevole, adesso.
Goffredo sospirò.
- Cos’hai? – gli chiese Miranda.
- Adesso me li puoi raccontare i tuoi segreti? Parlami di te. So ancora così poco.
- Prima vorrei che me ne svelassi uno dei tuoi.
- Quale? – chiese Goffredo.
- Ma tu mi ami?
- Hai davvero bisogno che te lo dica?
- Sì, ne ho bisogno. –
- Ti amo, Betsabel, più della mia stessa vita.
Lei sospirò e lo baciò con passione, ridestando il desiderio di Goffredo, che la schiacciò sotto il peso del suo corpo.
Il contatto con la pelle di Miranda gli procurava una sensazione quasi elettrica, un flusso costante di piacere gli correva per tutto il corpo, ma un’esigenza superava tutte le altre, un bisogno impellente di entrare in lei per sentire di possederla realmente, materialmente, fisicamente, non più soltanto in sogno o nella sua immaginazione. Eppure si impose di non giungervi in fretta. In fondo, avevano tutto il tempo del mondo. Ma Miranda non la pensava come lui e lo attrasse a sé con una foga ancor più incalzante della sua. Quando la penetrò, Goffredo pensò che avrebbe potuto impazzire, ma poi non fu più in grado di pensare a nulla.
Più tardi, quando il respiro ed il battito del suo cuore tornarono regolari, Goffredo le disse:
- Come al solito, trovi sempre il modo di cambiare argomento. Ma questa volta non mi sfuggirai. Dai, raccontami.
- Cosa vuoi che ti racconti? Se mi guardo indietro, niente ha più importanza.
- Dove sei nata? Dove sei vissuta? Vorrei sapere tutto di te.
- Tutto, è impossibile. – ammise Miranda, sorridendo. – Ci sono molte cose che per fortuna ho dimenticato. Sono nata a Costantinopoli, nel 1499. Ci ho vissuto con la mia famiglia, i miei genitori e due fratelli. Era piuttosto facile mimetizzarsi là, perché era una città molto affollata. Poi mio padre decise di spostarsi verso l’Armenia. Pensava che là avremmo ritrovato altri discendenti dei Setiti, ma fu una catastrofe. Le guerre ci separarono. Dovetti tornare indietro. Mi arrangiai da sola, finché non incontrai mio fratello Samir, tornato anche lui in cerca di noi. Ma a Costantinopoli non si trovava bene, così cominciammo a viaggiare, finché non ci ritrovammo a Malta.
- Dove ti ho conosciuta. – sottolineò Goffredo.
- Già. Conoscerti ed innamorarmi di te fu un tutt’uno. Ma non dovevo. Non potevo, capisci? Ero disperata. Ignoravo che tu fossi un Setita. Pensavo che la mia unica salvezza fosse fuggire via da te, non vederti mai più. Così trascinai via Samir, sperando di non incappare nei pirati che infestavano il Mediterraneo. Ci andò bene. Sbarcammo in Sicilia, e là Samir incontrò una donna e si fermò. Le regole che guidavano la nostra vita, improvvisamente per lui non avevano più alcun valore. Non ci fu modo di dissuaderlo dalla sua decisione. Il suo viaggio era finito. Per me doveva ancora cominciare. Come lo odiai! Ben presto la mia disperazione si trasformò in rimpianto. Samir era felice, mentre io avevo rinunciato a quella stessa felicità, per tener fede a regole che neppure condividevo.  Avrei voluto tornare indietro.
- Ma non l’hai fatto. – si dolse Goffredo. 
- No. Quando ci giunse notizia della strage di Malta, ti piansi per morto e mi ritirai in un convento. Non che fossero luoghi molto tranquilli, neanche quelli di clausura, ma cercavo di passare inosservata. Dopo pochi anni fui costretta a spostarmi. Di andarmene in giro da sola, non c’era nemmeno da immaginarselo, così approfittavo del passaggio di gruppi di pellegrini, per confondermi tra loro e trasferirmi da un paese all’altro e da un convento all’altro.  A volte, per viaggiare, fui costretta anche a fingere di essere un uomo. Dall’Italia arrivai in Francia e poi nel 1599 mi ritrovai in Spagna, a Valladolid, dove la Badessa di Las Huelgas aveva da poco fondato il monastero delle “Recollette”. Là riuscii a fermarmi per dieci anni, il periodo più lungo.
- E poi? – la incalzò Goffredo.
- E poi decisi di andare in Armenia, sperando di ritrovare la mia famiglia. Mi fermai per qualche anno, conobbi persone meravigliose, ma dei miei genitori nessuna traccia e neppure di altri Setiti. Così tornai qui. Sono stati talmente tanti i miei spostamenti e i miei travestimenti, che non so più riconoscere chi sono veramente.
- Lo so, e’ una sensazione che ho provato anch’io. -  confermò Goffredo. – Quando mi guardo allo specchio e mi vedo sempre uguale, mi sembra che la vita mi sia passata accanto, senza cogliermi.
- La mia sensazione ricorrente invece era quella di essere in attesa. Adesso non la provo più, ho raggiunto la mia destinazione, finalmente.
- Stai parlando di me? – domandò Goffredo, sorridendo.
- E di chi altro?
- Di Filippo che mi dici?
- Oh, è stato soltanto un momento di debolezza. Probabilmente qualcosa di simile a quello che hai provato tu, quando hai conosciuto Ginevra. Incontrare finalmente un altro Setita, mi è sembrato un vero miracolo. Ma non c’è stato niente tra noi. Pensavo sempre a te. Non ce la facevo più a starti lontano. Era un tormento. Ormai non mi importava più di nulla. Anche se ero convinta che tu fossi un semplice figlio degli uomini, ero decisa a stare con te, se tu mi avessi voluta.
- Ne sono felice. – commentò Goffredo, che ancora non riusciva a credere di stringerla tra le braccia.
- Perdonami, se non ti ho riconosciuto, Ser Richard e se ci ho messo tanto a comprendere che non potevo stare lontano da te, Goffredo.
- E’ facile perdonarti, ora che sei qui.

 

La terra si era asciugata, dopo il forte acquazzone di qualche giorno prima, che aveva fatto strage dei fiori. Miranda e Goffredo camminavano lentamente lungo la sponda del laghetto.
- E’ bellissimo qui. – sospirò Miranda.
- Peccato che non si possa restare per sempre. – commentò Goffredo.
- Troveremo il modo di restarci il più a lungo possibile, e poi ci potremo trasferire in Armenia, per fondare il nostro villaggio. – lo consolò.
- Tra breve dovrò licenziare Siranush, prima che inizi a porsi domande, se già non se ne pone. – si rammaricò lui.
- Che cosa sa di te? –
- Niente. – la rassicurò Goffredo.

Siranush aveva ormai compreso che la sua missione era terminata. Era felice di aver permesso a Rigim di ritrovare la compagna a lui destinata. Con l’aiuto di Sirarpì, nonostante la difficoltà dell’impresa, era riuscita a collocarli nelle cabine attigue della stessa nave. Era orgogliosa di aver lavorato a quell’incarico. L’intrusione di Ginevra non l’aveva tanto preoccupata, quanto irritata, come pure l’invasione di quegli altri irresponsabili che non comprendevano quanto le loro rigide regole servissero a difenderli dall’ostilità del mondo. Concentrati in un unico luogo, si sarebbero trovati esposti ed  inermi di fronte ai figli degli uomini. La loro migliore difesa rimaneva la segretezza, come lo era sempre stata da tempi immemorabili. Avrebbe trovato il modo di farlo comprendere a Rigim e Betsabel, che ora seguiva con lo sguardo dalla finestrella della cucina, mentre, teneramente abbracciati, passeggiavano lungo la sponda del laghetto. Siranush decise che fosse giunta l’ora di mettersi a cucinare. “Quei due saranno pure innamorati cotti, ma di sicuro non mancano di appetito.” pensò. Presto sarebbero venuti a curiosare nelle sue pentole e che figura ci avrebbe fatto, se non avessero trovato il pranzo pronto?

 

Una Custode dei Setiti sa sempre qual è il suo compito.