Capitolo quattro

Consuelo sospirò nella sua tazza di tè. Si disse che no, non era triste. Neppure felice, certo. Ma c’erano vie di mezzo che neppure avevano un nome, e di questo era proprio sicura. Cercò di analizzare la situazione. In quella specie di limbo aveva trovato casa da quando viveva a Burgos. La città le piaceva, non era quindi nostalgia di casa. Si sentiva bene, in forma, piena di energie, quindi non era stanchezza. Che cos’era dunque che la trascinava verso il basso, che le pesava addosso costringendola a camminare persino un po’ curva? Forse quella piccola delusione che doveva al suo boss? Quando Delgado si era ritrovato nei guai, Consuelo aveva fatto tutto il possibile, e persino qualcosa che non avrebbe dovuto, pur di aiutarlo. Eppure, non più tardi di ieri, le era sembrato che lui avesse dato tutto il suo impegno per scontato. A convincerla erano stati alcuni suoi infelici commenti. Era proprio vero, quello che si riceve gratis sembra non avere alcun valore: ne ha solo quello che si paga. Ma da Delgado non se lo sarebbe mai aspettato, anche se non poteva certo affermare di conoscerlo bene. Uno che preferisce il silenzio alle parole, difficilmente si mostra per quello che è. Così, c’è sempre qualche sorpresa da aspettarsi, qualche ombra in cui è inutile scrutare, qualche punto interrogativo che rimane in sospeso. Delgado le aveva fatto capire che preferiva mantenere le distanze, e lei aveva finito per non chiedergli mai nulla. Se, per puro caso, aveva messo il naso nel suo privato, era sempre stato attraverso Paco, con cui invece aveva fatto subito amicizia. Neppure di questo Delgado sembrava troppo soddisfatto. Adesso che Paco e Rey vivevano insieme, nel suo stesso complesso, le capitava spesso d’incontrarlo e ogni volta ne era contenta. Paco le piaceva. Delgado invece era il suo capo: non doveva piacerle per forza. Doveva solo essere pronta a dirgli signorsì.
Finì di bere il suo tè e intanto arrivò a una conclusione: era la solitudine a pesarle. Facendo due conti, gli unici con cui avesse un rapporto quasi umano, erano Paco e poi Noriega, della narcotici. Noriega l’aveva persino invitata a cena un paio di volte, quand’erano usciti contemporaneamente, sul tardi, dal commissariato. Niente di premeditato, giusto un modo per tenersi compagnia durante il pasto. Noriega era stato assolutamente corretto. Avevano imparato a rispettarsi, ma di certo non si conoscevano a fondo. Consuelo si disse che era giunto il momento di cercarsi qualcuno decisamente scorretto, qualcuno che la vedesse come una donna e non solo come una collega, qualcuno che avesse voglia di portarsela a letto. Forse era anche giunto il momento di seguire i consigli di quel bastardo di Beltran Rodríguez: comprarsi una gonna.

 

Don Roano Molina, concludendo l’omelia, invitò i fedeli a pregare San Giuda. Tra i banchi della chiesa, qualcuno si guardò intorno stupito, come in cerca di spiegazioni. Don Carlos Rivero si voltò invece verso di lui, con uno sguardo carico di gratitudine, sussurrando:
– Prega per me.
Il servizio religioso, che avevano officiato insieme, terminò con un amen corale, che riecheggiò nella chiesa di San Lesmes, mentre i primi fedeli già sciamavano dall’ampio portone. In mezzo alla piazza, la statua del cavaliere a cavallo, con il braccio sollevato a sorreggere una bandiera, sembrava dare un ultimo saluto.
– Chi è San Giuda? – domandò una bimba alla madre, uscendo dalla chiesa.
– È il santo patrono delle cause perse. Quando non esiste soluzione per un problema, allora si prega San Giuda – rispose la donna, con un sorriso.
Entrando in sagrestia, Roano si avvicinò a Carlos e lo guardò dritto negli occhi.
– Anche tu devi pregare per me.
– Lo faccio sempre.
– Ma adesso ne ho ancora più bisogno.
– Lo so.
No, non puoi saperlo, pensò Roano.
Quella sera, il parroco, don Ernesto Dalma, bussò alla porta dello studio, ma don Roano non rispose. Se ne stupì, perché era stato proprio Roano a chiedergli di passare da lui. Provò ugualmente a entrare. In effetti lo studio era deserto, ma lui si avvicinò alla scrivania per posarvi il libro che Roano gli aveva prestato. Era inutile che se lo riportasse indietro. Fu allora che la vide.
 
Faceva un caldo d’inferno, per fortuna mitigato, la sera, da un vento fresco che giungeva dal Nord. Stavano per lasciare il servizio, quand’era giunta la segnalazione. A bordo di un’auto nascosta tra gli arbusti, sul bordo di un sentiero che correva lungo il Rio Arlanzón, erano stati trovati due cadaveri. Li aveva scoperti un uomo che portava a spasso il cane. Rey brontolò. Avvisò Paco che avrebbe fatto tardi e poi guardò Consuelo, aggrottando le sopracciglia.
– Andiamo?
– Sì, capo.
– Avevi programmi per stasera?
– No.
– Menomale. Io invece ne avevo, quindi scusa se sarò intrattabile.
– Non preoccuparti, ci sono abituata.
– Meglio così.
Consuelo si mise alla guida, come il solito, senza fiatare. Dopo qualche minuto, Delgado le chiese dove fosse il luogo del ritrovamento.
– A due passi dal complesso di ville El Priorato – spiegò Consuelo.
– Niente di meno! Un posto dove non succede mai niente. Chissà come saranno contenti quei ricconi che pagano uno sproposito per restarsene al riparo da questo genere di volgarità.
– Già, hanno anche un servizio privato di vigilanza, se non sbaglio.
– Sì, ma non credo che i vigilantes si spingano a perlustrare fino al fiume.
– Potrebbero aver visto ugualmente qualcosa di strano.
– Glielo chiederemo.
Arrivarono per ultimi. Le altre auto di servizio e quella del medico legale erano parcheggiate poco lontano. Consuelo parcheggiò l’Alfa 159 in coda all’ultima. Numerosi agenti indaffarati circondavano un’Escarabajo nera, con gli sportelli spalancati. Sembrava davvero uno scarabeo pronto a spiccare il volo. Vedendoli arrivare, un agente si staccò dal gruppo, raggiungendoli.
– Sono stati identificati? – gli domandò Delgado.
– Sì, commissario. Il dottor Pérez li conosceva. Sono due preti della parrocchia di San Lesmes.
– Due preti? Joder! E come sono morti?
– Un colpo di pistola alla testa. Uno l’ha ricevuto alla nuca e l’altro alla tempia.
– Immagino sia inutile chiedere a Pérez di anticiparci l’ora dell’omicidio.
– Ce lo dirà dopo le autopsie.
– Naturalmente.
Delgado si avvicinò all’Escarabajo, girandoci intorno, mentre Consuelo si fermò davanti al cofano dell’automobile. Attraverso i cristalli anteriori, illuminati dalle potenti torce, poteva osservare i due uomini, scivolati l’uno verso l’altro, con le teste che si toccavano. Entrambi portavano una polo nera o molto scura, completamente abbottonata.
Dopo qualche minuto, Delgado tornò verso di lei.
– Che diavolo ci facevano qui?
– Forse dovevano incontrare qualcuno.
– Forse – ammise Delgado, per nulla convinto. – Certo, è uno strano posto per darsi appuntamento, non trovi?
Consuelo sollevò le spalle.
– Probabilmente era qualcuno che non voleva rischiare di farsi vedere con loro.
– Dici? Non so perché, ma a me sembra un regolamento di conti. Certo che due preti…
– Appunto, che cosa potevano avere a che fare con la malavita?
– Per il momento, tutte le ipotesi sono valide. Abbiamo visto abbastanza – affermò Delgado. – Inutile che restiamo qui.
Consuelo immaginò che Rey avesse fretta di raggiungere Paco. E in fondo era vero, inutile che restassero lì. La scientifica era già all’opera. Il medico legale, Pérez, aveva già dato il suo contributo e ora se ne stava tornando a casa. Forse, già il giorno seguente avrebbe fatto le autopsie.
– Hai visto? Sembra che si sorreggano a vicenda – commentò Consuelo, con un ultimo sguardo alle due vittime.
– Che ti succede, Torres? Stai diventando sentimentale? – domandò Delgado, fissandola negli occhi.
– Sono umana, Delgado.
– Una macchina da guerra, però umana, eh?
– Hai ragione, è inutile che restiamo qui – affermò Consuelo, allontanandosi da quello spettacolo di morte e da quel suo capo che inaspettatamente s’interessava delle sue emozioni.

L’attesa perfetta. Quel momento in cui tutto era ancora da capire e da scoprire, in cui era lecito muoversi in ogni direzione. Era ancora troppo presto per i risultati della scientifica, e Pérez, molto probabilmente, non aveva ancora iniziato a lavorare. Rey aveva convocato i vigilantes di El Priorato. Attendevano con calma quel primo colloquio. Poteva non portare a nulla, oppure essere il punto di partenza per i passi successivi. Consuelo era tranquilla. Sapeva che qualunque cosa avessero dichiarato i vigilantes, subito dopo lei si sarebbe recata a San Lesmes. Voleva trovare qualcuno che le descrivesse accuratamente don Molina e don Rivero. Là si sarebbero aperte altre strade. Era tranquilla e rilassata. Per questo la vista di Damian Carrillo la colpì a tradimento. Benché in divisa, se lo immaginò immediatamente nudo. Non era una cosa che le capitasse spesso, anzi, a voler essere pignoli, non le era mai accaduto prima. Ma la vista di quel gran pezzo di figliolo non poteva lasciarla indifferente. Consuelo si accorse di un luccichio negli occhi di Delgado. Evidentemente aveva colpito anche lui. Non sarebbe stato un colloquio semplice. Se entrambi si lasciavano distrarre con tanta facilità, rischiavano di non combinare nulla. Consuelo s’impose immediatamente di concentrarsi sulle cose importanti. Anche se Delgado avesse lasciato correre, lei avrebbe approfondito, con tanta maggiore pedanteria, quanto più temeva di lasciarsi sfuggire qualche informazione fondamentale.
Si presentarono in due. L’altro, Sergio Cavallé, era alto e magro, con uno sguardo sfuggente che non piacque per nulla a Consuelo. Risultava evidente che si era assunto il ruolo di portavoce, ma spesso, durante le sue risposte, lo sguardo di Consuelo scivolava su Damian Carrillo, calamitato dal suo volto affascinante, ombreggiato da una barba corta e irsuta, le labbra piene, gli occhi… era difficile dire di che colore fossero; in base alla direzione in cui si voltava, apparivano azzurri, grigi o verdi. Un colore irresistibile. Aveva sorriso, entrando. Forse era stato quel sorriso a fulminarla. E poi il corpo. A volte la natura fa splendidi miracoli con il corpo umano. Consuelo ringraziò madre natura di aver esaltato le sue doti nell’uomo che aveva davanti. Durante il breve colloquio, i loro sguardi s’incontrarono più volte. E ogni volta, Consuelo sentì una trafittura al cuore, che le batteva più veloce. Vederlo andar via fu un autentico dolore.
– Il primo buco nell’acqua. Non avevo dubbi – affermò Delgado.
Consuelo cercò di riprendersi dal profondo turbamento che la vista di Damian Carrillo le aveva provocato. Si schiarì la voce, imponendosi di assumere un tono naturale.
– Allora io vado a San Lesmes. Vieni anche tu?
– No, io vado a farmi un giro a El Priorato. Chissà che non trovi qualcun altro che abbia visto qualcosa, portando i cani a spasso.

 

 

La giornata era incredibilmente calda. Sembrava che l’aria ristagnasse come dentro un forno, tanto che inspirandola si faceva fatica a trarne un po’ d’ossigeno. Nonostante questo, Consuelo parcheggiò a una certa distanza, preferendo fare due passi a piedi. Si sentiva ancora stranamente stordita. Fu accolta a San Lesmes da un giovane prete che fungeva da segretario del parroco.
– Mi dispiace, don Ernesto Dalma è andato a Toledo. Dovrebbe tornare nel pomeriggio.
– Nel frattempo potrei parlare con lei, don?
– Roberto.
– Io sono la vice–commissario Consuelo Torres.
– È qui per l’omicidio, vero?
– Sì, vorrei farle qualche domanda.
– Venga, andiamo a sederci. La telefonata della polizia è arrivata quando il parroco era fuori. E stamattina, quando l’ho cercato, era già andato via, quindi non sono ancora riuscito a comunicargli questa tremenda notizia. Sono ancora sconvolto. Mi sembra impossibile.

El Priorato era un complesso di lusso, completamente recintato e controllato da telecamere e vigilantes, che non avevano per niente l’aria di scherzare. Per entrarvi, era necessario superare il posto di blocco dell’ingresso, dovuto a una sbarra rinforzata in acciaio e a un vigilante di guardia nel gabbiotto a vetri. Delgado superò il controllo e si mise a girare tra le ville, tutte rigorosamente accessoriate di piscina e controllate da telecamere. Nonostante il caldo, nei rigogliosi giardini fioriti o all’ombra dei gazebo e dei pergolati, non c’era nessuno. Probabilmente molti erano in vacanza.
Per un momento, Rey invidiò quelli che potevano permettersi di vivere in un posto del genere. Ma poi ci ripensò. Appariva tutto falso: i prati all’inglese, troppo perfetti, sembravano di plastica; gli alberi, ben potati e curati, non possedevano quell’immagine scapigliata e libera che avevano in natura; le ville non mostravano l’aspetto di case abitate, usate, vissute, con l’impronta tipica che sa conferire il tempo. Era tutto troppo perfetto, troppo nuovo. Vivere lì non gli sarebbe piaciuto. Finalmente vide qualcuno muoversi in fondo alla strada deserta, ma una volta che l’ebbe raggiunto, riconobbe un altro vigilante.
Delgado fermò la macchina e scese a parlargli.
– Ma qui non ci abita nessuno?
– In questo periodo no. Sono quasi tutti al mare.
– E quelli che sono rimasti vanno mai a passeggiare lungo il fiume?
– Sta scherzando? Si è guardato intorno? Cosa ci andrebbero a fare in mezzo a quella sterpaglia infestata dai moscerini?
– Eppure, ieri sera, qualcuno è andato proprio là con il suo cane.
– Era uno dei custodi, non un residente.
– Ah, capisco.
– Lo so cosa sta cercando, commissario, ma qui non troverà nessun testimone, purtroppo. Mi è proprio dispiaciuto per quei preti, ma non le pare strano il posto dove li hanno trovati?
– Molto strano, direi.
– Chissà che ci facevano lì?
– Sto cercando di capirlo.
– Buon lavoro, commissario. E buona fortuna.
– Sì, grazie, ho l’impressione di averne proprio bisogno. Ma intanto, mi può indicare dove posso trovare il custode che ha scoperto i cadaveri?
– Certo, l’accompagno.

 

 

Di ritorno al commissariato, Rey e Consuelo si scambiarono le poche informazioni raccolte. Il custode non aveva osservato nulla di strano, né aveva incontrato anima viva. Poi aveva visto quell’auto con le portiere spalancate. All’inizio aveva pensato di non avvicinarsi neppure, immaginando che fosse una coppietta che si era appartata per fare gli affari suoi, ma il cane si era fermato lì accanto, abbaiando ripetutamente, e quando, nonostante i suoi richiami, non era riuscito a distoglierlo dall’auto, suo malgrado, aveva dovuto avvicinarsi. Afferrando il cane per il collare, aveva chiesto scusa, ma nessuno aveva risposto. Solo allora, guardando attentamente nell’abitacolo, aveva visto i due uomini immobili e aveva capito.
Don Roberto, dal canto suo, era stato molto gentile, poco prolisso, per non dire reticente, ma d’altra parte era molto giovane, era lì da poco, e riteneva che a parlare con le autorità spettasse al parroco. Si era limitato a dire che i due colleghi gli erano sempre stati d’esempio, che pensava fossero stati due preti eccezionali. Non aveva la più pallida idea del motivo per cui qualcuno avesse deciso di ucciderli. L’auto in cui erano stati ritrovati, apparteneva alla parrocchia. E infine, pessima notizia per il futuro sviluppo delle indagini, i due preti assassinati non possedevano né cellulare, né computer. Odiavano la tecnologia.
– Tra poco torno a San Lesmes. Spero che il parroco sia rientrato. Si sa niente da Pérez?
– No, se la sta prendendo comoda, come al solito.
– Gli hai fatto pressione, per caso? – domandò Consuelo, ironica.
– Me ne guarderei bene. Non ti ricordi che l’ultima volta, per farmi dispetto, ha ritardato apposta a scrivere la relazione? Ci ha impiegato una settimana.
– Ma si può sapere perché ce l’ha con te?
– Perché io gli chiedevo di fare presto, mentre lui è uno che vuole lavorare con calma. Una volta mi ha detto di aver scelto quel mestiere per evitare che i suoi clienti gli mettessero fretta o potessero lamentarsi. Quindi non sopporta che lo faccia qualcun altro in vece loro.
– Ti sta antipatico, eh?
– Il sentimento è reciproco.

Finalmente, quel pomeriggio, don Ernesto Dalma ricevette Consuelo. Nel suo studio regnavano il silenzio e un’impressione di grande pace. Consuelo si rilassò immediatamente. Il volto sereno di don Dalma la mise subito a suo agio.
– Mi spiace disturbarla in un momento che, per lei, dev’essere molto doloroso, – esordì – ma le indagini di cui mi occupo m’impongono di porle qualche domanda.
– Non si preoccupi, capisco benissimo. Immagino che voglia sapere chi erano don Roano Molina e don Carlos Rivero.
– Sì, ho bisogno di partire da questo, per capire chi può averli uccisi e perché.
– Ovviamente. Le dirò che mi sembra ancora impossibile che sia successo. Non riesco a crederci. Erano due persone meravigliose, che tutti apprezzavano e amavano, per la loro semplicità, per la generosità e l’amore che dimostravano nel servizio. Si erano conosciuti al seminario, che avevano frequentato insieme. Erano molto amici. Hanno seguito insieme tutto il percorso che li ha portati fino a servire in questa parrocchia. Hanno vissuto insieme e sono… morti insieme. Mi scusi – disse don Dalma, strofinandosi gli occhi.
– Lavoravano fuori? Frequentavano associazioni? – chiese Consuelo, nel tentativo di distrarre il suo interlocutore.
– Erano impegnati nei quartieri degradati della periferia. Lei può immaginare dove possa condurre la povertà. A volte basta pochissimo per risollevare le sorti di una famiglia.
– In quei quartieri c’è anche la malavita.
– Anche quella è frutto della povertà.
Consuelo non si trovò completamente d’accordo, ma preferì non commentare.
– Don Dalma, sa chi avrebbe potuto volere la loro morte? Voglio dire, davano fastidio a qualcuno? Stavano ostacolando qualche affare losco, che lei sappia?
– Può essere, ma io non so niente di preciso. Quando me ne parlavano, era sempre in modo molto generico.
– Non può fornirmi nessun tipo d’indicazione? Mi basta un nome, per cominciare. Anche solo quello di un locale pubblico o un indirizzo.
– Mi dispiace, non posso proprio aiutarla più di così.
– Mi parli ancora di loro – lo invitò Consuelo, delusa.

 

 

Il giorno successivo, Consuelo e Delgado fecero un giro nei quartieri più periferici, chiedendo qua e là se qualcuno conoscesse i due preti. Si fermarono nei piccoli negozi affacciati sulle strade centrali e nei bar. Consuelo mostrava le foto che aveva portato con sé. Quasi tutti negavano di averli visti, ma ogni tanto qualcuno assentiva. Dicevano che erano spesso là in giro, che parlavano con i ragazzi, che sembravano bravi preti. Nessuno ne parlò male, ma non ottennero nulla di più. Quando rientrarono al commissariato, la sorella di don Roano telefonò per chiedere un incontro. Consuelo avvertì Rey, domandandosi con curiosità quali informazioni potesse possedere. Delgado la invitò ad avere pazienza. Consuelo dovette ammettere che, in effetti, la lentezza di quelle indagini e l’assenza di qualunque appiglio, cominciava già a fargliela scappare. Evidentemente, Rey ormai la conosceva bene.
Dolores Molina, moglie di un noto avvocato, era una donna minuta, con un volto ovale dalla pelle perfetta e levigata, grandi occhi neri dalle ciglia lunghe e capelli corvini tirati dietro la nuca in uno chignon. Incurante del caldo, indossava un tailleur blu a maniche corte, con un top di seta turchese. Consuelo prese nota mentalmente dell’abbinamento degli accessori, una borsetta turchese con manici a catenelle ed eleganti scarpe in tinta con inserti blu. Nell’insieme appariva incredibilmente curata ed elegante. Entrando nell’ufficio di Delgado, Dolores Molina si guardò intorno come per controllare a quali pericoli dovesse far fronte. Invidiandole quell’enfatica immagine di femminilità, Consuelo le sorrise, invitandola a sedersi. Dolores guardò Delgado dritto negli occhi e, con voce decisa, esordì:
– Signor commissario, sono convinta che mio fratello sia stato vittima di una rapina. Mi aveva chiesto del denaro, che adesso è sparito senza lasciare traccia. Sicuramente qualcuno l’ha ucciso per rubarglielo e ci è andato di mezzo anche il povero don Carlos.
– Di quanto denaro stiamo parlando? – le chiese Delgado, impassibile.
– Cinquantamila euro. Servivano per inaugurare la costruzione di una piccola scuola in Africa. Mio fratello aveva fretta di mettere insieme questa cifra per dare il via al progetto. Io glieli ho donati volentieri, perché ho ritenuto che fossero destinati a una buona causa. Ma non sono mai giunti a destinazione e qui non si trovano. Don Dalma li ha cercati dovunque, ma non ne ha trovato nemmeno l’ombra. E sul conto corrente che mio fratello aveva in banca non sono rimasti che pochi spiccioli.
– Don Dalma non me ne ha parlato – commentò Consuelo, con tono contrariato.
– Quando lei è andata a parlargli, nemmeno lui lo sapeva ancora. Sono stata io a informarlo. E poi gli ho detto di non preoccuparsi, che sarei venuta io a denunciare il fatto.
– Capisco – disse Delgado. – Quindi, lei pensa che suo fratello avesse il denaro con sé, quando è andato a El Priorato con don Carlos.
– Io non penso niente. Non capisco cosa ci facessero là, se ci siano andati spontaneamente o se ce li abbiano portati. So solo che mio fratello aveva quei soldi, e adesso lui è morto e i soldi sono spariti.
– La ringrazio molto per essere venuta – la congedò Delgado, pensieroso.
Dolores Molina uscì dalla stanza con quel portamento che la faceva sembrare più alta di quanto non fosse. Consuelo si domandò come facesse a camminare con quei tacchi altissimi senza ondeggiare come una barca alla deriva. Lei non ne sarebbe mai stata capace.
– Che ne pensi? – le chiese Delgado.
Consuelo ci pensò un attimo.
– Ammettiamo pure che don Roano e don Carlos avessero portato con loro quei soldi, per consegnarli a qualcuno. A chi e perché? E perché proprio là? Non stavano mica spacciando!
– Siamo sicuri?
– Non possiamo essere sicuri di niente, lo so. Quel posto è il meno indicato per un affare pulito. Potevano incontrarsi a San Lesmes, oppure in un qualunque locale pubblico. Perché nascondersi? Chi dovevano incontrare, un ricercato?
– Cinquantamila euro bastano per costruire una scuola in Africa, anche se piccola?
– Non lo so, ma non credo.
– Se tu avessi una cifra del genere e volessi moltiplicarla in breve tempo, che faresti?
– Stai pensando a… droga, armi?
– Perché no? Si apre uno scenario inquietante.
– Ma stiamo parlando di due preti!
– Sono uomini come tutti gli altri. Un uomo con un obiettivo preciso può trovare strani modi per raggiungerlo, anche se di mestiere fa il prete. Ricordati che frequentavano quartieri degradati. Chissà con chi sono entrati in contatto, chissà quali proposte hanno ricevuto? E poi il fine giustifica i mezzi. Non è così?
– Di don Roano e di don Carlos parlano tutti bene. Erano bravi preti e brave persone, stimati da tutti.
– Forse quella era solo una facciata.
– Certo, forse è così, ma io non ci credo.

Chiedere aiuto non è segno di debolezza. Era scritto in alto, sulla prima pagina dell’agenda di don Roano. Don Ernesto Dalma l’aveva scovata nel primo cassetto della scrivania. Poi, spinto da una curiosità quasi morbosa, aveva trovato le altre. In tutto dieci agende, una per ciascuno degli anni che don Roano aveva trascorso nella parrocchia di San Lesmes. Sfogliò ancora quella che aveva in mano, fino all’ultima pagina scritta, quella del giorno in cui l’avevano ucciso. Don Dalma si sedette alla scrivania che era stata di Roano. Tornò a leggere la prima pagina. Chiedere aiuto non è segno di debolezza. Ricordò una predica in cui don Roano aveva affermato con forza quella sua convinzione. Voleva che i fedeli in difficoltà abbandonassero il loro orgoglio e chiedessero alla comunità di San Lesmes l’aiuto di cui avevano bisogno. Tutto era nato dall’arresto di un ragazzo di vent’anni che era stato sorpreso a rubare, dopo che lui e il fratello maggiore avevano perso il lavoro. Roano conosceva bene quel ragazzo e non si capacitava di come avesse potuto decidere di compiere un crimine. C’erano altri modi per superare crisi anche gravi, ma bisognava avere l’umiltà di chiedere aiuto. Nella loro comunità c’era sempre il modo di trovare una soluzione onesta. E quel giorno Roano era stato molto chiaro.
Don Dalma continuò a sfogliare l’agenda.

7 gennaio
Carlos mi preoccupa. Non può continuare a fingere che vada tutto bene. Mi guarda come se io non capissi, come se mi stessi opponendo alla sua sofferenza per allontanarlo dal volere di Dio. Non può farmi questo. Ho bisogno di lui. Carlos è la mia luce, il mio faro, la mia guida. Senza di lui mi sentirei perduto.

 

 

14 gennaio
Per Gesù non esistono nemici, ma solo persone da amare e rispettare. Egli non ha mai criticato la persona, ma piuttosto le azioni sbagliate da lui commesse. Gesù ha agito con trasparenza, non con la logica del compromesso. Messo in croce, ha perdonato, non ha insultato, ha offerto l'altra guancia.
Da qui scaturisce che l'omicidio è sempre sbagliato, ma nasce laddove l'uomo nutre rancore per l'altro uomo.

Poi, in fondo alla pagina, un’annotazione successiva: l’omicidio può nascere anche laddove un uomo nutra un profondo amore verso l’altro. Don Dalma la lesse più volte. Non riusciva a credere che Roano avesse potuto scrivere quelle parole, assurde e incomprensibili. Le pagine seguenti contenevano appunti e riflessioni per le prediche. Don Dalma continuò a leggere. A un tratto saltò sulla sedia. Come aveva potuto non accorgersi di niente? Come avevano fatto a nasconderglielo? Si sentiva stordito e incredulo, ma proseguì, mentre le mani gli tremavano.

Nella saletta d’attesa dello studio del Rettore c’era una confortante penombra. All’esterno del seminario minore di Toledo, un sole infuocato rendeva incandescenti le strade e le mura dei palazzi. I due ragazzi, seduti ciascuno accanto alla propria madre, di tanto in tanto, si lanciavano una timida occhiata. Le signore si facevano aria con i ventagli.
– Mamma, ho sete – disse uno dei ragazzi.
– Quando abbiamo finito, ti porto al bar.
Roano scavò nella borsa della madre, ne tirò fuori una bottiglietta d’acqua e si alzò. Fece due passi per avvicinarsi all’altro e gliela offrì. Carlos gli sorrise e lo ringraziò. Bevve avidamente metà del contenuto e restituì la bottiglietta. Roano, in piedi davanti a lui, bevve l’altra metà. Quella fu la prima cosa che si divisero nella vita.
Dopo il colloquio, il Rettore stabilì che non c’era motivo di aspettare l’inizio dei corsi. Se volevano, Roano e Carlos potevano rimanere ospiti del seminario fin da subito, così avrebbero avuto il tempo per ambientarsi. In fondo mancava solo una settimana all’inizio dei corsi e molti dei seminaristi erano ospiti fissi. I due ragazzi, che erano tornati ad aspettare nella saletta, si guardarono e poi annuirono entrambi, rivolgendo lo sguardo ciascuno alla propria madre, in attesa delle loro decisioni. Una delle due obiettò che non aveva portato con sé il corredo richiesto. Il Rettore rispose che quello non era un problema, che avrebbe potuto portarlo in seguito. Spiegò che nel seminario era sempre disponibile qualche ricambio di biancheria. La signora guardò il figlio, che sorrise impaziente, con un invito a cedere impresso nei suoi occhi innocenti. Allora sorrise anche lei, concedendo la sua approvazione.
– D’accordo. Tornerò domani.
Roano e Carlos si presero per mano, in un segno di complicità, che sembrava dettato da quella prima conquista. Nel dormitorio, Roano e Carlos scelsero due letti vicini. Ai piedi del letto c’erano casse di legno in cui potevano tenere le poche cose che era loro concesso possedere. Per la divisa ci pensava il seminario. Quella prima sera, alla mensa, c’erano in tutto quindici ragazzi. Sembravano docili e silenziosi, ma quando l’educatore restituì loro la libertà, sciamarono come un nugolo di cavallette fuori dal grande stanzone, schiamazzando. Roano e Carlos, entrambi molto timidi, si tennero vicini, come trovando l’uno nell’altro la forza per affrontare quel mondo ancora sconosciuto. Sarebbe stato così anche in futuro. Sempre. L’uno senza l’altro non si sentiva mai intero. Per questo non si separarono mai.
Don Dalma chiuse l’agenda che stava leggendo. Aveva intuito una storia del genere alle spalle dei due uomini che aveva accolto a San Lesmes. Non era usuale, ma poteva capitare. Di solito gli educatori tendevano a separare i seminaristi che sembravano emotivamente troppo legati. Era pericoloso. Ma qualche considerazione che lui non conosceva, li aveva spinti a ignorare quel legame troppo stretto. La sua curiosità in proposito sarebbe rimasta inappagata. Don Dalma riprese a leggere quello strano diario che saltava dal passato al presente, senza mai spingersi a immaginare un futuro. Adesso che Roano e Carlos erano morti, voleva capire di più. Voleva sapere chi erano stati davvero quei due uomini con cui aveva vissuto, spalla a spalla, sotto le volte di quell’antico tempio.

 

 

Consuelo non si accontentò delle dichiarazioni di Dolores Molina. Voleva ascoltare con le proprie orecchie la versione di don Dalma. Quando si recò nuovamente a San Lesmes, il parroco la ricevette immediatamente.
– Sapevo che sarebbe tornata – commentò, accogliendola nel suo studio.
– La signora Molina ci ha raccontato dei cinquantamila euro che aveva consegnato a suo fratello.
– Sì, l’ha detto anche a me. Li ho cercati dappertutto, mi creda, ma inutilmente. In ogni caso, il progetto non morirà con loro. Ho già iniziato una nuova raccolta di fondi per mandare avanti la costruzione della scuola. Ci vorrà forse un po’ più di tempo, ma la scuola nascerà e porterà il loro nome.
– Lei non ne sapeva niente?
– Al contrario, sapevo del progetto e della raccolta di fondi, ma non immaginavo che Roano avesse raccolto già quella somma. Non ha fatto in tempo a parlarmene.
– Di solito dove tenete somme così ingenti?
– In questo studio, in una piccola cassaforte.
– Quindi don Roano avrebbe dovuto consegnare il denaro a lei, per metterlo al sicuro.
– Sì, ma come dicevo, non ha fatto in tempo. Dolores mi ha detto di aver consegnato l’offerta al fratello soltanto il giorno prima che fosse ucciso. E io quel giorno ero fuori sede. Ho pensato che in attesa di consegnarmelo, l’avesse nascosto da qualche parte, invece probabilmente ha preferito tenerlo con sé.
– Potremmo aiutarla a cercarlo qui, se permette.
– Le assicuro che ho cercato dovunque, persino nelle cantine. Qui non c’è di sicuro.
Consuelo dovette arrendersi. Non poteva certo ottenere l’autorizzazione per perquisire una chiesa. Già si poteva ritenere fortunata che il parroco accettasse di rispondere alle sue domande.
– Capisco. Ma chi poteva esserne al corrente? Con chi avrebbero potuto parlarne?
– Qui nessuno ne sapeva niente. Ho già chiesto.
– Possibile che avessero un contatto con qualcuno che frequentavano fuori? Qualcuno di cui si fidavano, che fosse legato a questo progetto?
– No, non credo. Non so. A dire il vero, so che ne avevano parlato con un architetto, ma poi non l’avevano più coinvolto, perché lui non se la sentiva. Era troppo impegnato per dedicarsi anche a questo.
– Può dirmi ugualmente chi è?
– Si chiama Hugo Jiménez.
Finalmente un nome, pensò Consuelo. Un gancio esterno da cui partire. Probabilmente sarebbe stato un altro fallimento, ma per il momento non avevano alternative.
– Mi sa dire se don Molina e don Rivero prendevano nota dei loro appuntamenti? Avevano un’agenda?
– No, e neppure un cellulare. Vivevano alla giornata, si muovevano secondo le necessità. Se qualcuno aveva bisogno di loro, veniva a cercarli qui, o telefonava in segreteria.
– Non avevano neppure una rubrica per i numeri di telefono?
– C’è in segreteria, ma loro non la utilizzavano. Non telefonavano mai.
Oddio, pensò Consuelo, qui si sono fermati alla preistoria.
– Naturalmente non avevano neppure un computer…
Che glielo chiedo a fare? si disse Consuelo, conoscendo già la risposta. Don Dalma si mise a ridere.
– No, niente computer. Stavano alla larga da queste diavolerie moderne.
– Certo. Mi rendo conto. Quindi, per sapere chi frequentavano, che cosa dovrei fare, secondo lei?
Il parroco sospirò.
– Può venire a messa domenica, e provare a chiedere a qualche parrocchiano. Erano sicuramente molto attivi all’interno della comunità.
– Già, ci proverò.
 
Consuelo stava tornando a casa, dopo quella giornata quasi infruttuosa, con il morale non proprio sotto i tacchi, ma da quelle parti. Mentre attraversava Plaza Santo Domingo, vide venirle incontro un uomo che ultimamente aveva occupato uno strano posto nei suoi sogni a occhi aperti. Diciamo pure il posto principale. Quando furono a un solo passo, lui la riconobbe e le sorrise. Di fronte allo sguardo degli occhi cangianti di Damian Carrillo, Consuelo sentì lo stomaco sussultare come sulle montagne russe.
– Come va l’indagine, vice-commissario? Trovato qualcosa su quei poveri preti?
– Mi spiace. Non è mia abitudine discutere le indagini in corso con i non addetti ai lavori – rispose Consuelo, che invece gli avrebbe raccontato qualunque cosa, anche la storia della sua vita, pur di attirare la sua attenzione per poter restare con lui qualche minuto.
– Mi scusi, capisco perfettamente. Ma ci ho pensato spesso, in questi giorni, sa? Continuo a domandarmi cosa ci facessero là. Mi sono chiesto se dovessero incontrare qualcuno che abita a El Priorato, ma quella sera, a parte il custode, non è uscito nessuno.
– Lo so. Hanno cercato un luogo isolato, lontano da sguardi indiscreti e l’hanno trovato. Ma per fare cosa? È questo che proprio non riesco a capire.
– Si potrebbero fare mille ipotesi. Se vuole, ne possiamo fare qualcuna insieme, davanti a un aperitivo.
Consuelo non se lo fece ripetere due volte. Desiderava ardentemente approfondire la loro conoscenza, e quello era un modo buono quanto un altro. Durante la cena, che seguì inevitabilmente l’aperitivo, le ipotesi non entrarono invece a far parte dei loro argomenti di conversazione. Damian era molto simpatico, allegro, spiritoso; la sua ironia era pungente e a tratti dissacrante, ma poteva anche lasciare il posto a una grande serietà, affrontando argomenti di cui misurava con intelligenza la gravità. Sul finire della serata, Damian domandò a Consuelo se fosse impegnata sentimentalmente.
– Magari sarebbe stato meglio chiedertelo prima. Adesso, se mi dici di sì, ne sarò tremendamente deluso.
– No. Ti dico di no – rispose Consuelo, con il cuore che batteva a mille.
– Bene, è la prima volta che il no di una donna mi rende felice – commentò Damian, con una risatina soddisfatta.

Delgado finì di leggere le carte che aveva in mano e poi chiamò Consuelo, che aveva appena chiuso una telefonata.
– Notizie? – domandò lei, avvicinandosi in fretta alla scrivania.
– Pérez ha scoperto che don Roano Molina ha sparato. Secondo lui si tratta di omicidio-suicidio.
– E la pistola? Non mi risulta che fosse in macchina.
– Infatti, non c’era.
– Allora, come può essere? Dopo che ha sparato, è ascesa al cielo?
Delgado sospirò. Consuelo crollò sulla poltroncina. Ci pensò per qualche momento, poi sbottò:
– Senti, Delgado, un prete non uccide e nemmeno si suicida. Stiamo guardando le cose dal lato sbagliato. Qualcuno ha simulato un omicidio-suicidio, ma ha commesso l’errore di non lasciare la pistola in mano a don Molina. L’obiettivo era il denaro. Ha costretto Molina a uccidere Rivero e poi gli ha sparato, portandosi via sia i soldi, che la pistola.
– Perché costringere Molina a uccidere Rivero, per poi sparargli? Avrebbe avuto senso soltanto se avesse lasciato la pistola. È stupido.
– Forse la pistola era registrata.
– Quindi non c’era niente di premeditato. E allora torniamo all’appuntamento. Chi dovevano incontrare? Perché si sono portati dietro quei soldi? E perché il tizio che dovevano incontrare era armato?
– Forse dovevano consegnare il denaro a qualcuno. Poi qualcosa è andato storto, il tizio ha tirato fuori la pistola e ha ucciso uno dei due, quindi ha costretto l’altro a uccidersi. Alla fine, preso dal panico, è fuggito, senza pensare che la sua simulazione non sarebbe servita a niente, senza lasciare la pistola in mano a Molina.
– Metti invece che la pistola fosse di Molina, che qualcosa sia andato storto e lui abbia sparato volontariamente a Rivero. Poi, il tizio che era con loro ne ha approfittato, l’ha disarmato, gli ha sparato e si è fottuto i soldi, portandosi via anche la pistola.
– Un prete non va in giro armato ad ammazzare la gente, soprattutto il suo più caro amico.
– Allora torniamo al punto di partenza.
– Per forza. I soldi e la pistola sono spariti. La perizia balistica ha stabilito che a ucciderli è stata la stessa arma, no?
– Esatto. Stanno cercando di stabilire se quella pistola sia già stata utilizzata in altri eventi criminosi.
– Questo potrebbe aiutarci. Sarebbe un bel colpo di fortuna.
– Ma io non ci spero troppo. Questo caso è un casino.
– Senti, poco fa sono riuscita a parlare con l’architetto. Verrà tra poco. Vediamo se lui ci può dare uno spunto. Vorrei proseguire come avevamo programmato, senza tener conto di questa storia della simulazione.
– Sono d’accordo. Dobbiamo seguire la strada del progetto della scuola e dei soldi. Dobbiamo capire chi dovevano incontrare. Non sarebbero mai andati a El Priorato senza un motivo. Di sicuro lì avevano un appuntamento.
Sì, un appuntamento con la morte, si disse Consuelo, vergognandosi subito dopo per la banalità di quel pensiero.
 
Hugo Jiménez si presentò un’ora dopo. Era un uomo alto e asciutto, dai movimenti scattanti. Sembrava piuttosto nervoso.
– Sono venuto appena ho potuto. Scusate, ma non ho molto tempo. Se possibile, vorrei fare in fretta.
– Bene, signor Jiménez, non le faremo perdere tempo. Lei sa che don Roano Molina e don Carlos Rivero sono stati uccisi?
– Sì, sì, purtroppo. L’ho letto sui giornali. Li conoscevo molto bene. Ci sono rimasto di sasso.
– Ci può parlare del progetto della scuola in Africa?
– Era un progetto cui tenevano molto. Si trattava di una piccola scuola, niente di particolare o complicato, quattro mura e un tetto, insomma. Non c’era bisogno di un grande progetto. Io sono troppo impegnato in questo periodo, per questo mi ero tirato indietro. Avrebbero fatto molto prima affidandosi a qualcun altro, anche a un architetto alle prime armi.
– Gli ha suggerito qualcuno di sua conoscenza?
– No, non ce n’era bisogno. Basta cercare su internet. In un attimo se ne trovano a bizzeffe. Poi, semmai, avrei commentato la loro scelta.
Consuelo pensò al piccolo particolare che i due preti non avevano un computer.
– Sa chi era coinvolto in questo progetto, oltre a loro?
– Credo che anche il parroco di San Lesmes ne sapesse qualcosa, ma non ci potrei giurare. Non so a che punto fossero.
– Non le viene in mente nulla che potrebbe aiutarci a saperne di più?
– So che l’idea era venuta a don Roano frequentando una famiglia del Togo che vive vicino al cimitero. Ma non mi chiedete il loro nome o l’indirizzo, anche perché tra quelle baracche gli indirizzi non esistono.
– La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, signor Jiménez – disse Delgado.
– Non c’è di che. Spero che prendiate gli assassini. Erano due bravi preti, che si dedicavano davvero agli altri. Non meritavano di finire così. E spero che il progetto della scuola vada avanti anche senza di loro.
Consuelo pensò che in effetti non era detto che l’assassino fosse uno solo. E se i due preti, aspettando la persona che dovevano incontrare, fossero incappati in un gruppo di balordi? Il luogo isolato poteva essere frequentato da gente poco raccomandabile. La vicinanza con El Priorato poteva essere un’attrattiva. Magari stavano studiando il modo di entrare, per organizzare qualche furto alle ville disabitate. Doveva chiedere a Damian se avevano visto qualche estraneo aggirarsi nei paraggi in quel periodo, anche se non proprio quella sera.
– A che pensi? – le chiese Delgado.
Consuelo glielo riferì.
– In effetti anche questa potrebbe essere un’ipotesi valida. C’erano numerose impronte su quel sentiero.
– È anche vero che non piove da mesi. Potrebbero risalire a chissà quando.
– Qualcuno a El Priorato potrebbe aver visto dei ficcanaso, negli ultimi tempi. Io torno a fare due chiacchiere con i vigilantes.
– Non c’è bisogno che arrivi fin là. Telefono a Damian Carrillo.
– A parte il fatto che ho anch’io qualche numero di telefono e che se voglio andarci è solo una scusa per uscire di qui, quand’è che ti sei fatta lasciare il suo numero?
– Quando tu non guardavi.
– Impossibile. Non gli ho mai tolto gli occhi di dosso.
– Me n’ero accorta.
– Esemplare notevole – commentò Rey.
– Sono perfettamente d’accordo con te.
Delgado la fissò di sbieco, con fare inquisitorio.
– Di’, Consuelo, sei andata a caccia?
– No, mi sono limitata a fare la preda.
– Era ora che ti dessi una mossa – commentò Delgado, ridendo.
– Ah, a proposito, ottima scelta, anche se so che la bellezza è l’ultima cosa che ti attira in un uomo… – aggiunse.
Consuelo incassò con un sorriso sghembo, incamerando l’utile informazione che Rey non dimenticava mai niente di quello che gli si diceva.

 

 

Quella domenica, Consuelo andò a messa, superando un forte senso di disagio. Non lo faceva da quando aveva lasciato Salamanca per andare a studiare a Madrid, molti anni prima. La chiesa di San Lesmes, patrono della città, era molto frequentata. Dopo i primi dieci minuti, che passò più a osservare i fedeli che a seguire la liturgia, decise di uscire. Avrebbe fermato qualcuno all’esterno, alla fine della messa. Proprio non ce la faceva, a restare là dentro. Nella piazza c’erano piccoli gruppi di ragazzi fermi a chiacchierare, appoggiati ai motorini. In mezzo, la statua di quel cavaliere. Chi era? Qualcuno gliel’aveva anche detto, una volta. Forse Diego Porcelos, il fondatore di Burgos, ma non ne era sicura. All’improvviso vide sbucare sulla piazza un uomo completamente vestito di nero. Con quel passo alla John Wayne, non poteva essere che Delgado. Come mai anche lui da quelle parti? Non gli aveva detto che sarebbe venuta.
– Sapevo di trovarti qui – disse Rey, quando le arrivò vicino.
– Vuoi darmi una mano?
– Raddoppiamo le probabilità. Non ti dispiace, vero? Quanto manca?
– Ci siamo quasi.
– Bene. Dividiamoci. Io mi metto a destra e tu a sinistra.
– Va bene. Ecco, è finita. Tira fuori il taccuino.
I parrocchiani cominciarono a sciamare fuori dalla chiesa. Consuelo e Rey si appostarono ciascuno su un lato del portone e iniziarono a fermare i fedeli, prendendo nota di nomi e numeri di telefono. Poi uscì anche il parroco, che si avvicinò a Consuelo.
– Spero che abbia saputo qualcosa di utile.
– Vedremo.
– Le auguro una buona domenica – la salutò, dirigendosi verso un gruppetto di parrocchiani raccolto poco più avanti.
Delgado, di spalle alla piazza, non lo vide neppure. Quando terminò le sue interviste, tornò accanto a Consuelo.
– Hai qualcosa?
– Poco o niente. E tu?
– A parte una signora che ha contribuito alla raccolta dei fondi, niente d’interessante.
– Sapeva qualcosa di più sul progetto?
– No, non direi. Mi ha parlato più che altro del fatto che la scuola deve nascere per far studiare le bambine, che là sono praticamente escluse dall’istruzione.
– Questa è nuova.
– Ma non ci aiuta per niente.
 
Quella sera, dopo una cena alla Fabula, a base di paella, Damian accompagnò Consuelo a casa. Per tutta la strada, lei si domandò se fosse il caso d’invitarlo a salire con la scusa di un caffè, sebbene fosse già piuttosto tardi. Alzando gli occhi al cielo, Consuelo s’incantò a guardare uno spicchio di luna con i corni all'insù, che sembrava una barchetta luminosa. Damian seguì il suo sguardo e si affrettò a coprirle gli occhi con una mano.
– Non la guardare! Porta sfortuna.
– Perché?
– Non lo sai? Quelle sono le corna del diavolo.
– Questa non l’avevo mai sentita.
– Dalle mie parti si dice così.
– E quali sarebbero le tue parti?
– Sono di A Guarda, in Galizia.
– Sul mare?
– Sull’oceano. E tu da dove vieni?
– Da Salamanca.
– Beh, sei arrivata. Mi offri un caffè o mi respingi nelle tenebre di questa notte del diavolo?
– Come potrei? Vieni su – lo invitò Consuelo, ridendo.
Consuelo si congratulò con se stessa per aver messo fiori freschi sul tavolo in soggiorno. Chissà perché le sembrava importante. Stava cercando di non pensare a quello che sarebbe potuto accadere, perciò ogni stupido pensiero che la distraesse da quello andava bene, nonostante fosse assurdo, idiota o sconclusionato.
– Piccola, ma deliziosa – commentò Damian.
Consuelo realizzò con un attimo di ritardo che si riferiva alla casa.
– La cucina è di là – indicò, cercando di mantenere un tono del tutto neutro, sebbene i suoi pensieri somigliassero ormai a uno sciame di api impazzite intorno a un alveare devastato.
Damian la seguì. Sbirciò attraverso un’altra porta e domandò, come se non fosse perfettamente evidente:
– E questa è la camera da letto?
– Sì – rispose Consuelo, lasciandosi sfuggire l’occasione di una battuta ironica.
– Forse il caffè può aspettare – aggiunse Damian, abbracciandola.
E poi, il primo bacio. Per Consuelo fu come piantare la bandiera americana sulla superficie lunare. Qualcosa che era accaduto, ma cui si faceva fatica a credere. Quell’intera notte le parve irreale, solo uno dei suoi tanti sogni a occhi aperti. Riuscì a crederci davvero soltanto la mattina successiva, svegliandosi accanto a Damian. Il pericolo delle corna del diavolo era stato scongiurato, ma lei era irrimediabilmente cotta. A meno che non fosse proprio quello il segno di essere stata colpita dalla sfortuna.
Prima di separarsi da lui, Consuelo ricordò a Damian di chiedere ai suoi colleghi se negli ultimi tempi avessero visto qualcuno aggirarsi nei paraggi di El Priorato. Damian rispose mettendosi sull’attenti e facendo il saluto militare.
– Stasera farò rapporto, signora.
Consuelo comprese che quello era un appuntamento, ma non gli domandò né il luogo, né l’ora.

27 aprile
L’amore non lascia scampo. Puoi resistergli per sempre, se ti sembra di avere l’eternità davanti a te, ma se un giorno il tempo comincia il conto alla rovescia, all’improvviso ti accorgi che è tutto sprecato, che lo stai buttando via e non ci sarà un’altra occasione. Allora desideri che quell’amore sia vivo anche sulla tua pelle e non più soltanto nel nascondiglio del tuo cuore. Hai bisogno di urlarlo ai quattro venti, o almeno all’orecchio del tuo amato. L’amore non lascia scampo, quando ne vedi la fine, ma tu non vorresti che finisse. Mai.
Te amo con toda mi alma.

 

 

Don Ernesto Dalma provò una fitta allo stomaco. Riconsiderò da un nuovo punto di vista quello che aveva avuto sotto gli occhi per tutto quel tempo, guardando senza vedere. Come tutti gli altri, era stato cieco. Come aveva fatto a non capire?

Delgado fermò l’auto vicino al cimitero. A piedi girò intorno alle mura, fino a trovarsi dalla parte opposta della strada. Il sentiero correva polveroso tra il muro sbrecciato, da cui erano caduti interi tratti d’intonaco, e alberi alti, carichi di foglie, che donavano un bel fresco con la loro ombra scura. Fatti pochi passi oltre l’angolo, intravide, tra gli esili tronchi, le prime baracche. C’erano due bambini che giocavano sull’erba. Si avvicinò per chiedere se conoscessero una famiglia che proveniva dal Togo. I bambini lo guardarono con sospetto, quasi spaventati, poi corsero a nascondersi dietro una delle baracche. Delgado non si mosse. Sperò che fossero andati a chiamare un adulto. Dopo qualche minuto, un uomo di colore affacciò la testa per osservarlo, da un’altra catapecchia, poi uscì allo scoperto. Era grande e grosso. Delgado rimase dov’era, seguendolo con lo sguardo mentre gli si avvicinava con espressione poco cordiale. Prima ancora che gli arrivasse vicino, gli chiese se conosceva don Roano e don Carlos. L’uomo serrò le mascelle, poi si fermò a un passo da lui.
– Sì, erano amici miei – rispose, con un forte accento francese.
– Sono il commissario Delgado. Sto indagando sulla loro morte. Vorrei solo qualche chiarimento. Sa niente della scuola che volevano costruire in Togo?
– Sì, ne abbiamo parlato insieme.
– Quand’è stata l’ultima volta che li ha visti?
– A San Lesmes, alla messa di quella domenica. So che sono morti quella sera.
– Le hanno parlato della scuola?
– No, non ci siamo parlati.
– Come le sono sembrati? Erano nervosi?
– No, erano tranquilli e sorridenti, come sempre.
– Sa se avevano già trovato un architetto per il progetto della scuola?
– No, l’ultima volta che ne abbiamo parlato, mi hanno detto che stavano raccogliendo le offerte, ma che ci voleva tempo. Sono momenti brutti per tutti e la gente può dare poco. Ma loro erano sicuri che ci sarebbero riusciti, che sarebbe bastato iniziare la costruzione e poi fare delle foto. Dicevano che vedere le foto avrebbe invogliato la gente a dare di più, perché non piace a nessuno l’idea di vedere le cose a metà. Finché una costruzione non è finita, sembra che i soldi spesi siano stati sprecati.
– Avevano ragione. È così.
– Non mi dispiace per la scuola, anche se capisco perché la volevano costruire. Mi dispiace per noi che abbiamo perso due amici veri. Adesso chi ci aiuterà? Di noi non interessa niente a nessuno.
– Mi dispiace – disse Delgado.
– Anche a me.
– Grazie per aver risposto alle mie domande.
– Loro non meritavano di finire ammazzati – aggiunse l’uomo, allontanandosi.

 

 

Consuelo appoggiò la relazione della balistica sulla scrivania di Delgado. Un altro fiasco. Mentre scuoteva la testa, entrò il capo. Dall’espressione della sua faccia, comprese immediatamente che neppure a lui era andata troppo bene.
– Cattive notizie? – gli chiese.
– Niente. Né buone, né cattive.
Consuelo sospirò. Delgado la osservò per qualche istante, intuendo dalla sua espressione che aveva qualcosa da dirgli.
– Esprimiti, Torres.
– Io ho solo cattive notizie. La balistica non ha trovato collegamenti con l’arma usata e i vigilantes di El Priorato non hanno visto in giro nessun curioso, negli ultimi tempi.
– Possiamo ben dire di essere sempre al punto di partenza.
– Che facciamo? – domandò Consuelo, sconsolata.
– Parliamo di nuovo con il custode?
– Ma dai, cosa diavolo può dirci di più? L’hai già frullato come un pomodoro nel gazpacho!
– Lo so, hai ragione. Non ci resta che indagare a tappeto.
– Va bene. Controlliamo i conti del custode, dei vigilantes, di tutti i preti di San Lesmes, controlliamo gli abitanti delle baracche del cimitero. Ho dimenticato qualcuno?
– Don Carlos.
– È vero. Controlliamo anche il suo conto. In effetti, se i soldi fossero depositati là, vorrebbe dire che ci siamo fissati sul movente sbagliato.
– Vai, Consuelo. Hai la mia benedizione.
– Ah, non dimentichiamoci dell’architetto Jiménez.
– Giusto. Sarà pieno di soldi, ma è meglio non escludere nessuno, nemmeno Damian Carrillo.
– Damian? – chiese Consuelo, interdetta.
– Ti fidi di lui?
– Sì.
– Allora indaga, tanto non troverai niente e potrai escluderlo a cuor leggero.
– Ma…
– Consuelo, dammi retta. Dopo ti sentirai meglio.
– Ma intanto mi sento una stronza.
– A volte capita, è il mestiere che hai scelto. Anch’io ho dovuto indagare su Paco, eppure…
– D’accordo, capo. Non farò eccezioni.
– Lo so che sei in gamba, non credere che Paco sia l’unico a pensarlo.
Consuelo si sentì sciogliere. Sorrise e si mise al lavoro.

7 maggio
La purezza dell’anima si trasforma in gioia sfolgorante, quando si congiunge all’anima amata, come il corpo si trasforma in strumento del cuore quando si congiunge al corpo dell’amato. Quale comprensione più profonda degli esseri umani si raggiunge sperimentando le medesime sensazioni! Tutto è puro e immacolato nell’esperienza dell’amore. Tutto è gioia e incanto, privo di peccato. Nulla è sbagliato nell’amore.
Te amo con toda mi alma.

 

 

Signore, perdonali, pregò don Dalma, dentro di sé. E intanto la sua fantasia cominciò a galoppare senza che potesse frenarla.
Roano bussò lievemente alla porta di Carlos. Non ricevendo risposta, afferrò la maniglia e l’abbassò. Senza rumore, aprì il battente ed entrò. Carlos dormiva. Roano chiuse la porta alle sue spalle e girò silenziosamente la chiave nella toppa. A passi lenti, nel vago chiarore che giungeva dalla finestra, attraversò la stanza, raggiunse il letto e si spogliò. Poi si coricò accanto a Carlos, trattenendo il fiato. Il suo corpo era rovente di desiderio. Il profilo puro del volto di Carlos lo incantò. Allungò una mano tremante fino a posare due dita sulle sue labbra dischiuse.
Signore, perdonami, pregò don Dalma, dentro di sé, allontanando quelle fantasie.

Ma don Dalma si sbagliava. Era stato Carlos a bussare alla porta di Roano e lui era sveglio.
– Che c’è, Roano? È tutto il giorno che eviti di parlarmi!
– Niente, Carlos. Niente.
Poi Roano sollevò lo sguardo su Carlos, guardò quel volto di cui conosceva a memoria ogni espressione, ogni piccola ruga che il tempo vi aveva impresso, le piccole parentesi tonde che racchiudevano le labbra pronte al sorriso, il punto esclamativo in mezzo alle sopracciglia nere e folte. Senza volerlo, il suo sguardo era come un invito. Il suo calore proveniva da un fuoco che si nascondeva nel più profondo dell’anima. Carlos si avvicinò a lui lentamente, come ipnotizzato. Nella sua mente non c’era più spazio per i pensieri. Il suo corpo era un guscio vuoto, affamato e assetato, attirato dall’unica fonte che potesse sfamarlo e dissetarlo. Roano comprese in un lampo che il suo desiderio represso trovava un’eco nell’uomo che amava da sempre. E in quel momento lo amò selvaggiamente, lanciando lontano tutte le catene che l’avevano legato, tenendolo prigioniero. Roano si stupì che le labbra di Carlos non si aprissero al sorriso. La sua espressione era severa, quasi sofferente, quando, con un guizzo di pura passione, unì la sua bocca a quella di Roano. Fu un tuffo in un pozzo scuro, senza fondo. Avevano fatto un voto. E quel voto era stato infranto in un attimo. In quel bacio c’era dolore, c’era disperazione, e c’era sottomissione a un desiderio che la mente e la volontà avevano potuto tenere a freno finché non erano state estromesse, lasciando che fosse il corpo a comandare, dittatore incurante di ogni altro elemento. Due corpi che si conoscevano bene, che parlavano la stessa lingua, che non avevano mai trovato la strada per incontrarsi, quella notte si unirono nell’unica magica intesa che si erano sempre negata. Mentre si accarezzavano, scoprirono una gioia nuova e intensa. Un piacere colmo di frenesia e la felicità di poterselo offrire, li rendevano ebbri.
– La felicità non può essere un peccato – mormorò Roano.
– L’amore non lo è mai – rispose Carlos.
– E io ti amo, con tutta l’anima.
– Anch’io ti amo, Roano. Ti ho amato sempre.

 

Quella sera Consuelo trovò una scusa per non vedere Damian. Non ce la faceva. Si sentiva un verme. Come poteva stare con lui, fingendo che andasse tutto bene? Non andava bene nulla. Aveva messo al lavoro il collega Fernando Gil, e gli era rimasta attaccata addosso come una piattola per tutto il tempo, seguendo le schermate sul monitor del computer. Aveva visto colonne di cifre che scorrevano, si muovevano, venivano confrontate, spostate, cancellate. Ma quelli non erano soltanto numeri messi in fila, erano vite, persone che agivano, respiravano, si muovevano. E una di quelle colonne perfettamente allineate era Damian. Era nella sua vita che stavano scavando, mentre Fernando mormorava:
– Interessante, molto interessante.
– Da dove arrivano tutti quei soldi? – gli aveva chiesto Consuelo.
– Te lo saprò dire domani. Hai visto che ore sono? Io dovevo staccare un’ora fa. Adesso basta, Torres. Io vado a casa. Tu ce l’hai una casa?
– Sì – rispose Consuelo, con l’ansia che le stringeva lo stomaco.
Già sapeva che quella notte non sarebbe riuscita a chiudere occhio.
Poco prima delle undici, Damian la chiamò.
– Tutto bene? – le chiese.
– Sì, tutto bene e tu?
– Sono un po’ preoccupato.
– Perché?
– Ho paura che tu ci abbia ripensato.
– Ripensato?
– Sì, che ti sia pentita.
– Di che cosa?
– Di aver passato la notte con me.
– No, non mi sono pentita. Non devi preoccuparti di questo.
– Allora ci vedremo ancora?
– Ma certo!
– Sei sicura?
– Sono sicura, Damian, se lo vuoi anche tu.
– Sì, certo che voglio. Anche subito.
– Allora va tutto bene. Buonanotte – rispose Consuelo, ignorando l’invito sottinteso.
Damian sospirò e si rassegnò all’implicito rifiuto.
– Buonanotte, Consuelo.

Delgado si presentò in ufficio con un preoccupante ritardo. Aveva la faccia di uno che avesse dormito molto poco. Inoltre, sembrava che fosse appena sceso dal letto, senza nemmeno passare davanti allo specchio. I suoi capelli spettinati assomigliavano a un cespuglio di rovo.
– Hai qualche novità, Torres?
– Siamo appena all’inizio. Siamo partiti da don Carlos. Niente da fare. Allora siamo passati al custode, e poi ai vigilantes. C’è qualcosa di strano su Damian, ma è precedente all’omicidio, e poi il conto è intestato anche a sua madre.
– Dobbiamo tener conto solo delle operazioni finanziare avvenute dopo il delitto. Non state a perderci tempo.
– Non preoccuparti. L’ho già detto a Fernando.
Rey si sedette alla sua scrivania e cominciò a sfogliare e rileggere tutto l’incartamento delle indagini. Dopo mezz’ora, si alzò.
– Consuelo, prendi le chiavi della macchina. Usciamo.
– Dove andiamo?
– Torniamo sul luogo dov’è stata ritrovata l’auto.
– Perché?
– Voglio vederlo alla luce del sole.
– Insomma, hai voglia di fare una passeggiata all’aria aperta.
– Indovinato. Ma, prima, andiamo a fare colazione.
Consuelo ubbidì in fretta. Anche lei aveva voglia di uscire da quell’ufficio, dov’era arrivata all’alba, in preda alla preoccupazione, che poi si era dissolta, non appena si era appurato che le somme accreditate sul conto di Damian non potevano avere a che fare con gli omicidi. Inoltre, lo stomaco le si era chiuso per l’apprensione e non era riuscita a bere neppure un caffè. Al Vayma si sedettero a un tavolino libero, ordinando croissant e caffè lungo. Conoscendo le abitudini di Delgado, furono serviti con grande celerità. Mentre Consuelo affrontava il suo croissant con coltello e forchetta, Rey le domandò:
– Tutto bene con Damian Carrillo?
– Abbastanza bene, sì.
– Mi fa piacere. A lungo andare la solitudine sfibra.
– Se lo dici tu.
– Il problema di noi solitari è che non ci rendiamo conto di quanto possa essere bello avere accanto qualcuno che parli la nostra stessa lingua, finché non lo troviamo.
– Beh, io non so ancora se l’ho trovato, ma sono contenta che l’abbia trovato tu.
– Sì, anch’io, ma temo che questo mi abbia reso distratto e superficiale. Ho commesso un errore grossolano, come tempo addietro non mi sarebbe mai accaduto.
– Quale?
– Non badare al referto autoptico di Pérez. Lasciarmi trascinare dall’antipatia che ho per lui. E dire che lo so benissimo che non è uno stupido, che è un professionista attento e scrupoloso.
– Insomma, che c’è nel referto?
– Finisci il caffè. Andiamo a El Priorato.
Consuelo si prese il suo tempo, poi afferrò le chiavi che aveva posato sul tavolino e si alzò. Odiava Delgado, quando faceva così. Perché farla aspettare? Cosa diavolo c’era nel referto? E perché lei non si era degnata di leggerlo? Si era fidata di quello che le aveva detto il capo. Non avrebbe dovuto. Anche lei si era dimostrata negligente. Delgado la imitò, seguendola verso l’uscita. Dopo un viaggio compiuto nel più totale silenzio, lasciarono l’auto più o meno dove avevano parcheggiato quella sera, poi percorsero un tratto del sentiero, lentamente. Si udiva l’acqua scorrere a poca distanza e il lieve stormire delle fronde, agitate da un vento leggero. Consuelo smaniava dalla curiosità, ma non osava fiatare. Sapeva che, in un certo senso, quella era la punizione che meritava per non aver letto lei stessa il referto. Delgado si fermò sulle numerose tracce lasciate nella terra dal loro passaggio, quella sera, che erano ancora ben visibili. A intermittenza, si udiva il canto di un uccello nascosto tra le foglie. Delgado respirò a fondo, poi si voltò verso Consuelo.
– Quella sera hai detto una cosa, me la sono ricordata stanotte. Qualcosa come… sembra che si sorreggano a vicenda.
– Sì – confermò Consuelo.
– Ho riflettuto su quello che ti hanno detto di loro a San Lesmes, che erano sempre vissuti assieme, che erano molto amici, inseparabili.
– Sì, è così.
– Durante l’autopsia, Pérez ha scoperto che don Carlos aveva una neoplasia nel lobo temporale, non operabile. Gli era rimasto poco da vivere.
– Ma porca miseria! Poco quanto?
– Appena qualche mese. Stranamente, don Dalma non te l’ha detto. Perché non l’ha fatto? Pensi che non lo sapesse?
– Francamente, non ne ho idea. Può darsi che lo ritenesse ininfluente per le indagini.
– Comunque, non importa. Supponiamo invece che don Carlos e don Roano ne fossero ben consapevoli.
– Dove vuoi arrivare? Stai pensando che l’ipotesi dell’omicidio-suicidio sia valida?
– Perché hai sempre tanta fretta di arrivare alle conclusioni? Fammi ragionare con calma. Tu hai detto che due preti non l’avrebbero mai fatto, per via dei loro dogmi, delle convinzioni e balle varie. Però, poniamo che, in seguito alla fatale certezza che uno dei due se ne stesse andando, avessero deciso di rimanere insieme anche in quel caso. Poniamo che avessero davvero deciso di uccidersi, senza avere il coraggio di farlo da soli, e avessero pagato qualcuno per risolvere il loro problema.
– Con quei cinquantamila euro?
– Perché no?
– Un atto disperato, dici? Non ce li vedo due preti a organizzare un piano del genere, a meno che non fossero davvero incredibilmente motivati. E disperati.
– Consuelo, tu tendi a dimenticare che i preti sono uomini. Ma io penso che davanti alla disperazione siano forse persino più indifesi e disarmati degli altri e proprio per questo siano capaci di arrivare ai gesti più estremi.
– Pensi che il loro rapporto fosse… come dire?
– Sì, lo penso. Supponendo che il loro rapporto fosse davvero profondo, esclusivo, totale, indissolubile, davanti all’idea di separarsi, forse, si sono lasciati prendere dal panico. Hanno cercato una via di fuga. E hanno trovato una soluzione. Questo luogo appartato, deserto, lontano dalle strade battute, sarebbe stato perfetto per quello che avevano in mente. Poi il sicario, per confondere le acque, ha costretto Roano a sparare. È uno che si crede molto furbo. Peccato che non abbia lasciato l’arma.
– Non abbiamo pensato a un’altra eventualità: che l’arma sia stata rubata in seguito, da qualcuno che non c’entrava niente, passato di qua per caso, esattamente come il custode con il cane.
– Anche questa potrebbe essere una spiegazione plausibile, in effetti.
– Già. Si spiegherebbe tutto. Ma perché don Dalma non mi ha parlato della malattia di don Carlos? Vorrei tornare di nuovo da lui. Vorrei sapere se il suo male gli era sconosciuto o se semplicemente abbia omesso di parlarmene. Non servirà a niente, lo so, ma…
– Vengo anch’io. È ora che lo conosca. Anzi, questa volta lascia parlare me.
– Agli ordini, capo.
Quella sera, uscendo dal grande portone di San Lesmes, Consuelo emise un sospiro di sollievo. Il loro colloquio era stato penoso. Il parroco sembrava soffrire mille morti, mentre parlava dei suoi colleghi scomparsi. Appariva ancora più addolorato della prima volta che l’aveva incontrato. A metà del loro colloquio, gli si erano inumiditi gli occhi e la voce gli era venuta meno. In definitiva, gli aveva fatto una gran pena.
– Forse non lo sapeva, ma non mi è sembrato eccessivamente sorpreso – commentò Rey.
– Probabilmente perché ormai, essendo già morto, non cambia nulla.
– No, certo, non cambia nulla. Però mi è parso che non ci abbia riflettuto nemmeno un attimo. Era più che altro interessato a offrire di loro la migliore immagine possibile. Vuole che tutti pensino che erano due santi. Hai visto come ha reagito, quando gli ho prospettato l’ipotesi che possa essersi trattato di un omicidio-suicidio? Ha urlato al sacrilegio. Se avesse potuto, mi avrebbe scomunicato, per aver osato tanto.
– Io veramente ho pensato che volesse farti un esorcismo.
– È persino arrossito, hai visto?
– Sì, fino alla radice dei capelli. Ho temuto che gli venisse un colpo apoplettico.
– Questo colloquio non ha mutato la mia convinzione. Per me, non ci resta che scovare il sicario.
– Sì, capo. Ma non sarà una passeggiata.
– Lo so.


Damian osservò la curva del fianco nudo su cui la sua mano scorreva, su e giù, dolcemente; la nuca invitante che i capelli corti lasciavano scoperta, alla mercé dei suoi baci; la scapola in evidenza, che creava una piccola ombra sull’arco sinuoso della schiena. Si domandava cosa l’avesse spinto a cercare quella donna che gli era sembrata tanto severa e dura, la prima volta che l’aveva incontrata. Si domandava quale fortunato istinto l’avesse spinto a conoscerla, per scoprire che sotto quella dura scorza si nascondeva una creatura delicata, tenera e morbida, assetata d’amore e di carezze. Ghiaccio e fuoco insieme. Ed entrambi potevano ustionare.
Consuelo pensava che non le era mai capitata una cosa simile, innamorarsi in un attimo, avere il cuore che batteva a mille, solo perché lui la stava accarezzando, desiderare di restare tra le sue braccia per sempre. Per sempre, che pensiero improbabile e ridicolo. E avere il terrore che lui non l’amasse almeno un poco, almeno una briciola, almeno un grammo, quel poco che lo potesse tenere legato a lei, per un’ora o una notte.
– Dove sei stata per tutto questo tempo? – le chiese Damian, con voce trasognata.
– In giro. Un po’ qua e un po’ là.
– Forse allora è tempo che ti fermi. Con me.
Consuelo si voltò sul letto, fino a trovarsi di fronte a Damian, occhi negli occhi.
– Esattamente il posto dove voglio stare.
– Non sai quanto è bello sentirtelo dire – disse Damian, baciandola.

Delgado si era girato e rigirato nel letto per tutta la notte, fino a svegliare Paco.
– Che c’è? Non riesci a dormire?
– No, ma non preoccuparti. Dormi, tu che puoi.
– Rey, se c’è qualcosa che ti preoccupa, perché non me ne parli?
– Non voglio tediarti con i miei problemi di lavoro.
– Ma io amo farmi tediare da te. Su, raccontami.
Per convincerlo, Paco cominciò ad accarezzarlo. Rey cedette quasi subito. Gli raccontò dei due preti, dei risultati dell’autopsia, delle reazioni del parroco e delle sue convinzioni.
– Ho l’impressione che il parroco fosse troppo infervorato nella difesa del loro buon nome. Sembrava l’unica cosa che contasse per lui – concluse.
– Se era al corrente dei rapporti tra loro due, quello che gli interessa adesso è difendere l’immagine della chiesa. Finché lo sapevano in pochi, poteva sopportarlo, ma l’idea che la loro storia possa essere messa in piazza, non può certo fargli piacere.
– Sì, era paura, la sua. Ma una paura così grande da non sembrare giustificata nemmeno da questo. Di che cosa ha tanta paura, il nostro signor parroco? Cosa ci nasconde?
– Torna da lui. Parlagli di nuovo. Prova a prenderlo ai fianchi.
– Non è così facile come sembra.
– No, ma credo che tu debba almeno provarci.
– E io ci proverò.


Don Ernesto Dalma lo accolse con un sorriso tirato. Non si aspettava così presto una nuova visita del commissario. Una goccia di sudore scivolò dalla sua fronte. Si deterse con un fazzoletto che estrasse da una tasca. Sfilandolo, si tirò dietro anche una busta sgualcita e ripiegata, che Delgado si chinò a raccogliere dal pavimento, appoggiandola sulla scrivania, attorno alla quale il parroco stava girando per andarsi a sedere. Quando la vide, don Dalma la spostò sul lato della scrivania, coprendola con un libro.
Delgado si sedette e lo guardò. Si disse che il pallore improvviso del parroco doveva essere dovuto alla sua presenza. La paura che l’aveva colto doveva dipendere da qualcosa che gli nascondeva, che temeva che lui scoprisse. Non riguardava i due preti. Riguardava lui.
– Don Dalma, può dirmi dov’era la notte in cui sono stati uccisi don Carlos e don Roano? È una domanda di routine, che facciamo sempre a tutti, ma la mia collega si è dimenticata di fargliela e la sua relazione risulta lacunosa.
– Ero qui. Dove vuole che fossi?
– Eppure un testimone dice di averla vista uscire con la sua auto, quella sera.
Delgado faceva raramente ricorso alla tecnica del bluff, ma in quel momento gli sembrava la sua unica speranza per scalfire il muro di omertà che il parroco gli opponeva.
– Non ricordo di essere uscito, quella sera. O forse sono andato da un parrocchiano. Non ricordo.
– Ricorda l’ultima volta che li ha visti vivi?
– Certo, è stato quella sera a cena.
– Si ricorda cosa ha mangiato?
– Una paella con le verdure.
– Don Carlos e don Roano hanno mangiato?
– Sì, ma non avevano molto appetito.
– E le hanno detto che sarebbero usciti?
– No.
– Però si è accorto che erano usciti?
– Sì.
– E lei è uscito dopo di loro?
– Sì.
Don Dalma si bloccò. L’espressione del suo volto si distorse in una smorfia, come gli si fosse aperta una crepa.
– Mi dica dov’è andato, don Dalma.
Il parroco dilatò gli occhi, come se qualcuno gli avesse serrato la gola con le mani. Gli era impossibile parlare.
– Don Dalma, so che per lei è doloroso. Non voglio infliggerle altro dolore, ma ho bisogno di sapere. Le sarà più facile, se le espongo quello che so già? Don Roano e don Carlos sono sempre vissuti insieme. Erano inseparabili, vero? Si amavano molto. Io so cosa significa amare un altro uomo, eppure sono convinto che il loro fosse un amore ancora più profondo di quello che io potrò mai conoscere. Quando don Carlos ha scoperto di essere ammalato e di avere poco da vivere, entrambi sono caduti in un baratro di sconforto. Rifiutavano di separarsi. Hanno voluto rimanere insieme anche nella morte. Per questo si sono uccisi. Lei lo sa, vero? Me lo dica, don Dalma.
Don Ernesto Dalma non sapeva mentire.
– L’ho saputo quella sera – ammise, cedendo. – Don Roano mi ha chiesto di passare nel suo studio, e quando sono entrato, ho trovato questa – disse, sollevando il libro e tendendo a Delgado la busta ripiegata.
Delgado aprì la busta, da cui estrasse un foglio sgualcito. Doveva essere stato letto decine di volte.

Perdonaci, Padre. Ti prego di non giudicarci. Quando leggerai queste righe noi saremo già morti; non ti dico che saremo con il Padre Nostro che è nei Cieli, perché, dandoci la morte, è sicuramente l’inferno che ci aspetta. Ma tu, per carità, prega ugualmente per noi. Ci troveranno su un sentiero che corre lungo il Rio Arlanzón e verranno ad avvertirti. Ho voluto informartene prima, perché tu sia preparato.
Nel cassetto di questa scrivania ci sono i fondi raccolti fino a oggi per la costruzione della scuola. Ti chiedo, come ultimo favore, di completare questo progetto per noi. Il Signore ti benedica.
Roano

Delgado sollevò lo sguardo sul parroco.
– Dopo averla letta, è andato a cercarli, vero?
– Sì. Le dirò com’è andata, ma prima c’è un’altra cosa che vorrei farle leggere.
Don Dalma aprì un cassetto della scrivania, da cui prelevò un’agenda. L’aprì alla pagina dov’era inserito un cordino azzurro e la porse a Delgado. Era la pagina del 15 luglio, il giorno della loro scomparsa.

Nemmeno San Giuda potrà fermare la mia mano, quando, stasera, obbedirò al tuo desiderio. È l’ultima cosa che vorrei, ma lo farò, se riuscirò a trovarne la forza. Lo farò, perché mi hai supplicato in nome del nostro Amore ed è l’unica cosa che tu mi abbia mai chiesto: la più atroce, la più disumana. Ma non voglio che tu sappia in quale disperazione mi hai gettato. Non è mia intenzione accrescere la tua. Per lo stesso motivo, non voglio dirti che io ti seguirò. Ma cosa credi? Non andrai da nessuna parte senza di me.
Te amo con toda mi alma.

– Quella sera non l’avevo ancora letto. Avevo in mano quella lettera, solo quella. Non sapevo nulla. E non capivo – disse don Dalma.
Era stato dopo averla letta, che era uscito di corsa, era salito in macchina e si era precipitato a cercarli. Sperava di fare in tempo a bloccarli. Sperava di trovarli ancora vivi, che avessero cambiato idea, che accettassero almeno di discuterne con lui. Perché? Perché volevano compiere un simile sacrilegio? Gli sembrava impossibile. Gli sembrava pazzesco. Proprio loro, che erano sempre stati le colonne di San Lesmes, da quand’erano arrivati, dieci anni prima. Quale follia si era impadronita di loro? Infine li aveva trovati. Troppo tardi. Tra i piedi di Roano c’era una pistola. Quell’arma era la loro ammissione di colpa, la confessione dell’orrendo peccato di cui si erano macchiati. Senza pensarci due volte, l’aveva raccolta ed era tornato in parrocchia, come in trance. Il dolore e lo stupore erano tanto intensi che non riusciva a ragionare. La pistola era un peso insopportabile dentro la sua tasca. Quel gesto incomprensibile gli procurava la nausea, gli toglieva il fiato e nello stesso tempo lo riempiva di rabbia. Nel cassetto della scrivania di Roano aveva trovato i soldi e l’agenda. La sua mente sconvolta si era finalmente placata, ritrovando una parvenza di lucidità. Forse sarebbe riuscito almeno a evitare lo scandalo. Prima di tutto, aveva nascosto il denaro nel sottotetto. Sparito quello, quando lui ne avesse informato le autorità, avrebbe potuto spingere perché si pensasse a una rapina. In seguito, il provvidenziale intervento della signora Molina aveva facilitato le cose in tal senso. Con quei soldi e le altre offerte che avrebbe raccolto, si sarebbe costruita la loro scuola, come Roano gli aveva chiesto. Poi doveva far sparire la pistola. Per fortuna, aveva già programmato di recarsi a Toledo, il giorno successivo. Ne avrebbe approfittato. Sarebbe partito all’alba e avrebbe gettato l’arma nel Tago, dal ponte di Alcántara. Era ovvio che l’avrebbero interrogato su Roano e Carlos. Avrebbero voluto sapere tutto di loro. Anche lui, d’altra parte, avrebbe voluto saperne di più. C’era l’agenda, con i pensieri di Roano, i suoi appunti, le sue considerazioni. Poi aveva trovato le altre. Leggendole, aveva conosciuto i veri Carlos e Roano. Pian piano aveva compreso quell’amore assoluto. Aveva partecipato al dolore di Roano per la malattia di Carlos. Aveva persino compreso la richiesta di aiuto di Carlos, che non voleva arrivare alla fine di quel percorso che l’avrebbe ridotto a un vegetale. Sì, l’aveva compresa, nonostante fosse quanto di più lontano dai loro princìpi si potesse immaginare. Probabilmente qualcosa nel cervello di Carlos non funzionava già più, e Roano non era riuscito a negargli quell’atto liberatorio, né d’altra parte, era riuscito ad accettare l’idea di vivere senza di lui. Neppure lo aveva informato. Carlos era morto senza sapere di aver condannato a morte anche Roano. Ma Roano come aveva potuto? Con quale coraggio, con quale forza? Quanta disperazione c’era voluta per arrivare fino a quella conclusione definitiva? Com’era riuscito a puntare la pistola alla nuca di Carlos e quindi a premere il grilletto? Invece immaginò quanto più facile fosse stato, immediatamente dopo, puntarsi l’arma alla testa, guidato dall’incalzante esigenza di raggiungere Carlos. Don Dalma, con suo stesso stupore, non riusciva a vedere, in quell’epilogo, altro che un’espressione di amore incondizionato.
Delgado ripiegò la lettera e la ripose nella busta, ponendola sulla scrivania, tra lui e don Dalma, come se fosse la posta in gioco di una partita d’azzardo.
– E adesso che succede? – chiese il parroco, guardandola.
Delgado tornò a respirare. Durante il racconto che aveva ascoltato, si era ritrovato a trattenere il fiato. Don Dalma sollevò gli occhi su di lui, in attesa del responso. Delgado ricambiò il suo sguardo.
– Niente. Se ne sono andati come hanno voluto. Le sue omissioni non hanno cambiato di una virgola il loro gesto. Nessuno ritroverà mai la pistola e i soldi sono dove dovevano essere.
– E i giornali?
– Se lei non rilascerà dichiarazioni, non ne sapranno nulla. Io sto ancora cercando un sicario che risulterà introvabile, il caso sarà archiviato e tra qualche mese nessuno ne parlerà più.
– Non so come ringraziarla, commissario. Pregherò per lei.
– Lasci perdere, don Dalma, io sono una causa persa – disse, alzandosi. – Piuttosto, preghi per loro.
– L’accompagno – si offrì il parroco.
– Non si disturbi, conosco la strada. Buona giornata, don Dalma. 

Consuelo si stava giusto domandando dove fosse finito Delgado, quando lo vide entrare in ufficio.
– Buongiorno, capo. Novità? – gli chiese.
Delgado la fissò per un attimo come se non la conoscesse.
– Io no, e tu?
– Ancora niente.
– Lo troveremo, prima o poi – affermò Delgado, andando dritto alla finestra a guardare il cielo, come se da un momento all’altro si aspettasse un qualunque mutamento atmosferico.
– Vuoi un caffè, Rey?
– Sì, grazie. Forse riuscirà a tenermi sveglio.
Un’altra notte insonne, immaginò Consuelo. Per il suo boss stava diventando proprio una pessima abitudine.

Quella sera, Paco indovinò lo strano disagio di Rey dal suo insistente mutismo. Anche se al silenzio del suo compagno era abituato, gli parve più marcato del solito. Immaginò che il motivo fosse lo stesso che l’aveva tenuto sveglio durante la notte.
– Sei riuscito a parlare con il parroco?
– Sì, è stata una conversazione molto interessante.
– Interessante? Che vuoi dire? Ti ha detto qualcosa di nuovo?
– Di nuovo e di definitivo.
– Raccontami.
Una volta messo a conoscenza della situazione, Paco considerò che in fondo non era tanto grave come poteva apparire.
– E Consuelo che ne dice?
– Non gliel’ho detto.
– Davvero? Perché?
– Non credo che apprezzerebbe.
– Non puoi saperlo.
– Non voglio saperlo.
– Se può esserti di consolazione, credo che tu abbia fatto bene. Al tuo posto probabilmente avrei fatto lo stesso.
Rey lo osservò con un’equilibrata miscela d’ironia e di stupore, alla quale Paco non seppe resistere, scoppiando a ridere.
– Va bene, forse esagero, però credo davvero che tu abbia fatto esattamente quello ch’era giusto fare, non per il normale corso della giustizia, ovviamente, ma per umanità nei loro confronti. Credo anche che per assumersi una responsabilità del genere, ci voglia coraggio.
– Ecco, appunto, sono stato troppo umano. A Consuelo non andrebbe giù.
– Forse la giudichi con eccessivo rigore. Io trovo che sia molto sensibile, persino troppo, a volte.
– Ma possiede un difetto che purtroppo la taglia fuori dalla mia approvazione.
– E sarebbe?
– L’uso della parola.
Paco scoppiò a ridere di nuovo. Come altre volte gli era accaduto, trovava irresistibile la serietà con cui Rey faceva battute ironiche, che nello stesso tempo gli apparivano nuove, ma d’impronta già nota.
Fu quella notte, come in un lampo, che ne comprese il motivo, rivedendo nella mente il volto di Mariano Romero, la carovana di carri e cavalli, la folla colorata e rumorosa, i canti, le danze e il vino che scorreva a fiumi, nel pellegrinaggio a El Rocío, di molti anni prima. Se ben ricordava, doveva essere il 1990. Quell’anno, la grande festa andalusa si era tenuta ai primi di giugno. Con l’entusiasmo della sua gioventù, aveva voluto partecipare al cammino lungo la via del Puente del Rey, a piedi, da solo, aggregandosi alla confraternita partita da Sevilla. Eppure mai, come in quei quattro giorni, si era sentito meno solo. Lungo la strada era stato adottato dalla Casa Romero, anzi, per essere più precisi, da Mariano. Aveva la sua stessa età, ballava il flamenco come un dio, beveva come un cammello e gli parlava con gli occhi. Due occhi neri e grandi, senza fondo, con i quali si limitava a esplorare la sua anima, senza mai pronunciare parola, o quasi mai. La serietà delle sue battute ironiche era disarmante. Dormivano sotto le stelle, a pochi passi dai carri, quando i fuochi accesi nella notte iniziavano a spegnersi. La sera prima di arrivare a El Rocío, dopo i canti e le danze, Mariano l’aveva portato lontano dall’accampamento. C’era un quarto di luna che splendeva come una falce, i campi profumavano, l’erba attutiva i loro passi e Mariano lo teneva per mano. Non era la sua prima esperienza, ma era la prima volta che si sentiva vivo, coinvolto con l’anima e con il cuore, la prima volta con gli occhi che bruciavano negli occhi, e che si sentiva parte di un tutto. Mentre Mariano lo baciava, i suoi capelli neri gli scorrevano ai lati del viso come un sipario di seta. La sua schiena sull’erba lo rendeva parte vivente della terra. Le sensazioni che provava erano tutte nuove, splendide e gratificanti. Purtroppo la loro storia era durata poco, quanto il pellegrinaggio. Al suo ritorno a Burgos aveva sofferto di nostalgia per qualche tempo, ma poi aveva ripreso gli studi, con la sua solita routine; la vita lo aveva riafferrato con forza e di Mariano Romero si era dimenticato in fretta, o almeno lo credeva.
Così Paco si domandò se a farlo innamorare di Rey, non ci fosse stato anche un residuo brandello di quel giovanile amore andaluso. Ma gli era impossibile rispondersi.

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Note di follia