La Laguna Negra

Martedì 3 novembre

                  Si può essere buoni investigatori senza trovare la soluzione che si cerca. Consuelo ripiegò su una mansarda in Plaza la Rubia, a due passi dall'imponente Cattedrale che si affaccia su Plaza Mayor. Purtroppo le fu subito chiara la ragione per cui l'appartamento fosse disponibile: era piccolo, soffocante, umido e freddo. In compenso aveva un delizioso balcone da cui s'intravedevano le guglie della Cattedrale. La piazzetta, che era compresa nella zona pedonale, era piena di vita e di piccoli negozi. Ma per valutarne i pro e i contro avrebbe avuto tempo. Intanto si era sistemata meglio che aveva potuto. L'agente Leo Alonso si era offerto di accompagnarla durante il trasloco, aiutandola a trasportare i bagagli nella viuzza pedonale, in tutto tre valigie e un borsone. In quell'occasione Consuelo aveva iniziato a chiamarlo per nome, circostanza che gli offrì la licenza di spingersi oltre i limiti delle formalità gerarchiche, osando darle del tu.

– Qui ci sono da cambiare le guarnizioni dei rubinetti. Ci penso io, se per te va bene.

– Grazie, Leo. Un idraulico fa sempre comodo.

Leo si guardò ancora intorno.

– Molto intimo.

– Molto piccolo, vuoi dire.

– Sì, ma ha sicuramente un vantaggio: farai le pulizie in pochissimo tempo.

Consuelo rise.

– Questo è indubbiamente un vantaggio.

Leo si affacciò ai vetri del piccolo balcone racchiuso da un'artistica ringhiera di ferro battuto. Aveva iniziato a piovere. Con quel freddo, c'era il rischio che la pioggia si trasformasse in neve.

– Pensi che ci assegneranno di nuovo ad altri settori?

– L'antidroga ha già comunicato che sono in crisi. Devo dare una risposta entro domani.

– Quelli sono sempre in crisi. Beh, intanto che decidi, posso darti una mano a riempire quel frigo?

– Hai proprio l'indole del buon samaritano.

– Se non ci aiutiamo tra noi!

Mercoledì 4 novembre

                  Tuttavia ci sono decisioni che risulta superfluo prendere, quando gli eventi ne scavalcano la necessità. Alle cinque del mattino seguente, Consuelo fu svegliata dal cellulare che suonava. Poco dopo, una volante la prese a bordo in Plaza Mayor e la portò a velocità sostenuta davanti al Monastero dei Carmelitani Scalzi. Aveva smesso di piovere. Camelia Rato, medico legale, era già sul posto con il suo collaboratore. Alonso e Romero erano appena arrivati. Le presentazioni furono brevi e sbrigative. Il centro dell'interesse era a poca distanza, illuminato dagli agenti grazie a un paio di torce a led: un uomo sulla quarantina trafitto da un pugnale in pieno petto.

– L'assassino ha centrato il cuore. È sicuramente morto sul colpo – disse Camelia Rato, l'unica che si era avvicinata al cadavere, con tutte le precauzioni del caso. Era una donna in miniatura, con un gran cespuglio di capelli ricci, grandi occhiali che le mangiavano il viso e labbra carnose.

– Hai già stabilito l'ora?

– Pressappoco la mezzanotte di ieri sera.

Consuelo si guardò intorno nel buio vacillante che precedeva l'alba. Il monastero era appoggiato a un costone di tufo e circondato da un boschetto. Il corpo giaceva sulla terra fangosa, a ridosso di una panchina, con gli arti inferiori sull'acciottolato. Poco lontano c'era un chiosco di legno che ospitava un bar, in mezzo agli alberi, a tre o quattro metri dalla strada. Dietro il chiosco c'erano una decina di tavolini e sedie di alluminio, impilati e trattenuti da catene. Era un luogo isolato, rischiarato da poche lampadine che penzolavano da cavi elettrici volanti.

– Chi ci ha avvertiti? – domandò Consuelo.

– Una telefonata anonima – disse Romero, sorpreso mentre sbadigliava.

– Cominciamo bene. Avete scoperto chi è la vittima?

– Sì. Il portafoglio era accanto a lui. Conteneva soltanto i documenti e una tessera del cinema. Si chiamava Oriente Machado, residente ad Aranda de Duero.

Alonso si avvicinò a Consuelo.

– Il portafoglio è vuoto e l'uomo non indossa né orologio né altri ornamenti. Non ha neppure un cellulare. Tutto farebbe pensare a una rapina.

Consuelo lo guardò con la coda dell'occhio.

– Qualcosa non va?

Alonso trasalì.

– No, niente.

Consuelo sorrise.

– Comincio a conoscerti. Qual dubbio t'assale?

– Non lo so. Non capisco perché fare una telefonata anonima.

– Forse l'ha fatta qualcuno che ha visto dal monastero e non ci teneva a essere coinvolto. Bisognerà fare una chiacchierata con i monaci.

Camelia Rato, in equilibrio su una passerella di legno, si chinò ancora una volta sul cadavere.

– Questo vi sarà utile, il coltello ha un'impugnatura molto particolare.

– Strano che l'abbiano abbandonato.

– Potrebbe essersi incastrato. Te lo saprò dire meglio dopo l'autopsia.

– Aspetto tue notizie, Camelia. E la scientifica?

– Arriva nel primo pomeriggio. Sono molto impegnati – disse Romero.

– E dire che quando hanno accorpato in un unico nucleo le squadre di Burgos, Segovia e Soria sembrava una buona idea.

– In effetti una squadra per ogni provincia sembrava troppo.

– Ma appena ti serve, ti accorgi che invece una su tre non è sufficiente.

Intanto era arrivato anche Vazquez e Consuelo si decise a impartire gli ordini che la squadra stava aspettando.

– Delimitate il perimetro. Non fate avvicinare nessuno. Fotografate tutto. Speriamo che non ricominci a piovere. E quando fa giorno andiamo a fare una visita al monastero. Appena finito con le foto, puoi portartelo via, dottoressa. Ottima l'idea di quella passerella di legno.

– Si fa quel che si può. Ma sono sicura che la scientifica ci troverà da ridire lo stesso, anche se ci siamo accertati che qui non ci fosse alcuna impronta.

– Riuscirete a portare via il cadavere senza inquinare la scena?

– Con lo stesso sistema.

– Va bene. State attenti.

– Non preoccuparti, commissaria, è un metodo collaudato.

– E il chiosco? – domandò ai suoi agenti.

– Ci sono catenacci da ogni parte e un grosso cartello "chiuso da novembre a marzo".

– Molto bene. A questo punto io però ho bisogno di un caffè.

– C'è un bar che apre presto, a cinque minuti da qui – disse Alonso.

– Aggiudicato.

                  Rey Delgado si scrollò come un cane inzuppato appena emerso da una piscina. Subito dopo si tolse il Borsalino e il lungo impermeabile nero, li agganciò a un attaccapanni fuori dallo studio e poi entrò, bagnando ugualmente l'enorme tappeto che copriva il pavimento. L'abate lo pregò con un gesto di sedersi davanti alla sua scrivania. C'era un bizzarro odore di pop corn misto a cera per mobili. Delgado detestava i profumi dolciastri, ma resistette alla tentazione di andare ad aprire la finestra. In fondo, non era a casa sua.

– Come già le avranno detto, nessuno ha visto niente. Del resto il lavatoio è a una ventina di metri più in là del nostro ingresso.

– Capisco. Mi hanno detto però che Manuel Campello veniva spesso qui. Per caso è a conoscenza di qualche inimicizia, di qualche problema che possa spiegare il motivo del suo assassinio?

– Veniva spesso a comprare i nostri prodotti. Non mi risulta che avesse problemi particolari. Era sempre in giro per lavoro. Per quanto ne so, passava la maggior parte del tempo al suo albergo. Era un tuttofare e c'era sempre qualcosa da aggiustare. Insomma, era sempre impegnato. Non credo avesse il tempo per farsi dei nemici.

– La ringrazio. Per il momento è tutto. Tolgo il disturbo e mi scusi per averle allagato il tappeto.

– Non si preoccupi. Con questo diluvio non si può pretendere ... Ma prima che se ne vada, mi dica, commissario, com'è morto Manuel?

– Pugnalato. Un colpo solo, dritto al cuore.

L'abate si segnò.

                  Consuelo aspettò le otto e trenta in un bar a cinque minuti dal Monastero, sulla CL607, che costeggiava il Rio Eresma, gonfio per le recenti piogge. Con lei c'era Alonso, che sembrava aspirasse a diventare la sua ombra. Nel frattempo Romero aveva cercato notizie sulla vittima, scoprendo che era il gestore del chiosco-bar accanto al quale era stato ritrovato. Presto sarebbero andati a cercare ulteriori informazioni ad Aranda.

Il cielo era grigio, ma non sembrava volesse piovere. Era quel grigio compatto e smorzato che non permetteva di distinguere le nuvole o di far filtrare neanche un raggio di sole. Consuelo e Alonso, finito di fare colazione, bevvero un caffè dietro l'altro per carburare e far passare il tempo. Finalmente tornarono indietro, passando sotto l'arco barocco che introduceva all'area del parco e del complesso religioso. Secondo le indicazioni di un cartello appeso di fianco al portone della chiesa, l'orario di apertura era dalle 8:30 alle 12:00 ma quando arrivarono era ancora chiusa. Allora aggirarono la facciata e andarono a bussare al portone del fabbricato laterale. Prima di ottenere risposta dovettero aspettare alcuni minuti. Poi il portone si aprì e si affacciò un uomo in blue jeans e dolcevita grigio.

– Buongiorno. Desiderate?

– Sono la commissaria Torres.

Dopo le presentazioni, Consuelo indicò il chiosco-bar e andò subito al sodo.

– Questa notte il gestore è stato ucciso. Siamo qui per sapere se qualcuno di voi ha visto qualcosa.

L'uomo, che si chiamava Antonio Soler, apparve sconvolto dalla notizia, comunicata forse troppo rudemente.

– Mi dispiace davvero molto. Lo conoscevo bene, abitava qui.

– Cosa può dirmi di lui?

– Era un brav'uomo, un gran lavoratore, gentile con tutti e simpatico.

– Dunque lei non ha visto proprio niente?

– No, sono andato a dormire presto. E poi non esco spesso.

– Potremmo parlare anche con gli altri?

– Non ci sono altri. Io sono l'unico custode.

Consuelo sollevò lo sguardo a osservare il grande edificio con le finestre chiuse, poi tornò a rivolgerlo sull'uomo che aveva davanti.

– E mi scusi, che fine hanno fatto i Carmelitani Scalzi?

– Sono in giro per il mondo, anche se ormai si sono notevolmente ridotti di numero. Io sono stato assunto per permettere le visite al monastero. Comunque in questo periodo dell'anno avvengono solo su prenotazione.

– Capisco. Il parco però è frequentato, vero? A parte il chiosco, ho visto che è attrezzato per i picnic.

– Sì, d'estate, naturalmente. In questo periodo il chiosco chiude, per riaprire in primavera. Proprio ieri Oriente doveva finire di sistemare tutto per la chiusura invernale. Oggi sarebbe partito.

– Mi può dire ancora qualcosa su di lui?

– Non saprei. Era una persona normale. A volte ci facevamo una chiacchierata. Quando chiudeva qui, gli piaceva andare nei boschi, in montagna. Andava anche a caccia.

– Sa se ci andava in compagnia?

– Sì, mi ha parlato di amici che si univano a lui, ma non li conosco. Sicuramente potrete saperne di più ad Aranda, dove abitava per i restanti mesi dell'anno. Se poi volete vedere la sua stanza, qui, vi ci accompagno.

– Certo, stavo per chiederglielo. Lei sa che ci vorrebbe una richiesta ufficiale?

– Sì, ma vista la situazione, non mi sembra di fare niente di male.

– La ringrazio molto. Allora aspetteremo la scientifica. L'importante, per il momento, è che non ci entri nessuno.

                  Finalmente, a Santo Domingo de Silos aveva smesso di piovere. Il commissario Rey Delgado e l'agente Gil avevano aspettato quel momento sotto il riparo dei portici che affacciavano sul lato sinistro del monastero, davanti a un bar dove avevano fatto qualche domanda ai pochi passanti che capitavano a tiro. Quindi si mossero verso il monastero, di fronte al quale una grande vasca rettangolare aveva raccolto tanta pioggia da riempirsi fin quasi all'orlo. Dopo pochi passi arrivarono al lavatoio dov'era stato trovato il cadavere. Ora, per buona parte, era coperto da teli di plastica, ma Rey non era molto convinto di quel metodo empirico. La pioggia si era infiltrata ovunque, cancellando forse buona parte delle eventuali tracce lasciate dall'assassino. L'intervento della scientifica avrebbe avuto più senso e maggiori probabilità di riuscita se fosse stato più tempestivo.

– Gil, tu resta qui. Non vorrei che a qualcuno venisse in mente di inquinare la scena.

Fernando Gil non ne fu per niente contento, ma il capo aveva sempre ragione. Avanzando sulla stradina, Delgado superò il ponte sul rio Mataviejas, raggiungendo il vecchio albergo con il pomposo nome di San Juan. Era un edificio basso, immerso nel verde, con un'insegna che recitava: bar self service e ristorante con possibilità di pernottamento. Facendo qualche domanda ai rari passanti, Rey aveva saputo che la vittima era il proprietario del posto insieme con suo fratello Juan. Dietro il banco trovò un uomo pallido, dall'espressione angosciata.

– Il signor Juan Campello?

– No. Il signor Campello non c'è.

– Sono il commissario Delgado. Ha idea di quando potrei trovarlo?

– Mi dispiace, non lo so.

– E lei è ...?

– Iago Hortigon. Sono un dipendente dell'albergo.

– Quindi conosceva bene Manuel Campello.

– Certo che lo conoscevo bene. Lavoro qui da dieci anni. È lei che si occuperà delle indagini?

– Sì. Lei quando l'ha visto l'ultima volta?

– Ieri, alle sei del pomeriggio, quando è uscito da qui. Doveva andare a fare rifornimento, perché il furgone era rimasto a secco.

– Il fratello Juan era qui?

– Sì, c'era anche lui.

– Quindi, se ho ben capito, da quando si è allontanato da qui con il furgone alle sei del pomeriggio, non l'avete più visto.

– Esatto.

– E non vi siete preoccupati?

– No, capitava molto spesso che dormisse a casa sua ad Aranda de Duero. A volte si tratteneva anche in casa dei suoi genitori oppure dormiva da un suo amico. Manuel si occupava soprattutto degli approvvigionamenti, quindi era sempre in movimento e dormiva dove gli veniva più comodo per iniziare i suoi giri il mattino seguente.

– Mi sa dire in quali circostanze avete scoperto il cadavere? La telefonata del fratello è arrivata al commissariato alle sei e trenta di questa mattina.

– L'ha trovato un nostro ospite, che aveva appena lasciato la camera. Passando dal lavatoio ha visto un uomo per terra e ha chiamato un'ambulanza. Poi è tornato di corsa qui in cerca di aiuto. Voleva delle coperte. Pioveva forte e faceva freddo, era ancora buio e al lavatoio ci si vedeva a malapena. Non aveva capito che era già morto. Juan era di turno e si è precipitato fuori. Ha riconosciuto subito suo fratello e ha capito che purtroppo non c'era più niente da fare. Io sono arrivato subito dopo. Ma sono stati i paramedici dell'ambulanza a dirci che era stato ucciso. Allora vi ha chiamato subito.

– Manuel Campello è stato pugnalato. Non vi siete accorti del sangue?

– Non c'era sangue. O era troppo buio per vederlo oppure la pioggia l'aveva già lavato via.

– Sa quando è iniziato a piovere?

– Di preciso no, non ci ho fatto caso, ma pioveva già molto forte quando Manuel è andato via nel pomeriggio, di questo sono sicuro.

– Mi sa dire se aveva litigato con qualcuno? Se aveva problemi di qualche tipo?

– A Manuel non piaceva litigare. Cercava di semplificare tutto. Ecco, semmai, lo si poteva accusare di essere superficiale, perché lasciava correre. In realtà per lui ogni complicazione era tempo perso. E invece gli piaceva ritagliarsi del tempo per sé, per le sue passioni.

– Che passioni aveva?

– Il cinema, la montagna, la caccia e gli piaceva passare le serate con gli amici di Aranda. Era un gruppetto affiatato. Si conoscevano fin dalla scuola e non hanno mai smesso di frequentarsi.

– Potrei vedere la sua camera?

– Certo.

                  Mentre Leo Alonso e Rufo Vazquez rimanevano a sorvegliare la zona delimitata davanti al monastero, in attesa che arrivasse la scientifica per i rilevamenti, Consuelo Torres e Julian Romero tornarono al commissariato.

– Comincio a cercare qualche informazione su Machado – disse Julian mettendosi subito al terminale.

– Va bene, Romero. Fammi sapere se trovi qualcosa d'interessante. Io faccio un salto ad Aranda.

– Come? Da sola?

– So guidare.

– Ma...

– Tu pensa alle ricerche.

– Agli ordini, commissaria.

Dal tono non sembrava che Romero fosse molto entusiasta della sua decisione, ma Consuelo non voleva perdere tempo. E poi era da troppo che non guidava e temeva di perdere l'allenamento. Per buona parte del viaggio canticchiò sottovoce, cosa che non le accadeva da tempo. I circa cento chilometri di strada percorsa la misero di buon umore. Si sentiva a cavallo della cresta di un'onda, una sensazione che amava molto.

L'indirizzo sui documenti di Oriente Machado era Calle Barrio Nuevo. Consuelo lasciò l'auto nelle vicinanze raggiungendo il civico a piedi. Si trovava accanto a una camiceria e di fronte a un bar. Subito dopo, la strada sfociava in una piazzetta con una chiesa. Come le disse un frequentatore del bar, le finestre dell'appartamento di Machado erano quelle sopra la camiceria. Sia il cliente che il gestore del bar conoscevano Oriente.

– In questo quartiere siamo come una grande famiglia.

– Machado vive da solo?

Consuelo non voleva ripetere l'errore di dare la brutta notizia in modo brutale.

– Sì, ma per la maggior parte dell'anno vive a Segovia. Questo è il periodo in cui torna per qualche mese. Viene a svernare, diciamo noi.

– Capisco. E mi sapete indicare qualche suo amico?

– Perché fa tutte queste domande?

– Ho bisogno di trovarlo. Allora, mi sa indicare qualche suo amico?

– Sì, qui vicino c'è Gregorio Espinosa, e poi Manuel Campello, che abita qui dietro, in Plaza Ribera.

– Dove, esattamente?

– È un portone a vetri, in una palazzina gialla con le cornici rosse. Lo vede subito, è di fianco a una palazzina celeste.

Consuelo si diresse nella direzione che le avevano indicato. Nella piazzetta c'era un uomo tutto in nero che guardava verso i balconi della palazzina gialla. Consuelo si avvicinò al portone e si mise a leggere i nomi sul citofono. Trovò quello di Manuel e suonò. Non ricevendo risposta, suonò di nuovo, ma ancora una volta nessuno rispose.

– Non può sentirti. È all'obitorio.

La voce di Rey alle sue spalle la fece sobbalzare.

– Ma sei proprio tu!

Gli saltò al collo e l'abbracciò con entusiasmo. Rey era più stupito di lei.

– Perché stai cercando Manuel Campello?

– Perché è amico di un uomo che è stato assassinato questa notte a Segovia.

L'espressione di Rey fu di quelle difficili da descrivere e ancor di più da interpretare.

– Anche lui è stato assassinato ieri sera, a Santo Domingo de Silos.

– Joder!

– Mi hai tolto la parola di bocca.

– Oriente Machado è stato ucciso intorno alla mezzanotte, pugnalato al cuore. E Campello?

– Anche lui pugnalato al cuore, di preciso non so a che ora. L'hanno trovato alle sei di questa mattina, ma poteva essere là da molte ore.

– Là dove?

– A pochi passi dal suo albergo.

– Oriente Machado accanto al suo chiosco-bar.

Sotto il suo Borsalino, un sopracciglio di Rey si sollevò.

– Se fosse una coincidenza sarebbe davvero bizzarra.

– Ma noi non crediamo alle coincidenze – disse Consuelo.

– In questo caso meno che mai.

– Mi hanno detto che qui vicino abita un altro amico, un certo Gregorio. Vado a chiedere l'indirizzo esatto.

Consuelo corse via senza aspettare commenti e fu di ritorno in breve.

– Gregorio Espinosa abita dietro la chiesa. Andiamo.

– A quest'ora lo troveremo?

– Mi hanno detto di sì.

Rey la seguì. Gli sembrò di essere ritornato a un paio di mesi prima, quando Consuelo era la sua vice e prendeva iniziative senza il suo consenso. Ma da tempo aveva imparato a fidarsi del suo fiuto e della sua fortuna, anche se questo non gliel'aveva mai detto. Consuelo ci teneva molto a essere apprezzata per la sua professionalità. Non avrebbe gradito di sicuro che attribuisse i suoi successi alla buona sorte.

– Finalmente uno vivo e vegeto – disse Consuelo quando sentì che la porta si apriva. Mozzafiato, fu invece il termine esatto che le affiorò alla mente, quando Gregorio Espinosa apparve sull'uscio. Doveva avere intorno ai trentotto anni, era molto abbronzato e tatuato. Aveva dei lineamenti molto fini, gli occhi scuri e la barba nera ben disegnata. Portava una t-shirt gialla così attillata che i muscoli tiravano il tessuto di qua e di là a ogni movimento, evidenziando spalle larghe e vita stretta, mentre i bicipiti gonfi strabordavano dalle maniche cortissime. Aveva una voce di velluto, del genere che Consuelo avrebbe ascoltato volentieri per ore, solo per il piacere di sentirla, senza minimamente badare al significato delle parole. D'improvviso si ricordò di aver già vissuto un'esperienza simile e quel déjà-vu agì come una gelida secchiata d'acqua che la risvegliò dall'ipnosi.

Intanto Delgado li aveva presentati e aveva fatto in modo che Gregorio li facesse entrare in casa sua. Consuelo si ritrovò seduta su un divano senza sapere come ci fosse arrivata. Si sforzò immediatamente di seguire la conversazione.

– Purtroppo devo comunicarle una brutta notizia ­– stava dicendo Rey.

Gregorio Espinosa si allarmò.

– Ieri notte sono morti Manuel Campello e Oriente Machado.

– Oddio, hanno avuto un incidente?

– No, sono stati uccisi.

– Uccisi?

Gregorio Espinosa appariva incredulo. Rimase immobile e in silenzio per un lungo momento.

– Da chi? Perché?

– Non lo sappiamo. Le indagini sono appena iniziate. Ci potrebbe dire dov'era lei ieri sera?

– In palestra, come al solito. Gestisco una palestra qui vicino.

– Quindi avrà sicuramente dei testimoni.

– Certo, ne ho a decine.

– Molto bene. Sappiamo che eravate amici, quindi ci potrebbe essere d'aiuto per indirizzare le nostre ricerche. Che cosa ci può raccontare di loro?

L'uomo restò un momento in silenzio. Sembrava sconvolto.

– Eravamo molto amici. Con Manuel ci vedevamo spesso la sera, anche solo per farci un bicchiere insieme ad altri amici. Con Oriente Machado ci vedevamo soprattutto in autunno e in inverno, ci facevamo delle lunghe camminate in montagna, alla Laguna Negra, con Manuel Campello e Gracian Toledo.

– Andavate a caccia insieme? – domandò Consuelo.

Rey la osservò con la coda dell'occhio.

– Sì, facevamo qualche battuta ai tordi, tra novembre e febbraio.

– Le risulta che qualcuno ce l'avesse con i suoi amici?

– No. Erano persone tranquille, grandi lavoratori. Si prendevano un po' di riposo proprio in questo periodo. Oriente chiudeva il chiosco che aveva a Segovia e Manuel si assentava più spesso dall'albergo, che ha poca clientela durante i mesi invernali.

– Non è a conoscenza di alcun avvenimento recente che possa aver spinto qualcuno a prendersela con loro? Ci pensi bene.

– No, assolutamente nessuno, mi dispiace.

– Oriente Machado viveva da solo, vero?

– Sì, esatto. Si era sposato, ma si è separato dalla moglie dopo pochi anni di matrimonio. Lei è andata a vivere a Madrid. Non si sentivano mai.

– E Manuel Campello?

– Vive per lo più nel suo albergo, ma a volte dorme in un appartamento che ha qui vicino.

Gregorio Espinosa s'interruppe di botto.

– Volevo dire, dormiva... – ma non riuscì a continuare. Si coprì il volto con le mani e scoppiò a piangere.

– La ringrazio. Noi togliamo il disturbo – disse Delgado, dopo qualche momento d'imbarazzo.

L'uomo non reagì, come se non l'avesse proprio sentito.

Consuelo arrivò alla porta prima di Rey, lanciò un ultimo sguardo all'uomo che singhiozzava e chiuse delicatamente l'uscio alle loro spalle.

– Non gli abbiamo chiesto l'indirizzo di quel loro amico.

– Gracian Toledo, giusto? Lo chiederemo al tuo ufficio informazioni, tanto ho bisogno di un caffè. E Gregorio Espinosa ha bisogno di starsene da solo.

– Sei diventato così delicato, Rey? Stai cambiando.

– Non dirlo a nessuno.

Tornando all'aperto furono colpiti da un raggio di sole. Il cielo si stava sgombrando grazie a un vento freddo che spazzava via la coltre grigia e compatta. Nell'aria c'era odore di pane appena sfornato.

– Come ti è venuta l'idea che andassero a caccia?

– Me l'ha detto il custode del monastero. Si conoscevano abbastanza bene. Oriente aveva affittato una stanza proprio là.

– L'hai perquisita?

– No, ci penseranno quelli della scientifica.

– Sì? Beato chi li vede.

– Già, sono diventati un miraggio. Ho dovuto lasciare sul posto due agenti, in attesa. Forse nel pomeriggio si degneranno di fare i rilievi.

– A Santo Domingo ho lasciato Gil a guardia di un telo di plastica.

– Siamo a posto!

– Io invece non ho aspettato la scientifica per ficcare il naso nella stanza di Campello.

– Hai trovato qualche cosa d'interessante per le indagini?

– Non mi sembra: i suoi fucili da caccia, qualche coltello, attrezzature da campeggio, una collezione di libri sulle tecniche di sopravvivenza, un computer e una testa di cervo imbalsamata.

– Dovremo far analizzare il contenuto del computer.

– Era già mia intenzione.

– Farò dare un'occhiata anche nell'appartamento di Machado.

– Sono d'accordo. Prima o poi troveremo un brandello di pista da seguire.

Intanto il bar Las Cubas si era affollato. Quando li videro entrare, il vociare si smorzò improvvisamente, mentre il barista affrontava Consuelo con espressione mortalmente offesa.

– Eccola! Perché non ce l'ha detto? Voleva vedere la nostra reazione? Pensa che c'entriamo qualcosa nella morte del povero Manuel?

Delgado sollevò un sopracciglio e osservò Consuelo.

– Non volevo essere proprio io a darvi questa brutta notizia. Immaginavo che l'avreste comunque saputo presto.

– Già, infatti l'abbiamo saputo.

– Potrei avere un caffè, per favore? – gli disse Delgado, avanzando verso il bancone.

– Certo – rispose l'uomo, senza molta cortesia.

Consuelo non osò fare altrettanto. Anche chiedere ulteriori informazioni le sembrò fuori luogo. Forse avrebbe potuto farlo Delgado, che ai loro occhi non si era ancora macchiato di alcuna grave colpa.

Rey bevve il suo caffè e posò una moneta sul bancone.

– Le posso fare una domanda? – disse intanto al barista.

– Mi dica – sempre scontroso.

– Conosce Gracian Toledo?

– Sì, è dietro di lei.

Consuelo e Rey si voltarono in sincrono e Gracian si fece avanti di un passo, staccandosi dal gruppo.

– Vorremmo farle qualche domanda, signor Toledo, possibilmente in privato.

– Andiamo fuori.

Gracian Toledo era sulla quarantina, capelli neri, baffetti, colorito olivastro, naso aquilino, guanti di pelle nera e un portamento altero. A Consuelo diede l'idea di un signore d'altri tempi. Con una gorgiera bianca e uno spadino al fianco sarebbe stato perfetto su una tela del Cinquecento. S'incamminarono verso il lato della chiesa dov'erano alcune panchine di pietra su cui si sedettero. Consuelo ritenne ormai doveroso fornirgli il quadro completo della situazione, perciò gli comunicò che anche Oriente era stato ucciso. Gracian si accasciò in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e le mani sui capelli.

– No! Non è possibile! Che cazzo sta succedendo?

Il signore cinquecentesco svanì, inghiottito dalla disperazione di un uomo comune del ventunesimo secolo. Delgado tossicchiò. "Potevi aspettare a dirglielo!" la rimproverò lo sguardo che lanciò a Consuelo.

– Mi dispiace, signor Toledo.

– È talmente assurdo!

– Ci può dire dov'era ieri sera?

– Ero qui al bar come tutte le sere.

– Immagino che abbia numerosi testimoni.

– Ma certo! E chi diavolo può aver fatto una cosa simile?

Toledo appariva disperato.

– Comprendiamo il suo dolore. Eravate molto amici?

– Eravamo come fratelli.

– Lei sa se ultimamente avevano avuto problemi con qualcuno?

– Non mi risulta. Non saprei. Adesso sono molto confuso. Scusatemi.

– Comprendiamo benissimo. Se le verrà in mente qualcosa che possa aiutarci a fare chiarezza sui motivi che possono aver spinto qualcuno a ucciderli, ce lo faccia sapere subito. Questo è il mio biglietto da visita.

Consuelo osservò Gracian Toledo afferrare il cartoncino e metterlo in tasca senza guardarlo. Lei non aveva ancora dei biglietti da visita, non ci aveva pensato. Ma non era questo a turbarla. In quel momento si rese conto che le due indagini dovevano essere accorpate. Chi le avrebbe prese in carico? Lei o Delgado? Mentre se lo domandava, il suo cellulare suonò. Era Julian Romero. Si allontanò di qualche passo e rispose.

– Dimmi, Julian.

– La scientifica è arrivata. Alonso e Vazquez stanno rientrando. A lei come va?

– Non tanto bene. Stanotte hanno assassinato anche un amico di Machado, Manuel Campello, a Santo Domingo de Silos. Anche lui pugnalato al cuore. Nessuno dei loro conoscenti ci ha fornito un'idea anche vaga di un possibile movente.

– Ci? Non è andata da sola?

– C'è qui il commissario Delgado che segue il caso Campello.

– Difficile che i due casi non siano collegati.

– Impossibile, direi. Speriamo nelle tracce che riusciranno a raccogliere quelli della scientifica.

– Io non ci farei troppo affidamento. Machado era in mezzo al fango. Gli è piovuto addosso per tutta la notte. E l'altro?

– Era anche lui in strada ed è piovuto anche là.

– Che razza di sfortuna!

– Non credo alla fortuna e alla sfortuna. Sono due facce della stessa medaglia.

– Se lo dice lei, commissaria...

– E tu hai trovato qualcosa?

– Niente di particolare, ma devo ancora approfondire. Abbiamo avvertito i familiari, sua madre e due fratelli che vivono a Soria.

– Va bene, Julian. Ci sentiamo dopo.

Consuelo rimise in tasca il cellulare e si voltò. Delgado era a un passo da lei.

– Novità?

– La scientifica è sul posto.

– Alleluia.

Delgado sorrise sornione.

– E allora? Come la mettiamo? Queste indagini vanno accorpate.

– Non saprei. Come sta Paco?

– Bene. Giusto l'altro giorno si è lamentato che non chiami mai. E tu tutto bene?

– Penso di sì. Ho affittato un appartamento. Stanotte ci ho dormito per la prima volta, per ben cinque ore.

– Allora ti stai ambientando, ormai.

– Più o meno. Segovia è una bella città, per quel poco che ho visto girando sulle auto di servizio. Ma mi piacerebbe proprio prendermi il tempo per visitare almeno i monumenti più importanti. Non voglio fare come a Burgos, dove non ho visto niente.

– Il progetto è buono. Ma torniamo a quello che ci impegnerà per le prossime settimane. Che facciamo? Sarebbe meglio che me ne occupassi io.

Consuelo non ci pensava proprio.

– Perché? L'omicidio di Machado è avvenuto a Segovia. Quindi è naturale che l'indagine spetti a me. E semmai anche quella di Campello, visto che non è avvenuta a Burgos.

Delgado si accigliò.

– Santo Domingo è sotto la giurisdizione di Burgos. L'indagine sul caso Campello è mia.

– Ma sono due casi collegati!

– Appunto. Li prendo io.

Consuelo s'impuntò.

– Te lo puoi scordare. Machado è mio. Pensi che non sia in grado?

– Sei alle prime armi.

Consuelo s'incazzò e alzò leggermente la voce.

– Non direi proprio, commissario Delgado.

– E allora tu indaga su Machado che a Campello ci penso io.

– D'accordo!

– D'accordo!

Consuelo gli voltò le spalle e si allontanò a passo deciso su Calle Barrio Nuevo per andare a riprendere la macchina. Era mezzogiorno e mezzo, aveva un diavolo per capello e una gran voglia di menare le mani. Non sarebbe arrivata a Segovia prima delle due.

                  Molto prima che Consuelo arrivasse a Segovia, Delgado raggiunse Fernando Gil. Il suo ciuffo biondo svolazzante gli ricordò una bandierina segnavento.

– Capo, qui non si è visto nessuno.

– Lo so. La squadra di Esmador è a Segovia.

Gil notò subito che Delgado era di cattivo umore.

– Bell'idea accorpare gli specialisti di tre provincie in un'unica squadra.

– Tempi duri, decisioni pessime.

– Capo, che ne dice di approfittare del self-service? Io rischio di svenire dalla fame.

– Vai tu. Io resto a fare la guardia. Tra poco dovrebbe arrivarti il cambio. Quando hai finito mi porti un panino.

– Il solito?

– Non fare domande stupide.

Sì, il suo capo era di pessimo umore. Gil si allontanò prima che cambiasse idea e gl'impedisse di andare a mangiare.

Finalmente il vento aveva finito di spazzare il cielo, ma da Est stavano subentrando nuvole bianche sfilacciate come piume. Delgado andò a sedersi su una lastra di pietra del lavatoio che sembrava asciutta. La pietra era gelida. Comprese subito che era stata una pessima idea e tornò al sole, passeggiando avanti e indietro, finché lo sguardo non gli cadde per caso su un pezzetto di carta bianca. Era incastrata di taglio in una fenditura alla base di un palo che sorreggeva le travi del pergolato. Si chinò a raccoglierlo, soprappensiero. Gil tornò in quel momento e lo vide leggere quel pezzetto di carta stropicciato.

– Dov'è Quintanarejo?

Gil si mise il panino di Delgado sotto l'ascella e tirò fuori da una tasca il cellulare, armeggiò per qualche secondo e poi rispose:

– A Vinuesa.

– Ne so quanto prima.

–È in provincia di Soria, a 1077 m. di altitudine. Ma che cos'è?

– Uno scontrino della Casa Rural Quinta, poi non si legge. Tre euro. Il resto non si legge.

Gil tirò fuori da un'altra tasca un sacchetto di plastica trasparente.

– Capo, forse è meglio metterlo qui dentro.

Delgado gli lanciò un'occhiata di fuoco, ma poi lo buttò nel sacchetto, come fosse spazzatura. Quindi si tolse i guanti e liberò dall'ascella di Gil la busta bianca che conteneva il suo panino. Gil cominciò a chiedersi cosa fosse accaduto ad Aranda per renderlo così intrattabile.

Quando Delgado finì di mangiare, tornò a indossare i guanti. Faceva un freddo tremendo. Poco dopo arrivò il cambio. Delgado gli passò le consegne.

– Se la scientifica si fa vedere, telefonami.

Gil notò che non aveva detto "quando" ma "se".

– Certo, commissario – rispose il nuovo arrivato.

– Gil, non si è ancora fatto vedere Juan Campello?

– No, capo.

– Allora torniamo a Burgos. Lo convocheremo telefonicamente.

Fernando Gil si preparò a un viaggio silenzioso e teso.

                  Consuelo arrivò giusto in tempo per assistere alla perquisizione della camera di Oriente Machado. Antonio Soler aveva consegnato loro le chiavi, ma si era allontanato subito. Era molto discreto o era molto coinvolto e proprio perciò non voleva dare nell'occhio?

La squadra della scientifica sembrava molto efficiente, ma la camera era piccola e gli uomini s'intralciavano a vicenda. Lei rimase a osservarli dall'uscio. Il capo, Gustavo Esmador, ordinò di impacchettare il portatile e il cellulare che si trovavano sulla scrivania. Aprirono i cassetti del comodino e le ante dell'armadio. Guardarono sotto il letto e sopra le due mensole incassate in una nicchia. Presero impronte e campioni, fotografando tutto. Poi Esmador la guardò.

– Viveva qui?

– Per buona parte dell'anno.

– Un uomo di poche pretese. D'altra parte leggeva solo manuali di sopravvivenza. Per alcuni la vita di tutti i giorni diventa una sorta di allenamento, ma di solito capita ai più fissati.

– Probabilmente qui ci dormiva soltanto. Mi sono dimenticata di chiederlo, ma penso che vivesse più che altro nel suo chiosco.

– In ogni caso bisognerà darci un'occhiata.

– L'unico problema è che non abbiamo le chiavi dei lucchetti.

– Siamo attrezzati.

– Ma prima diamo un'occhiata all'appartamento del custode. È doveroso.

Alla sua richiesta, Antonio Soler non fece una piega. La sua camera era al pianterreno, collegata con le ampie cucine che una volta dovevano essere state molto attive. Il monastero era abbastanza vasto da ospitare qualche decina di monaci. Come per la precedente perquisizione, Consuelo si limitò a osservare dalla porta. Qui niente manuali di sopravvivenza, ma molte tele con sfondi scuri, dal blu al viola e dal marrone al verde. Consuelo raggiunse Antonio nel cortile.

– Lei dipinge?

– Sì, i quadri nella mia camera li ho dipinti io. Sa, in inverno, qui, c'è poco da fare.

– Non si sente solo a vivere in questa struttura così grande e fuori mano?

– Le confesso che mi piace proprio per questo. Adoro il silenzio. E poi c'è una biblioteca immensa. Nel retro ci sono l'orto e un laboratorio erboristico dove mi diletto. Il ricettario dei monaci è una fonte di vere sorprese. Sto imparando a usare anche l'alambicco. Insomma, non mi annoio per nulla.

– E Oriente Machado, una volta chiuso il chiosco, che cosa faceva?

– Per lo più se ne andava a dormire.

– Cenavate insieme?

– Molto raramente. D'estate chiudeva tardi. Poteva arrangiarsi con un panino, oppure se ne andava in qualche ristorante.

– Venivano mai a trovarlo degli amici?

– Che io ricordi, rare volte. L'ultimo è venuto da Santo Domingo de Silos, verso la fine di agosto, ma si è trattenuto solo un giorno e la sera stessa è ripartito. Comunque i tavolini del chiosco erano sempre pieni. Per quanto possa sembrare strano, qui d'estate fa un po' meno caldo che in città, sarà per via degli alberi, o del fiume, non so. Lui chiacchierava con tutti e sembravano tutti suoi amici. Era una persona molto espansiva. Alla gente piaceva.

– Quindi andava al chiosco anche lei qualche volta?

Antonio fece una risatina.

– Quasi mai. Vede, io sono d'indole solitaria. La gente mi stanca: parla tanto senza dire niente. Ma quelle poche volte che ho parlato con Oriente non mi è dispiaciuto. Era simpatico. Aveva un'ironia tutta particolare che riusciva ad alleggerire anche gli argomenti più seri.

– Da qui a dire che eravate amici però ci corre.

– Esatto. Eravamo dei buoni vicini di casa, diciamo.

– E non ha la più pallida idea di chi può averlo ucciso e nemmeno del motivo per cui l'ha fatto.

Più che una domanda era una constatazione.

– Mi dispiace, purtroppo no.

Consuelo sospirò. 

Poco dopo uscì la squadra.

– Spero che non abbiano messo in disordine la sua camera, ma una perquisizione era necessaria, vista la situazione, lei capisce.

– Certo. Non si preoccupi. Piuttosto, come devo comportarmi con l'impresa di pulizie? La camera di Oriente deve restare chiusa?

– Sarebbe meglio di sì, almeno finché non le comunicherò altrimenti.

– D'accordo.

– Le lascio il mio numero di telefono. Per qualunque cosa non si faccia scrupolo di chiamarmi.

Mentre lo annotava su un foglietto del piccolo taccuino che portava sempre in tasca, Consuelo si rimproverò di non aver ancora pensato a procurarsi dei biglietti da visita.

                  Giunti al commissariato di Burgos, Gil si tuffò immediatamente nelle ricerche su entrambe le vittime. Delgado gli aveva detto che avrebbero investigato soltanto sul caso Campello, ma Gil ovviamente non ne poteva fare a meno. Anzi, per evitare di perdere tempo, si mise in contatto con il commissariato di Segovia, nonostante il rischio che il suo capo, scoprendolo, gli tagliasse la testa. La sua chiamata fu deviata sul numero di Julian Romero. Alla fine della conversazione i due agenti furono del parere di scambiarsi ogni informazione in tempo reale, ma con il massimo riserbo. Anche la Torres sembrava infatti poco propensa a mischiare le carte.

Giovedì 5 novembre

                  La relazione provvisoria del medico legale di Segovia fu il primo documento ufficiale che Gil ricevette, insieme con le foto del pugnale. Era un bel coltello da caccia, con il manico intagliato artigianalmente. Secondo la scientifica le decorazioni erano motivi che imitavano simboli celtici: un nodo intrecciato molto particolare. Dello stesso parere fu Romero che, spulciando sui siti specializzati, fu in grado di assegnare quel particolare tipo di nodo alla cultura Arevacos, che si era diffusa a suo tempo nella provincia di Soria, spingendosi in parte verso quella di Burgos e in parte verso quella di Segovia. Insomma, era probabilmente un prodotto di artigianato locale.

Contrariamente a quanto temesse, Gil non fu rimproverato da Delgado che apparve anzi molto soddisfatto che lui si fosse procurato il referto della vittima di Segovia. Poi diede ordine di cercare il produttore di quel coltello da caccia, a partire dalla zona di Soria.

– Perché proprio da Soria?

– È dove le vittime e i loro amici andavano a caccia. Niente di strano che comprassero in loco anche le attrezzature. Se così fosse, potremmo restringere i sospetti ai suoi compagni di gite in montagna.

– Lo stesso vale per Machado. Anzi, la sua famiglia vive proprio a Soria.

– Di Machado si occupa la Torres.

– Capo, i due casi non si possono seguire separatamente. Secondo me sono stati assassinati dalla stessa mano.

– Questo lo penso anch'io, ma noi ci occupiamo di Campello e la Torres si occupa di Machado. È chiaro?

– Sì, capo.

– Nel frattempo manda il referto autoptico a Pérez, così intanto che si decide a farci sapere qualcosa, può anche confrontare il colpo inferto a Manuel Campello con quello subito da Oriente Machado. E chissà che ricevere il referto della sua collega non riesca a smuoverlo dal suo letargo.

– Il nostro medico legale non mi sembra sensibile al fascino della competizione – commentò gratuitamente Fernando Gil, rischiando di ricevere un'occhiataccia.

Invece Delgado si limitò a grugnire e ad annuire, ma sembrava molto pensieroso. Poi si rifugiò nel suo ufficio e afferrò il telefono.

– Paco, ti va un'escursione in montagna?

                  Consuelo non si portava mai il lavoro a casa, ma quella sera era curiosa di scoprire qualcosa sulle tecniche di sopravvivenza. L'argomento era del tutto nuovo per lei, ma dal momento che si erano trovati manuali che trattavano la materia sia nella stanza di Machado che in quella di Campello, avere almeno un'idea generale dell'interesse che coinvolgeva entrambi e probabilmente anche i loro amici, non le sembrava eccessivo. Prima di tornare a casa si era comprata un piumone per il letto e dopo cena lo inaugurò in compagnia del suo portatile. Comodamente appoggiata ai cuscini e coccolata dal delizioso tepore del piumone, si addormentò tra la lista dei kit d'emergenza e un forum di survivalisti che si consigliavano a vicenda su quali derrate alimentari a lunga scadenza stipare nei loro rifugi.

La svegliò poco dopo una telefonata di Paco.

– Non ti ho svegliato, vero?

– No, no. Stavo leggendo – mentì Consuelo.

– Se ti facessi sentire più spesso non sovvertiresti l'ordine cosmico – la rimproverò.

– Hai ragione, Paco. Credo che qualcuno di tua conoscenza mi abbia contagiato.

– Bella scusa, ma non parliamo di lui. Come stai?

– Bene, e tu?

– Anch'io.

– Rey ti ha detto che stiamo seguendo due indagini collegate?

– Sì, mi ha raccontato. A proposito, c'entra qualcosa la Laguna Negra?

– Sì, pare sia una zona molto frequentata dalle due vittime e dai loro amici.

– Lo sapevo che doveva esserci sotto qualcosa.

– Sotto a che?

– Rey mi ha proposto di fare un'escursione in montagna, domenica. Guarda caso proprio là.

Consuelo sentiva in sottofondo la musica del pianoforte. Immaginò Rey impegnato a suonare.

– Cosa spera di trovarci?

– Non saprei. Ispirazione, forse. Oppure sentirne parlare l'ha incuriosito a tal punto che vuole andare a vedere com'è.

– Portati il kit d'emergenza. Non dimenticare l'accendino, i fiammiferi, un pentolino, la coperta termica, la bussola e un coltello.

– Ah, ho capito. Rey è davvero contagioso. Anche tu stai leggendo un manuale di sopravvivenza.

– Lo confesso.

– Che è successo tra voi?

– Il solito. Pensa che non sia in grado di seguire un'indagine come si deve.

– E tu dimostragli il contrario.

– A lui non devo dimostrare proprio niente. E sono perfettamente in grado di seguire questa indagine.

– Non ho dubbi.

– Vedremo chi arriverà per primo alle conclusioni giuste.

– Mi fa piacere sentirti sempre agguerrita – commentò Paco, ridacchiando.

Poco dopo Consuelo chiamò Alonso.

– Domani mattina tu e Vazquez ve ne andate a Soria e dintorni. Parlate con i Machado e cercate quell'artigiano che fabbrica coltelli.

Venerdì 6 novembre

                  Julian tamburellava con le dita sulla scrivania, masticando il cappuccio di una biro. E intanto si dondolava sulla poltroncina, seduto di fronte a Consuelo.

– Neppure un'impronta sul coltello celtico. Ci dovremo arrampicare sugli specchi.

– Stanno ancora facendo le analisi. Bisogna avere pazienza. E poi speriamo esca fuori qualche indizio dallo studio del portatile di Oriente Machado – disse Consuelo.

– Vediamo se questa nuova squadra scientifica dimostrerà di essere più efficiente della vecchia.

– Anson è stato assegnato al laboratorio, vero?

– Mi sembra di sì.

Consuelo si attaccò al telefono. Julian seguì la conversazione con interesse. Sembrava che i due si conoscessero bene.

– Siamo nelle tue mani. Ci basta un indizio anche piccolissimo, qualunque cosa da cui partire, ma presto.

Consuelo stava chiaramente per congedarsi.

– Che vuol dire la caccia sta aprendo?... Sì che so sparare, ma i tordi non mi hanno fatto niente... Grazie. Anche a te.

Julian era molto curioso per natura. Si tolse la penna di bocca per chiederle:

– Dove sta aprendo la caccia?

– Alla Laguna Negra. La caccia ai tordi apre il sette novembre.

– Lei va a caccia? Spara bene?

– Sparo bene, sì, ma non vado a caccia.

– Mi hanno anche detto che combatte molto bene – commentò, riprendendo a succhiare il cappuccio della penna.

– Sono cintura nera di karate e prima di essere troppo presa da questo lavoro ero istruttrice di tecniche di difesa. Ho anche vinto un torneo nazionale di kickboxing qualche anno fa.

Julian cadde quasi dalla sedia, sputando la penna.

– Ecco come ha fatto ad atterrare Emilio a tempo di record!

– Ho sempre preferito usare mani e piedi piuttosto che la pistola, a meno che non fosse strettamente necessario.

– Ma non l'ho mai vista giù in palestra.

– Hai ragione. Sono diventata pigra, ultimamente. Prima di tornare a casa darò un'occhiata alle attrezzature. Ma adesso cerchiamo di fare qualcosa di costruttivo. Hai finito le ricerche su Espinosa e Toledo?

– Sono puliti come angioletti. Espinosa è titolare di una palestra. Non è sposato, vive da solo. Gli affari non vanno a gonfie vele, ma se la cava con qualche lavoretto extra. Ha due fratelli che si sono trasferiti in Argentina ad allevare vacche. Toledo è un insegnante di chitarra. Ha moglie e sei figli...

– Hai detto sei? – lo interruppe Consuelo.

– Sì, sei, dai 3 ai 16 anni.

– Insegnare la chitarra dev'essere un mestiere più redditizio di quanto pensassi. E la moglie lavora?

– No, credo le sia sufficiente allevare sei figli. Comunque la signora proviene da una famiglia che se la passa bene. Vivono di rendita. Toledo fa l'insegnante di chitarra per passione. Ma per me lo fa per poter stare fuori dai piedi qualche ora al giorno.

– E lui non ha per caso origini nobili?

– Non ne sono sicuro, ma credo appartenga a un ramo decaduto dei De Toledo. Se le interessa posso approfondire.

– No, per carità! Ne ho avuto abbastanza di conti e duchi. Non lo voglio sapere.

– Come le è venuto in mente?

– Mah, ha un aspetto vagamente aristocratico.

– Capisco. Ma che stavo dicendo? Ah, sì, naturalmente sia Espinosa che Toledo hanno il porto d'armi, fucili da caccia regolarmente registrati e la tassa sulla caccia già versata per l'anno in corso. Ogni tanto si allenano in un campo di tiro al piattello a pochi chilometri da Segovia.

– Anche le vittime?

– No. Solo loro due.

– Però a caccia ci andavano insieme.

– Sì, più o meno a partire da questo periodo.

– Erano molto interessati anche ai manuali di sopravvivenza.

– Quelle cose da Rambo?

– Beh, non proprio. C'è gente che si costruisce rifugi sotterranei e li riempie di provviste in attesa della catastrofe prossima ventura. Sono convinti che da un momento all'altro qualcosa spazzerà via la civiltà umana, così si stanno allenando a fare i sopravvissuti.

– Lo dico sempre che c'è un sacco di gente fuori di testa. Devono essere i cibi spazzatura: distruggono il cervello.

– A proposito di cibo, una paella non mi dispiacerebbe. Il mio stomaco comincia a brontolare.

– Conosce la Taberna Reyes?

– Non ancora.

– È come dire la miglior paella di Segovia.

– Dimmi che non è troppo lontana da qui.

– Le dico invece che è proprio qui dietro, a due passi.

– Ah, come sono fortunata! Mi faresti da guida?

– Ma c'è bisogno di chiederlo?

Mentre camminavano a passo spedito verso la Taberna Reyes, Consuelo gli domandò:

– Dove hai trovato tante informazioni su Espinosa e Toledo?

– Basta scoprire la fonte giusta.

– E la tua quale sarebbe?

– La mia si chiama Julieth Jaroth. È una camiciaia di Aranda.

– Quella che ha il negozio nella palazzina dove abitava Oriente Machado?

– Esatto.

– Sei un genio.

– Naturalmente poi approfondisco con i miei sistemi.

– Non voglio conoscere i particolari.

– E io preferisco non dirglieli. L'importante è il risultato, vero?

– Indubbiamente. A proposito, è giunta l'ora di controllare gli alibi dei due amici superstiti.

– Sospetta di loro?

– Non riesco a sospettare di nessuno, ma intanto ci portiamo avanti.

                  Pérez si sfilò i guanti, che andò a gettare in un cestino. Poi si sfilò gli occhiali protettivi e uscì da quello che lui chiamava lo squartatoio. Raggiunto il suo ufficio, afferrò il telefono, sedendosi alla scrivania.

– Sono Armando Pérez, vorrei parlare con la dottoressa Rato.

L'attesa si prolungò, ma il medico legale trovò distrazione nel documento che aveva sotto gli occhi.

– Pronto, sono Camelia Rato.

– Buongiorno collega, ho letto la tua relazione su Oriente Machado. Mi dicono che il cliente che ho sul tavolo è collegato al tuo. Che ne diresti di assistermi? Tu avevi l'arma in loco, io no. Sarebbe stato meglio affidarlo a te, sin dal principio.

– Non ho niente in contrario, tienilo in frigo. Arrivo prima possibile.

– Grazie, dottoressa.

– Di niente, collega.

Nell'attesa, Pérez si dedicò al suo passatempo preferito: la ricomposizione di puzzle on-line. Da quando li aveva scoperti, avevano detronizzato i suoi amati cruciverba e i fumetti di Paco Roca, anche se ogni sera non poteva esimersi dal tornare a "Memorie di un uomo in pigiama", prima di addormentarsi.

Tre ore volarono in fretta e quando Camelia Rato arrivò, sbatté gli occhi come se si fosse appena svegliato. In effetti si era completamente dimenticato di dove si trovasse e perché. Con una certa fatica, sollevò la sua mole dalla poltrona e girò intorno alla scrivania tendendo la mano alla nuova arrivata. Camelia sorrise sotto il notevole cespuglio ambrato.

– Piacere di conoscerti.

– Il piacere è tutto mio – rispose Pérez, addolcendo il suo piglio perennemente burbero – Non mi aspettavo una ragazzina.

– Ti assicuro che sono disposta a collaborare anche senza sviolinamenti.

– Volevo solo dire che non mi aspettavo che fossi tanto giovane.

– Ma ho quarant'anni!

– Appunto. Io ne ho sessantacinque.

– Bene. Appurata questa devastante differenza d'età, dov'è il nostro cliente?

– Lo vado a prendere. Tu intanto puoi accomodarti nello squar... nella sala autoptica. Fai come se fossi nella tua.

Quando Pérez entrò spingendo il carrello su cui era adagiato il cadavere di Manuel Campello, la trovò già pronta all'azione: il cespuglio imprigionato in una bandana multicolore, non proprio regolamentare, coperta dalla cuffia, camice, grembiule in PET, mascherina chirurgica con visiera protettiva per gli occhi, stivali di gomma al ginocchio. Stava indossando il terzo paio di guanti.

Armando Pérez bloccò il carrello di fianco al tavolo inox che troneggiava in mezzo alla stanza e le sorrise.

– Posso osare? Sei molto sexy, dottoressa Rato.

– Mi avevano detto che sei un orso burbero e rompiscatole. Com'è potuta nascere questa diceria?

– Un anatomo-patologo deve difendersi in qualche modo. Ma tra noi non ce n'è bisogno, vero?

Dopo averle fatto l'occhietto, andò a prepararsi anche lui e una volta completata la vestizione tornò al carrello.

– Possiamo cominciare.

L'uno accanto all'altra, afferrarono con forza il tappetino di scorrimento, posizionando la salma sul tavolo e si misero al lavoro.

– Non hai un assistente?

– Oggi no, ma ho di meglio – disse Pérez.

– Mi stai facendo la corte, collega?

– Penso proprio di sì.

                  Julian Romero uscì dalla Taberna Reyes con uno stuzzicadenti in bocca. Sembrava molto soddisfatto. Consuelo Torres camminava accanto a lui con aria distratta. Si sentiva appesantita e cominciava a pentirsi d'aver mangiato tanto. Ma erano lacrime di coccodrillo, la paella era veramente fantastica. Avrebbe meritato un premio nazionale. Quando arrivarono in vista del commissariato, Consuelo tornò a concentrarsi sul da farsi.

– Credo sia giunta l'ora di impostare il mio muro del pianto.

– Mi domandavo quando avrebbe iniziato. Abbiamo già parecchio materiale su cui lavorare.

– Materiale piuttosto scarso di utilità, finché la scientifica non ci fornirà qualche informazione da cui partire.

– Non è detto. Secondo me qualcosa può saltare fuori anche dal confronto tra le due vittime.

– Non sappiamo quello che stanno combinando a Burgos.

– Si sbaglia. Sono in contatto con l'agente Gil. Abbiamo deciso di scambiarci ogni dettaglio, anche il più insignificante.

– Che cosa? E Delgado lo sa?

– No. Pensa che le notizie che arrivano da qui siano frutto delle ricerche di Gil.

– Così si fa bello col capo.

Julian si accorse che Consuelo si era irritata.

– Questi due casi non si possono seguire separatamente.

– Lo so, Julian, hai ragione. Ma io e Delgado non abbiamo trovato un accordo.

– Capisco. Siete in competizione.

– Può darsi. Ma noi di Segovia siamo perfettamente in grado di farcela, anche senza di loro.

– Su questo non ci piove.

Il muro del pianto fu approntato nel resto del pomeriggio. Mentre completavano il settore dedicato a Manuel Campello, Anson la cercò sul cellulare.

– Dimmi tutto.

Julian si fermò ad ascoltare. Consuelo aggrottò la fronte, prese nota di qualcosa su un foglietto, poi spostò il ciuffo che le era scivolato sugli occhi.

– Ma sono tipici di una zona in particolare?

Julian spiò l'annotazione.

– Grazie, Anson. A presto.

Julian si pose interrogativamente davanti a Consuelo, leggendo l'annotazione ad alta voce.

– Tuber melanosporum e culebra verdimarilla?

– Spore di tartufo nero e cellule epiteliali di biscia. Le hanno trovate analizzando il manico del coltello.

– E di quale zona sono caratteristici?

– Si possono trovare in vasti areali, tra cui la Sierra de la Demanda, dalla Sierra de San Lorenzo al Pico de Urbión.

Intanto Consuelo digitava in fretta sul computer.

– Naturalmente la Laguna Negra è compresa – disse Consuelo.

– Naturalmente, come infiniti altri luoghi: questo s'intende per vasto areale.

– Lo so, Julian. L'importante è che non sia esclusa la zona in cui stiamo concentrando le nostre ricerche. A proposito, non abbiamo più notizie di Alonso e Vazquez. Prova a chiamarli.

– Già fatto. I cellulari sono irraggiungibili.

– Senti se Fernando Gil ha qualche novità.

– Agli ordini, commissaria.

Consuelo sbuffò.

                  Gustavo Esmador fu il primo a entrare nell'appartamento di Manuel Campello. Come nella sua stanza all'albergo San Juan, dove avevano già fatto un'accurata ispezione, trovarono attrezzature da campeggio, manuali di sopravvivenza e ferramenta varia. Quando aprirono uno dei sacchetti di tela, Esmador osservò un coltello in particolare. Era gemello di quello che aveva ucciso Machado. Senza aspettare un minuto di più, comunicò l'informazione a Delgado. Erano le quattro del pomeriggio. Poco dopo il commissario decise di fare un altro giretto ad Aranda, dove trovò Gracian Toledo e Gregorio Espinosa, seduti a un tavolino del bar Las Cubas.

– Buonasera, commissario. Cercava noi?

– Sì. Buonasera a voi. Avrei una curiosità.

Delgado si sfilò i guanti e tirò fuori dalla tasca una foto che pose sul tavolino davanti a loro, mentre si sedeva senza invito.

– Avete mai visto questo coltello da caccia?

Gracian e Gregorio si guardarono per un attimo, poi Gracian rispose:

– Questo non è un coltello da caccia, commissario. È un coltello da sopravvivenza.

– Che differenza c'è?

– Nella lama di alcuni coltelli da caccia è presente una parte seghettata che serve per tagliare tendini e cartilagini, mentre nei coltelli da sopravvivenza come questo c'è una vera e propria sega, in grado di tagliare il legno, la plastica e all'occorrenza perfino il metallo. Inoltre in questo coltello c'è un pomolo appuntito che serve per rompere il vetro.

– Quindi ne avete già visto uno uguale?

– Ne abbiamo uno identico anche noi.

– E avreste difficoltà a mostrarmelo?

– No, niente affatto.

I tre si alzarono dal tavolino e uscirono in fila indiana. Per un attimo Delgado si preoccupò di essersi presentato da solo. Toledo non era un marcantonio come Gregorio, ma sembrava altrettanto forte. Se avessero voluto fargli del male, ci sarebbero riusciti benissimo. Poi si ricordò di avere una pistola in tasca.

Dopo pochi minuti di cammino, Toledo infilò le chiavi nella serratura di un cancello metallico esterno a un portoncino in legno. Poi aprì anche quest'ultimo, che introduceva in un ampio stanzone, forse in origine un garage, illuminato come tale da tubi al neon distribuiti a intervalli regolari su tutto il soffitto. Delgado si guardò intorno. La rastrelliera dei fucili era bloccata da lucchetti robusti. Ovunque ci si voltasse c'erano attrezzature dall'aspetto pericoloso, rigorosamente chiuse sotto chiave. Era evidente che Toledo ci teneva alla sicurezza.

– Ha un bel numero di fucili! – commentò Delgado.

– Non sono tutti miei. Alcuni erano di Oriente, che preferiva lasciarli in un posto sicuro come questo.

Tra armadi di metallo e casse di legno, infine trovò il coltello. Lo sfilò dalla custodia di cuoio e glielo porse delicatamente dal lato del manico. Delgado lo soppesò.

– Non è tanto leggero.

– In effetti no. Pesa più di tre etti.

– Il manico è molto particolare.

– Sì, è opera di un artigiano, un vero artista. Smonta i coltelli di produzione industriale e monta i suoi manici, piccole opere d'arte.

– Notevole. Mi può dare il suo indirizzo?

– Certo. Glielo scrivo.

Gregorio osservò il coltello tra le mani di Delgado.

– È un coltello come questo che ha ucciso Manuel e Oriente?

– Di sicuro Oriente, ma su Manuel non ne ho ancora la certezza.

Gregorio rimase perplesso.

– Ce li aveva regalati proprio Oriente. Ne abbiamo uno per ciascuno.

– E posso vedere il suo?

– Certo. È insieme al resto dell'attrezzatura che ho lasciato a Soria, dai Machado. Sono così gentili da lasciarmi usare un casotto di fianco alla loro casa. Qui nel mio appartamento non ho nemmeno uno sgabuzzino. E poi quella roba mi serve solo quando vado lassù.

                  Quando Gustavo Esmador e la sua squadra uscirono dal portone di casa di Oriente Machado, Rey quasi vi si scontrò.

– Di nuovo ad Aranda, Delgado?

– Pare che sia inevitabile. E tu a che punto sei?

– Qui avrei finito.

– Hai trovato un coltello uguale anche a casa di Machado?

– Sì, stavo giusto per dirtelo.

– Quindi sono tutti presenti all'appello, sempre che il quarto sia effettivamente a Soria, come mi ha assicurato poco fa un amico delle vittime.

– Perché, ne avevano uno a testa? No, non dirmelo. Non me ne frega niente. Sai, commissario, ho già le mie rogne. Non per essere scortese, ma le tue devi grattartele da te.

– Sei gentile, Esmador. Per caso sei parente di Pérez?

Gustavo scoppiò a ridere.

– No, sono solo stanco. Alla prossima, commissario. Raggiungo il furgone, prima che mi lascino a piedi.

                  L'uomo sedeva accanto a una stufa a legna. Sul piano di ghisa fumava una teiera smaltata color acqua marina, ma l'aroma che si diffondeva nell'aria era quello del caffè. Davanti a lui c'era un grosso ceppo di legno che gli faceva da tavolino, su cui stava schiacciando nocciole con uno schiaccianoci a leva. Sollevò lo sguardo su di loro e si alzò, strofinando le mani sui calzoni.

– Buongiorno, signori. Desiderate?

– Buongiorno. Stiamo cercando un coltello come questo – disse Alonso, mostrandogli la foto.

L'uomo lo osservò per alcuni secondi.

– Sì, ma ci vorrà del tempo. Li faccio solo su ordinazione.

Vazquez e Alonso fecero un respiro di sollievo. Erano a caccia di quell'artigiano dalla mattina e sebbene si fosse fatto tardi, avevano deciso di fare un ultimo tentativo prima di rientrare a Segovia.

– Quanti ne ha costruiti, fino a oggi?

– Perché volete saperlo?

Leo Alonso s'inventò che volevano un oggetto originale.

– Capisco. Proprio uguali a quello, se non ricordo male, ne ho fatti quattro o cinque, credo.

L'uomo non sembrava per nulla sicuro.

– Ha modo di controllare?

– Beh, sì.

L'uomo aprì un cassetto del bancone e sfogliò un vecchio quaderno a quadretti malridotto, pieno di appunti e disegni. A una pagina in parte scarabocchiata con un disegno sbilenco si fermò.

– Sì, cinque. Più il primo che è stato il modello. Me li ha richiesti la stessa persona.

– Ci può dire chi li ha ordinati?

– Sì, è scritto qui, si chiama Oriente Machado.

– La ringrazio.

– E il modello? – domandò Rufo Vazquez.

– Quello serve a me, per farne altri, se voglio.

– Potrebbe mostrarcelo? – disse Alonso.

L'uomo ebbe un attimo di esitazione.

– Non ricordo dove l'ho messo, ma se proprio ci tenete, ve lo cerco.

L'artigiano aprì ante e cassetti, sollevò coperchi, svuotò contenitori, spostò oggetti, cacciò il naso ovunque, ma dopo un buon quarto d'ora si arrese.

– Mi dispiace, non lo trovo. Non riesco proprio a ricordare dove l'ho messo.

– Quando l'ha costruito?

– Tanti anni fa, ma di preciso non ricordo.

– E si ricorda l'ultima volta che l'ha visto?

L'uomo si stava innervosendo.

– Quando ho costruito gli altri. Era il mio modello.

– Ha mai subito furti qui?

– No, che dice? Qui nessuno ruba. Non chiudiamo neppure le porte a chiave come fate voi in città.

– Mi faccia un favore. Continui a cercarlo e se lo ritrova mi telefoni a questo numero.

– E va bene, ma non capisco perché ci tenete tanto. Avete già la foto!

                  Era molto tardi quando Armando Pérez e Camelia Rato finirono l'autopsia. Dovettero anche pensare alle pulizie, perché ormai non c'era più nessuno. Camelia si sentiva addosso la puzza del disinfettante.

– Ho bisogno di una doccia – disse, esausta.

– Anch'io. Purtroppo qui abbiamo problemi alle tubature e gli idraulici non si sono ancora visti. Ti propongo di farla da me e poi ce ne andiamo a cena. Offro io, è il minimo che possa fare per ringraziarti.

– Sono a duecento chilometri da casa ed è già tardi. Facciamo un'altra volta, Armando.

– Non esiste. Ho una stanza per gli ospiti. Puoi dormire da me, e domattina, fresca e riposata, te ne torni a Segovia.

In un'altra circostanza Camelia Rato avrebbe sicuramente puntato i piedi, ma era stanca, si sentiva sporca e aveva fame, quindi si può dire che accettò per sfinimento.

Uscirono dal fabbricato attraverso una porta metallica laterale, che dava direttamente sul parcheggio interno.

– Io ho parcheggiato in strada – disse Camelia.

– Lasciala lì. Andiamo con la mia e domani mattina ti riaccompagno a prenderla.

– Preferirei averla a portata di mano.

– Non ti fidi di me?

– Mica tanto.

Armando rise di gusto.

– Ah, sei davvero divertente!

Poco dopo montarono a bordo della Porsche 911 rossa del 1985 che Armando Pérez amava e trattava come un figlio. Camelia non fece commenti, nemmeno quando lui accese il motore e diede un paio di colpi all'acceleratore per farle sentire la musica più cara alle sue orecchie. Poi azionò il telecomando per aprire il cancello e sgommando s'immise nel traffico intenso di quell'ora.

A dispetto dei suoi timori, Armando si comportò da vero gentiluomo, rendendo la serata di Camelia piacevole e rilassante. Il suo unico dispiacere fu di non potersi cambiare. Dopo la doccia, se ne andarono in centro, in un piccolo locale di Calle San Lorenzo, dove, mangiando, parlarono molto di loro e poco di lavoro. Durante la passeggiata che ne seguì, in Plaza Mayor incontrarono Delgado, in compagnia di Paco.

– Buonasera Pérez.

– Buonasera Delgado.

Rey stava per proseguire, quando un commento di Pérez lo bloccò.

– Buone notizie.

– Sì?

– Abbiamo effettuato l'autopsia e inviato i primi risultati per mail. Era molto tardi, purtroppo, ma domani mattina li potrai leggere. Questa è la dottoressa Camelia Rato, medico legale di Segovia, che ha collaborato con me.

Dopo lo scambio di presentazioni, Delgado commentò:

– A quanto pare questi due casi di omicidio ci stanno costringendo a bizzarre collaborazioni.  

– Piacevoli collaborazioni. Beh, non mi costa niente dirtelo. Il decesso di Machado è avvenuto intorno alle ventuno e l'arma dei delitti è la stessa, quasi sicuramente, come anche la mano: i colpi avevano la stessa angolazione e profondità. Ho trasmesso alla scientifica alcuni campioni da analizzare. Loro ci potranno fornire la risposta decisiva.

– Grazie per l'anticipazione – disse Delgado, stupito da tanta inusuale cortesia. Poi sorrise a Camelia Rato. – Forse lo dobbiamo al suo ottimo influsso, dottoressa Rato? Da quando lo conosco è la prima volta in assoluto che mi anticipa qualcosa.

– Non credo proprio, mi sta attribuendo un potere che non ho – disse la Rato, ridendo.

Poco dopo, Rey li osservò pensieroso allontanarsi fianco a fianco verso l'ingresso del parcheggio sotterraneo.

– La bella e la bestia. Che strana coppia.

Paco rise.

– Hai ragione. La dottoressa Rato sembra una fatina minuta in compagnia di un grosso orso peloso.

Sabato 7 novembre

                  Contrariamente al solito, Fernando Gil era impaziente che arrivasse Delgado, perché aveva diverse novità da comunicargli. Doveva ammettere che negli ultimi tempi si era illuso che il pessimo carattere del suo capo stesse migliorando. Certo, era sempre lunatico, ma i giorni buoni stavano prendendo il sopravvento su quelli cattivi. E invece, da quando seguivano il caso Campello, era regredito notevolmente. Ma Gil lo conosceva bene e riconosceva al volo i suoi giorni neri. Gli bastava guardarlo in faccia quando arrivava.

Quel mattino Delgado si presentò presto, fresco e riposato, con i capelli in ordine e un vago sorriso che gli aleggiava sul volto. Gil gli si precipitò incontro dicendogli che Pérez aveva partorito.

– Lo so. Fammi leggere il referto.

– Eccolo. Per quello ufficiale ci vorranno i soliti quindici giorni. C'è anche un'altra buona notizia: gli agenti di Segovia hanno trovato l'artigiano che ha costruito i coltelli. Un articolo raro, ne ha fatti in tutto cinque. Lui sostiene di avere il prototipo, ma per il momento non lo trova.

L'espressione di Delgado s'indurì immediatamente.

– Come lo sai?

– Ho sentito un agente di Segovia.

– Perché?

– Capo, che senso ha fare le stesse ricerche? I due casi sono collegati. Così risparmiamo un sacco di tempo.

– Lo so. È la Torres che ha voluto così.

– E noi approfittiamo dei loro progressi. Che male c'è?

– La Torres lo sa?

– Non credo.

Delgado sembrò soddisfatto della risposta. Gil trattenne un sospiro di sollievo. In fondo, era meglio che il capo ne fosse a conoscenza.

– Quindi ci sono ancora tre coltelli che mancano all'appello.

– Già, uno sappiamo che è quello di Espinosa, un altro è quello dell'artigiano, ma il terzo chi ce l'ha?

– Staremo a vedere. Chi è questo artigiano?

– Non lo so, capo. Nella relazione dice solo "La tana del lupo" a Santa Inés.

Delgado sollevò un sopracciglio.

– Relazione, eh?

Gil allargò le braccia.

– D'accordo, magari ci farò un salto. Comunque Toledo mi aveva già dato l'indirizzo.

– Vuole che venga anch'io?

– No. Sono già in compagnia.

In quel momento entrò nella sala un uomo.

– Sono Juan Campello. Devo parlare con il commissario Delgado.

– Buongiorno. Sono io. Si accomodi nel mio ufficio.

Gil li seguì, sedendosi alla scrivania laterale.

– Mi scusi se non sono venuto prima, ma ho un milione di cose da sistemare e la burocrazia non mi aiuta.

– La capisco perfettamente.

– Avete scoperto qualcosa?

– Secondo il medico legale, suo fratello è stato ucciso intorno alle ventuno. Il coltello con cui è stato colpito è quasi certamente lo stesso che ha ucciso Oriente Machado intorno alla mezzanotte. Nel caso di Machado è rimasto incastrato nella gabbia toracica e l'assassino ha rinunciato a riprenderselo, preferendo fuggire prima di essere visto da qualcuno.

– Quindi l'assassino è lo stesso. Non capisco proprio a chi abbiano potuto pestare i piedi.

– Stiamo aspettando dalla scientifica la conferma e speriamo anche in qualche indizio che possa condurci all'assassino.

– Capisco. Ci vorrà tempo.

– All'interno del furgone di suo fratello non sono state rilevate tracce interessanti. Secondo lei, come mai dopo aver parcheggiato davanti all'albergo è tornato indietro, verso il monastero?

– Non saprei proprio. Forse voleva comprare del miele. Per le colazioni si procurava il miele soltanto da loro.

– A quell'ora?

– Il negozio chiude alle otto e trenta, ma a volte anche più tardi. Passandoci davanti deve aver visto che era ancora aperto e voleva approfittarne.

– Ma dicono di non averlo visto, quella sera.

– Forse chi l'ha ucciso gli ha impedito di arrivarci.

– Dev'essere così. Lei e suo fratello eravate entrambi proprietari dell'albergo, vero?

– Sì, di metà. L'altra metà appartiene ai miei genitori. Erano loro a gestirlo fino a qualche anno fa. Poi, andando avanti con l'età, hanno preferito lasciare.

– E l'attività rende? Voglio dire, può essere plausibile che suo fratello avesse contratto dei debiti?

– Non navighiamo nell'oro, ma non si può dire che stiamo male. Mio fratello non aveva motivo di chiedere soldi in giro. Se ne avesse avuto bisogno li avrebbe chiesti a me. No, sono sicuro di no.

– Le risulta che avesse qualche inimicizia?

– No, non litigava mai con nessuno. Se qualcosa non gli stava bene cercava di risolverla. E se qualcuno non condivideva la sua opinione, non gli interessava, non ci teneva a convincerlo. Lui andava avanti per la sua strada e quelli che non la pensavano come lui, li lasciava cuocere nel loro brodo.

– Non discuteva mai neppure con lei?

– Certo che discutevamo, eravamo fratelli.

– Storie di donne?

– Niente donne. Quello che gli interessava erano i suoi amici. In particolare, era molto legato a Gregorio.

– Era il suo compagno?

– Qualcosa di simile. Non ho mai capito bene. Ma lui in questo campo non voleva interferenze, quindi io non m'impicciavo. Erano fatti suoi.

– E che mi dice del suo collaboratore?

– Iago? Che cosa vuole sapere?

– Avrebbe avuto un motivo per uccidere suo fratello?

– Vuole scherzare?

– Dobbiamo cercare in ogni direzione, per ora.

– Sì, lo capisco, ma Iago è proprio l'ultima persona al mondo da sospettare. E poi è stato con me tutta la sera.

– Signor Campello, se dovesse venirle in mente qualcosa che può aiutare le indagini, la prego di comunicarmela subito, anche se le sembra priva di significato. Non si sa mai.

– D'accordo.

Una volta che Juan Campello fu uscito, Gil si alzò dalla scrivania.

– Molto utile.

Delgado lo guardò.

– Sembra che abbiamo a che fare con il martirio di due santi.

– Dunque bisogna cercare il diavolo.

– Conosci la sua tana?

– Ancora no.

– Allora che aspetti? Adelante! Vai a lavorare!

– Sì, capo.

                  Per il momento l'attività fisica che Consuelo riusciva a permettersi era quel quarto d'ora di camminata a passo veloce che la conduceva da casa al commissariato. Considerando anche il ritorno, era in tutto mezz'ora. Troppo poco. Anche gli esercizi che faceva in casa non erano sufficienti e lo sapeva benissimo. Quindi si ripromise di usare la palestra al piano seminterrato del commissariato, a partire da quel sabato sera e per almeno tre sere a settimana. Con questa intenzione uscì, portandosi dietro il borsone. Il cielo tendeva al grigio con qualche squarcio di azzurro. Non aveva sentito le previsioni del tempo, ma non sembrava volesse piovere a breve. Appena imboccato il Paseo Ezequiel Gonzáles, incontrò Leo Alonso.

– Buongiorno, capo. Stai facendo un altro trasloco?

– Quasi. È il mio necessaire per la palestra. Com'è andata ieri a Soria?

– Te lo racconto subito, ma te lo prendi un caffè prima di salire?

– Certo – rispose Consuelo, mentre stavano già varcando la porta a vetri della cafeteria.

– Allora sediamoci un attimo.

– Avete parlato con la madre di Oriente Machado?

– Sì. C'era anche uno dei fratelli. Ovviamente erano distrutti. Non se lo sarebbero mai aspettato.

– Immagino. Che cosa hai saputo?

Alonso tirò fuori dalla tasca un foglio di carta su cui aveva annotato degli appunti.

– Oriente era un appassionato della montagna, fin da ragazzo. Era stato proprio lui a trascinare i suoi compagni di scuola, che si erano poi appassionati anche loro. Sto parlando di Manuel Campello, Gregorio Espinosa, Gracian Toledo e altri due, Hernando Cortázar e Celso Gallego. All'inizio erano in sei, sempre insieme, inseparabili. Il nonno di Machado li ospitava a Soria ogni volta. Da casa sua partivano per le spedizioni in montagna. Quando poi erano cresciuti, avevano cominciato a campeggiare nei boschi. Da quel momento era nato il loro interesse per le tecniche di sopravvivenza. Ma mentre per tutti era un modo per essere sempre pronti a qualunque evenienza, per Hernando Cortázar era presto diventata una fissazione. Ovviamente erano nate discussioni infinite e alla fine Cortázar si è sganciato dal gruppo. Della vita di suo figlio a Segovia la signora naturalmente può dire poco. Oriente non le raccontava mai niente. Stai bene? come va il lavoro? mangi? e lui gli rispondeva sempre tutto ok. Ancora adesso il gruppetto faceva base da lei e poi partiva per la caccia. Le hanno affidato persino i cani.

Intanto due caffè erano apparsi sul tavolino come dal nulla. Entrambi erano troppo presi per far caso alla cameriera.

­– E quel Gallego che fine ha fatto?

– Anche lui ha abbandonato la compagnia, nello stesso periodo di Cortázar, ma la signora non sa perché.

– E il fratello che ti ha detto?

– Ha lasciato parlare la madre. Ogni tanto annuiva. Dalla sua viva voce ho solo saputo che hanno un ripostiglio pieno di attrezzature di uno degli amici di Oriente. Sembrava un po' scocciato da questa cosa.

Alonso mise due bustine di zucchero nel caffè, lo girò un attimo e poi lo buttò giù tutto d'un fiato, prima di continuare:

– A quel punto ho chiesto se potevamo dare un'occhiata alle attrezzature, che poi sono quelle di Espinosa.

Consuelo aveva finito di sorseggiare con calma il suo caffè.

– E hai trovato qualcosa d'interessante?

– Niente di strano. Teli mimetici, abbigliamento da montagna, un paio di fucili da caccia, tende, ferraglia, sacchi a pelo.

– Fantastico. Debiti?

– Nada.

– Donne?

– Da quando si è separato dalla moglie, storielle volanti.

– Varie ed eventuali?

– È stato lui a regalare i coltelli col nodo celtico agli amici. A quel tempo Hernando non faceva più parte del gruppo, quindi immagino sia per questo che ne ha ordinati cinque all'artigiano che siamo riusciti a scovare. Ma ne esiste un sesto, il prototipo, e quello ce l'ha ancora lui, ma ieri non è riuscito a trovarlo.

– Beh, domani ci faccio un salto anch'io. Chissà che nel frattempo non si sia ricordato dove l'ha messo. Per gli altri, sentiamo cosa ci dice Anson. Dalle perquisizioni magari qualcuno è saltato fuori.

Mentre uscivano dalla cafeteria, a Consuelo tornò in mente che quello era un giorno particolare.

– Oggi è il sette novembre.

– Sì.

– Da oggi è aperta la caccia ai tordi.

– Interessante. Come può esserci utile questa informazione?

– Domani sarà meglio che mi vesta di colori sgargianti.

Alonso scoppiò a ridere.

Julian Romero era già al lavoro sul suo computer. Consuelo posò il borsone in un angolo del suo ufficio e poi tornò nella sala grande per parlare con lui.

– Sei poi riuscito a capire da dove proveniva la telefonata anonima?

– No, capo. Non c'è niente da fare. Però abbiamo la registrazione. Non so a cosa possa servire, ma ce l'abbiamo.

– Tienila in caldo. Hai notizie dalla scientifica?

– Sì, ieri hanno finito con le perquisizioni di Aranda. Lei sa che i coltelli erano cinque in tutto più il prototipo?

– Sì, Alonso mi ha aggiornato.

– Bene. Dunque, hanno ritrovato quelli di Machado e di Campello. Delgado ha potuto vedere quello di Toledo. E per finire, Espinosa ha dichiarato di conservarlo a Soria insieme alla sua attrezzatura, in casa dei Machado.

– Però Alonso e Vazquez non l'hanno trovato.

Julian guardò Alonso.

– Sei sicuro di aver cercato bene?

– Non sapevamo di dover cercare il coltello.

– Quindi potrebbe esserci davvero.

– Non credo. Ma per sicurezza ripeterei l'ispezione.

– Dunque quello che ha ucciso le vittime o è il coltello di Gregorio Espinosa, o è quello di Celso Gallego oppure è il prototipo – concluse Consuelo.

– Giusto – confermò Alonso.

Julian lo rimproverò.

– Cosa cosa? Ti sei dimenticato di parlarmene, Alonso. Chi sarebbe questo Celso?

– Scusa, ieri sera ero molto stanco. Ma Vazquez non è arrivato?

– Non ha sentito la sveglia. Ma non cambiare discorso. Chi sarebbe questo Celso?

Consuelo s'intromise.

– E non ti ha parlato nemmeno di Hernando Cortázar?

Julian fece un inchino.

– Grazie, commissaria. Mi aggiorna lei?

– No, ci pensa Alonso. Ma prima, Leo, mi dici che tipo è questo artigiano?

– Un uomo anziano, tranquillo. Ha detto che loro non chiudono le porte a chiave, che nessuno ruba da quelle parti. Quindi il suo coltello deve saltare fuori.

– E se invece qualcuno gliel'avesse davvero rubato? – obiettò Julian.

– Bisognerà proprio fargli un'altra visita. Alonso, ma questo artigiano ce l'ha un nome?

– Certo, si chiama Tito Jordi.

– Perfetto. Altre novità?

– L'autopsia di Manuel Campello è stata effettuata. A proposito, il medico legale di Burgos ha chiamato in soccorso Camelia Rato. L'hanno fatta insieme. La ferita ha la stessa conformazione di quella di Machado, quindi è molto probabile che il colpo sia stato inferto con la stessa arma. Adesso sta alla scientifica analizzare i campioni per capire se era un coltello uguale o proprio lo stesso. Secondo la traiettoria del colpo, presumono che l'assassino debba essere molto alto, oppure le vittime erano sedute.

– Aggiorno il muro del pianto – decise Consuelo – e voi trovatemi qualche informazione sugli altri due amici del gruppo.

– Agli ordini, commissaria.

– Julian, prima che me ne dimentichi di nuovo, gli alibi di Espinosa e Toledo?

– Toledo è stato tutta la sera al bar con gli amici. Ha un sacco di testimoni. E Gregorio Espinosa era nella sua palestra, che è molto frequentata.

– Sì, ma hai già le conferme dei testimoni?

– No, non ancora.

– Beh, queste sono le priorità. Dividetevi i compiti. Trovate Hernando e Celso. E raccogliete le dichiarazioni dei testimoni.

Consuelo li lasciò ai loro divertimenti, per andare ad aggiornare il muro del pianto. Una volta finito, lo fissò. Ai quattro amici doveva dunque aggiungere quei due? Hernando forse no. Era troppo lontano nel tempo, un suo coinvolgimento sembrava davvero improbabile. Celso invece sì, perché era in possesso di uno dei coltelli. I coltelli erano essenziali. Escludendoli a uno a uno si sarebbe arrivati all'uomo che aveva dovuto abbandonare il proprio nel petto di Machado. Quella era la ricerca più importante. Perché aspettare domani?

– Vazquez!

– Sì, capo.

– Accompagnami a Soria.

– Di nuovo? – chiese sgomento.

– Sei appena arrivato, quindi sei quello che si è riposato più di tutti. Vai a preparare la macchina.

– Sì, capo. Però vorrei farle presente che sono due ore e mezza di strada: non è una passeggiata. Stavolta cerchiamo di fare tutto quello che dobbiamo fare.

– Ci proviamo, va bene?

– Qual è il programma?

– Uno, trovare il coltello di Gregorio Espinosa. Due, trovare il coltello dell'artigiano, com'è che si chiama?

– Tito Jordi.

– Tre, cercare notizie su Hernando Cortázar e Celso Gallego, giacché ci siamo e perché non si sa mai.

– La signora Machado ha detto che Hernando è uno strano tipo. Si sa che vive nei boschi e si fa vedere in giro molto raramente.

– Oddio, non sarà uno di quelli?

– Quelli chi?

– I survivalisti fissati. Quelli che aspettano la catastrofe rintanati in buchi pieni di provviste.

– Fantastico.

– Passando da Aranda, facciamo due chiacchiere con Espinosa e Toledo. Voglio sapere cosa pensano di quei due.

                  Improvvisamente Delgado si ricordò dello scontrino.

– Gil, hai consegnato alla scientifica lo scontrino che ho trovato al lavatoio?

– Sì, capo.

– Non si sono ancora degnati di farci sapere niente?

– No, capo.

Delgado guardò il telefono per qualche istante, poi si decise a chiamare Anson.

– Siete riusciti a tirare fuori qualcosa da quello scontrino che abbiamo trovato al lavatoio?

– Ci stava lavorando un collega. Aspetta che chiedo.

Delgado si mise a scarabocchiare su un foglietto. Prima apparve una casetta con il tetto spiovente, poi un po' di fumo dal comignolo, poi alberi, tanti alberi, uno dopo l'altro, fino a comporre un bosco. Poi apparvero le nuvole, qualche uccello, una specie di cervo con le corna d'alce, poi un coltello, più grande dell'alce, ma più piccolo della casa.

– Delgado?

– Sono sempre qui.

– Bene. Lo scontrino è del 28 agosto, ore 11:00. È stato emesso dalla Casa Rural Quinta San Pedro, in calle unica Quintanarejo. Due articoli per un totale di 3 euro. Impronte impossibili da rilevare. Non c'è altro.

– Potrei avere una copia della ricostruzione entro stasera?

– Ti mando subito una mail.

– Grazie, Anson.

– Ah, Delgado. Abbiamo finito l'analisi dei prelievi che ci ha mandato Pérez. Il coltello che ha colpito Campello aveva tracce degli stessi elementi prelevati da quello che è stato usato per colpire Machado.

– Quindi è lo stesso.

– Diciamo che proviene dalle stesse esperienze, che è stato negli stessi posti. Una sicurezza del cento per cento però non te la posso ancora dare. Gli esami sul DNA sono ancora in corso.

– Grazie. E dai computer avete estratto qualcosa d'interessante?

– Per il momento no.

– Grazie, Anson.

                  Consuelo Torres e Rufo Vazquez si diressero spediti a casa di Toledo. Quando bussarono, udirono urla indistinte attraverso la porta.

– Chi è?

– Commissaria Torres.

Poi la porta si aprì e apparve una donna bionda e scarmigliata, in tuta viola, con un orsacchiotto sotto il braccio e un tubetto di dentifricio in mano. Le giovani grida si fecero più distinte. La donna urlò alle sue spalle:

– Smettetela! – poi chiese a Consuelo – Desidera?

– Il signor Gracian Toledo.

– È a scuola.

– Quando potrei trovarlo?

– Ritorna per pranzo.

Le urla provenienti dall'interno della casa crebbero d'intensità.

– Grazie. Ci scusi per il disturbo.

Quando la donna richiuse la porta, Consuelo e Rufo si guardarono.

– Raccapricciante.

– Sono bambini.

– Tu ne hai?

– Due.

– E urlano sempre così?

– Non lo so. Io a casa ci dormo soltanto.

– Appunto.

Consuelo s'incamminò di buon passo verso casa di Espinosa. Vazquez faticò a mantenere il suo passo.

– Capo, ha fretta?

– Sì. Non voglio trascorrere qui tutto il giorno.

Passando davanti al bar Las Cubas, Consuelo si stupì di scorgere Toledo attraverso i vetri.

– A scuola, eh?

– Quello è Toledo?

– Già. Andiamoci a prendere un caffè.

Il gestore rispose al loro saluto con più gentilezza di quanto si aspettasse. Poi si voltò verso la fila di tavolini disposti lungo la vetrata.

– Signor Toledo, la credevamo a scuola.

Toledo le rispose con un mezzo sorriso.

– Per oggi ho già finito.

– Vorrei parlarle due minuti.

– I caffè ve li porto io – disse il barista.

Toledo li invitò al suo tavolino con un gesto.

– Signor Toledo, ho una curiosità. La signora Machado ci ha parlato di Hernando Cortázar e della vostra lite. So che è una vecchia storia, ma me la può raccontare?

– State davvero scavando a fondo! Non me la ricordavo più nemmeno io quella storia! Ma non può avere niente a che fare con l'assassinio di Oriente e di Manuel. Se così fosse, saremmo in pericolo anch'io e Gregorio.

– No, è solo una curiosità, come le ho detto.

– Capisco. Beh, è piuttosto semplice. Quando abbiamo iniziato a interessarci delle tecniche di sopravvivenza, l'abbiamo fatto solo perché durante i nostri campeggi improvvisati ci sono capitate delle avventure spiacevoli. Eravamo molto giovani e piuttosto incoscienti, come capita a quell'età. Ci sentivamo invincibili, come tutti gli adolescenti, ma con l'esperienza abbiamo capito che dovevamo essere più attenti e organizzati. Hernando però l'ha presa molto più sul serio di tutti noi. Ha cominciato a studiare, ad attrezzarsi, a farci da guida. All'inizio si è proposto automaticamente come nostro leader, ma col passare del tempo è divenuto sempre più esigente, duro, dispotico. Non lo sopportavamo più e così abbiamo cominciato a litigare. Alla fine lui ci ha mollati, dicendo che non voleva rischiare la vita per colpa nostra. Un po' si era montato la testa e un po' si era fissato. Negli anni ci è capitato ancora d'incontrarlo in montagna. Ci va sempre da solo. Mi hanno raccontato che vive nei boschi, da qualche tempo. Non so dove. Si sarà costruito un rifugio.

– Capisco. E che mi dice di Celso Gallego?

– Anche lui è sparito nello stesso periodo. Hernando lo torturava, soprattutto per il suo aspetto fisico.

– Che aspetto ha?

– Celso è affetto da nanismo. Noi non ci facevamo caso, ci piaceva, era simpatico, era un ragazzo sensibile e buono, forse troppo, ma Hernando lo disprezzava. Nel periodo in cui si credeva il nostro comandante, gliene ha fatte passare di tutti i colori, così a un certo punto Celso è sparito dalla circolazione. Non ha più risposto nemmeno al telefono di casa. Faceva dire che non c'era. Ne aveva abbastanza.

– Avete provato a rintracciarlo quando Hernando si è sganciato dal vostro gruppo?

– Sì, ma non c'è stato niente da fare. Non ne abbiamo saputo più niente. I suoi ci hanno detto che si era trasferito – abitava a Sinovas – ma non ci hanno voluto dire dove. Non voleva più essere rintracciato.

– Strano che se la sia presa anche con voi.

– Forse non abbiamo fatto abbastanza per difenderlo. In effetti non aveva tutti i torti. Tutti noi evitavamo di litigare con Hernando, perché ogni volta si finiva col farci a botte.

– Quindi è anche un violento?

– È il tipo che riesce a tirare fuori il peggio da chi ha davanti. A me per esempio non è mai piaciuto fare a botte, ma con lui non ne ho potuto fare a meno.

– Ho capito il genere. Ma mi aiuti a chiarire una cosa. Quando Oriente ha fatto fare quei coltelli per tutti voi, Celso non faceva più parte del gruppo, no?

– No, è vero. Oriente gliel'ha mandato a casa, sperando che Celso tornasse sulle sue decisioni. Ma così non è stato.

– Volevo farle anche un'altra domanda. Lei è a conoscenza della visita che Manuel Campello ha fatto a Oriente Machado verso la fine di agosto, a Segovia?

– No, non lo sapevo.

– Sa se è capitato altre volte?

– Non saprei. Non è che Manuel mi mettesse a conoscenza di tutti i suoi spostamenti.

– Certo, capisco, ma tra amici succede di raccontarsi "sai chi sono andato a trovare l'altro giorno?".

– Sì, è vero, ma io non ricordo che l'abbia fatto. Inoltre Manuel in quei giorni è sempre molto impegnato. Mi sembra davvero strano che abbia abbandonato l'albergo in un periodo di punta per andare a trovare Oriente. Quando aveva del tempo libero veniva qui, magari passava più tempo con Gregorio.

– Erano compagni?

– Qualcosa del genere.

– Cioè sì o no?

– Non era ufficiale, ma a volte Manuel dormiva da Gregorio, oppure Gregorio dormiva da Manuel.

– E quando eravate accampati in montagna?

– Dormivano sempre nella stessa tenda.

– Da sempre?

– Da una decina d'anni.

– Secondo lei era un rapporto esclusivo?

– Credo di no. Manuel ha avuto altre storie.

– E sa se Gregorio ne fosse a conoscenza?

– Qualche volta l'ha saputo anche lui, sì.

– E come l'ha presa?

– Non troppo bene. In quelle occasioni era piuttosto abbattuto o nervoso. Magari si prendeva qualche giorno per sbollire, ma poi tutto tornava come prima.

– Quindi Gregorio avrebbe desiderato un rapporto più esclusivo, diciamo così, mentre a Manuel non dispiaceva fare altre esperienze.

– Credo che abbia riassunto bene la situazione.

– La ringrazio molto, signor Toledo. Ah, eravamo venuti a cercarla a casa sua. I suoi figli hanno delle voci notevoli.

– Già.

Appena fuori dal locale, Vazquez osservò la vetrina di fronte, quella della camiciaia Julieth Jaroth.

– Quella è l'informatrice di Julian.

– Esatto. Ma adesso non abbiamo il tempo di fare la sua conoscenza. Andiamo da Espinosa.

Ma Espinosa non era in casa, quindi tornarono indietro.

– Che ne pensa della gelosia di Gregorio per Manuel?

– Non lo so, ma penso che se si fosse assentato per quattro ore e mezza qualcuno in palestra se ne sarebbe accorto.

– Da Aranda a Santo Domingo de Silos ci sono quarantacinque minuti di strada, all'incirca.

– Che vuoi dire?

– Dico che in un'ora e mezza poteva andare e tornare, soprattutto se sapeva esattamente quando trovarlo in albergo.

– E Oriente?

– Potrebbe averci pensato qualcun'altro.

– Cioè?

– Niente, era una divagazione come un'altra.

– Vazquez, sai che a volte non riesco a seguirti? Comunque è un'idea da valutare, una volta che la scientifica ci fornirà qualcosa di sicuro su cui ragionare.

– Non si preoccupi. Certe volte non mi seguo nemmeno io.

– Questo è già più grave.

– Commissaria! Aspetti! – urlarono dietro di loro.

Consuelo si voltò. Toledo la stava raggiungendo di corsa.

– Ho una foto!

– Che foto?

– Una foto di gruppo dove ci sono anche Hernando e Celso.

– Ah.

– Mi aspetti due minuti che gliela porto.

– D'accordo.

Toledo riprese a correre.

– Ma a che ci serve una foto di gruppo?

– A niente, credo.

– Allora perché non gliel'ha detto?

– Mi ha preso alla sprovvista. Comunque l'aggiungeremo al quintale di notizie e reperti inutili che stiamo raccogliendo. Sai, spaziare in un vasto ventaglio di opzioni è la mia specialità. E poi non si dice che dal caos nasce l'ordine?

– Se lo dice lei! Però a volte anche io non la seguo.

– Sarà perché al momento non sto andando da nessuna parte.

– È un caso difficile, vero?

– Non si può ancora dire. Siamo solo all'inizio.

                  Julian era beatamente abbracciato al termosifone quando arrivò la chiamata di Consuelo.

– Ho bisogno di sapere una cosa. Il custode del monastero mi ha detto che verso la fine di agosto Manuel è andato a trovare Oriente. Pare che sia rimasto tutto il giorno e che poi la sera sia ripartito. Senti il fratello di Manuel e chiedigli se si ricorda di quel giorno. Gli avrà pur detto perché sentiva la necessità di andare da lui.

– Ci provo, capo.

– Grazie.

                  Delgado ricominciò a disegnare. Spirali, nuvole, stelle, barchette, cappelli, ombrelli. E intanto che il foglio si riempiva di scarabocchi, la sua mente vagava. Chissenefrega dei coltelli. Non ci portano da nessuna parte. Rey osservò il suo muro del pianto. Che cosa avevano in comune le due vittime?

Gli amici.

Erano grandi lavoratori.

Servivano cibi e bevande.

Sono stati uccisi vicino al posto di lavoro.

Sono stati uccisi vicino a un monastero.

Amavano la montagna.

Andavano a caccia.

S'interessavano di tecniche di sopravvivenza.

Erano due brave persone.

Non avevano debiti.

Ci manca un movente. E senza un movente dove accidenti vogliamo andare?

– Gil!

– Sì, capo.

– Hai controllato gli alibi di Espinosa e Toledo?

– Toledo ha trascorso la serata al bar Las Cubas con varie altre persone. E Gregorio Espinosa era nella sua palestra, che il pomeriggio apre alle 18:00 e chiude alle 23:30. Chi li ha uccisi ha fatto molta strada quella sera. Non possono essere stati loro.

– No, certamente. Da Aranda a Santo Domingo de Silos ci vogliono almeno 45 minuti, altrettanti per tornare. Da Aranda a Segovia un'altra ora e mezza, altrettanto per tornare. Solo per il viaggio quattro ore e mezza.

– E se si fossero divisi i compiti?

– Vuoi dire se Espinosa avesse pensato a Campello e Toledo a Machado?

– Sì, forse si sarebbe notata poco un'assenza di Espinosa di un'ora e mezza.

– Ma per Toledo stiamo parlando di almeno tre ore.

– Se fosse andato via dal bar alle nove e mezza nessuno ci avrebbe fatto caso, forse.

– Probabilmente l'arma usata era la stessa.

– Non cambia niente, capo. Possono aver fatto una staffetta.

– Perché?

– Per complicarci la vita.

– Ma perché ucciderli?

– Vecchi rancori?

– Prova a scavare, tanto non sappiamo che pesci pigliare. E per prima cosa voglio la conferma da tutti i testimoni.

                  La famiglia Machado viveva oltre la periferia di Soria, in una vecchia casa rurale sul Duero: da una parte il fiume, dall'altra colline, vigneti e orti. Ci si arrivava grazie a un sentiero sterrato, chiuso da una barra. Vazquez parcheggiò sul bordo del sentiero e proseguirono a piedi. Da lontano Consuelo vide sul tetto della casa un grande nido di cicogne. Sugli alberi intorno cinguettava una nuvola di passeri. Un vento leggero ma gelido trapassò i loro abiti e dopo poco Consuelo sentì le ossa gelate e i piedi diventare due blocchi di marmo.

– Forse non ho l'abbigliamento adatto – ­si lamentò.

– Resista. Siamo arrivati.

Nell'aia della casa vagavano due cani, uno yorkshire terrier grigio e nero con il muso biondo e un golden retriever. Il primo si mise ad abbaiare, mentre l'altro si avvicinò a Vazquez, scodinzolando allegramente. Lui lo accarezzò sulla testa.

– Mi ha riconosciuto. Ciao, Gedi.

– Che bel cane!

Poi anche l'altro si avvicinò, cercando le carezze di Consuelo.

– Bello che sei. Bravo.

– È una femmina, si chiama Kira.

– Hai una bella memoria, Vazquez. Come fai ricordarti pure i nomi dei cani?

Una porta si aprì.

– Hola! – salutò una donna anziana avvolta in uno scialle nero molto pesante, che contrastava con i suoi capelli bianchissimi.

– Di nuovo qui?

– Ci scusi per l'intrusione, signora Machado. Questa è la commissaria Torres.

– Venite, entrate.

Ma quando anche i cani stavano per intrufolarsi in casa, la donna li fece retrocedere con un ordine secco:

– Fuori!

I due animali chinarono la testa, guardandola con occhi tristi e indietreggiando in maniera quasi comica. Chiusa la porta, si accomodarono tutti nella grande cucina con il camino acceso.

– Se non le dispiace vorrei dare ancora un'occhiata all'attrezzatura di Gregorio Espinosa – disse Vazquez.

– Faccia pure. Lei sa dov'è. Le chiavi sono appese di fianco alla porta. Sono quelle con la medaglietta a forma di G.

– Grazie, signora – disse Consuelo – Vazquez, mi raccomando i guanti.

– Certo – rispose Rufo, tirandoli fuori da una tasca.

Mentre l'agente si allontanava, Consuelo si guardò intorno.

– Bellissima casa. È molto vecchia, vero?

– Ha almeno duecento anni.

– Condoglianze per suo figlio, signora Machado.

– Grazie, chica. I figli non dovrebbero mai andarsene prima dei genitori. Ma il destino è crudele.

– Ha ragione. Mi dispiace doverla disturbare nuovamente proprio in un momento come questo, ma il nostro compito è di trovare l'assassino di suo figlio. Perciò, abbiamo bisogno del suo aiuto. Mi può parlare di Oriente? Mi dica tutto quello che le viene in mente pensando a lui, qualunque cosa.

– Da quando ho saputo della disgrazia, mi torna sempre in mente com'era da bambino. Oriente era un bambino speciale. L'ultimo figlio è sempre il più viziato, si sa, ma lui non si lasciava viziare. Se i suoi fratelli facevano una cosa, la voleva fare subito anche lui, voleva imparare, anche i lavori più faticosi. Si metteva sempre in mezzo e ci restava male quando i fratelli lo mettevano da parte. Così è diventato grande più in fretta di tutti. E poi ha preso un po' da me, per il carattere. Gli piaceva la compagnia e più era numerosa, più lui era contento. All'epoca abitavamo ancora ad Aranda, mentre qui viveva mio padre. La casa è grande, l'ha vista. Noi ci venivamo durante le feste. Ma quando mio figlio è andato alle scuole secondarie, ha fatto amicizia con alcuni compagni e così, quando c'erano le vacanze, si portava i suoi amici qui.

– E il nonno era d'accordo?

– Ma certo. E poi per me era un piacere. Erano dei ragazzini allegri. Se ne andavano in giro ad esplorare la zona. Per loro era un'avventura. Poi quando sono diventati più grandi, hanno preso la via della montagna. Allora tornavano con i cesti pieni di funghi, nocciole e castagne. E negli ultimi anni andavano a caccia di tordi. Se li cucinavano loro. Oriente e Manuel erano molto bravi in cucina.

– Oriente e Manuel erano più amici tra loro rispetto agli altri?

– No, erano solo più bravi a cucinare.

– Oriente aveva qualche problema, signora?

– Il suo unico problema è stato quello di sposare la donna sbagliata. Quando si sono sposati, mio figlio aveva già il bar a Segovia. Lui le aveva proposto di andare a vivere là, ma Paula non voleva spostarsi da Aranda. Nei primi tempi Oriente ha tentato di fare il pendolare, ma nel giro di qualche mese ha capito che si stancava troppo. Così ha deciso di dormire a Segovia. Paula ha accettato di vivere lontano per vari mesi all'anno, poi ha tentato di convincerlo a chiudere il bar e trovarsi un lavoro vicino casa. Oriente, pur di accontentarla se l'era anche cercato, ma senza trovare niente di buono. Con il tempo i loro rapporti si sono rovinati e dopo qualche anno si sono lasciati. Subito dopo, guarda come gira il caso, Paula si è dovuta trasferire a Madrid per lavoro. Certe volte il destino sa proprio come punirti.

– Erano d'accordo sulla separazione?

– Sì, Oriente non ne poteva più. Per lui è stata una liberazione.

– Sa se ha avuto altre donne?

– Ne ha avuta qualcuna, ma duravano sempre poco. Non me ne ha fatta mai conoscere nemmeno una. Vuol dire che non ci teneva.

– Le raccontava mai di quali fossero le sue difficoltà?

– No, macché. Mi diceva sempre: Va tutto bene, mamma. Va tutto bene. Non mi voleva dare preoccupazioni, io lo so, per questo tante cose non me le raccontava. Certe volte venivo a saperle ascoltando i discorsi che faceva con i suoi amici, quando venivano per la caccia.

– Cose di che tipo?

– Mah, per esempio un'estate ha avuto dei problemi con un gruppetto di ragazzi che vendevano droga nel parco dove aveva il bar. Lui aveva cercato di mandarli via, ma gli avevano fatto dei danni e l'avevano minacciato di fare peggio. Per fortuna la polizia ha cominciato a farsi vedere più spesso e loro hanno cambiato zona.

– Si ricorda qualche altro episodio strano?

– Sì. Una volta che mio figlio e Manuel sono andati a funghi, si sono presentati con un cestino di tartufi e tra loro parlavano di un tizio che li aveva minacciati. A quanto pare avevano invaso una zona proibita.

– Un terreno privato?

- No, erano alla Laguna Negra. In quella zona c'era uno che si sentiva padrone, solo perché ci andava sempre.

– Lo considerava suo territorio, quindi.

– Sì, dicevano proprio così. E ridevano. Lo prendevano in giro. Lo chiamavano il matto del villaggio.

– E sa se gli altri amici hanno dei problemi?

– Beh, Manuel lavorava troppo. Certe volte litigava con il fratello pur di venire qui un paio di giorni. E per quanto riguarda gli altri, Gregorio è costretto a trovare qualche lavoretto per arrotondare, quando la palestra non va bene. E Gracian è sempre alle prese con le malattie dei figli. Si sa, i bambini si ammalano spesso, è normale. Quindi certe volte non può venire, perché deve aiutare la moglie. Del resto, se vuoi una famiglia numerosa, te la devi anche curare. Mica puoi lasciare tutto sulle spalle di tua moglie.

– Certo. I figli si fanno in due.

– Proprio così.

– Signora Machado, non le viene in mente proprio nessun motivo per cui qualcuno potesse avercela con suo figlio?

– No. Era un ragazzo onesto, bravo, generoso.

– Era religioso?

– No, questo no. E infatti diceva che vivere in un monastero era la cosa più strana che gli potesse capitare.

– Le ha mai parlato di Antonio Soler, il custode del monastero?

– Certo, diceva che era un tipo solitario. Faceva la guida nelle visite del monastero, ma poi spariva. Non usciva mai. Gli piaceva il silenzio. Qualche volta, quando mio figlio metteva la musica troppo alta, lui gli andava a bussare e gli chiedeva di abbassare il volume. Eppure abitava al piano di sotto e i muri sono spessi al monastero.

– Deve avere un udito molto sviluppato.

– Per forza.

– E ha più notizie di Paula?

– No, da quando si sono separati non si è più fatta viva.

– Nemmeno con Oriente?

– No, con nessuno di noi.

Vazquez riapparve nella stanza.

– Commissaria, non c'è. Sono sicuro.

– Stavate cercando qualcosa?

– Un coltello.

Vazquez si avvicinò al fuoco. Sembrava intirizzito.

– Quando è stata l'ultima volta che Gregorio è venuto qui?

– Mi pare alla fine di agosto, con Manuel. Ma hanno fatto solo una piccola passeggiata. Dopo pranzo sono ripartiti.

– E da allora non è più venuto nessuno di loro?

– Dovevano tornare proprio adesso, che si apre la caccia. Anzi, no, mi sbaglio. È tornato Manuel, il mese scorso. Ma è passato soltanto a salutare.

– Da solo?

– Sì, era da solo.

– E le ha detto cosa ci faceva da queste parti?

– No, non me l'ha detto. Ma certe volte veniva a dare un'occhiata ai cani. Anche se era Gregorio quello che ci teneva di più. Li portava dal veterinario, qualche volta se li portava a fare un giro nei boschi. Se qualcosa non andava dovevo subito chiamare lui.

– La ringrazio, signora Machado. Togliamo il disturbo.

– Per favore, quando trovate chi è stato, fatemelo sapere.

– Non ne dubiti.

Vazquez lasciò a malincuore il camino. Ma prima di seguire Consuelo si avvicinò alla signora con una foto in mano.

– È questo il coltello che stiamo cercando. Lei l'ha mai visto?

– Non è quello che mio figlio ha regalato ai suoi amici tanti anni fa?

– Sì, signora.

– Se non c'è in mezzo alle sue cose, Gregorio dev'esserselo portato via.

– Allora lo chiederemo a lui. Grazie.

La signora Machado rimase sulla porta a guardarli mentre tornavano alla macchina e quando Consuelo si voltò, la salutò ancora agitando la mano.

                  Mentre Delgado osservava il cielo dalla finestra sperando che il tempo si mantenesse bello, entrò Gil.

– Capo, la scientifica dice che c'è un interessante scambio di mail tra Manuel e Oriente.

– E queste mail ce l'hanno mandate?

– Lo stanno facendo.

– Vediamo.

Delgado tornò alla scrivania e afferrò il mouse come fosse colpevole di un odioso delitto. Anche nel modo in cui batteva sui tasti c'era un inutile accanimento. Gil rimase in prudente silenzio.

Delgado si dedicò alla lettura per qualche minuto, poi sbuffò.

– Ah, sì, davvero interessante.

– Che dicono?

– Scambi di ricette di alta cucina. Anson ha deciso di prenderci per il culo?

– Non mi sembrava il tipo.

Delgado si diede una spinta, allontanando la poltrona a ruote dalla scrivania.

– Senti, Gil, ti lascio il campo. Io per oggi ne ho abbastanza. Ci vediamo lunedì. Trovami un cazzo di movente per questi due omicidi.

– Agli ordini, capo.

– E vai a parlare con i genitori di Campello.

Delgado indossò il suo trench, il Borsalino e i guanti di pelle, poi lo guardò.

– Sei ancora qui?

– No, capo, sono già al lavoro. Buona domenica.

Dopo di che, Gil sparì.

                  Vazquez guidò fino alla "Tana del Lupo", con il riscaldamento al massimo. La bottega si trovava in un piccolo borgo di quattro case vecchie con i tetti spioventi pieni di nidi di cicogne.

– Eccoci qui.

– Come si chiama questo artigiano?

– Tito Jordi, commissaria. Come mai fa tanta fatica a ricordarselo?

– Non lo so. Non mi resta in mente. Andiamo.

La bottega era aperta. Entrando, Consuelo lo salutò.

– Buongiorno, signor Jordi.

– Buongiorno, bella signora – disse sorridendo. Poi vide Vazquez e il suo sorriso svanì.

– Non l'ho trovato. Mi dispiace.

– Dispiace anche a noi – disse Consuelo.

– Ma ne ho altri, molto belli, già pronti.

– Non gliel'avete detto? – domandò a Vazquez.

– No. Alonso ha preferito restare sul vago.

– Signor Jordi, stiamo cercando proprio quel coltello, perché uno uguale ha ucciso due uomini.

– Ah.

– Lei dov'era martedì sera?

– A casa mia.

– C'è qualcuno che può testimoniarlo?

– Bella signora, io non mi muovo da qui dal lontano 1995, quando ho fatto un viaggio a Burgos per un matrimonio. E mi ci hanno portato perché io non ho nemmeno la patente. Lo stesso vale per mia moglie. Se proprio abbiamo bisogno di spostarci per una necessità improvvisa, o chiamiamo un taxi oppure un'ambulanza. Dipende dai casi. Quindi, anche se il mio coltello non si trova, siete proprio fuori strada.

– Dovevo chiederlo. Le credo sulla parola.

– Grazie.

– Dopo che Oriente Machado le ha ordinato quei coltelli, l'ha più visto?

– Non mi sembra, ma sono passati tanti anni e non so neppure se lo riconoscerei.

– E per caso si ricorda se è venuto a ritirarli da solo?

– Nemmeno.

– Le è mai sparito niente da qui?

– No. Ci sono delle cose che non trovo, ma come vede c'è un mucchio di roba e la mia memoria non è più quella di una volta. Ma in questo borgo non si è mai sentito che qualcuno abbia rubato qualcosa, quindi non pensi che me l'abbiano rubato. Non lo trovo, tutto qui.

Consuelo studiò a trecentosessanta gradi il locale affollato di oggetti d'ogni tipo, dai cesti di vimini alle museruole per cani, poi si arrese.

– La ringrazio. Buona serata.

Usciti dalla bottega, Vazquez la guardò. Consuelo allargò le braccia, sconfortata.

– Non sapevo cosa chiedergli.

– Allora è questo il suo metodo. Fa domande a casaccio finché non ha la fortuna di trovare la risposta giusta.

– A volte sì, a volte no. Non ho neanche un metodo. In questo momento navigo al buio senza fanali.

– E adesso che facciamo?

– Che ne dici di arrivare alla Laguna Negra?

– Ma commissaria, congeleremo!

– Hai ragione, Rufo. Torniamo ad Aranda.

Vazquez sembrò un po' più soddisfatto, forse perché quella era la direzione di casa e nutriva la profonda speranza di tornarci presto.

Consuelo non apprezzava molto il suo stile di guida. Lo trovava troppo lento. Non sorpassava mai e anche quando la strada era libera, non c'era verso di farlo accelerare. Se avesse guidato lei ci avrebbero impiegato molto meno. Ma infine, tra noia e sbadigli, Consuelo vide le prime case di Aranda. Vazquez ormai conosceva la strada e non ebbe problemi a trovare parcheggio in cima a Calle Barrio Nuevo.

– Rieccoci qui.

Consuelo sospirò.

– Andiamo a trovare Gregorio Espinosa. Se non rintraccia quel coltello, anche se ha tutti i testimoni del mondo, io l'arresto.

– Ma commissaria, potrebbe averlo perso, potrebbe averlo prestato e non se ne ricorda, potrebbero averglielo rubato e neppure lo sa.

– Peggio per lui.

Vazquez si grattò la testa. Certe volte la Torres gli dava da pensare.

Consuelo percorse la strada a passo di carica. Vazquez non riusciva quasi a starle dietro.

– Capo, ma lei vive d'aria? Lo sa che ore sono?

– Dopo. Prima il dovere e poi il piacere.

Vazquez sospirò e il suo stomaco brontolò.

Bussarono finalmente alla porta di Espinosa. Nessuno rispose, neanche dopo vari tentativi.

– Sarà al bar.

Tornarono indietro, ma al bar Las Cubas non l'avevano visto tutto il giorno.

– Capo, se ci mangiassimo un panino?

– Va bene Vazquez. Io intanto chiedo a Julian il numero di telefono di Espinosa.

Vazquez ne approfittò per farsi anche una birra. E mentre mangiava, Consuelo provò a chiamare Espinosa, ma con scarso successo.

– Ha il cellulare spento – rispose allo sguardo interrogativo di Rufo.

– Allora che facciamo? Non possiamo stare qui tutto il giorno.

– Potremmo, ma non ne ho voglia. Provo a chiamare Toledo per chiedergli se ne sa qualcosa. Magari sono insieme.

Toledo rispose subito, ma non sapeva nulla degli spostamenti di Gregorio. Sperava che si sarebbero visti al Las Cubas dopo le undici e mezza. Era una loro vecchia consuetudine, anche se da quando erano avvenuti i delitti, Gregorio non era più assiduo.

– Gli dica che ho bisogno di incontrarlo.

– Va bene, commissaria.

Vazquez cominciò a sperare di poter tornare a casa, ma intanto si era fatto portare un'altra birra.

Dopo il caffè, Consuelo decise di mollare.

– Va bene. Torniamo a Segovia.

Vazquez le fu profondamente grato. Non era nato per fare lo zingaro.

Per un attimo Consuelo pensò di fare due chiacchiere con la dirimpettaia, ma la camiceria era chiusa.

– Non possiamo nemmeno fare due chiacchiere con Julieth Jaroth.

– Che disdetta! – disse Vazquez.

Consuelo lo guardò malissimo.

– Guido io.

– Perché?

– Perché tu hai bevuto.

– Solo una birretta.

– Due.

– Che vuole che siano due birrette?

– Vazquez, guido io.

– Agli ordini, capo.

Già a metà del viaggio di ritorno, Rufo era pentito d'aver bevuto ed era pronto per dare di stomaco.

– Capo, non le sembra di andare troppo veloce? Che fretta c'è?

– Mi piace guidare così.

– Giuro che non berrò mai più un goccio quando sono in servizio.

– Beh, almeno arriveremo prima. Tu guidi come una lumaca.

– Ma io di solito arrivo vivo.

Consuelo fece una risatina sadica.

                  Alla vista di Delgado, Kiko si agitò. Rey si avvicinò al terrario dell'iguana e bussò sul vetro come faceva sempre. Quello era il suo saluto. Poi andò in cucina e si preparò un piatto di formaggi e prosciutto. Stappò una XX e tagliò due fette di pane. Gli sembrò strano mangiare al tavolo di cucina da solo. Mangiava a casa soltanto la sera, con Paco. Ma un'eccezione ogni tanto ancora gli piaceva. Forse era troppo immerso in una vita regolata, monotona, senza sorprese. E non andava bene. Era questo che lo stava stancando. Aveva proprio bisogno di una piccola evasione. Finito di mangiare, tornò in soggiorno, afferrò il manuale di sopravvivenza che stava leggendo e si accomodò sul divano con i piedi sul tavolino. Era uno strano testo: ai capitoli che fornivano dettagliati consigli per evitare di soccombere in caso di pericolo, alternava in premessa brani di brutta prosa recuperati chissà dove. "Tempo di funghi, di nocciole e di castagne. Tempo di nebbie e di tartufi." Come si riconoscono i funghi mangerecci. Come cercare tartufi con l'ausilio di cani. Come difendersi dagli orsi. Come allontanare i lupi. Come trovare cibo nel bosco. Le nutrienti proteine degli insetti. Come cuocere un serpente.

– Ma dove vivono questi?

Kiko non gli rispose. Delgado abbandonò il libro e chiuse gli occhi. Era stanco e nauseato. Forse aveva proprio bisogno di qualche giorno di ferie. E dal momento che non era l'unico a occuparsi di quel caso, avrebbe potuto assentarsi senza scrupoli. Il lavoro sarebbe andato avanti lo stesso. Ci avrebbe pensato Gil e poi c'era Consuelo. Nonostante tutto, di lei si fidava, non fosse altro che per la sua testardaggine. Poi Rey si addormentò.

Al suo ritorno, Paco lo trovò sprofondato sul divano, in pieno sonno. Ma quando anche lui andò a bussare sul vetro di Kiko, quel rumore bastò a svegliarlo. Paco andò a baciarlo.

– Sei tornato presto.

– Sono stanco. Puoi prenderti qualche giorno?

– Sì, certo.

– Ce ne andiamo in montagna, ti va?

– Vuoi dire alla Laguna Negra?

– Sì, anziché una toccata e fuga ti propongo una vera vacanza.

– Ho già pronto lo zaino.

– Allora l'idea sorride anche a te. Sono contento.

– Anch'io.

                  Fernando Gil continuò a studiare i rapporti che arrivavano dalla scientifica. Delgado aveva richiesto che glieli mandassero man mano che terminavano le analisi. Nello stesso tempo, Gil seguiva i risultati del caso Machado, in quanto, con decisione unilaterale e democratica, Anson aveva deciso di inviarne copia sia a Burgos che a Segovia.

Il primo che avevano potuto escludere dalla lista dei possibili sospetti era Antonio Soler. Non c'era nulla che potesse in alcun modo collegarlo alla vittima. Quindi Gil andò al muro del pianto, staccò il cartoncino con il suo nome e lo infilò in un cassetto dove si stavano ammucchiando reperti inutili. Sul tardi gli arrivò la relazione di Julian. Né il coltello di Tito Jordi né quello di Gregorio Espinosa erano riapparsi. Ma Julian aveva escluso che Jordi potesse entrare nella rosa dei sospettati. Quindi rimaneva solo Espinosa, dal momento che Celso Gallego non aveva rapporti con il gruppo da molti anni. Gil doveva raccogliere tutte le dichiarazioni dei testimoni che Espinosa aveva nominato. C'era da farsi un bel giretto ad Aranda. Delgado non era molto propenso a convocare testimoni. Diceva che prenderli di sorpresa produceva risultati migliori. Ma a quel punto delle sue riflessioni, gli venne in mente che anche Consuelo agiva allo stesso modo. C'era il probabile rischio di sovrapporsi. Anche se Delgado non sarebbe stato d'accordo, Gil decise di parlare con la Torres.

– Che c'è, Fernando?

– Avrei deciso di raccogliere le dichiarazioni dei testimoni di Espinosa.

– Tu, avresti deciso? E che ne è di Delgado?

– È andato in vacanza. L'ho saputo poco fa.

– In vacanza nel bel mezzo di un'indagine? Ma si sente bene?

– È parecchio nervoso. Forse è stanco. Mi ha lasciato campo libero, quindi proseguo io. Da quando te ne sei andata mi tocca sostituirti. Che ne pensi, allora?

– Penso che se lo fai tu, evitiamo di farlo noi. Sono due giorni che giriamo come trottole.

– Ho saputo.

– Ai testimoni di Toledo ci abbiamo già pensato noi. Sugli orari non sono stati molto precisi, ma non c'è spazio per ritenerlo responsabile di nessuno dei due omicidi.

– Mi fa piacere saperlo. Julian ha dimenticato di avvisarmi.

– Delgado sta andando alla Laguna Negra, vero?

– Così aveva detto, prima di mettersi in ferie.

– Gli farà bene ossigenarsi un po' il cervello.

Gil sogghignò.

– Allora ai testimoni ci penso io e poi ti faccio sapere.

– Va bene. Teniamoci in contatto.

Gil spense il computer nell'esatto momento in cui Consuelo spense il suo. Nella sala grande c'era ancora Julian.

– Che aspetti ad andartene?

– Tanto a casa non ho niente da fare. Qui sono più utile. Ho appena trovato Gallego.

– Che cosa hai saputo?

– Ho seguito la storia del suo certificato d'identificazione fiscale. Sembra che lavori da poco più di un anno alla Casa Rural Quinta San Pedro, vicino a Vinuesa. Prima ha cambiato diversi lavori. Di Hernando Cortázar invece ho perso le tracce. L'ultimo lavoro regolare è stato presso una ferramenta, a Soria, ma stiamo parlando di due anni fa.

– Hai provato con il tesserino sanitario?

– Non c'è niente. Dev'essere sano come un pesce.

– Va bene, basta così. Ti ordino di spegnere il computer e di accompagnarmi per tapas.

– Ma non doveva andare in palestra?

– La palestra può aspettare.

Domenica 8 novembre

                  Alle due di quella notte Consuelo cercò di spegnere la sveglia un paio di volte, prima di rendersi conto che a suonare era il suo cellulare. Si era addormentata da mezz'ora appena e nelle nebbie che le avvolgevano il cervello riconobbe a stento la voce preoccupata di Gracian Toledo.

– Mi scusi, può ripetere?

– Gregorio è scomparso.

– Ne è sicuro?

– Sicurissimo. Nessuno l'ha visto per tutta la giornata. Io non sono riuscito a mettermi in contatto telefonico. Sono anche andato a casa sua. Sa, ho le chiavi per le emergenze, ma non c'era niente di strano, era solo deserta. Sono in ansia, commissaria. Se quel bastardo avesse ucciso anche lui?

– Comprendo la sua preoccupazione. Sarò lì domani mattina. Adesso vada a dormire.

– Sì, commissaria. Buonanotte. E mi scusi se l'ho svegliata.

– No, ha fatto bene.

Consuelo scese dal letto e andò a bere un bicchier d'acqua.

Per la scomparsa di Gregorio ci potevano essere due motivi: o era lui il colpevole dell'assassinio dei suoi amici e aveva deciso che fosse il momento di far perdere le sue tracce, oppure l'assassino stava completando l'opera e dopo Manuel e Oriente aveva raggiunto anche lui. Se così fosse stato, Toledo era in pericolo e lei non aveva pensato ad avvertirlo. Occorreva assegnargli una guardia del corpo, in ogni caso. Quindi lo richiamò, raccomandandogli di stare attento, poi chiamò Gil, il quale rispose con comodo e a fatica.

– Va bene tenersi in contatto, Consuelo, ma non nel pieno della notte, ti prego!

– È importante, Fernando, altrimenti non ti avrei chiamato a quest'ora. Gregorio Espinosa è scomparso.

– Da quando? E come l'hai saputo?

– Mi ha chiamato proprio adesso Toledo. Ieri non hanno visto Espinosa per tutto il giorno e non è in casa. Inoltre il suo cellulare è spento. Anch'io avevo tentato di chiamarlo più volte, ieri pomeriggio.

– Che bella notizia.

– Dovresti mettere qualcuno a proteggere Toledo.

– Allora pensi che abbiano ammazzato pure Espinosa?

– Non lo so. Potrebbe anche essere scappato, ma finché non ne siamo sicuri, Toledo va protetto. E poi bisogna mandare qualcuno a controllare in palestra.

– Beata te che riesci a ragionare, a quest'ora.

– Forse non sarebbe male anche dare un'occhiata nell'appartamento di Espinosa.

– Sì, hai ragione. Facciamo fare un'incursione alla scientifica?

– No, per il momento ci vado io. Toledo ha le chiavi. Se posso, mi faccio accompagnare da lui che può notare qualcosa, conoscendo già la casa.

– Ricordati le norme di Anson.

– Non preoccuparti. Mi porterò un paio di tute.

– Allora domani ci vediamo ad Aranda.

– Sì, buonanotte.

– Per quel che ne resta.

                  Paco e Delgado salirono in macchina alle sei e trenta, molto prima dell'alba. Paco si mise alla guida dopo aver controllato di avere a portata di mano il termos e un sacchetto di churros che si era procurato la sera prima, consapevole che Rey non riusciva a fare colazione quando si alzava presto, e tuttavia, nell'attimo stesso in cui gli veniva fame, automaticamente piombava in uno stato d'irritabilità difficile da sopportare. Il tempo si prevedeva bello. Avrebbero trovato un po' di neve, caduta qualche giorno prima, ma non se ne attendeva altra. Regolò il riscaldamento e accese la radio a volume basso. Quando imboccò la N234, chiese a Rey se stava comodo, ma lui non rispose. Si era già riaddormentato. Paco sorrise nel buio dell'abitacolo. La visibilità era ottima, il traffico scarso, sarebbe stata una bella giornata di sole.

                  Consuelo arrivò al commissariato alle sette. Per timore di dimenticarsene, lasciò sulla scrivania di Julian un appunto in cui gli chiedeva di indagare sull'episodio dello spaccio di droga nel parco del monastero e delle eventuali dichiarazioni di Oriente. Per quel giorno, aveva sovvertito i turni abituali, concedendo ai suoi agenti la domenica libera. Prese le chiavi dell'auto di servizio e partì per Aranda. Mentre usciva da Segovia, il cielo cominciò a schiarire, ma attraverso il parabrezza vedeva le stelle brillare ancora nitide. Canticchiando, aveva già percorso cinquanta chilometri, quando Fernando Gil la chiamò.

– Prima di mettermi in strada, sono passato al commissariato e ho trovato una mail di Anson. Ha un riscontro sul DNA. Adesso è sicuro: Machado e Campello sono stati uccisi con la stessa arma.

– Sono contenta che ci sia almeno una certezza, in questo caso. Abbiamo due vittime, una gran quantità di alibi, un uomo sparito e nemmeno un movente. Tutto questo a cinque giorni dall'evento. Non abbiamo fatto molta strada.

– Il mio contachilometri indica il contrario.

Consuelo ridacchiò.

– Dove sei?

– Sono appena partito. E tu?

– A metà strada.

– Allora arriveremo insieme. Ci vediamo sotto casa di Toledo?

– Va bene. Hai pensato alla sua protezione?

– Sì, un agente dev'essere già lì da stanotte. E ho saputo che in palestra non c'è nulla di strano, tranne un cartello con il chiuso in bell'evidenza sulla saracinesca.

– Perfetto. A dopo.

Quando arrivò, Aranda era deserta. Si era fatto giorno, ma il sole splendeva senza offrire calore. L'aria era gelida. In previsione di una giornata simile, Consuelo si era coperta bene, aveva indossato gli anfibi imbottiti da montagna e infilato nello zainetto cappello e guanti, pur sapendo che li avrebbe tirati fuori solo in presenza di un blizzard. A pochi passi dal portone di Toledo, vide Fernando che arrivava dalla direzione opposta.

– Non c'è un bar aperto – si lamentò.

– No, non ne ho visti nemmeno io.

Un uomo era fermo quasi di fronte al portone, appoggiato al muro di un portico, con le mani in tasca. Consuelo e Fernando lo osservarono per qualche istante, poi lo raggiunsero per accertarsi che fosse l'agente inviato a protezione di Toledo.

– Sono qui dalle quattro. Non è passata un'anima. Comunque ho il tuo numero, per ogni evenienza.

– Molto bene. Allora noi andiamo da Toledo. Tu resta qui.

Poco dopo, Gil iniziò il suo giro dei testimoni di Gregorio Espinosa, mentre Consuelo e Toledo si dirigevano nel suo appartamento, seguiti a breve distanza dall'agente.

– Signor Toledo, lei mi sa dire che automobile ha Gregorio?

– Certo, ha un pick up rosso della Gonow.

– E lo parcheggia qui in zona, di solito?

– Sì, ma ieri sera l'ho cercato qui intorno e non sono riuscito a trovarlo.

Consuelo si fermò e aspettò che l'agente si avvicinasse.

– A Toledo ci penso io, per il momento. Tu vedi se riesci a trovare nelle strade qui intorno un pick up rosso della Gonow. Ci ritroviamo davanti alla chiesa tra un'ora.

– Agli ordini, commissaria.

Toledo sembrava piuttosto abbattuto.

– Non si preoccupi, Gracian. Vedrà che lo troveremo. Potrebbe essere andato a farsi un giro in montagna?

– Mi avrebbe chiamato.

– Beh, intanto andiamo a vedere a casa sua.

Giunti davanti alla porta, Consuelo bussò due o tre volte, ma non ricevendo risposta, tirò fuori dal suo capiente zainetto le tute di carta, i calzari, le cuffie e i guanti. Toledo la guardò, quasi spaventato.

– Indossi questi. Non si sa mai. È solo per prudenza.

– Lei crede che l'abbiano ucciso.

– No, le assicuro. Ma se poi dovesse intervenire la scientifica, evitiamo di inquinare la casa con le nostre tracce.

– Ma io ieri sono entrato a cercarlo.

– E ha toccato qualcosa?

– Veramente no.

– Allora non si preoccupi.

L'appartamento era relativamente in ordine. Le finestre erano tutte chiuse. Non c'erano piatti da lavare in cucina. In frigo c'erano poche provviste. Il riscaldamento era spento.

– Sa se Gregorio ha uno zaino per la montagna?

– Sì, di solito lo tiene in fondo al corridoio, dietro a quell'attaccapanni.

– Però adesso non c'è.

Consuelo aprì le ante dell'armadio in camera da letto.

– Si ricorda cosa indossava in questi giorni?

– Un parka mimetico.

– E non c'è nemmeno quello. Dunque sappiamo com'era vestito quando è uscito e che ha portato con sé lo zaino. Ha notato niente di strano in giro?

– No. Mi sembra che sia tutto in ordine.

– Allora direi che qui abbiamo quasi finito. Mi aspetti in soggiorno.

Consuelo ne approfittò per cercare il coltello celtico. Aprì tutti i cassetti della cucina, le ante e persino il forno. Cercò in camera da letto, in bagno e per ultimo in soggiorno, sotto gli occhi attenti di Toledo.

– Niente. Possiamo andare.

– Cosa pensava di trovare?

– Il coltello che vi ha regalato Oriente.

– Gregorio, come tutti noi, l'ha usato per un po' di tempo, ma poi ne abbiamo comprati altri nel corso degli anni e quello lo tenevamo più che altro per ricordo e perché è un bell'oggetto.

– Da quando non li usate più?

– Non le so rispondere, di preciso. Sono diversi anni. Io stesso non ricordavo più dove l'avevo messo.

Consuelo e Toledo uscirono, chiudendo di nuovo a chiave. Si spogliarono della bardatura e tornarono in strada. Giunti davanti alla chiesa, Consuelo si accorse che il bar era ancora chiuso.

– Ma quando apre Las Cubas?

– Dipende. Quando Pedro ne ha voglia. E se non ne ha, non apre per niente. Oggi è domenica.

– Fanno tutti così?

– Sì.

– E se uno avesse voglia di un caffè?

– Se lo farebbe a casa. Glielo faccio io, se viene da me.

– Volentieri, grazie. Ma prima dobbiamo aspettare l'agente.

– La ringrazio per avermelo mandato. Ah, eccolo.

Consuelo si voltò. L'agente arrivava a passo spedito.

– Non ho trovato nessun pick up, né rosso né di altri colori.

– Per me, Gregorio se n'è andato in montagna – disse Consuelo, convinta.

– Senza avvisarmi? Se così fosse, potrei ucciderlo io.

– Potrebbe aver deciso di andare in montagna una volta finito con la palestra e aver dimenticato di avvertirla. Di domenica non apre, vero?

– No, la domenica è sacra. Ma andare in montagna a quell'ora è da pazzi. A meno che non sia andato a chiedere ospitalità ai Machado.

– Proviamo a chiederglielo.

– Faccio io – disse Toledo.

L'agente era quasi a fine turno. Consuelo pensò che fosse meglio farsi trovare sotto casa di Toledo, così si avviò, costringendo i due uomini a seguirla. Toledo condivise la telefonata.

– La signora Machado non l'ha visto, ma ieri mattina si è resa conto che erano spariti i cani.

– E perché non ci ha avvertito? Chiedile se ha preso il fucile.

Gracian riferì. Ascoltò la risposta e salutò.

– Sta andando a vedere.

– Quindi Gregorio può essere partito già ieri mattina.

Gil la chiamò sul cellulare proprio in quel momento.

– Hai novità?

– Non si trova il pick up di Gregorio e sono spariti anche i cani. Non c'è dubbio che si sia allontanato volontariamente.

Nel frattempo Gracian stava di nuovo parlando con la signora Machado.

– Per il momento direi di mantenere la protezione a Toledo. Tu hai finito?

– Sì.

– Allora puoi raggiungermi a Plaza Mayor?

– D'accordo. Arrivo.

Consuelo rimise il cellulare in tasca e guardò Toledo. Quando anche lui finì di parlare al cellulare, Gracian assentì col capo.

– Dunque Espinosa è armato.

– Pare proprio che abbia deciso di andare a caccia senza di me.

– Mi dispiace. Continuerà ad avere un agente a protezione, stia tranquillo.

– Ma io sono tranquillo. Se lei pensa che Gregorio possa avere qualcosa a che vedere con l'omicidio dei nostri amici, si sbaglia. Dovete cercare altrove.

– Spero tanto che abbia ragione. Ma adesso devo andare.

– E il caffè?

– La prossima volta, la ringrazio. Trascorra una buona domenica.

Poi si rivolse all'agente, sempre più intirizzito.

– Tra poco arriverà il cambio. Resisti.

L'agente sorrise.

Consuelo andò a riprendere la macchina, guardò il percorso sul navigatore e si rese conto che le conveniva arrivarci a piedi. In un attimo sbucò sulla piazza, dove individuò subito Fernando Gil, seduto su una panchina al sole, davanti a un bar miracolosamente aperto.

– Colazione! – le urlò da lontano.

– Caffè! – rispose Consuelo.

Erano le nove e mezza e non c'era in giro quasi nessuno. Entrarono con passo deciso e si sedettero all'unico tavolino libero.

– Adesso ho capito. In giro non c'è nessuno, perché sono tutti imbucati qui dentro – disse Consuelo.

Dietro il bancone, due giovani donne in divisa rossa e bustina bianca in testa stavano preparando le consumazioni. Gil e Consuelo aspettarono con calma il loro turno.

– Com'è andata finora?

– È semplice. La palestra ha due piani. Di sopra c'è una specie di reception e una sala per le lezioni individuali. Di sotto c'è la palestra con le attrezzature, la sauna e tutto il resto. Di mattina Gregorio fa le lezioni di gruppo in palestra e la sera fa le singole nella sala di sopra, mentre sotto fanno attività libera. Quindi chi entra la sera lo vede alla reception, a meno che non stia dando lezioni individuali. Qualcuno l'ha visto alla reception e qualcuno ha sentito la musica nella sala di sopra, per cui ha pensato che fosse impegnato in una lezione singola. Fatto sta che non ho ancora trovato nessuno che abbia fatto quella lezione.

– Con quanti hai parlato?

– Tre.

– Solo tre? Abbiamo una quindicina di nomi!

– Ma questi tre mi hanno dato i nomi di tutti quelli che erano giù.

– Fammi vedere la lista.

Fernando tirò fuori un foglio dalla tasca interna del giaccone e glielo mise davanti.

– Ok. Quelli sottolineati sono quelli che erano di sotto?

– Sì. I tre con l'asterisco sono quelli con cui ho parlato.

– Dobbiamo sapere a che ora sono arrivati, se entrando l'hanno visto o se l'hanno visto all'uscita e a che ora se ne sono andati. E poi bisogna parlare con gli altri tre. Uno di questi potrebbe aver fatto la lezione individuale, o magari tutti e tre.

– Mi riproponevo di farlo. Ho sempre desiderato di passare una domenica così.

Un blocchetto si interpose tra l'espressione depressa di Fernando e lo sguardo duro di Consuelo.

– Un caffè, grazie.

– Io caffè con latte, un po' di churros, una brioches alla crema e una fetta di torta al cioccolato. Ah, anche una spremuta d'arancia e poi un caffè, ma per ultimo.

– Sei a dieta? – gli chiese Consuelo.

– Lei solo il caffè? – domandò la ragazza in rosso.

– Sì, grazie.

– E mentre io me ne andrò in giro a parlare con i palestrati, tu come passerai la domenica?

– Sto pensando di andare a trovare Celso Gallego.

– Non sapevo che l'avessi trovato.

– Notizia di ieri sera.

– Come mai Julian non me l'ha comunicato?

– Forse perché ieri sera l'ho strappato di peso dal computer e per oggi gli ho dato la giornata libera.

– Così non vale.

– Il rapporto te lo posso fare anch'io. Partiamo da Espinosa. Non solo sono spariti lui, il suo pick up e i suoi cani, ma anche il suo fucile da caccia. Quanto a Celso Gallego, lavora alla Casa Rural Quinta San Pedro, vicino a Vinuesa. Di Hernando invece si sono perse le tracce. Ultimo lavoro conosciuto presso una ferramenta di Soria, fino a due anni fa, ma non chiedermi il nome. Per i particolari rivolgiti a Julian.

– Lo scontrino del 28 agosto era stato emesso dalla Casa Rural Quinta San Pedro.

– Quale scontrino?

– Non ve ne ho mandato una copia?

– Non ne so niente.

– Sì, che ve l'ho mandata. Era uno scontrino che abbiamo rinvenuto sotto la tettoia del lavatoio, dov'è stato trovato Manuel Campello.

– E la scientifica che cosa ne ha ricavato?

– Niente. Non sono riusciti a rilevare impronte.

– Magnifico.

– Non andarci da sola, Consuelo, è sempre più prudente essere in due.

– Facciamo così. Se non mi senti, stasera, sai dove cercarmi.

– Consuelo...

– La verità è che faresti di tutto pur di non passare la giornata a interrogare testimoni.

– Sei ingiusta. Mi sono offerto volontario, ricordi?

Poi lo interruppero due vassoi che venivano posati sul tavolino.

– Devo anche andare a trovare i genitori di Manuel Campello. Me ne stavo quasi dimenticando.

– Vedi che hai troppi impegni per accompagnarmi?

Fernando reagì tuffandosi sui dolci. Consuelo bevve il caffè e lo lasciò alla sua frugale colazione. Gil la salutò distrattamente con la mano.

                  Paco pensò di lasciar dormire Rey per tutto il viaggio, ma passando da Vinuesa, ormai quasi giunti alla meta, vide a lato della strada un grande tendone a righe bianche e blu con l'insegna verticale "Far West Bar" alta quanto l'intero fabbricato. Tutto quell'impegno nell'esibirsi meritava la sua attenzione. Aveva una gran voglia di caffè. Quindi sterzò, parcheggiò nel grande spiazzo e spense il motore. L'improvviso silenzio svegliò Rey.

– Che ore sono?

– Le otto.

– Dove siamo?

– A Vinuesa. Ho bisogno di un caffè.

Rey sbatté le palpebre, se le strofinò, sbadigliò, poi guardò fuori dal finestrino.

– Anch'io. E magari anche di qualcosa di solido.

Scendendo dalla macchina, Rey si stirò. Paco si guardò intorno. Il cielo era limpido e non c'era traccia di neve. Però la temperatura era piuttosto bassa e nonostante questo, c'erano tavolini all'aperto e gente seduta fuori dal locale. Dall'abbigliamento s'indovinava che erano cacciatori. Anche Rey li osservò.

– Ah già, è aperta la caccia ai tordi.

– Io invece sono a caccia di un caffè – disse Paco, dirigendosi verso il locale.

Ai lati dell'ingresso troneggiavano due botti e anche il bancone era costruito con doghe bombate, legate insieme da nastri di ferro battuto. All'interno c'erano pochissimi clienti. Quando Rey si avvicinò alla vetrina dei dolci la sua decisione non fu affatto semplificata dalla vasta scelta. Paco intanto andò a sedersi a uno dei tavoli, raggiunto dopo poco da un cameriere che sembrava la copia di John Wayne. Rey arrivò al tavolo quasi contemporaneamente, incantandosi a guardare l'uomo, che prese le ordinazioni e si allontanò col passo pacato del cavallerizzo appena smontato di sella.

– Ti ho mai detto che ho una vera passione per John Wayne?

– Solo qualche volta.

– E non ti sembra che lui gli assomigli?

– Sì e credo anche che se ne approfitti marcando l'imitazione.

– Lo penso anch'io. Però è notevole.

– Su questo non posso che essere d'accordo.

Due brioches e due caffè più tardi, erano di nuovo in macchina.

– Siamo fortunati, il tempo è bello – disse Paco.

– Sono proprio curioso di vedere questa spettacolare Laguna Negra.

– Pensi che venire qui possa aiutare le tue indagini?

– Non credo, ma soddisferà la mia curiosità e cancellerà un poco la mia invidia.

La strada correva nel bel mezzo del bosco, tra pini, faggi, sorbi, noccioli e cartelli stradali triangolari con cervi galoppanti.

– Mi piacerebbe vedere qualche cervo.

– Vedremo se sarai così fortunato.

– Ecco la svolta!

Imboccando la stretta strada che portava a Quinta San Pedro, la vegetazione si diradò, tra ampie radure e arbusti più bassi. Superate un paio di costruzioni in pietra rustica, arrivarono alla casa rurale. Davanti alla facciata rientrante dalla strada era piazzato un carretto di legno con le grandi ruote che ricordavano a malapena di essere state dipinte di rosso.

Paco parcheggiò sul lato opposto della strada e spense il motore. C'era odore di legna bruciata. Il fumo si spandeva dai due grandi comignoli conici che caratterizzavano il tetto del casale. Entrarono dall'ingresso laterale, per trovarsi davanti a un piccolo bancone a elle dietro il quale si apriva un salone dalle pareti rustiche. Divani bianchi spiccavano sul pavimento in cotto. Davanti al bancone quattro sgabelli imbottiti, e dietro il bancone nessuno. Rey calò con piacere la mano sul campanello. Era una cosa che lo divertiva. A volte era travolto da strani rigurgiti adolescenziali, che teneva accuratamente per sé. Sperava che non si affacciasse nessuno, per poter ripetere l'operazione, ma apparve un individuo di piccola statura, che si affrettò verso di loro. Avvicinandosi, Rey notò che aveva un volto molto bello e un sorriso contagioso. Le sue labbra risposero a quel sorriso senza poterle frenare.

– Buongiorno, signori! Siete puntualissimi.

– Buongiorno a lei.

– Il vostro appartamento è pronto. Vi accompagno. E i bagagli?

– In macchina.

– Tanto si passa da fuori. Seguitemi.

Rey e Paco tornarono a prendere gli zaini, ma prima che aprissero il portabagagli, l'uomo lì fermò.

– Potete parcheggiare dietro la casa. Vi apro il cancello.

Paco eseguì, mentre Rey seguiva l'uomo a piedi.

– Io sono anche la guida del posto, se vi serve una guida. Siete venuti per la caccia al tordo?

– No, siamo a caccia di pace e di riposo. E vorremmo vedere la Laguna Negra.

– Ah, è a soli cinque chilometri da qui. Vi piacerà.

– Io mi chiamo Rey Delgado – disse, tendendogli la mano.

– Celso Gallego – rispose la guida.

Rey rimase di stucco.

– Hai detto Celso Gallego?

– Sì, è proprio il mio nome. Forse non è il massimo, ma non ho avuto voce in capitolo quando l'hanno scelto.

Rey sorrise sia per la battuta che per la sua sfacciata fortuna.

Dopo aver preso possesso del piccolo appartamento, Celso li stava salutando con un – Se avete bisogno di me sapete dove trovarmi – quando Rey lo bloccò.

– Puoi accompagnarci alla Laguna Negra?

– Oggi?

– Sì, è una giornata magnifica.

– Va bene. Ho ancora qualche cosa da sbrigare, ma per le undici potremmo metterci in cammino. Voi intanto godetevi la pace.

Celso li lasciò soli. Paco guardò Rey.

– Hai fretta?

– No, ma visto che è libero ne voglio approfittare. Non ci crederai, ma se ho capito bene è giusto uno dei vecchi amici delle due vittime su cui stiamo indagando.

– Ed ecco che arrivi qui e subito una fortunata coincidenza ti sorride. Non ti dico che cosa ne penso.

– Siamo venuti qui in vacanza e vacanza sarà. Mi occuperò di lui solo il tempo strettamente necessario.

                  La giornata era splendida e Consuelo guidava con piacere, mentre il sole filtrava dagli alberi che si affacciavano sulla strada, o la colpiva direttamente nei tratti che attraversavano le radure. Ogni tanto un sentiero sterrato sfociava sull'asfalto. Consuelo cominciò a leggere i cartelli indicatori. Doveva essere quasi arrivata, ma il suo navigatore non fiatava. A un tratto vide un pick up rosso parcheggiato sul lato di uno dei sentieri e inchiodò. Lo osservò bene per leggerne la marca e quando fu sicura che fosse della Gonow, afferrò il cellulare e chiamò il commissariato, comunicando la targa e chiedendo che le facessero sapere al più presto a chi apparteneva. Dopo di che, riprese il viaggio, convinta che quello fosse il veicolo di Gregorio. Subito dopo, la voce monocorde del navigatore la invitò a svoltare a destra. Il cartello indicava Quintanarejo.

                  Poco dopo le undici si ripresentò Celso, armato di cestino di vimini e zainetto. Rey e Paco lo seguirono fuori. Appena usciti, un'auto si fermò davanti al tratto di muro dove si era fermato Paco arrivando. Celso si voltò a guardarla.

– Non aspettavamo nessun altro, per oggi – commentò, incerto.

Consuelo scese dal veicolo e si avvicinò a loro sorridendo.

– Ma che sorpresa! Non mi aspettavo di trovarvi qui.

– Neanch'io mi aspettavo di vederti qui.

Consuelo abbracciò Paco, poi si rivolse a Celso con sicurezza.

– Lei è il signor Gallego, vero?

Celso si stupì.

– Sì, ci conosciamo?

– No, in realtà no, ma io la stavo cercando.

– Perché?

Rey s'intromise.

– Adesso stiamo andando alla Laguna Negra. O ti unisci a noi, o aspetti il tuo turno.

Celso non capiva cosa stesse succedendo. Consuelo s'irritò, ma cercò di non darlo a vedere.

– Va bene, vengo con voi.

– E lei chi è? – domandò Celso.

– La commissaria Consuelo Torres e ...

– E viene con noi – la interruppe Delgado fulminandola con gli occhi. Consuelo comprese al volo il messaggio. Rey non voleva che aggiungesse altro. Era arrivato per primo e voleva condurre il gioco a modo suo. Consuelo si zittì, annuì e si preparò ad assecondarlo, più che altro per evitare l'incenerimento. Ma non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Così iniziarono la loro passeggiata imboccando un sentiero, guidati da Celso, affiancato da Rey, mentre Paco e Consuelo seguivano alle loro spalle. Ben presto si addentrarono nel bosco. Il sentiero era largo e comodo. Al rumore dei loro passi si sovrapponeva lo scricchiolio degli alberi e il cinguettio degli uccelli, ogni tanto interrotto da colpi lontani di doppietta. Dopo circa mezzo chilometro Rey decise di rompere quel relativo silenzio.

– A che ti serve il cestino?

– Al ritorno spero di trovare qualche niscalo delle abetaie. Li adoro. E se ne trovo abbastanza potremmo organizzarci una bella cena.

– Sai, io non mi fido molto dei raccoglitori di funghi. Come fai a essere sicuro che i funghi che trovi siano mangerecci?

– A parte il fatto che li raccolgo da quando ero un ragazzino, e come vedi sono ancora vivo, se può rassicurarti ho preso un diploma in micologia. Ti insegnerò a riconoscere il lactarius deliciosus, così in futuro potrai raccoglierlo anche tu senza timori.

– No, grazie. Preferisco lasciare il compito agli esperti. Conosci bene questa zona, vero?

– Sì, l'ho battuta palmo a palmo, da qui al Pico de Urbion, dalla Laguna Negra alla Sierra de Cebollera. Sono venticinque anni che vado per sentieri.

– Come hai cominciato?

– Quasi non me ne ricordo più. Un compagno di scuola mi invitava a casa sua a Soria insieme ad altri e da lì partivamo per i boschi. Per una decina d'anni abbiamo esplorato in comitiva. Poi ho preferito andare per i fatti miei.

– Sai più niente di loro?

– Perché dovrebbe interessarmi? Ma sì, mi è capitato di incontrarne alcuni. Comunque non ho nostalgia di quei tempi, credimi. Con la mia presenza li mettevo in imbarazzo. Non è una bella sensazione. Nessuno riesce mai a essere indifferente al mio aspetto. Questo è uno dei motivi per cui preferisco viaggiare da solo, come si suol dire.

– Il fiore raro ha più probabilità di essere notato.

Celso sollevò la testa a guardarlo, tra il sorpreso e l'imbarazzato.

– Ma sei un filosofo!

Rey gli sorrise in risposta.

– Di solito no.

– Allora è il posto che t'ispira.

– No, credo che sia tu.

Celso sollevò di nuovo la testa a guardarlo, poi gli assestò una gomitata dicendo: – Ah, vai a prendere per il culo qualcun altro!

Consuelo guardò Paco, circondato dalla sua aura di serenità. L'uomo più pacifico e tranquillo che avesse mai conosciuto. Quei due avevano iniziato a flirtare sotto il suo naso e lui non faceva una piega. Mentre camminavano, Celso non smetteva di lanciare occhiate acute in mezzo alla vegetazione, trafitta da oblique lance di sole che maculavano i tronchi.

– Qualche giorno fa ho visto un piccolo branco di cervi. Se non facciamo troppo rumore e se siamo fortunati, potremmo incontrarli.

– Non mi dispiacerebbe affatto.

– Quanto a fortuna, possiamo contare su di lui – commentò Paco.

Mezz'ora dopo apparve sotto di loro il lago, incastonato tra le pareti di roccia e gli alberi. Le foglie verdi, rosse, arancioni e gialle si riflettevano in quello specchio magico dal fondo nero. Era uno spettacolo da togliere il fiato.

– Adesso capisco – disse Consuelo sottovoce.

– Scendendo da questa parte si arriva di sotto. C'è un pontile che corre lungo buona parte della riva, fino a una grande spiaggia.

– Magnifico. Che aspettiamo?

Così si rimisero in marcia per raggiungere il lago. Durante la discesa, Celso fu distratto da qualcosa e scavalcando la staccionata posta a difesa del sentiero, s'inoltrò tra gli alberi. Rey lo seguì. Celso si chinò a cercare alla base di un abete.

– Qui sono sicuro di aver trovato dei niscali l'anno scorso.

– Come fai a dirlo?

– Ha un ramo spezzato. Lo riconosco.

Celso girò intorno al tronco.

– Eccoli!

Tutto soddisfatto, posò a terra il cestino. Scavò delicatamente con le mani intorno ai funghi, poi prese dalla tasca dello zaino un coltello e si aiutò con quello. Una volta estratti i funghi dalla terra, lì batté leggermente sulle cappelle senza spostarli dalla piccola buca e poi ve li adagiò. Rey osservò il manico con attenzione.

– Bellissimo coltello.

– Sì, è vero. Ci tengo parecchio. È un ricordo.

– Te l'ha regalato Oriente Machado.

– Che ne sai tu? – chiese, diffidente.

– Sono un commissario di Burgos e sto indagando sulla sua morte.

Celso, che era in bilico sulle ginocchia, cadde seduto.

– Oriente è morto?

– Non lo sapevi?

– No, cazzo. No, no, no. Cazzo!

Poi si sollevò da terra, si spolverò i calzoni con le mani e corse via verso il folto degli alberi.

– Joder! – urlò Delgado, colpendo a mano piena il tronco dell'abete.

Come fosse il richiamo che stavano aspettando, Paco e Consuelo lo raggiunsero subito.

– Pensavo stessi migliorando, invece sei sempre pericoloso come un elefante in una cristalleria. Che gli hai detto?

– Non sapeva della morte di Oriente Machado. Immagino non sappia nemmeno di Manuel Campello.

– E dove si sarà rintanato adesso?

– Tornerà. Ha lasciato qui lo zaino, il coltello e tutto il resto.

– Lo vado a cercare? – propose Consuelo.

– Meglio di no. Lasciamolo sfogare.

Consuelo osservò il coltello nel cesto.

– Una cosa è certa, dei possibili sospettati ci rimane solo Gregorio Espinosa. È scomparso da ieri. Toledo era molto preoccupato. Stamattina siamo entrati nel suo appartamento e abbiamo scoperto che mancava il suo zaino. Inoltre sono scomparsi anche i cani e il suo fucile da casa dei Machado. Toledo era incazzato che non l'avesse avvisato. A me sembra il comportamento di un uomo in fuga, che si è lasciato prendere dal panico.

– Ti stai dando molto da fare, commissaria Torres.

– Tu invece sei in vacanza, vedo.

Paco sorrise.

– Come diavolo fate a seguire i due casi separatamente?

– A Burgos è molto attivo lo spionaggio, Paco.

– Sei tu che non sai tenere a bada i tuoi.

– Invece tu tieni a bada benissimo Gil.

– Smettetela! – disse Paco alzando la voce di un'ottava – Vergognatevi. Avete risolto decine di casi lavorando in collaborazione e adesso sembrate due ragazzini dispettosi. I vostri agenti sono più intelligenti di voi. Ma che vi ha preso?

– Questo caso spettava a Burgos.

– Perché? Oriente Machado è stato ucciso a Segovia.

– Tu non hai abbastanza esperienza per affrontare un caso così complicato.

– Tu invece sì. Basta sfruttare il lavoro dei miei agenti e del mio medico legale.

– Andate al diavolo! – disse Paco, voltando loro le spalle. Scavalcò la staccionata e si diresse con decisione verso il lago, abbandonandoli alla loro infantile discussione.

– Ecco, si è arrabbiato – disse Consuelo.

– Gli passa subito.

– A volte mi domando come fa a sopportarti.

– Ha un buon carattere e una notevole riserva di pazienza.

– Un santo.

– Non esagererei fino a ...

Senza più ascoltarlo, Consuelo gli voltò a sua volta le spalle per andare a rincorrere Paco.

Non sapendo cos'altro fare, Rey dedicò la sua attenzione ai niscali. Li studiò ben bene e iniziò a cercarne altri lì intorno. Ne trovò, ma non si sentiva sicuro, quindi segnò il posto con un bastoncino piantato nel terreno e tornò indietro a prendere uno dei funghi raccolti da Celso. Confrontandoli attentamente si disse che erano uguali e provò a estrarli dalla terra come gli aveva visto fare, compresi i colpetti e il coricarli sulla buca. Non sapeva però, esattamente, quanto doveva tenerceli. Se lo stava ancora domandando, quando udì un passo leggero alle sue spalle.

– Ma come? Non avevi detto che preferivi lasciar fare agli esperti?

– Mi annoiavo.

Celso si chinò sui funghi e approvò.

– Ottimo. Sono proprio niscali. Questa zona è buona. Cerchiamone altri.

Poi andò a riprendere le sue cose, depose i funghi nel cestino e tornò verso Rey. Raccolse anche quelli trovati da lui e gli disse di dare ancora un'occhiata in giro. Sembrava sereno. Delgado pensò che avesse digerito la notizia in fretta. In venti minuti riempirono il cestino e tornarono sul sentiero. Delgado si sentì molto soddisfatto di sé.

– Dove sono gli altri?

– Sono scesi al lago.

– Bene, andiamo anche noi.

– Mi dispiace di averti dato quella brutta notizia, ma quando hai detto che quel coltello era un ricordo, avevo frainteso. Ero convinto che lo sapessi già.

– Si può considerare un ricordo anche un oggetto che ci ha regalato qualcuno ancora in vita.

– Hai ragione. Ho fatto un ragionamento sbagliato. Mi avevano anche detto che tu non fossi più in contatto con quel gruppo di amici da molti anni. Da prima che Oriente Machado ti regalasse quel coltello.

– In effetti è stata una strana storia. Si dice che regalare un coltello a un amico tagli o divida il rapporto. Per questo si deve pagare il dono con una monetina. Ma quando Oriente mi fece recapitare quel coltello, io non mi ritenevo più loro amico. Poi invece lo cercai, spinto da mia madre che non mi dava pace. Quando lo incontrai, gli diedi una monetina, ma gli dissi che non sarebbe comunque servito a riparare i rapporti con il gruppo. Lui capì, e mi parlò di un'altra tradizione. Mi disse che la lama non appartiene al proprietario finché non abbia assaggiato il suo sangue. Quindi prese il suo coltello e si bucò un dito, davanti a me, finché non uscì una bella goccia rossa. Poi m'invitò a fare lo stesso. E quando vide il mio sangue affiorare sul dito, ci appoggiò il suo. Mi disse che avrei potuto andare anche in capo al mondo, ma che una parte di lui sarebbe sempre restata con me. Cose che di solito si fanno da ragazzini. Noi avevamo venticinque anni. Io ne rimasi molto colpito. Era il giorno del mio compleanno, il 28 febbraio. In seguito abbiamo continuato a incontrarci ogni anno, sempre in quella data.

– Anche ultimamente?

– Sì, subito dopo partiva per Segovia, per riaprire l'attività.

– Vi tenevate in contatto?

– Qualche telefonata durante il resto dell'anno. Quando ne avevamo voglia. Ma la nostra amicizia non aveva bisogno di vicinanza o di parole. Eravamo amici nel cuore, non so se mi puoi capire.

– Credo di sì.

– E adesso dimmi com'è morto e perché.

– Aveva un pugnale come il tuo piantato nel petto. E purtroppo non è stata l'unica vittima. Quella stessa sera, prima di lui, hanno ucciso nello stesso modo e con la stessa arma anche Manuel Campello. Il perché non lo so. Non siamo ancora riusciti a capirlo.

– Quando è successo?

– Martedì.

– Quindi sei venuto qui per il coltello. Per vedere se ce l'avevo ancora.

– Veramente non sapevo neppure che fossi qui. Sono venuto in vacanza. È stata davvero una sorpresa apprendere il tuo nome.

– Davvero non te l'aspettavi? Ti avranno fatto una descrizione del mio aspetto.

– No.

– Incredibile. Sono deluso. Segni particolari: nano. Non funziona così?

– Nessuno ne ha parlato. Sapevo solo il tuo nome.

– Ma la tua collega m'ha riconosciuto subito, però.

– Lei sta indagando sulla morte di Oriente, io su quella di Manuel. Abbiamo fonti diverse e non ci scambiamo proprio tutte le informazioni.

– Non ti offendere, ma lei sembra più sveglia di te.

– Credo che mi offenderò ugualmente, se non ti dispiace.

– Voglio aiutarti. Ho visto Manuel lo scorso agosto. È venuto a trovarmi per chiedermi un consiglio.

– Può essere stato il 28 agosto alle 11 del mattino?

– Mi devo rimangiare quello ho detto. Sei sveglio, anche se non lo sembri. Sì, è stato proprio quel giorno.

– E ha pagato 3 euro al bar. Cos'ha preso?

– Ha fatto colazione.

Intanto erano giunti in fondo al sentiero. Trovarono Paco e Consuelo seduti su un masso vicino all'acqua. Chiacchieravano fitto fitto e si accorsero del loro sopraggiungere solo quando arrivarono a camminare sui ciottoli. Ogni loro passo faceva un rumore di frana.

– Stasera funghi! – annunciò Celso con soddisfazione – e per metà è opera di Rey.

– Allora dobbiamo raccomandarci alla Madonna del Pilar – disse Consuelo.

Paco ridacchiò sotto i baffi.

– Ha imparato subito a riconoscerli e a scovarli. Il ragazzo è portato.

– È portato, ma non si applica – disse Consuelo.

Paco si alzò in piedi e si mise tra loro con le braccia alzate: – Pace! Non ricominciate, per favore.

Celso li guardò tutti dal basso in alto.

– Non sprecate questa giornata stupenda. Guardate dove siete. Sentite l'aria che respirate. Fate vostro questo paradiso, i colori, gli odori, la luce. Riposate il cervello e mettete in moto i vostri sensi.

Consuelo lo ringraziò e cominciò a camminare vicino alla riva. Paco tornò a sedersi e accanto a lui si sistemò Rey. Celso si arrampicò su un tronco abbattuto e vi si distese con le mani sotto il mento. Un po' guardava l'acqua e un po' seguiva Consuelo. Poi scorse una fuga di uccelli in volo. Forse erano tordi che si allontanavano dalla zona di caccia. Per quanto l'attività venatoria fosse una tradizione ancora molto radicata, lui non l'aveva mai amata. Quando guardò di nuovo in direzione di Consuelo, si accorse che un cane l'aveva avvicinata e lei lo stava accarezzando. Curioso, scese dal tronco e la raggiunse. Il cane gli abbaiò contro, indietreggiando leggermente.

– Sembra che abbiate fatto amicizia.

– Lo conosco, si fa per dire. Si chiama Gedi. Buono!

– Ai cani non sono mai piaciuto.

Intanto che Consuelo l'accarezzava per tranquillizzarlo, scrutava tra gli alberi intorno a loro. Subito dopo arrivarono Rey e Paco.

– Da dove sbuca quel cane?

– È uno dei cani spariti dal cortile dei Machado. E secondo me, se Gedi è qui, nei dintorni ci dev'essere anche Gregorio Espinosa.

Il golden retriever si staccò da Consuelo e fece pochi passi, voltandosi a guardarla. Poi fece ancora qualche passo e tornò indietro. Lei l'accarezzò di nuovo e il cane ripeté la stessa manovra.

– Forse dovremmo seguirlo – disse Consuelo.

Solo quando tutti si mossero dietro di lui, Gedi sembrò soddisfatto. Purtroppo non seguiva un sentiero e Consuelo rimase indietro, con Paco, mentre il patrimonio genetico da montanaro che Rey si portava dentro e l'esperienza di Celso furono sufficienti a non farsi distanziare troppo. In ogni caso, Gedi ogni tanto si fermava per accertarsi che lo stessero seguendo. Poi, d'un tratto, si fermò puntando un cespuglio. Quando Rey lo raggiunse e vide quello che il cane voleva mostrargli, lo prese e lo trascinò poco lontano, pronunciando una sequela di invettive in ceceo. Poi arrivò Consuelo.

– Non ci posso credere. Ma perché fare una cosa del genere? Non può essere stato Espinosa.

Paco si affiancò a lei e dopo aver guardato oltre il cespuglio, si ritrasse velocemente.

– Povero cagnolino. Chi può aver fatto una cosa simile? Aveva anche una museruola.

– Una strana museruola – disse Rey.

– Si mette ai cani da tartufo – gli spiegò Celso.

– Perché?

– Primo per impedire che li rosicchino e poi per evitare che mangino qualche boccone avvelenato.

– Questa non l'ho capita – disse Consuelo.

– I cercatori di tartufo sono molto competitivi. Alcuni tentano di eliminare la concorrenza avvelenando i loro cani, purtroppo.

– Ma è mostruoso!

– Anche sparare a un povero cane.

Consuelo si avvicinò a Gedi, l'accarezzò e si complimentò con lui. Celso le domandò se era un'esperta nell'addestramento dei cani.

– No, ma una volta avevo un podenco.

– Ah, allora capisco. Scusate un attimo.

Celso tornò vicino al cadavere della cagnetta. Il cespuglio impediva di vedere che cosa stesse facendo, ma Consuelo immaginò che gli desse sepoltura per non lasciarlo preda di altri animali. Quando tornò, aveva in mano la piccola museruola.

– Non può essere stato Espinosa – ripeté Consuelo, turbata – Ci teneva molto ai suoi cani.

– A meno che non sia impazzito – disse Rey.

– Dev'essere qui intorno.

– Proviamo a cercarlo.

– Ma se non sappiamo nemmeno dove siamo noi – disse Paco.

– Sì che lo sappiamo. Conosco questi boschi come le mie tasche. E purtroppo siamo entrati in una zona aperta alla caccia.

– E se Gregorio avesse liberato i cani e poi fosse fuggito? Se il cane che hanno ucciso avesse dato fastidio a qualche cacciatore?

– Ma stai vaneggiando? Un cacciatore non farebbe mai una cosa del genere a un cagnolino. Tuttalpiù cercherebbe di allontanarlo. E poi abbandonare un cane con la museruola significa condannarlo a morte.

– Voglio mandarla a Pérez. Potrebbe tornarci utile in futuro per un'analisi dei pallini che l'hanno uccisa – disse Rey.

Consuelo tirò fuori dallo zainetto una sporta di plastica e gliela porse.

– Immagino quanto ne sarà felice il tuo medico legale.

Mentre Rey girava intorno al cespuglio, Paco e Consuelo gli voltarono le spalle. Poi Consuelo si abbassò verso Gedi, per guardarlo negli occhi.

– Gedi, cerca Gregorio, dai. Cerca, da bravo.

Nello stupore generale, il golden retriever si mosse e come poco prima si accertò che lo seguissero, ripetendo la stessa manovra finché non si incamminarono sicuri dietro di lui. Rey e Consuelo si trovarono affiancati.

– Ha capito? – si domandò Consuelo.

– Di sicuro ci sta portando da qualche parte. Non conoscevo questa tua abilità di comunicare con i cani – disse Rey.

– Io comunico con cani e porci, solo con te non mi riesce di intendermi.

Paco si frappose tra loro per dividerli.

– Adesso basta. Pensate a camminare e non perdete di vista il nostro Gedi.

                  Gil disegnò un asterisco accanto all'ultimo nome della lista. Ci sarebbe voluto il computer per elaborare i dati che aveva raccolto, ma così a occhio non gli sembrava che l'alibi di Espinosa potesse reggere. Cominciava a essere davvero stufo. Si era concesso soltanto una breve pausa, andando per tapas, e prima di completare la giornata con la visita dai Campello voleva prendersi almeno un caffè. Pensò di unire l'utile al dilettevole passando davanti alla casa di Toledo. Quando arrivò, trovò l'agente di guardia beatamente seduto a un tavolino con un bicchiere di rosso sfavillante.

– Stai comodo?

– Sì, grazie.

– E lo credo! Ma che diavolo stai facendo?

– Proteggo Toledo.

– Bevendo vino seduto a un tavolino?

– È stato Toledo a insistere e a procurarmi sedia e tavolino. Dice che così almeno passo inosservato.

– Sì, lo vedo. Il bar è a soli cinquanta metri da qui. A nessuno verrebbe mai in mente di chiedersi perché uno dei suoi tavolini è espatriato. In ogni caso non ti risulta che sia leggermente sconsigliato bere in servizio?

– Non sto bevendo. Io sono pure astemio. Fa parte della scena.

Gil ci rinunciò.

– Toledo è uscito, oggi?

– No. Ha detto che la domenica è sacra e che la dedica totalmente alla famiglia, quando non va a caccia. Devo dire che mi è sembrato un po' depresso. Lui è sempre andato a caccia con i suoi amici e adesso due sono morti e l'ultimo non si sa che fine abbia fatto.

– Anch'io sono un po' depresso. Ho parlato con quindici persone e adesso devo andare a Santo Domingo de Silos a parlare con i genitori di Campello.

– Ti va bene che è una bella giornata. Freddina, ma bella.

Gil sospirò.

– Se ci sono problemi, chiamami.

Mentre apriva lo sportello della macchina, Gil pensò a Consuelo. In fondo non aveva il diritto di lamentarsi: Consuelo si era dovuta fare molta più strada di lui. E non era neanche sicura di trovare Celso Gallego. Lui, invece, poco prima, aveva telefonato ai coniugi Campello, chiedendo se poteva andare a trovarli e loro erano stati gentilissimi. Lo stavano aspettando. Mantenendo una velocità rispettosa dei limiti, in quarantacinque minuti sarebbe arrivato a destinazione. Stava per mettere in moto, quando bussarono al suo finestrino. Gil fece scendere il cristallo, riconoscendo uno dei testimoni con cui aveva appena parlato.

– Mi scusi. L'ho vista qui e ... prima mi sono dimenticato di dirle una cosa.

– Prego, mi dica.

– Quella sera l'ho sentito urlare con qualcuno al telefono. Era davvero arrabbiato. 

– È proprio sicuro che fosse la sua voce?

– Sicurissimo.

– E non ricorda cosa diceva?

– Più o meno... dovete smetterla di provocarlo... state giocando con il fuoco. Qualcosa del genere.

– Si ricorda a che ora c'è stata questa telefonata?

– Saranno state le sei e mezza del pomeriggio. La palestra aveva aperto da poco quando sono arrivato. Espinosa era nella sala delle lezioni individuali, con la porta chiusa, ma si sentiva dall'ingresso.

– Mille grazie, mi è stato molto utile. Mi rammenta il suo nome?

Gil tirò fuori dalla tasca la sua lista e accanto al nome appuntò "18:30 telefonata". Poi avviò il motore e partì, rimuginando. E se quella telefonata l'avesse fatta a Manuel? Purtroppo il cellulare di Campello non si era trovato, ma se fossero riusciti a rimettere le mani su Espinosa, avrebbero potuto esaminare il suo per scoprire se quella telefonata l'aveva fatta a lui. Gli risultava che Espinosa aveva tenuto una lezione alle 19:00. Le sue lezioni duravano 45 minuti, quindi Espinosa sarebbe potuto uscire dopo la lezione per essere a Santo Domingo de Silos alle 20:30. Poteva aver incontrato Manuel e discusso con lui. L'aveva ucciso ed era tornato ad Aranda. Nessuno dei testimoni si era trattenuto in palestra oltre le 22:30. Quindi Espinosa avrebbe potuto chiudere la palestra un'ora prima e ripartire a tutta velocità per Segovia. La discussione doveva aver avuto a che fare con Machado. In ogni caso, il suo alibi non reggeva.

Dolores e Bruno Campello lo accolsero con rigida cordialità. Sembravano molto tesi e a disagio. Gil cercò di superare la loro diffidenza in qualche modo. Quando si sciolsero un po', gli parlarono di Manuel. Ma Gil non ne ricavò niente di utile. Come aveva detto Delgado? Il martirio di un santo.

Giacché si trovava a Santo Domingo, Gil decise di passare a trovare anche Juan Campello. Intorno al monastero trovò un certo movimento. Era comprensibile: la domenica era giorno di gite, soprattutto con un tempo come quello. Passò davanti al lavatoio e attraversò il ponte. Juan era in giardino, seduto su una panchina al sole a fumarsi una sigaretta. L'uomo lo riconobbe e lo invitò a sedersi accanto a lui.

– Avete trovato qualcosa?

– Purtroppo non molto. Forse Gregorio ha qualcosa da nascondere, ma per il momento non glielo posso chiedere, perché è sparito.

– Come sparito?

– Sparito lui, la sua macchina e i cani. E non ha comunicato a Toledo la sua intenzione di partire.

Juan si grattò la testa, si guardò intorno, spense la sigaretta in un portacenere che teneva di fianco.

– Oggi sarebbero partiti per la caccia. Possibile che Gregorio abbia deciso di andarci ugualmente da solo?

– Pensa che sia possibile? Senza Toledo?

– Già, poteva almeno avvisarlo. È strano.

– Per caso ha assistito a una telefonata di Manuel con Gregorio, quel pomeriggio?

– Il giorno che l'hanno ucciso?

– Sì, quel pomeriggio Gregorio ha litigato con qualcuno al telefono.

– No, non mi risulta.

– In effetti quella telefonata è stata fatta alle 18:30, forse poco prima, mentre Manuel è andato via da qui alle 18:00. Giusto?

– Più o meno. Non ho guardato l'ora esatta, ma c'era il notiziario, quindi sicuramente non prima delle 18:00 ma magari qualche minuto dopo. Adesso che mi ci fa pensare, però, quando Manuel è salito sul furgone non è partito subito. Forse è stata quella telefonata a bloccarlo per qualche minuto. Ma sono quelle cose che hai sotto gli occhi senza vederle, senza notarle o darle peso. Ricordo che pioveva forte. Non si vedeva da qui a là.

– In quella telefonata Gregorio ha detto qualcosa come "dovete smetterla di provocarlo, state giocando con il fuoco". Se stava parlando con Manuel, secondo lei a che cosa poteva riferirsi o a chi?

Juan ci pensò un po' su, poi balzò in piedi come se gli fosse scattata una molla sotto il sedere.

– I tartufi! I tartufi, i maledetti tartufi!

Gil lo guardò con un certo smarrimento.

– Si spieghi.

                  Mentre seguivano Gedi, Consuelo si avvicinò a Celso. Le sembrava che adesso fosse giunto il suo turno.

– Posso farti qualche domanda?

– Mi chiedevo proprio quando ti saresti decisa a farlo.

– Bene. Vorrei sapere che cosa ne pensi della morte di Manuel e Oriente. E vorrei sapere perché quella museruola era sul muso di Kira. E non dirmi che non ne sai niente, perché non ci credo.

– Hai ragione. Qualcosa so e qualcosa intuisco, ma la verità può essere benissimo diversa da quella che immagino.

– Allora dimmi quali sono le tue intuizioni e da dove partono.

– Qualche mese fa Manuel è venuto a trovarmi. Lui e Oriente da qualche anno andavano a tartufi. Manuel li aveva inseriti nei suoi menù e Oriente ne andava matto. Per questo avevano addestrato la cagnetta a trovarli. E la zona in cui si muovevano è giusto questa. Quando venivano qui a caccia, Gregorio e Gracian cacciavano tordi, mentre Manuel e Oriente cercavano tartufi. Ma lui è venuto da me per chiedermi se sapessi dove trovarne in altre zone.

– Perché voleva cambiare zona?

– Questo non lo so.

– E tu sei stato in grado di indicargliene un'altra?

– Sì, è poco distante da Santa Inés. Mi aveva detto che ci sarebbe andato a dare un'occhiata.

– E che cosa pensi che sia successo?

– Penso che qualcuno potrebbe avergli impedito di tornare qui, non sapendo che avrebbero cambiato zona.

– A chi stai pensando?

– Non lo so. Non ne ho idea. Non conosco i cercatori della zona. Da noi alla Casa Rural vengono per lo più gruppetti di cacciatori. Bisognerebbe andare alla fiera del tartufo e interrogare i cercatori delle bancarelle.

– Quante fiere si svolgono nei dintorni?

– La più grande è a Soria, l'ultima settimana di febbraio. Qui, nelle annate migliori fanno qualche sagra improvvisata, ma è troppo presto per sapere se ne organizzeranno qualcuna. Il periodo pieno della raccolta va da dicembre a febbraio.

Consuelo si accorse che erano intanto tornati in vista del lago.

– Ma ci sta riportando indietro!

– Allora non ha capito – concluse Rey.

– Non è ancora detto – disse Celso.

Consuelo si ricordò del pick up e tirò fuori il cellulare.

Celso le posò una mano sul polso.

– Qui non prende. Bisogna tornare a Quintanarejo per telefonare.

– Grazie. Mi stupivo che non mi avessero ancora risposto.

– Aspetti notizie? – le domandò Rey.

– Sì. Poco prima di arrivare, ho visto un pick up rosso parcheggiato sulla strada. Ho chiesto di sapere a chi appartenga. Potrebbe essere quello di Gregorio.

– Sarebbe la prova definitiva che si trova in questa zona.

– Ma per il momento non possiamo saperlo.

Seguendo Gedi, la compagnia arrivò di nuovo al lago. Qui il cane si fermò e abbaiò verso l'acqua, poi li guardò.

– Bene. Perfetto – disse Rey, guardandosi intorno.

Celso estrasse dallo zaino un cannocchiale, con il quale perlustrò l'intera costa.

– Niente. Non si vede nessuno. Direi che non ci resta che tornare a casa.

– Sono d'accordo – disse Rey.

– Che ne facciamo di Gedi? Bisognerebbe riportarlo ai Machado.

Consuelo pensò al suo viaggio di ritorno. Non poteva passare da Soria. Per lei sarebbe stato davvero troppo. Non se la sentiva.

– Per ora potremmo tenerlo noi e poi riportarlo ai Machado tornando a Burgos. Tanto ci viene di strada – propose Paco.

– Per te va bene, Celso?

– Sì, da noi c'è posto anche per i cani.

Appena raggiunta la strada, i cellulari di Consuelo e di Rey trillarono all'unisono. Dal commissariato di Segovia giunse la conferma che il pick up visto da Consuelo era quello di Espinosa. Gil invece voleva aggiornare Rey sull'esito del suo viaggio.

– Gregorio Espinosa non ha un alibi – disse Rey.

– E il pick up parcheggiato qui vicino è proprio il suo.

– Gil penserà a far spiccare il mandato di cattura. Resta da capire perché l'abbia fatto – disse Rey.

– Tu che ne pensi, Celso?

– Oggi le persone impazziscono più facilmente di un tempo. Basta un attimo e sei fuori controllo. Se ha potuto uccidere due persone a cui era tanto affezionato, non mi stupisce che abbia sparato al suo cane.

– Capisco che in questo momento siate presi da argomenti molto importanti, ma voi non avete fame? – domandò Paco.

– Altroché!

– Allora seguitemi – disse Celso.

Lunedì 9 novembre

                  Quando arrivò Consuelo, Julian Romero era già al computer da un'ora buona, mentre Leo Alonso e Rufo Vazquez stavano discutendo davanti al muro del pianto. Avevano appeso una tabella riassuntiva degli orari in cui Gregorio Espinosa era stato visto o sentito in palestra il giorno del duplice omicidio. L'aveva inviato Gil quella mattina. Consuelo si avvicinò per leggere attentamente. A parte il cliente che aveva terminato la lezione individuale alle 19:45, nessun altro l'aveva visto di persona, quella sera.

– Non ha un alibi. Burgos ha già emesso il mandato di cattura – l'aggiornò Alonso.

– Lo so. Ieri ero con Delgado.

– Com'è andata? Gil è stato molto sintetico.

Consuelo raccontò com'erano andate le cose e aggiunse che avevano fatto rimuovere il pick up, per farlo analizzare dalla scientifica.

– E che c'entrano i tartufi? – domandò Julian, che l'aveva seguita.

– Ve lo dico chiaro e tondo, ragazzi: non ci capisco niente. Se c'entrano davvero, non riesco a collegarli con Gregorio.

– Sa della telefonata delle 18:30?

– Sì. Ma con chi si è arrabbiato e perché? Forse con Manuel? O con Oriente?

– Nel pomeriggio urla a qualcuno "dovete smetterla di provocarlo - state giocando col fuoco" e la sera stessa muoiono Oriente e Manuel. Non vi sembra una contraddizione? Io non punterei su di lui con tanta sicurezza – disse Julian.

– Però il suo coltello è l'unico che non si è trovato. Non ha un alibi decente. E quella sera non si è visto al bar dopo la palestra. Inoltre ha pensato bene di sparire senza avvertire nessuno, con i cani e il fucile. E uno dei cani è stato ritrovato morto, qualcuno gli ha sparato.

– Come ha giustificato il fatto che non si è visto al bar, quella sera?

– Toledo dice che quella sera doveva vedersi con Manuel. Ma a Espinosa nessuno ha pensato di chiederlo, dato che eravamo tutti convinti che fosse rimasto in palestra pomeriggio e sera.

– Ci sono abbastanza prove per accusarlo? – domandò Alonso.

– Più che di prove, parlerei di indizi.

– Ricapitoliamo?

– Mi pare una buona idea. Prendete tutto quello che ci ha comunicato la scientifica e rivediamo tutto da capo.

Julian si rimise al computer. Consuelo, Leo e Rufo gli si sedettero intorno. Julian si diede una pacca sulla fronte.

– Dimenticavo. Ho chiesto a Juan Campello di quel giorno d'agosto in cui il fratello è venuto a Segovia. Lui non ne sa niente. Dice che a volte Manuel era in giro tutto il giorno tra un fornitore e l'altro, quindi non ci ha fatto caso.

– Va bene. Ci abbiamo provato. E hai saputo qualcosa della denuncia di Oriente per quello spaccio di sostanze stupefacenti?

– Sì, non ha avuto seguito. Gli spacciatori hanno cambiato zona e Machado non ha fatto altre denunce.

– D'accordo. Ricapitoliamo.

                  Quando Armando Pérez si ritrovò sul tavolo per le autopsie uno yorkshire terrier, telefonò subito a Camelia Rato perché non sapeva con chi altro sfogarsi. Delgado voleva la prova che a sparare al cane fosse stato un suo sospettato, anche se ancora non erano in possesso dell'arma. E Pérez si domandava che accidenti c'entrasse l'arma, se a uccidere quei due era stato un coltello. Delgado era proprio fuori di testa. Ed era toccato a lui averci a che fare.

– Me ne voglio andare in pensione.

– Ti capisco. Purtroppo non esiste un veterinario legale cui rivolgersi, inoltre il caso è legato ai due omicidi. Insomma, tocca a noi. Anzi, a te, che sei il più vicino.

– Troppo comoda, la scusa. Dovresti essere qui con me.

– Quanto a scuse tu non scherzi.

– E va bene, allora diciamo che mi farebbe piacere rivederti.

– Allora impacchetta il cane e portalo qui.

– Questa è una soluzione che mi piace. Arrivo.

                  Proveniente da Madrid, la squadra di ricerca con un bloodhound addestrato giunse a Quinta San Pedro a mezzogiorno. Delgado nel frattempo era andato dai Machado a prelevare una giacca che Espinosa utilizzava nelle sue escursioni, per permettere al cane molecolare di seguirne la traccia. Nell'occasione avrebbe voluto riportare indietro Gedi, ma al momento di partire non si era trovato. I quattro agenti, con il bloodhound, Delgado e Celso, che li avrebbe ricondotti nel luogo dov'era stata rinvenuta la cagnetta Kira, si mossero subito. Paco decise invece che ne aveva avuto abbastanza. Se ne sarebbe rimasto disteso al sole con Gedi, che era riapparso da poco, assetato e con un mucchio di foglie secche attaccate al pelo. In ogni caso, Paco si sarebbe tenuto alla larga da quella caccia all'uomo che non lo riguardava.

                  A Segovia regnava incontrastata l'indecisione, ma dopo una rilettura delle informazioni più importanti, si stava giungendo a un'intesa.

– Allora siamo d'accordo che l'arma dei delitti è il coltello di Espinosa?

I tre agenti assentirono all'unanimità.

– Espinosa ha capito che ci saremmo arrivati presto e perciò ha preferito fuggire – disse Alonso.

– E dove è andato a nascondersi?

– Probabilmente in quei boschi che frequenta spesso e che conosce benissimo.

– Credo che tu abbia ragione, ma come lo troviamo?

– Se mandassimo un drone a perlustrare? – propose Julian.

Consuelo lo guardò perplessa.

– Perché, la scientifica ha un drone?

– Non lo so, ma si può sempre chiedere.

– Ah, ecco. Chiedi. Intanto io mi vado ad avvelenare alla macchinetta.

Consuelo si allontanò, seguita da Leo e Rufo, che avevano trovato ottima l'idea della pausa caffè.

Mentre aspettava il suo turno, Alonso disse:

– Io ho un amico che lavora per un'azienda vitivinicola. Usano il drone per sorvegliare i vigneti dall'alto. A quanto pare, questa tecnologia sta proprio prendendo piede.

– Sì, l'ho sentito dire – rispose Consuelo.

– La scientifica non ha droni. Mi hanno riso in faccia – disse Julian, sbattendo giù la cornetta.

– Mi pareva!

Consuelo fissò Alonso.

 – Pensi che sia molto difficile che l'azienda dove lavora il tuo amico ci noleggi il drone per qualche ora?

– Non ne ho la più pallida idea. Ma chiedere non costa niente.

– Chiedi.

– E i soldi dove li prendiamo?

– Poi si vede. Intanto chiedi.

                  Delgado si sedette su un masso vicino alla riva del lago e guardò Celso negli occhi, con un sorriso ironico.

– Mi sembra che questo campione non abbia fatto meglio di Gedi. Ci ha portati esattamente nello stesso posto.

– Allora vuol dire che il posto è questo – disse Celso, grattandosi la fronte.

Entrambi guardarono l'acqua come se volessero ricavarne la soluzione del mistero.

– Sarà salito su una barca? – si domandò Celso.

– Vedi barche tu?

Celso afferrò il cannocchiale e perlustrò con attenzione tutta la riva, muovendosi di un millimetro alla volta.

– No, ma c'è una fessura tra le rocce, laggiù. Potrebbe trattarsi di una grotta che da qui non vediamo.

– Come ci si arriva?

– Calandoti dall'alto, se sei uno scalatore, oppure in barca.

– Hai una barca, Celso?

– No, ma avrei qualche canoa.

– Vogliamo farci un giro?

– Per oggi non si fa in tempo. Fa buio troppo presto.

Uno degli agenti si avvicinò a loro.

– Non si sarà suicidato?

– Gregorio sa nuotare benissimo. Dubito che sceglierebbe di suicidarsi per annegamento – disse Celso, sicuro.

– Possiamo tentare di fare il giro del lago, fin dove si può. Magari ha fatto il bagno ed è risalito da un altro punto della riva. Il cane potrebbe ritrovare la traccia.

– Fare il bagno qui è quasi impossibile d'estate, figuriamoci adesso. La temperatura è troppo bassa. C'è da rimanerci secchi.

Ma Delgado pensò che tanto valeva sfruttare il fiuto del cane fino in fondo.

– D'accordo. Fate il giro della riva.

– Agli ordini, commissario.

Rey e Celso rimasero dov'erano.

– Espinosa conosce molto bene questa zona, vero?

– Sì, ci viene da decenni.

– Se tu fossi al posto suo, dove ti andresti a nascondere?

– Non mi viene in mente niente. Una volta ci siamo costruiti una casa sugli alberi, ma è crollata nel giro di qualche anno.

– Potrebbe averla rimessa a posto?

– Tutto può essere.

– Sapresti ritornarci?

– Sicuramente, ma è troppo lontano. Potremmo andarci domani mattina.

– D'accordo. Però ci facciamo prima un giro in canoa.

                  Quando anche l'ultimo pallino di piombo tintinnò nella bacinella d'acciaio, Camelia Rato interruppe la registrazione.

– Le lastre e i pallini vanno alla scientifica. Il referto provvisorio lo mandiamo a Delgado.

– Ti lascio la salma.

– Sei molto gentile, Armando.

Pérez rise.

– Però ti devo un aperitivo. Qui sono in trasferta, quindi dovrai guidarmi tu. Preferirei un posticino tranquillo, dove si possa fare due chiacchiere in pace.

– E no, mi devi molto di più, mio caro. Pretendo almeno una cena.

– Ah, donna avida e pretenziosa... E va bene, cedo mio malgrado alle tue esagerate richieste.

Camelia sorrise.

                  Quando Julian aveva fatto l'ingrandimento della foto di gruppo degli amici di Aranda, Consuelo l'aveva appeso al muro del pianto. Ogni tanto il suo sguardo veniva attratto da quei volti giovani e sorridenti. Sei vite che si erano intrecciate per molto tempo; sei ragazzi che erano cresciuti insieme, trovando equilibri a volte precari, a volte perfetti, tra caratteri, sentimenti, gusti, amori e odi. Ma le persone cambiano e può accadere che i cambiamenti lacerino le amicizie. Così era avvenuto tanto per Celso, quanto per Hernando. Nell'affrontare quel caso si erano concentrati sull'arma, forse perché era l'unica certezza su cui potevano contare, ma non avevano mai individuato un movente. Consuelo si ritrovò a riflettere che ciò rischiava di portarli fuori strada. Probabilmente avrebbero dovuto approfondire meglio le dinamiche psicologiche di quel gruppo.

Alonso entrò nel suo ufficio e si sedette di fronte a lei.

– Ci prestano il drone, ma per un giorno soltanto. Non perché in questo periodo sia impegnato, ma perché il mio amico non ha ferie, e senza di lui quel coso non funziona.

– Molto bene. Quando?

– Domani.

– Voglio che andiamo tutti. Julian potrà seguire il lato tecnico mentre noi, se dovessimo avere fortuna, potremo intervenire per effettuare l'arresto.

Leo osservò l'espressione poco entusiasta di Consuelo.

– C'è qualcosa che non va?

Consuelo sbuffò.

– Il movente. Dov'è il movente? Perché diavolo Gregorio avrebbe dovuto uccidere il suo compagno e uno dei suoi migliori amici?

– Lo so. È una storia che non convince neanche me. Ma prendiamo la teoria del tartufo. Un raccoglitore del luogo s'incazza con Oriente e Manuel perché hanno invaso la sua zona. Arriva perfino a minacciarli. Esasperato, decide di farli fuori. Come mai usa il coltello di Gregorio?

– E se fosse quello dell'artigiano? Come si chiama?

– Tito Jordi.

– Sì, lui. Hai notato anche tu che nella sua bottega c'erano delle piccole museruole? Ne aveva una uguale la cagnetta uccisa. Da Jordi probabilmente si riforniscono i cercatori di tartufo. Non potrebbe averlo preso uno di loro?

– Jordi non gliel'avrebbe mai venduto.

– Mettiamo per assurdo che gliel'abbia sottratto.

– E ha usato proprio quello per ucciderli? Sarebbe una coincidenza veramente pazzesca.

– Lo so, lo so. Dammi un altro movente.

– La gelosia?

Consuelo lo guardò.

– Dai, arrampicati sugli specchi.

Alonso rise.

– Vediamo. Gregorio è da sempre innamorato di Manuel, però lui ogni tanto si lascia distrarre. E se a distrarlo fosse stato Oriente?

– Ti ricordo che Oriente era sposato.

– E allora? Non significa niente. Potrebbe essere nata una storia tra lui e Manuel. E Gregorio l'ha scoperto.

– E non ha potuto sopportare un tradimento simile. Quindi prima ammazza Manuel e poi Oriente.

– Già. Quel pomeriggio Gregorio litiga al telefono con Manuel. Forse c'entrano davvero i tartufi. Com'è che gli dice? Dovete smetterla di provocarlo. Il plurale si riferiva a lui e a Oriente. Gregorio sapeva che per loro andare in cerca di tartufi in quella zona era diventato pericoloso. Si arrabbia per questo, perché è preoccupato. Ma non gli basta parlargli al telefono. Molla la palestra e va a Santo Domingo a trovarlo. Litigano di nuovo, ma questa volta è peggio. Gregorio va fuori di testa e lo pugnala. Una volta ucciso lui, Gregorio perde il lume della ragione e incolpa di tutto Oriente. Torna in palestra. Sono le dieci e mezza e non c'è più nessuno. Chiude. Prende il pick up e schizza a tutta velocità verso Segovia. Fa fuori anche Oriente e torna a casa.

Consuelo alzò un dito per bloccarlo, poi sollevò la cornetta del telefono e digitò un numero.

– Anson, è stato già eseguito il sopralluogo in casa di Gregorio Espinosa? ... E in palestra? ... Ho capito. Grazie.

Consuelo chiuse la comunicazione.

– Non hanno trovato tracce di sangue da nessuna parte. Nemmeno nel pick up.

– Può aver gettato via i vestiti che portava quella sera. O potrebbe addirittura averli indosso.

– Certo. Tutto può essere.

– E poi la sua fuga è una confessione di colpevolezza. Che cosa vogliamo di più?

– Forse hai ragione. Ma perché uccidere anche il cane?

– Perché anche il cane aveva le sue colpe. Era lui che trovava i tartufi.

– Ok, se è come dici, abbiamo a che fare con un pazzo, armato e pericoloso. Portiamoci dietro tutti i ferri che abbiamo.

– Sono perfettamente d'accordo. Come ci organizziamo?

– Organizza tu. Io vado in palestra e poi, per una volta, me ne torno a casa presto.

                  Per Armando Pérez non era certo la prima volta, ma un colpo di fulmine come quello non se l'aspettava proprio, alla sua età. Si domandò se gli sarebbe stato fatale. Mentre Camelia si preparava, lui fu abbandonato in soggiorno tra librerie, poltrone, cuscini, abatjour con le frange e Mozart in sottofondo. Di che stroncarlo, insomma. Studiando gli scaffali trovò molti dei suoi libri preferiti. A quelli che non conosceva o che non gli erano piaciuti non badò affatto. La sua consapevolezza aveva già iniziato a essere selettiva. Era spacciato. E quando Camelia si presentò, gli diede il colpo di grazia.

– Mia piccola principessa, davvero stai uscendo con me?

Le afferrò delicatamente la mano per baciarla con un inchino.

– Pérez, tu mi piaci.

Martedì 10 novembre

                  Delgado si preparò evitando di far troppo rumore per non svegliare Paco. Cominciava a sentirsi in colpa per averlo trascinato in quella vacanza che per lui si era troppo presto trasformata in lavoro. Ma era consolato dall'idea che Paco non si annoiava mai, trovando sempre il buono in ogni situazione. Per quel giorno, per esempio, aveva programmato una bella passeggiata nel bosco con Gedi, quindi poteva andarsene tranquillamente per i fatti suoi, in compagnia di Celso. Guardò ancora una volta Paco, che russava leggermente, poi aprì la porta e la richiuse alle sue spalle.

Nel salone trovò Celso che stava riempiendo un piccolo zaino, mentre un altro, grande il doppio, era già chiuso.

– Buongiorno, Celso.

– Buongiorno a te. Il tuo zaino è già pronto.

Rey si avvicinò e sollevò lo zaino per saggiarne il peso.

– Ma che diavolo c'è qua dentro?

– Un kayak biposto gonfiabile.

– Accidenti!

– Il resto lo porto io.

– E cioè?

– Il gonfiatore, due pagaie, due giubbotti salvagente e la colazione.

– Accidenti – ripeté Rey, tornando a sollevare lo zaino.

– Non fare tante storie. Sei grande e grosso. E il kayak pesa solo 13 chili.

– Davvero? Direi molto di più.

– È la tua immaginazione. L'occhio induce il cervello a ingannarsi. Quando non lo vedrai più, perché ce l'avrai dietro la schiena, le tue spalle comunicheranno al cervello che non è affatto pesante.

– Perché credo a qualunque stronzata mi dici?

– Perché so essere molto convincente.

Celso chiuse lo zaino e se lo mise in spalla.

– Allora? Che aspetti? Tra poco sarà giorno.

Rey sospirò. Sollevò il kayak e si agganciò la cintura. Poi, parlando con se stesso in ceceo si avviò all'uscita, pungolato da Celso e spinto dal proprio orgoglio.

                  Consuelo si aspettava qualcosa di più grande, invece il drone era una specie di ragno a quattro zampe, alto quanto uno sgabello, con sei sottili bracci che terminavano con piccole pale. Inoltre non era dotato di grande autonomia e chi lo telecomandava doveva restare a portata di Wi-Fi. Sull'espressione del suo viso si poteva leggere chiaramente la portata della sua delusione. Stavano per farsi supportare da un giocattolo in un'operazione che non era propriamente un gioco. Ma guardando le facce esaltate di Julian e del nuovo arrivato, Sebastian, Consuelo non ebbe cuore d'interrompere l'esperimento. La sua unica raccomandazione fu di mantenere per quanto possibile il massimo silenzio. Raggiunsero la Laguna Negra alle dieci. La temperatura non era troppo rigida grazie al sole che splendeva in un cielo azzurro e terso.

– Possiamo cominciare da qui – disse Consuelo.

Sebastian collocò a terra il drone a poca distanza da loro, poi tornò indietro e sistemò il suo PC su una roccia. Lo accese e si mise all'opera, descrivendo a Julian quello che stava facendo. Infine mise nelle mani di Julian un telecomando che serviva a gestire la telecamera, mentre lui si sarebbe occupato di quello che aveva appeso al collo, con cui avrebbe manovrato i comandi di volo del drone. Quando tutto fu pronto, Sebastian lo fece decollare. La pace dei luoghi fu immediatamente sconvolta da un rumore che sembrava quello di un intero alveare che stesse abbandonando l'arnia in preda al panico.

Consuelo si avvicinò al monitor per seguire le immagini.

– Fantastico! – disse Julian.

– Sapevo che ti saresti divertito. Solo, cerca di ricordarti anche perché siamo qui.

– Non me lo scordo, non preoccuparti.

Consuelo si rese conto che Julian le aveva dato del tu, per la prima volta e senza chiederle il permesso. E ne fu contenta.

Sul monitor passarono le immagini del lago, poi delle rive coperte di vegetazione, quindi iniziarono le rocce e sempre più in alto un'ampia radura che confinava con il bosco, poi il drone scese sulla sinistra del lago, e di nuovo rocce che degradavano nel bosco, infine completò il giro tornando al punto di partenza.

– Hai notato niente? – domandò Julian.

– No – rispose Consuelo – Tu cosa hai visto?

– Mi è sembrato di vedere qualcosa, ma non ho capito cosa fosse, dentro una spaccatura della roccia, laggiù – disse indicando col dito.

Sebastian si avvicinò.

– Lo mando a fare un altro giro da quelle parti?

– Sì – risposero in coro Julian e Consuelo.

– Si vede meglio se ce lo fai arrivare da sinistra.

– Va bene, Julian.

Il drone ripartì con tutto l'alveare. Dopo un poco, sul monitor apparve chiaramente la spaccatura nella roccia.

– Resta lì, il posto è quello – disse Julian.

– Guarda. Sembravano gli alberi che si specchiano nell'acqua, invece lì c'è qualcosa di arancione. Aspetta che zumo.

– Una canoa? – disse Consuelo.

– Sembra proprio di sì.

– Allora è così che Espinosa si è allontanato dalla riva. Gedi aveva ragione.

– Sebastian, fallo tornare subito indietro. Con quel rumore rischiamo di mettere in allarme Espinosa.

– E adesso come lo tiriamo fuori da lì? – disse Leo.

– Bella domanda. Intanto appostiamoci dietro gli alberi. Se ci vede non uscirà più da quel buco.

                  Gedi era scappato di nuovo. Paco aveva cercato di inseguirlo per un po', ma non ce l'aveva fatta. Dove diavolo stava andando? Per fortuna riuscì a orientarsi per tornare sul sentiero. Forse Gedi si era stancato, o forse aveva individuato una preda. In fondo era un cane da caccia. Paco decise di terminare l'escursione con una visitina al lago. Lo trovava un luogo magico, se mai ne esisteva uno. Ma quando incominciò a intravedere tra gli alberi lo scintillio dell'acqua, iniziò a sentire a tratti uno strano sibilo, che lo disturbò. Quando infine raggiunse il livello del lago, notò un gruppetto di escursionisti tra gli alberi. Arrivò alla riva in cerca di Rey e Celso, ma dovevano essere già altrove, perché della canoa non c'era traccia. Poi sbucò fuori anche Gedi.

– Ah, ecco dov'eri finito, mascalzone!

– Paco, ti dispiace toglierti da lì?

Paco si voltò sorpreso.

– Consuelo, che ci fai qui?

– Vieni che ti racconto.

A Paco, seduto su un tronco, mentre accarezzava il cane accucciato ai suoi piedi, apparve subito chiaro che doveva esserci un malinteso. Erano Rey e Celso quelli che si erano infilati in quel buco nella roccia.

– Ma sei proprio sicuro?

– Certo che sono sicuro. Sono partiti prima dell'alba.

– E che ci fanno ancora lì dentro?

– Avranno trovato una grotta da esplorare.

– Per quanto possa essere grande, ormai è mezzogiorno. Dovrebbero esserne già usciti.

– Consuelo, se stai tentando di farmi preoccupare, ci stai riuscendo.

– Non voglio preoccuparti, Paco, ma se stavano cercando Espinosa, come mai sono ancora là?

– Forse l'hanno trovato – disse Leo.

Tutti gli sguardi si rivolsero a lui.

– Potrebbe essere la ragione per cui non vengono fuori. Erano armati?

– Delgado sicuramente. Vero, Paco?

– Sì, lui sì. Ma Celso non credo.

– Che facciamo? – chiese Rufo.

– Potremmo dare un'altra occhiata con il drone. Posso farlo avvicinare di più – propose Sebastian.

Consuelo rifletté sulla proposta, valutandone i pro e i contro, e infine assentì.

– Certo che quel trabiccolo fa un rumore!

Sebastian si sentì offeso per il "trabiccolo".

– Commissaria, si tratta di un oggetto d'alta tecnologia. Non mi sembra giusto sminuirlo con il suo appellativo.

– Scusa, Sebastian. Il tuo oggetto d'alta tecnologia fa un rumore infernale. Speriamo che non faccia innervosire nessuno, dentro quella grotta.

                  Nella grotta cominciava a fare buio. Celso, nascosto dietro un masso, non era ancora arrivato alla soluzione del suo problema. Rey era legato come un salame accanto a Gregorio, che sembrava il fantasma di se stesso. L'altro uomo si comportava per lo più come se i due non esistessero, ma un paio di volte si era avvicinato a loro, li aveva guardati e aveva riso come un folle. Inoltre parlava da solo, a voce alta, mentre i due prigionieri potevano solo limitarsi a guardarlo e ascoltare, perché le loro bocche erano ben sigillate con nastro adesivo robusto. Dalla sua posizione aveva potuto vedere e sentire il marchingegno che volava fuori. Dunque qualcuno li stava cercando. Era quello il momento di muoversi. Celso pensò che la cosa migliore da fare fosse quella di sgusciare fuori e tornare indietro a nuoto. Aveva ancora indosso il giubbotto salvagente, ma l'acqua era a una temperatura tale che dopo qualche minuto si sarebbe bloccato, del tutto assiderato. Era questo pensiero che gli aveva impedito di muoversi, fino a quel momento. Dietro le sue spalle c'era un buco nella roccia, dal quale aveva calcolato di poter uscire, se avesse abbandonato il giubbotto. Chi c'era là fuori? E avrebbero potuto intervenire in suo soccorso prima del suo congelamento? Continuava a porsi mille domande. Ma ormai i giochi erano fatti. Si slacciò il giubbotto e tornò a osservare l'acqua. A un tratto Celso sentì nuovamente quel rumore. Fu allora che si decise, osando il tutto per tutto.

                  Consuelo puntò un dito.

– Guarda! Quello è Celso!

– Adesso è certo che qualcosa non vada. Perché sta tornando a nuoto?

– Ma l'acqua è gelata!

Gedi raddrizzò le orecchie. Poi, con decisione improvvisa, galoppò fino alla riva e cominciò ad abbaiare. Paco gli corse dietro, ma forse temendo di essere fermato, il cane si buttò in acqua.

Consuelo continuò a guardare il monitor.

– Voglio vedere dentro quella maledetta grotta.

– Sono in posizione – disse Sebastian.

– Ecco, passo in modalità infrarossi – avvisò Julian.

L'immagine non era chiara, ma una cosa era certa:

– Sono in tre! Se uno è Rey e l'altro è Espinosa, chi diavolo è il terzo?

Nessuno avanzò un'ipotesi.

– I due seduti si muovono, ma sembra che siano legati. L'altro in piedi ha... ma che fa?

Gedi intanto aveva raggiunto Celso. Rufo e Leo erano convinti che il cane si sarebbe fermato ad aiutarlo, invece superò l'uomo che era a pochi metri dalla riva, sebbene molto lontano da loro, e continuò a nuotare proseguendo verso la grotta.

– Ma che fa? Ha un fucile!

In quel momento un colpo echeggiò nella conca e nello stesso tempo il drone perse quota, inabissandosi nell'acqua nera.

– Julian, chiamiamo rinforzi. E preghiamo che non uccida i prigionieri.

– Najarro invece sì che mi ucciderà e dopo mi farà anche dare fuoco e poi spargerà le mie ceneri nella vigna per fertilizzare il terreno – disse Sebastian.

– Te ne compreremo uno più grande e più bello. Non ti preoccupare.

– Ci vorranno tremila euro.

– Considerali già tuoi. Ma adesso taci e lasciaci pensare.

Sebastian tornò dietro gli alberi, a passi mogi e malinconici. Come avrebbe potuto dirlo al suo datore di lavoro senza farsi licenziare in tronco?

Intanto Consuelo aveva tirato fuori dal suo zaino un maglione e una bustina contenente un telino isotermico.

– Più di questo non ho. Andate a prenderlo – disse a Leo e Rufo. Poi si voltò verso Julian.

– Sei riuscito a comunicare con quel computer?

– Sì, mi hanno già risposto. Tra due ore al massimo saranno qui.

– Vado a prendere degli abiti asciutti per Celso, – disse Paco – tanto qui sono inutile.

– Ottima idea.

– E se li ammazza? E noi ce ne stiamo qui comodi ad aspettare i rinforzi? Bisogna fare subito qualcosa – disse Julian, dopo che Paco si fu allontanato.

– Niente panico. Intanto sentiamo cosa ci racconta Celso, poi decideremo. Ho portato un paio di funi. Potremmo calarci con quelle.

– Vengo io con te – disse Julian.

Consuelo osservò verso la fenditura con un binocolo.

– Il cane è entrato. Speriamo che non spari anche a lui. Mi piace Gedi.

Quando arrivarono Leo e Rufo portando quasi di peso Celso, Julian e Consuelo gli si precipitarono incontro.

– Come ti senti?

– Vivo, grazie. E grazie per il maglione, ma l'altra metà del corpo è congelata.

– Che diavolo! Togliti tutto e avvolgiti nella metallina. Dai, togliti anche le scarpe. Paco è andato a prenderti della roba asciutta. Stai al sole. E per favore, raccontaci com'è andata. E chi diavolo c'è dentro la grotta?

– Hernando Cortázar. Abbiamo invaso il suo rifugio segreto. E prima di noi l'ha fatto Gregorio. Per fortuna Hernando non mi ha visto. Mi sono nascosto vicino all'ingresso, dove c'è un altro buco nella roccia.

– Pensi che voglia ucciderli?

– Come si fa a capire le intenzioni di un pazzo? Non te lo so dire. So che vaneggiava. Era molto arrabbiato. Si chiedeva perché tutto il mondo voleva invadere il suo territorio, con tutto lo spazio libero che c'è sul pianeta. Quella è casa sua e lui non ha invitato nessuno. Il succo è questo. Si sente minacciato.

– Tu e Rey siete arrivati là in canoa, hai visto se ne ha una anche lui?

– No, ma forse ci sono altre grotte collegate. Anche Gregorio deve esserci arrivato per la via d'acqua. Non ho mai saputo che fosse uno scalatore.

– Cosa hai visto nella grotta?

– C'è un mucchio di scatolame e una quantità di arnesi. Hernando è sicuramente ben attrezzato. Potrebbe restarsene là dentro per anni. Si è anche costruito dei mobili, sedie, due tavoli, una specie di armadio e scaffali molto alti, dove ha allineato ordinatamente tutte le sue riserve di cibo.

– Deve lavorarci da diverso tempo.

– Sicuramente. Anni e anni. Caspita, a parlare di viveri mi è venuta fame.

Consuelo scavò nel suo zaino e cominciò a distribuire barrette energetiche. Celso la guardò con gratitudine.

– Tu sì che sai organizzarti per ogni evenienza.

– Ho letto uno dei libri che piacevano tanto a Manuel e a Oriente.

                  Paco arrivò alla Casa Rural a tempo di record, con il fiato corto e il morale sotto gli scarponi. Rey era in pericolo. Questo era l'unico pensiero che spazzava via tutti gli altri. Era in pericolo, ma lui non poteva far nulla per aiutarlo, salvo assecondare le decisioni di Consuelo. Di lei si fidava, ma in quel momento nessuna azione gli sembrava risolutiva. Vedeva tutto nero. Si era allontanato per questo. Temeva che il suo pessimismo potesse influenzare quel lavoro di squadra e le sue possibilità di successo. A volte un pensiero negativo è più dannoso di un fucile. Entrò nella stanza di Celso e aprì cassetti e armadio in cerca degli abiti da portargli. Poi cercò una borsa per trasportarli. Trovò un piccolo zaino nascosto in fondo all'armadio e lo aprì. Per un istante vide scorrere davanti agli occhi della mente una storia tutta diversa da quella che gli avevano mostrato. Il suo ottimismo riprese posizione. Quindi telefonò a Gil, che stava già arrivando.

                  Consuelo e Julian si mossero lungo la riva fino a un sentiero che Celso aveva indicato loro. Da quello potevano salire sulla radura che sovrastava la parete rocciosa da cui si sarebbero poi calati.

– Non sarà facile trovare il punto esatto – disse Julian.

– Non preoccuparti. L'acqua è uno specchio. Lo vedremo da lassù.

Quando raggiunsero un cartello che segnalava altre lagune, Julian si fermò.

– Questo sentiero fa un giro assurdo. Se passiamo per il bosco faremo prima.

– Sono d'accordo. Non stiamo facendo un'escursione di piacere e sarebbe meglio non impiegarci tutto il giorno.

Così s'inoltrarono tra gli alberi che facevano da corona al lago. La vegetazione non era fitta, perché dal suolo affioravano rocce su cui non attecchivano le piante. Consuelo respirava profondamente l'odore dei pini, delle foglie che stavano marcendo, della terra umida. Ma a un tratto avvertì un odore di fumo.

– Non senti puzza di bruciato? – disse Julian.

– Sì, lo sento. Da dove arriva?

– Possibile che abbiano acceso un fuoco per far riscaldare Celso?

– E lo sentiremmo da qui?

– Non lo so.

– È forte. Troppo forte.

– Vorrei avere il fiuto di un cane per riuscire a seguirlo.

– Secondo me l'origine è molto vicina.

– Se Hernando vive in quella grotta dovrà pur cuocersi il cibo e riscaldarsi. La sua grotta deve avere uno sfiatatoio da queste parti.

– Sono d'accordo.

Poco dopo da un cespuglio sbucò Gedi.

– E tu da dove arrivi?

– Sembrerebbe asciutto. Questo cane ha raggiunto la grotta a nuoto, ma ne è uscito da terra. C'è sicuramente un buco da queste parti.

Consuelo si chinò sul cane.

– Da bravo, Gedi. Portaci da Gregorio.

Ma il cane non sembrò molto propenso a collaborare.

– Dov'è Gregorio? Portaci da lui.

Infine il golden retriever si mosse verso il cespuglio da cui era uscito e lì si accucciò, appoggiando la testa alle zampe. Era chiaro che non aveva alcuna voglia di muoversi.

Consuelo gli si avvicinò e solo allora vide il buco nella roccia da cui era uscito.

– Da lì può passare solo lui. Noi ci dovremo calare dalla parete.

Julian illuminò l'interno con una torcia.

– No, tu sei abbastanza magra. Ce la puoi fare. Subito dopo l'ingresso, la grotta si allarga.

– Avrei qualche dubbio.

– Io no. Ci passi di sicuro.

– E va bene, ci provo.

Consuelo ci passò a fatica.

– E tu?

– Mi calerò dalla parete. Così lo prenderemo su due lati.

– Mi raccomando, stai attento e non fare pazzie.

– Ti sembro il tipo?

– Sì.

Julian le passò lo zaino e le raccomandò prudenza, a sua volta. Consuelo si assicurò che le sue pistole fossero pronte. Accese la torcia e iniziò a scendere.

Che sfortuna, pensò. Davanti a lei si aprivano due strade. La grotta a destra era più stretta e sembrava proseguire in piano. L'altra era più larga e in pendenza, ma secondo Consuelo portava nella direzione sbagliata. Quindi si infilò in quella più stretta, che quasi subito si sdoppiò ancora. Consuelo si bloccò. Se mi perdo qui dentro sono finita. Ma le favole che ci raccontano da bambini possono tornare utili anche in seguito. Consuelo si ricordò del filo di Arianna. Aveva infilato in qualche taschino dello zaino un gomitolo di nailon. Non ricordava bene come si facesse quel nodo che insegnava il libro, ma cercò di ricostruirlo mentalmente mentre tornava indietro alla prima biforcazione che aveva incontrato. Purtroppo le pareti erano prive di appigli utili, quindi tornò all'uscita e legò il filo a un ramo del cespuglio. Gedi le sbadigliò in faccia.

– Sei di grande aiuto, grazie, Gedi.

Il secondo tentativo fu più fortunato. Le pareti si stringevano e si allargavano, riunendosi verso l'alto ad altezze variabili. Solo una volta si trovò il passo ostruito da un masso troppo alto da superare. E infine, dopo una strettoia da cui si passava a fatica, trovò il parcheggio delle canoe. Ce n'erano quattro, tutte in fila, capovolte. E sulla parete di fronte erano ordinatamente agganciate le pagaie. Consuelo spense la torcia. A pochi passi, davanti a lei, si allargava una grotta. Sicuramente era il rifugio di Hernando. Riusciva a vedere abbastanza bene, perché c'era una luce azzurrognola che arrivava dall'esterno e un'altra più gialla, ondeggiante, che proveniva dal fondo, sicuramente prodotta dal fuoco di cui avevano sentito il fumo. Il silenzio era totale. Il luogo sembrava deserto. Consuelo cominciò a preoccuparsi. Lentamente si avvicinò all'apertura, sporgendo appena la testa per studiare l'interno. Non si vedeva nessuno. Poi le sembrò di sentire qualcosa provenire dalla sua destra, dapprima respiri affannosi, poi qualche lamento. E all'improvviso qualcuno urlò. Consuelo si catapultò nella grotta con le pistole spianate.

– Fermi tutti!

Rey e Gregorio guardarono la donna vestita di nero che li teneva sotto mira, ben piantata sulle gambe. Consuelo riconobbe nell'intreccio dei corpi nudi i due rapiti che era andata a salvare e abbassò le armi, non per sua volontà ma perché le caddero le braccia.

– Sta arrivando il mio collega, Delgado. Per una questione di decoro e una parvenza di rispettabilità, ti consiglio di rivestirti.

– Sei una vera rompiscatole – disse Rey.

– Paco è là fuori che teme per la tua vita e tu sei qui a scopare col primo marcantonio che ti capita sotto mano!

– E bigotta, oltre tutto.

– Vai all'inferno! Dov'è Hernando Cortázar?

– Impacchettato e messo a dormire nella grotta a fianco.

Consuelo andò a vedere, passando accanto al fuoco e ai due che avevano iniziato a rivestirsi. Gregorio era uno spettacolo. Non per nulla Consuelo aveva chiesto solo a Rey di coprirsi. La luce calda delle fiamme accarezzava il suo corpo lucido di sudore, mentre le ombre sfumavano e ammorbidivano i guizzi dei muscoli possenti e dei suoi gioielli di famiglia. Rey aveva tutta la sua comprensione. Come si poteva non cedere a un esemplare simile? Nella sua sfuriata c'era sicuramente un briciolo d'invidia e nell'ammetterlo con se stessa, Consuelo ridacchiò. Sì, c'era soprattutto invidia.

– Hernando sta ancora dormendo. Che cosa gli hai fatto?

– Niente. Non dormiva da giorni. Da quando Gregorio è arrivato qui.

Julian irruppe in quel momento.

– Hai già sistemato tutto? – si stupì.

– Non c'era niente da sistemare. I prigionieri si sono liberati da soli e il sequestratore è di là che dorme.

– Dorme? Non capisco. Che succede?

– Già, che succede, commissario? – domandò Consuelo guardando fisso Rey, che finiva di abbottonarsi i pantaloni.

– Una telefonata anonima ha avvisato Gregorio che a uccidere i suoi amici è stato Hernando. Lo sconosciuto gli ha detto anche che aveva intenzione di uccidere pure lui e Toledo e gli ha detto che poteva trovarlo qui.

– E perciò, invece di avvisare noi, è venuto a farsi giustizia da solo – disse Julian.

– Chi ha sparato a Kira? – domandò Consuelo.

– No! Anche Kira! Bastardo maledetto.

Gregorio si strinse le mani come se volesse bloccarle.

– Ma come può essere? Non si è mai allontanato da questa grotta, da quando ci sono io. Non può essere stato Hernando.

– Allora chi?

Rey fissò il vuoto. Julian si grattò la fronte. Hernando continuò a stringersi le mani. Nessuno rispose.

– Gregorio, spiegami bene. Come sei arrivato qui? Dove hai lasciato i cani? Dov'è il tuo fucile? Raccontami tutto da capo.

– Venerdì sera, verso le dieci, mi è arrivata una telefonata. Era una persona che parlava con un accento strano. Mi ha chiesto se mi ricordavo di Hernando Cortázar. Quando gli ho risposto di sì, mi ha detto che era stato proprio lui a uccidere Manuel e Oriente e che inoltre non aveva finito, perché i prossimi saremmo stati Gracian e io. Poi mi ha parlato di questo posto e mi ha detto che lo avrei trovato qui. Io m'ero già accorto dell'esistenza di questa grotta, ma non m'era mai venuto in mente che potesse essere il rifugio di Hernando. Lo so che avrei dovuto avvisarvi, ma in quel momento il mio unico pensiero è stato di venire qui. Così ho chiuso la palestra, ho riempito lo zaino e mi sono messo in viaggio quella notte stessa. Sono passato da Soria a prendere i cani e il fucile e poi ho dormito nel furgone. Ancora prima dell'alba sono venuto qui al lago e alle prime luci, mentre cercavo di vedere questa maledetta grotta dalla riva, mi sono trovato un fucile puntato dietro la schiena. Era Hernando. Mi ha legato le mani e mi ha fatto salire su una canoa. I cani sono rimasti a riva. E lui da qui non si è più mosso.

– Kira aveva la museruola?

– No, perché avrei dovuto metterle la museruola?

– Ce l'aveva, quando l'abbiamo trovata. È stato Gedi a portarci da lei.

– E Gedi sta bene?

– Sì, è in buona compagnia. È venuto a nuoto fino a qui poco fa, non l'avete visto?

– No.

– Forse eravate troppo impegnati – disse Consuelo.

Julian fu l'unico a non afferrare l'ironia.

– Hai detto che Hernando non dormiva mai. Ma tu dormivi?

– Sì, certo.

– E come fai a sapere che lui non dormiva?

– Lo diceva lui. L'ha ripetuto un sacco di volte.

– E che ne sai che non usciva mentre tu dormivi?

– Di notte?

– Se te lo sei trovato dietro le spalle all'alba, quando sei arrivato qui sabato, vuol dire che se ne andava in giro anche al buio.

Delgado la interruppe.

– Dobbiamo andarcene da questo buco. Organizziamoci, prima che faccia buio.

– Sono d'accordo. Hernando chi lo trasporta?

– Io. Gregorio mi aiuterà a caricarlo sul kayak.

                  Alonso e Vazquez erano gli unici ad attenderli a riva. Julian si domandò che fine avessero fatto i rinforzi. Hernando era sveglio, ma del tutto muto. Si guardava intorno senza reagire. La sua faccia era un muro grigio. Intorno a loro, il buio stava velocemente risucchiando i colori. Gregorio e Alonso trascinarono le canoe e il kayak dietro gli alberi, poi raggiunsero il gruppo silenzioso che stava per risalire il sentiero. Consuelo e Alonso si misero in fondo alla fila.

– E i rinforzi? – domandò Consuelo.

– Sono arrivati, con Gil. Hanno saputo che tu e Julian eravate andati alla grotta e rassicurati se ne sono andati, con Celso e Sebastian.

– Stai scherzando? E se avessimo avuto bisogno di loro?

– Gliel'abbiamo fatto notare, ma Gil ha detto che tu valevi quanto un'intera squadra e che non avevi bisogno di nessuno.

– Questa gliela faccio pagare!

– Comunque hai la soddisfazione di aver salvato Delgado.

Rey si voltò.

– La commissaria Torres non ha salvato nessuno. La situazione era già sotto controllo.

– Fin troppo – disse Consuelo.

– Ho arrestato il colpevole e liberato Gregorio Espinosa. Comunque Gil mi dovrà spiegare alcune cosette.

Alonso ci rifletté per qualche istante.

– Dunque il colpevole è Hernando. Chissà come ci è arrivato a Santo Domingo de Silos e a Segovia. Non mi pare che abbia una macchina.

– No, infatti non ce l'ha. E non ha nemmeno la patente – confermò Julian.

– Commissaria, hai un'espressione che non mi convince. Che c'è? – domandò Leo.

– Niente.

Per quella risposta pronunciata tra i denti, con quel tono, tutti furono certi che Consuelo era davvero infuriata. Nessuno parlò più.

Quando sbucarono sulla radura della Casa Rural Quinta San Pedro, videro tre auto parcheggiate sull'erba e alcuni agenti che fumavano davanti al cancello. Delgado fu il primo ad avvicinarsi. Un agente gli parlò sottovoce e lui fece un cenno d'intesa. Poi gli agenti fecero salire in una macchina Gregorio e in un'altra Hernando, allontanandosi verso Burgos. Quindi, Rey si rivolse agli altri.

– Siamo attesi nel salone.

Consuelo pensò che in ogni caso, prima della fine di quell'inchiesta, avrebbe strangolato Delgado.

Fernando e Paco stavano giocando a carte. Consuelo guardò la faccia sorridente di Gil e si rese conto che l'avrebbe volentieri preso a calci. Ma Delgado gli arrivò a tiro prima di lei.

– Gil! Dammi subito una spiegazione plausibile, o nel giro di mezz'ora l'unico lavoro che potrai trovare sarà nella legione straniera.

Gil e Paco posarono le carte sul tavolino, contemporaneamente.

– Capo, abbiamo l'assassino. Ha confessato. È già in viaggio per Burgos. E a trovare le prove è stato Paco. Voi non avete mai corso alcun rischio.

Consuelo sfoderò una delle sue pistole e cominciò ad accarezzarla, guardando Gil con occhi di fuoco.

Delgado si rivolse a Paco.

– Vuoi raccontarmi tu di che diavolo sta parlando?

– Sta parlando di Celso. È stato lui a uccidere Manuel e Oriente. Inoltre aveva in mente di uccidere anche Gregorio e di far ricadere la colpa su Hernando. Poi avrebbe trovato il modo di vendicarsi anche di Gracian. Ma voleva tenere lui per ultimo, visto che ha una famiglia, e gli dispiaceva.

– Perché? – domandò Consuelo.

– Come ci siete arrivati? – domandò Rey.

Gil decise che toccava a lui spiegare.

– Perché? Per vendicarsi. Perché per anni ha sopportato i soprusi dei suoi cosiddetti amici, le loro offese, le prese in giro, i maltrattamenti, fino a non poterne più, fino a decidere che per lui la solitudine era più salutare di ogni compagnia. Quando Oriente gli ha regalato il coltello, ha giurato che con quello li avrebbe fatti fuori tutti, un giorno. Si è molto rammaricato di averlo perduto già al secondo omicidio. Per questo ha rubato quello di Gregorio. E poi le prove le ha trovate Paco.

Paco approfittò della pausa di Gil.

– Ho trovato un piccolo zaino contenente vestiti sporchi di sangue e ritagli di giornale con articoli che riguardavano i due delitti. C'era anche un cellulare, quello di Manuel, e la licenza di caccia di Oriente. Insomma, souvenir. Lo zaino è stato già inviato alla scientifica.

– Quindi è stato Celso che ha sparato anche alla cagnetta? – domandò Consuelo.

– Le ha sparato con il fucile di Hernando. Voleva che pensassimo a lui come a un crudele assassino, spietato e senza scrupoli. Celso entrava e usciva dal suo rifugio a piacimento, utilizzando un piccolo ingresso nella radura sopra la grotta. Hernando non se n'è mai accorto.

– Ho capito. È quello da cui sono entrata anch'io. A proposito, ho lasciato Gedi a guardia di quel buco. Spero che ritrovi la strada per tornare qui.

– Quando avrà fame lo rivedremo apparire.

– Ma perché la museruola?

– Celso voleva che la museruola vi facesse arrivare a pensare ai tartufi. Visto che Hernando si riteneva l'unico padrone di quel territorio e che considerava i tartufi di sua proprietà, vi voleva offrire un movente per i due omicidi.

– Ci ha raccontato un sacco di balle su questa storia dei tartufi. Ma qualcosa di vero doveva esserci, se ce ne hanno parlato la signora Machado, Juan Campello e persino un testimone della palestra, in modo indiretto – disse Gil.

– Io vado a farmi la doccia – disse Rey.

Consuelo colse l'occasione per congedarsi.

– Bene. Tutte le persone coinvolte stanno raggiungendo Burgos, quindi per il resto ve la vedrete voi. Noi torniamo a Segovia. È stato un vero piacere collaborare con voi.

Delgado si avvicinò a lei, mentre la sua squadra sfilava attraverso la porta.

– Scusami se sono stato un po' scortese nei tuoi confronti, Consuelo. Ho sempre avuto la massima stima per le tue doti. Forse temevo di non essere all'altez ...

Consuelo lo interruppe.

– Ti prego, Rey, lascia da parte questa elegante ma insipida pacatezza che non ti appartiene. Torna a essere quell'adorabile stronzo che sei. E salutami Gregorio.

                  Il viaggio di ritorno a Segovia fu silenzioso per la maggior parte del tempo. Julian era concentrato sulla guida. Leo e Rufo dormicchiavano. Consuelo tentava di smaltire la rabbia e la delusione, seguendo nel buio una luna appesa da qualche parte che ogni tanto sbucava a riflettersi nell'angolo del parabrezza. A un tratto sussultò.

– Ma se Celso entrava e usciva dal rifugio di Hernando a suo piacimento, perché non l'ha ucciso e basta?

Julian la guardò per un attimo.

– Già, perché uccidere tutti gli altri e limitarsi a far finire in galera proprio Hernando, che era il principale colpevole dei suoi maltrattamenti?

Leo tornò ben sveglio, seguendo la conversazione.

– Forse Celso ha pensato che sottrargli la libertà fosse peggio che ucciderlo.

Anche Rufo riprese coscienza.

– Scusate, ma nel manico del coltello con cui ha assassinato i suoi vecchi amici, non c'erano tracce di tartufo?

– Già, è vero! – disse Julian.

– Non sarà proprio Celso il raccoglitore che li stava perseguitando?

Consuelo fece una risatina.

– Sapete? In fondo non sono più affari nostri. Che se la veda Delgado. Ha tanto voluto questa bicicletta e adesso pedali.

Mercoledì 11 novembre

                  L'azienda vitivinicola Tenute de Montejo era un piccolo gioiello, poco a sud di Aranda. Per l'occasione, Consuelo aveva chiesto a Leo e a Julian d'indossare la divisa e anche lei era più elegante del solito, in nero totale. Sperava con questo espediente di offrire un'immagine più autorevole della sua visita. Sebastian per primo ne fu lievemente colpito, trovandoli davanti ai cancelli.

– Siete venuti ad arrestare qualcuno?

– Stupido, siamo qui per pararti il culo. Entriamo – disse Leo.

– Tanto mi licenzia lo stesso – rispose Sebastian.

– Tu fai parlare me. Non t'intromettere. Presentaci e basta – disse Consuelo.

– Agli ordini, commissaria.

Consuelo avanzò sul viale piastrellato con l'andatura di una regina seguita dalla sua corte, sperando che il grande capo li vedesse dalle finestre. Qualcuno in effetti li vide e andò ad avvertire il signor Najarro, che andò ad accoglierli nell'atrio. Guardò prima Sebastian, poi fece una rapida rassegna degli altri e infine il suo sguardo si appuntò su Consuelo.

– Questa è la commissaria Torres – disse Sebastian.

– Che è successo? – domandò Najarro, continuando a guardarla fisso.

– Niente che non si possa sistemare. Possiamo parlarne in privato?

Mentre Consuelo e Najarro si allontanavano verso gli uffici, Julian si allentò la cravatta e poi prese sottobraccio Sebastian.

– Stanotte ho cercato una soluzione e forse ho trovato proprio quella giusta. C'è un gruppo di studenti di robotica a Madrid, che si diverte con i droni. Fa parte di una comunità che sperimenta sistemi all'avanguardia. Pare che riescano a costruirne per qualunque esigenza al prezzo dei semplici componenti. Per loro è un divertimento, oltre che una sfida e noi possiamo farcene costruire uno ancora più performante...

– Performante? Ma come parli?

 – Efficiente. Più efficiente di quello che abbiamo distrutto.

– Lo pagate voi, vero?

– Questo è sottinteso. Naturalmente avranno bisogno di conoscere esattamente quali sono le vostre esigenze. Ti metterò in contatto.

– Va bene. Sempre che il capo non mi licenzi prima.

– Non preoccuparti. Anzi, vai. Forse è meglio se non ti fai trovare ancora qui a bighellonare, quando avranno finito.

– Hai ragione. Vado a preoccuparmi da un'altra parte.

Poco dopo Consuelo uscì dagli uffici, sorridente. Ancora più sorridente sembrava Najarro, che l'accompagnò fino al portone, dove Leo e Julian la stavano aspettando. Al suo avvicinarsi si misero sull'attenti.

– Allora, spero di rivederla presto. Sarò lieto di mostrarle l'azienda e di farle degustare i nostri vini più pregiati.

– La ringrazio, signor Najarro. A presto.

A Leo e Julian non restò che incamminarsi a un passo da lei, in rispetto della forma. Ma una volta fuori dai cancelli, Consuelo si mise tra loro.

– Sebastian è salvo. E adesso non ci resta che procurarci questo benedetto drone. Ci pensi tu, Julian?

– Come ti dicevo in macchina, ho già trovato la soluzione.

 – Bene. Anche questa è fatta. Leo, ho i rubinetti che gocciolano. Non mi avevi parlato di guarnizioni da cambiare?

– Ce l'ho in tasca da una settimana. E anche questi – disse tirando fuori un pacchetto.

– Che cosa sono?

– I tuoi biglietti da visita.

– Ma quanto sono stata buona per meritarmi una squadra come questa?

Intanto erano arrivati all'auto di servizio. Vazquez aspettava al posto di guida.

– Scendi, Rufo. Guido io.

– No, commissaria, la prego!

– Scendi. Non puoi rovinarmi una giornata iniziata così bene.

– Ecco. Lo sapevo.

Rufo scese dall'auto per spostarsi sul sedile posteriore. Julian gli vide estrarre dal taschino delle pastiglie.

– Cosa sono?

– Antinausea.

– E a che ti servono?

Consuelo mise in moto.

– Tra poco lo capirai.