Giulio mi aveva lasciato per l’ennesima volta. La nostra storia non stava in piedi, anche se io avevo tentato con tutte le mie forze di puntellarla come meglio riuscivo. Ma che ci potevo fare? All’assalto di Sandro, o Tommaso, o Roberto, o mille altri, (perché Giulio era davvero un bell’uomo, non si poteva negare) lui era incapace di opporsi. Ma io non ce la facevo a sopportarlo. Io volevo la sua attenzione esclusiva. Mi rifiutavo di dividerlo con chiunque. Ero malato di gelosia.
Giurai che quella sarebbe stata l’ultima volta, che me lo sarei tolto dalla testa, che l’avrei strappato dal mio cuore e ci avrei messo una pietra sopra, definitivamente.
Così la mia vita aveva preso un corso diverso. Me ne stavo per i fatti miei e mi crogiolavo nella mia solitudine, come se fosse l’unico scoglio a cui aggrapparmi, in mezzo al mare in tempesta. Per un po’ di tempo le cose andarono lisce, fino a che non incontrai due vecchi amici che mi costrinsero a tornare in circolazione. Fu allora che conobbi Stefano.
Eravamo a cena in casa di amici comuni. Scambiammo qualche parola, ma mi resi conto immediatamente che la sua timidezza e la mia si opponevano pesantemente a quella conversazione. Avevo un desiderio incredibile di conoscerlo e mi pareva di indovinare lo stesso interesse in lui, ma non riuscivo ad aprire il mio guscio, né a frantumare il suo. Che idiota! pensai quella sera, vedendolo andar via. Ne avevo ricavato solo un sorriso e uno sguardo, all’atto di congedarsi dalla nostra compagnia. Ne rimasi distratto per qualche minuto, finchè non sentii pronunciare il suo nome e un amico dichiarare che Stefano aveva una ragazza bellissima. Ops!
Dimenticare subito. Cancellare la svista. Avevo frainteso.
- Nico, ti vedo deluso. Ci avevi fatto un pensierino? – mi chiese Alex.
- Chi, io? Su Stefano? Ma che dici? – mi difesi.
- Ho visto come lo guardavi.
Mi lasciai prendere in giro per un po’,  in attesa che cambiassero argomento e quando questo accadde, me ne andai.
Ero deluso, sì. Stefano mi aveva colpito molto, non potevo negarlo. Ma era evidente che quello non fosse il periodo più fortunato della mia vita. Dovevo tirare avanti finchè la sfiga non si fosse decisa a guardare altrove.
In quel periodo mi sentivo vuoto, come se il mio corpo fosse completamente cavo. I miei sentimenti si erano rattrappiti e il mio cuore era paralizzato. Mi guardavo allo specchio, la mattina, e nemmeno mi riconoscevo. Faticavo ad uscire, a buttarmi in mezzo alla gente, ad andare al lavoro. I miei colleghi, come sempre, mi ignoravano. I miei amici mi trattavano come se fossi stato molto malato e dovessero sostenermi nella convalescenza. Non avevo neppure la forza di esserne grato.
Una sera, mentre camminavo con Alex, appena usciti da un cinema, mi scontrai con Stefano. Era di spalle davanti a una vetrina ed io lo urtai con forza, mentre si girava per riprendere il suo cammino. Gli chiesi scusa, ma quando si voltò e lo riconobbi, mi si seccò immediatamente la lingua.
- Ciao. – ci disse, sorridendo sorpreso.
- Cia cia, siamo di fretta. Abbiamo prenotato in un ristorante qui dietro. – gli disse Alex, velocemente, tentando di trascinarmi via.
Io mi impuntai come un mulo.
- Ti va di venire con noi? – chiesi a Stefano.
- Io ho già mangiato, ma vi accompagno fino al locale.
Alex, non so perché, ne sembrò irritato.
Io invece avevo voglia di stargli vicino, anche se non significava niente, almeno così credevo.
- Come mai mangiate così tardi? – mi chiese.
- Siamo stati al cinema.
- Anch’io ci vado spesso. Magari, qualche volta potremmo andarci insieme. – propose, con uno sforzo che mi risultò lampante.
- Volentieri. – gli risposi, afferrando al volo quell’occasione che mi sembrava irripetibile.
Gli rifilai un biglietto da visita che avevo in tasca e gli chiesi di chiamarmi. Quando lo afferrò, eravamo davanti al ristorante e Alex mi spinse dentro con una spinta energica, salutando Stefano per tutti e due.
- Ma che ti prende, Alex? – lo rimproverai.
- Lascialo perdere, quello. Non ti farà bene.
- Ma che stai dicendo?
- Lo conosco. Fidati di me. Ho un sacco di altri amici da farti conoscere.
- E che problema c’è a conoscere anche lui? Mica me lo voglio portare a letto.
- Fai come ti pare. Io ti ho avvertito. – concluse Alex, guardandomi con aria di sufficienza.
Non pensavo a Stefano in quel modo. Lo sapevo che non avremmo avuto nessuna storia. Cercavo solo la sua amicizia. Che male poteva farmi?

 

La prima volta che ci incontrammo da soli, non andammo al cinema. Venne a casa mia. Eravamo tutti e due imbarazzati come adolescenti. Stefano si aggirò per il soggiorno osservando i miei libri e finalmente ci sciogliemmo. Avevamo trovato un argomento che ci appassionava entrambi: la lettura. Di lì, non so come, arrivai a raccontargli la mia storia con Giulio, quella che ancora mi pesava sul cuore, anche se tentavo di dimenticarmene. E lui mi parlò di Agnese, la sua ragazza storica. Le voleva molto bene. Me ne convinsi sempre di più, man mano la sua descrizione di lei si faceva particolareggiata e affettuosa.
Stefano emanava soprattutto serenità, una mitezza rilassante, che mi attirava come una calamita. Io ero tanto nervoso, teso, schizzato, quanto lui era calmo, rilassato, sereno. Speravo di assobire da lui un po’ di quelle qualità, frequentandolo. Il fatto che lo trovassi anche affascinante per altri motivi, passò in secondo piano.
Diventammo veri amici nel breve volgere di qualche settimana. Direi che eravamo inseparabili. Quando lui si vedeva con Agnese, io uscivo con i miei amici, ma quando ci vedevamo noi due, eravamo da soli. Non ci piaceva mischiarci con gli altri, come se quell’amicizia dovesse rimanere un paese esclusivamente nostro, in cui potevamo camminare soltanto noi due, e nessun altro.
Il problema fu che, fatalmente, mi innamorai di lui. Merda! Merda! Merda! Eppure lo sapevo che non doveva accadere. Lo sapevo che dovevo stare in guardia, che c’erano barriere che non dovevo superare. Come avevo fatto ad essere così coglione? Beh, c’ero riuscito.

- Pensi di sposarla, prima o poi? Non state già insieme da otto anni? – gli chiesi una sera, che ero particolarmente in vena di farmi del male.
- Non so. Perché dovrei? Sono così abituato alla nostra routine, che non mi va di cambiarne niente.
- E Agnese è d’accordo?
- Non ne abbiamo mai parlato, veramente.
- Beh, se vi sta bene così, va bene per tutti.
Stefano mi sorrise. Era quel sorriso che gli metteva una luce ironica negli occhi, che ogni tanto mi lanciava come un invito a farmi i fatti miei. Io lo raccolsi e cambiai argomento.
Mi chiedevo se per caso avesse compreso quali fossero i miei sentimenti per lui. Evitavo di toccarlo, a volte persino di guardarlo negli occhi, per timore di farmi scoprire. La sua vicinanza mi era indispensabile come l’aria. Di nuovo, com’era stato con Giulio, non volevo perderlo.  Preferivo soffrire. Non ero del tutto normale.
Ma ogni tanto mi incantavo a guardarlo: i capelli neri, lunghi e lucidi, lisci come spaghetti, col ciuffo che gli arrivava negli occhi, costringendolo a scostarlo con un gesto della mano; gli occhi grigi, con screziature più scure, che a volte sembravano di cristallo; il volto magro, triangolare, sempre scurito da una barba leggera; le mani affusolate, come quelle di un pianista. Era sottile e slanciato, ma con le spalle larghe, i bicipiti ben sviluppati, di chi fa regolarmente qualche ora di palestra alla settimana. Mi affascinava la sua andatura dinoccolata e persino il modo di starsene in mezzo al marciapiede, quando ero in ritardo e mi aspettava, girando in tondo, col capo basso, gli occhi fissi a terra e le mani in tasca. Sembrava cercare qualcosa per terra, senza trovarla. Un’idea, forse, o il bandolo di una matassa che si era arruffata irrimediabilmente. Di Stefano mi piaceva ogni cosa, soprattutto il sorriso e lo sguardo che mi lanciava quando arrivavo da lui e pareva felicemente sorpreso, come se non s’aspettasse più di vedermi, nonostante fossi in ritardo di due minuti soltanto. La dolcezza disarmante del suo sorriso, la sua voce calma e pacata, e quegli occhi decisamente felini, mi avevano incastrato. Il mio cuore girava a vuoto, come i miei pensieri impazziti. Rimanevo a guardarlo senza fiato e non potevo farci niente.

 

Quel giorno ero in perfetto orario, quando arrivai da Stefano, sotto il lampione dove ci eravamo dati appuntamento. Quando mi vide, fu diverso dalle altre volte: la sua bocca era improntata a una specie di smorfia triste, con gli angoli all’ingiù, ma, vedendomi, si aprì ad un sorriso, con una tale struggente lentezza che mi sembrò sul punto di pentirsi. Mi sentii male. Cosa gli avevo fatto? Cosa gli avevo detto? Cosa avevo combinato? Per fortuna fu subito chiaro che della sua tristezza non ero colpevole. O forse solo di sfuggita.
- Agnese mi ha lasciato. – esordì.
- Mi dispiace tanto. – mentii.
In realtà, le mie emozioni e i miei pensieri si ostacolavano a vicenda, facendo salti mortali con triplo avvitamento. Mi nacque una timida speranza che non osava neppure affacciarsi alla mia mente. Chiedendogli di raccontarmi tutto, lo spinsi verso casa mia con il folle progetto di farlo sbronzare.
Il suo fu il lungo e particolareggiato resoconto di una lite furiosa, nata tra loro per colpa delle domande che avevo posto a Stefano, sul loro futuro matrimonio. Agnese non l’aveva presa bene. Non avendo alcuna intenzione di sposarlo, aveva colto l’occasione per dirgli esattamente tutto quello che pensava di lui, comprese un paio di cose veramente cattive, a cui Stefano aveva risposto con uguale ferocia. Non riuscivo proprio ad immaginarmelo, lui, così calmo e sereno, urlarle in faccia ogni genere di improperi. Eppure era accaduto. Quando fu sbronzo abbastanza, dopo averlo consolato come meglio potevo, preparai una cena leggera, su cui si gettò come se non avesse mangiato negli ultimi tre giorni, bevendo ancora.
Dopo cena, seduto sul divano, inciampando sulle parole, strascicò:
- Menomale che ci sei tu, Nico. Sei il mio più caro amico. Tu mi capisci. Vero?
Io mi limitai ad affermare con la testa e a stringergli forte una mano. Poi Stefano si addormentò.

I mesi seguenti furono molto tranquilli e non cambiarono in nulla i nostri rapporti. Nonostante Stefano fosse ormai libero, io ero assolutamente convinto che non toccasse a me fare un passo avanti. Era evidente che mi riteneva solo un amico, nonostante trascorressimo tutto il nostro tempo libero insieme. Io mi ero ormai rassegnato ad amarlo in silenzio, anche se non temevo più di toccarlo o di guardarlo negli occhi. Che capisse pure ciò che nascondevo. Non mi importava. E se ciò l’avesse infastidito, che se ne andasse pure e smettesse di frequentarmi. Anche di questo non mi importava nulla. Lo avrei dimenticato, come avevo dimenticato Giulio.

 

Invece Giulio non mi aveva dimenticato e come tante altre volte prima di quella, mi cercò. Il nostro incontro avvenne davanti a Stefano, nel bel mezzo di una cena. Quando bussò alla mia porta, io andai ad aprire con un bicchiere in mano, che, per la sorpresa, lasciai cadere sul pavimento. La scusa di raccogliere i cocci e asciugare il disastro, mi lasciò il tempo di ricompormi e mostrargli la mia più totale benchè falsa indifferenza. Falsa, sì. Non appena il mio sguardo si era posato sul suo volto, il cuore mi si era fermato, riflesso condizionato di un’abitudine antica. Erano dieci anni che ci giravamo attorno. La pietra che ci avevo messo sopra, non sembrava di peso sufficiente a sotterrare i miei sentimenti per lui.
Gli presentai Stefano, che aveva smesso di mangiare, ma era rimasto tranquillamente seduto a tavola.
Giulio lo fissò per qualche istante, poi mi disse:
- Non ce la faccio a starti lontano, Nico.
- Prova a sforzati di più. – gli risposi.
- Mi manchi troppo.
- E allora cosa mi proponi?
- Lo sai cosa voglio.
- Non ce la faccio a dividerti con gli altri, Giulio. Ne abbiamo già parlato.
- A me basterebbe vederti qualche volta, quando non c’è lui.
- Io ci sono sempre. – affermò Stefano, che improvvisamente trovò il coraggio di intromettersi.
- Capisco. – mi disse Giulio, mentre mi imponevo di nascondere il mio stupore.
- Allora sai dov’è la porta. – conclusi.
- Se dovessi ripensarci sai dove trovarmi. – mi rilanciò Giulio, con un ultimo sguardo di fuoco, prima di voltarmi le spalle ed uscire.
Solo allora tornai ad osservare Stefano.
- Tu ci sei sempre? – chiesi in tono ironico. –  Giulio intendeva qualcos’altro.
- Mi dispiace, non avrei dovuto intromettermi. – mormorò, imbarazzato.
- Non importa. Hai fatto bene. Ha pensato che fossi il mio nuovo compagno. Adesso, probabilmente, mi starà alla larga.
- Era davvero quello che volevi? – mi chiese.
- Sì. No. Non lo so. Mi manca. Ma non posso stare con lui, lo sai.
Stefano sorrise, di quel sorriso che mi faceva sciogliere le ossa e temere di non resistere alla tentazione di saltargli addosso. Mi prese la mano e me la strinse forte per qualche secondo, poi ricominciò a mangiare. Io ripensai a Giulio e a tutte le volte ch’ero tornato sui miei passi, pur di trascorrere qualche ora tra le sue braccia. Ero messo proprio bene. L’amicizia di Stefano mi stava uccidendo.
Dopo qualche giorno si fece vivo Alex, per perorare la causa di Giulio. Stefano, anche questa volta presente, si agitava sulla sedia, come fosse seduto su un cactus.
Non capivo cosa potesse importare ad Alex della mia troncata relazione. Non capivo perché Giulio si fosse rivolto a lui per tentare di convincermi che una riconciliazione fosse indispensabile per me. Per me o per lui? Non capivo, soprattutto, lo scopo di questa ingerenza da parte sua. Eravamo amici, sì, ma non tanto affiatati. Questa volta Stefano ci lasciò discutere senza intromettersi, ma quando Alex se ne fu andato, commentò, con espressione angosciata:
- Prima o poi ti convinceranno.
- Fa niente. Non sarà mai come prima.

E infatti non lo fu. Cedetti, ma non ci misi più il cuore. Quello era per Stefano. Trattavo Giulio come lui trattava me. Il nostro rapporto finalmente era improntato ad una perfetta reciprocità. Scopavamo e basta, quando ci capitava. Così eravamo soddisfatti tutti e due.
Sorprendentemente, quando ne informai Stefano, la sua reazione fu di assoluto sgomento.
- Ti avevo giudicato diversamente. Credevo che per te contassero i sentimenti più di tutto il resto.
- Ed è proprio così. Ma anche le necessità del corpo hanno la loro importanza. Non trovi?
- Si può anche resistere.
- Ah sì? E per quanto?
- Per tutto il tempo che occorre. – affermò Stefano, con un’espressione così insolita che non seppi riconoscerla.
Da quella sera non ci fu modo di scrollarmelo di casa. Non ci dormiva, ma era sempre lì, come si fosse assunto il compito d’impedirmi di cercare Giulio.
A me, in fondo stava bene. Certo, quando se ne andava, mi giravo e rigiravo nel letto pensando a lui, immaginando eventi improbabili, sognando situazioni irrealizzabili. Mi giravo quei film nella mente, eccitandomi fino a ridurmi alla sofferenza. A volte non dormivo neanche, ma potevo sopportarlo. Ero convinto che se pure avessimo smesso di frequentarci, per me non sarebbe cambiato nulla. Lo amavo profondamente, di un amore cieco e sciagurato, che non cercava scuse.

 

Era una serata strana. Stefano sembrava rimuginare nella mente strani e tristi pensieri. Era più silenzioso del solito. Sapevo che di tanto in tanto era soggetto a quelle crisi di mutismo, ma quella sera avevo come l’impressione che ce  l’avesse con me, perché per un paio di volte aveva risposto seccamente alle mie domande. Ed io ero in una di quelle sere in cui non sopportavo il suo mutismo e la sua tranquillità. Anelavo a far scoppiare un temporale.
- Quand’è che ti cerchi una ragazza? – lo provocai.
Lui mi rivolse uno sguardo offeso.
- E che dovrei farmene di una ragazza?
A quella risposta, fui io a guardarlo in modo bizzarro. Lui sostenne il mio sguardo, per tutto il tempo che mi occorse ad attraversare il soggiorno e ad afferrargli la faccia con le mani.
Poi abbassò gli occhi ed io mi tuffai sulle sue labbra.
Da principio subì senza rispondere, ma poi, all’improvviso, mi baciò come se fosse sul punto di annegare.
Non tornò a casa a dormire, quella notte, né le seguenti. Vivere con Stefano fu molto più semplice che vederci soltanto la sera. A girarmi e rigirarmi nel letto ci pensava lui e poi dormivo sonni tranquilli, pieni di sogni di cui era il protagonista assoluto. Io ero solo lo scenario.  
Scoprii che Stefano parlava nel sonno. A volte mi chiamava e se gli rispondevo mi sussurrava “amore mio”.
Quelle furono le uniche volte in cui me lo disse. Io invece mi divertivo a dirglielo spesso e a gustarmi la faccia che faceva, mentre sprofondava nell’imbarazzo della sua indecente timidezza. Forse, col tempo, sarebbe cambiato. Avrebbe assunto quella tipica faccia di bronzo di cui erano ampiamente dotati i miei amici. Col tempo avrebbe superato la sorpresa di amarmi come mi amava, e me lo avrebbe confessato. Col tempo.