Ci sono un paio di cose che non mi va di confessare alle mie nuove amiche.
1. Il perizoma mi dà fastidio.
2. Sono io che mi sono mangiata mezzo barattolo di nutella, stanotte.
3. Non è vero che non credo nel Principe Azzurro. Ci credo. Solo che penso che non lo incontrerò mai.

Sara e Tania sono due splendide persone, ma è ancora troppo presto per dire se diventeremo amiche per la pelle. Per ora limitiamoci a quello che siamo: coinquiline di un appartamento piuttosto ampio, preso in comune per dividere l’affitto.
Dopo i primi tempi di cauto sondaggio, abbiamo iniziato a mescolare i nostri cosmetici in bagno. Questo è indice di notevole affiatamento, secondo il mio punto di vista. Ragazze che si scambiano il dentifricio sono pronte a confidenze più profonde.
- Veronica, toccano a te i piatti, stasera. – mi ricorda Tania.
Me lo ricorda ogni volta, perché io ho la radicata tendenza a dimenticare le cose che odio.
- Lo so. – confermo sbuffando.
- Lo sa che lo sai, – conferma Sara ridendo – ma le piace mettere i puntini sulle i.
Tania è una precisina. Non è che questo aspetto del suo carattere contribuisca molto a rendermela più simpatica, però capisco che è necessaria. Se non ci fosse lei, Sara ed io avremmo già trasformato questa casa in un caos. Noi sguazziamo nel disordine, forse perché siamo più creative e fantasiose. Ma il nostro è il genere di disordine che la gente normale tende a non comprendere. C’è del feeling tra noi. L’ho capito dalla Nutella. La adoriamo allo stesso modo. Tania, invece, è sempre a dieta. Deprimente. Però non riesce a tenersi lontana dagli alcolici. Sara, dai ragazzi. Sono pari, direi, perché hanno gli stessi effetti su entrambe. Devo ammettere che finora non le ho mai viste sbronze sul serio. Cosa c’è? Non ci si può sbronzare d’amore? Certo che si può.
La convivenza è piena di compromessi, ma finora non abbiamo trovato grossi motivi per tirarci i capelli.

È sabato. Sara ha un appuntamento con la sua ultima fiamma. Non ho ancora memorizzato come si chiama. Quello della settimana scorsa era Fabio, ma appena ho imparato il suo nome, è sparito. Vorrei scriverli sul calendario, così da verificare se hanno qualcosa a che vedere con i cicli lunari.
Tania ha un grosso libro da leggere e la perdo. E io che faccio? Oggi è il mio giorno libero e non ho programmato niente. Vado a fare una passeggiata.
Sono appena arrivata sotto casa, che un beagle mi salta addosso e tenta di accoppiarsi con un mio stinco. Arriva di corsa un tizio, trafelato e imbarazzato, che lo afferra dal collare e me lo strappa di dosso, mettendogli il guinzaglio.
- Scusa. – mi fa.
- Niente, figurati! Sono uscita apposta.
Lui mi guarda un attimo con smarrimento, poi ride. Bel sorriso. Occhi caldi. Un ciuffo nero e ribelle sugli occhi, che sposta con gesto incurante.
- Bel cane. – gli dico.
- Lui è Beagle. 
- Conosco la razza. – affermo.
- No, anche di nome.
- Vuoi dire che hai chiamato Beagle il tuo beagle? 
- Sì.
- Che originalità! Complimenti per la spigliata fantasia! – mi sfugge. Ma questo è troppo.
- Non sono sempre così, ma quel giorno ero a corto di idee.
- Mi rendo conto. 
- E tu abiti qui?
Mi pare che stia scendendo troppo sul personale e quindi resto sul vago.
- In zona.
- Anch’io.
- Allora ci vediamo. – mi congedo, avviandomi verso il centro.
Lui dice “ciao”, ma resta immobile al suo posto, continuando a guardarmi, mentre il cane gli gira intorno legandolo come un salame col suo guinzaglio. Io rido. È proprio carino.
Mentre cammino, mi rendo conto della differenza che c’è tra Sara e me, a parte il colore dei capelli. Lei è bionda, io bruna. Ma questo non c’entra. Se lei fosse stata al mio posto, adesso saprebbe tutto del padrone di Beagle e avrebbe già un appuntamento con lui. Devo farmi insegnare come si fa.
Mentre mi specchio nelle vetrine del centro, ho l’impressione di vedere il riflesso del tizio col beagle, ma quando mi volto non lo vedo più.

È lunedì. Il lunedì sono nera. Perlopiù il mio umore migliora verso sera. Ma, giusto a metà mattina, entra in tabaccheria il tizio del cane.
- Ciao, padrone di Beagle. – lo saluto, sorridendo.
- Ciao. Chiamami Mirko, per favore.
- Ciao, Mirko. Io sono Veronica. Posso aiutarti?
- Un pacchetto di Camel. – mi chiede e io gliele appoggio sul banco.
- Grazie. Ci vediamo. – mi dice, con l’aria indecisa di uno riluttante ad andarsene, ma che è costretto dalle circostanze.
Bene, bene, bene. Mirko. Adesso abbiamo un nome. È già qualcosa.
Sara passa a prendermi alle otto. Saluto mio fratello Matteo e calo la serranda sul suo sorriso.
- Sai, oggi è entrato il tizio del cane. Si chiama Mirko.
- Abbiamo fatto progressi, eh? 
- Beh, mica tanti.
Sara ride. Quello che lei trova incomprensibile è che io non sappia approfittare delle occasioni. Dice che non ho imparato i segreti della socializzazione e credo che abbia ragione.

Ogni giorno rivedo Mirko al bar-tabacchi, ma la nostra socializzazione non migliora. Poi, un venerdì sera mi fa:
- Lavori anche il sabato?
- No. È il mio giorno libero.
- Ti va di venire a fare una passeggiata con me e Beagle?
- Perché no? – gli rispondo. Non aspettavo altro.
- Dove ci vediamo?
- Dove ci siamo incontrati la prima volta. Ti ricordi? 
- Certo, che mi ricordo. Ci vediamo alle quattro?
- Alle quattro va bene. – gli confermo.

E così eccomi qui a decidere cosa mettermi. Ci penso un momento e poi mi rendo conto che una passeggiata con un cane non merita troppo sfoggio di eleganza. Jeans e maglione andrà benissimo. Mi scopro un brufolo sul mento e mi allontano disgustata dallo specchio.
- Che c’è? – mi chiede Sara, vedendo la mia espressione.
- Un brufolo!
- Che tragedia! Proprio oggi! – esclama ridendo.
Sono contenta di scatenare sempre la sua ilarità, ma non oggi. Il mio senso dell’umorismo sta calando paurosamente. Mentre sto per dirglielo, suonano al citofono.
- Chi sarà?
- E che ne so? Perché non provi a chiedere?
Sara va al citofono e chiede, poi si volta verso di me con un largo sorriso.
- È Mirko. Ti aspetta di sotto.
- E come fa a sapere come mi chiamo e che abito qui? 
- E che ne so? Perché non provi a chiedere? – mi rimpalla.
La guardo in cagnesco, sfilando davanti a lei per uscire dalla porta e sbatterla dietro le mie spalle.
Quando arrivo di sotto, Mirko è alle prese con un Beagle molto agitato.
- Scusa se ti ho fatto fretta, ma questo oggi ha voglia di correre e se non lo porto subito al parco mi fa diventare scemo.
- Non c’è di che. – lo tranquillizzo. – Ma come hai saputo il mio indirizzo?
- Ci siamo incontrati qui, la prima volta, no?
La spiegazione non mi è sufficiente.
- E come sapevi il mio nome?
- C’è sull’insegna della Tabaccheria. Quando l’ho visto sul citofono ho capito che eri tu.
- Furbo! – commento - Ma la Tabaccheria non è mia.
- Ah no? E di chi è?
- Di mio fratello.
- Ma ha il tuo stesso cognome, no?
- Certo.
- Allora ho avuto fortuna.
Mi pare che non abbiamo iniziato col piede giusto. La conversazione mi sembra già delirante. Cerco di trovare argomenti più intelligenti, ma lui mi precede.
- Ce l’hai un ragazzo? 
- No. E tu?
- Non sono mica gay!
Lo guardo di sbieco. Mi sta prendendo per i fondelli? Lui scoppia a ridere. Oggi faccio questo effetto.
- Scherzavo. No, sono single.
- E che fai nella vita, oltre che portare a spasso il tuo cane e comprare Camel?
- Disegno.
- Case, mobili, auto? 
- Fumetti.
- Interessante. 
- Mi diverte, e inoltre mi pagano per farlo. Geniale, no? 
- Oh, sì. Assolutamente.
Cala un imbarazzante silenzio. Intanto siamo entrati nel parco e Mirko sgancia il guinzaglio. Beagle sfreccia via come un fulmine.
- Ma poi ritorna? – gli chiedo, vedendolo già lontanissimo.
- Torna sempre.
Di nuovo in silenzio, ci addentriamo nel parco. Mirko cammina a testa bassa, con le mani in tasca. Mi sa che pure lui ha problemi con la socializzazione. Che tragedia. Mi arrovello per trovare una domanda intelligente da fargli e finisce che iniziamo una frase contemporaneamente. Ridiamo.
- Prima tu. – gli dico.
- No, prima tu. 
- Dicevo, hai molti amici? 
- Amici? No. Conoscenti. Colleghi di lavoro. Mi vedo con un paio di vecchi compagni di scuola. Ma amici veri non ne ho più.
- Come mai?
- Mi hanno fregato. Mi ha fregato. Mi è bastato una volta. – ammette, con espressione tra il deluso e l’incazzato.
- E tu cosa mi stavi chiedendo?
- Io? Ah, sì. Vivi con i tuoi?
- No, da qualche mese ho affittato un appartamento con altre due ragazze. Per ora sembra che la convivenza sia sopportabile.
- Ma le conoscevi da prima? – mi chiede.
- No.
- Che rischio!
- Perché?
- Se non ti ci fossi trovata bene?
- Basta fare i bagagli e alzare i tacchi, no? – gli spiego, tranquillamente.
- Certo, se hai un posto dove tornare.
- Ce l’ho. – lo rassicuro.
- Allora è un rischio calcolato.
- Direi di sì. – ammetto.
Di nuovo quel silenzio. Lo rompo io, stavolta.
- Che fregatura ti ha dato il tuo amico?
- Una cosa da poco. Mi ha fregato la ragazza.
- Allora è stata una fregatura doppia. – commento, dispiaciuta.
- Meglio prima che dopo. Stavo per sposarla. – mi confessa, leggermente imbarazzato.
- Capperi! Chissà quanto ci sei stato male.
- Solo un paio d’anni. Adesso mi sono ripreso, non si vede? – mi dice, con un lieve tono autoironico.
- Come no.
Non so perché, ma sono imbarazzata. Mi sembra di aver toccato un tasto dolente e di averlo rattristato. Niente male come prima uscita. Poi, di sua spontanea iniziativa, Mirko si mette a raccontarmi tutta la storia e io non riesco a fermarlo.
- Stavo con quella ragazza da otto anni. E lui era mio amico da molto prima. All’inizio era geloso di lei, perché lo trascuravo un po’. In seguito avevamo iniziato a vederci tutti e tre insieme e lui ogni tanto portava la sua ragazza. Non era sempre la stessa, ma era divertente. Siamo andati avanti per anni. E quando finalmente ho trovato lavoro, ho cominciato a pensare al matrimonio. Volevo proprio sposarmela, Laura. Abbiamo cercato casa. L’abbiamo presa. Abbiamo iniziato a pensare alla cerimonia. E poi lei ha cominciato a rimandare. C’era sempre un ostacolo, trovava sempre una scusa. Finchè un giorno Aldo mi ha preso da parte e mi ha detto che gli dispiaceva, che era molto difficile per lui, ma mi doveva dire una cosa molto importante, che riguardava Laura. Io non ho capito niente finchè non si è deciso a dirmi che si erano innamorati, e che la cosa andava avanti da un pezzo. E dire che io non m’ero accorto di niente. Mi fidavo, capisci? Quando ti fidi ciecamente di qualcuno, non vedi niente, nemmeno le cose più lampanti. Ma farò in modo che non mi capiti mai più.
- Ti capisco. Avrai sofferto molto. 
- Oh, non più del necessario. Adesso sono ben corazzato. Nessuno riuscirà più a fregarmi così.
Questa sua affermazione mi causa un buco nello stomaco. Mi sento male per lui. Penso che la sua vita corazzata gli impedirà di essere davvero felice. Se chiudi il mondo fuori e non lasci più entrare nessuno, rischi di morire dentro. Non è così?
All’improvviso Beagle ci piomba addosso come un proiettile. Evidentemente, si è sfogato abbastanza. Mirko gli riaggancia il guinzaglio e torniamo indietro. L’erba nuova attutisce i nostri passi. Gli alberi cominciano a coprirsi di foglioline verdi. Ma io sono piombata in una tristezza autunnale non molto aderente al paesaggio. È colpa di Mirko. Mi sta trasmettendo il suo stato d’animo.
- Non sono sempre così. – mi dice, come la prima volta che l’ho incontrato.
- Ne sono sicura. – lo rassicuro.
- Ti va di venire a cena con me, sabato sera?
Io lo guardo bene in faccia e gli dico:
- A patto che non mi parli mai più di Aldo e Laura.
- Promesso. – mi dice ridendo. – Ti ho annoiata abbastanza.
- Andiamo a farci una cioccolata in centro, ti va?
- Idea geniale! Adoro la cioccolata.
- Anch’io. – afferma, sorridendo.

Sara ha appena ascoltato il mio resoconto del pomeriggio trascorso con Mirko e mi guarda con fare sornione.
- Bene, bene. Cosa abbiamo qui? Un ragazzo che ti svela i suoi segreti più reconditi, la prima volta che esce con te?
- Ma quali segreti! È una brutta storia che ha vissuto.
- La peggiore, Veronica. Quella da tenere per ultima. Una prima volta deve essere allegra, spensierata, senza ombre. Bisogna mostrare il meglio di sé. Bisogna fare colpo.
- Si vede che non ha letto le istruzioni. 
- È la base. E tu cosa gli hai raccontato di te?
- Niente di che. Abbiamo chiacchierato del più e del meno.
- Non ti ha fatto domande personali?
- Non molte. Ha voluto sapere se ho un ragazzo, cosa mi piace mangiare, cosa faccio quando sono libera. 
- E niente del tuo passato? 
- No. Niente.
- Strano. – commenta Sara, osservandomi con attenzione. – Lui ti ha parlato del suo. 
- E mi ha fatto sprofondare nella malinconia. Proprio una bella mossa.
- Già. Avrà pensato che era meglio non rischiare. 
- Io non ho storie tanto tristi alle spalle. – obietto.
- Menomale!
- Come va con Sergio? – le chiedo per cambiare discorso.
- Ci siamo lasciati. 
- E questo quanto è durato? – le chiedo, senza sorprendermi più di tanto.
- Dieci giorni. 
- Quasi un record.
- Era così noioso che mi veniva il latte alle ginocchia. Un po’ come il tuo Mirko.
- Mirko non è noioso! 
- A no? Allora è il tuo modo di raccontarmelo. – si difende Sara.
- Se te lo rendo più simpatico, poi me lo freghi! 
- Ehi, per chi mi hai preso? – mi risponde Sara ridendo.
Tania sceglie proprio quel momento per fare irruzione in soggiorno.
Non la smettete mai con questa musica a tutto volume?– ci rimprovera, abbassando il volume dello stereo.
- Non ci sembrava così alto. – mi giustifico.
- È perché siete diventate un po’ sorde. – ci accusa.
- La giornata è stata buona? – le chiede Sara, ironicamente.
- È stata pessima, grazie. 
- Non so perché, ma me l’ero immaginato. – commenta Sara, sfrontatamente.
- Io vado a dormire. Buonanotte. – ci dice, scontrosa, tornando in camera sua.
- L’ha morsa una tarantola? – chiedo a bassa voce.
Sara ridacchia.
- Ho l’impressione che sia colpa dell’avvocato. Anche oggi ha trovato una scusa per non portarla a cena.
Tania lavora in uno studio legale e ha avuto la pessima idea di innamorarsi di un avvocato che, senza preoccuparsi minimamente di essere già accasato, le faceva la corte. Ultimamente, però, pare che se lo sia ricordato. Povera Tania, è sempre così incazzata.

È mercoledì. Non vedo Mirko da sabato. Avrà smesso di fumare? Adesso che ci penso, siamo stati insieme tutto il pomeriggio e non gli ho visto fumare nemmeno una sigaretta. Ha davvero smesso. Ma eccolo che, come richiamato dal mio pensiero, mi appare davanti, col suo bel sorriso sereno.
- Ciao, Veronica.
- Ciao. Stavo giusto pensando che avessi smesso di fumare. 
- Ma io non fumo. – mi informa, come se fosse del tutto ovvio.
- E le Camel? – gli chiedo, perplessa.
- Erano per un’amica.
- Ah. E adesso le vuoi o no? – gli chiedo, lievemente irritata.
- No.
- Allora ti spiace se vado avanti con la fila? – ribatto, indicando il piccolo assembramento che si è formato alle sue spalle.
- Fai pure. - mi concede, spostandosi di lato.
Quando anche l’ultimo cliente è uscito, mi risbuca di fronte.
- A che ora ti passo a prendere, sabato?
- Alle otto va bene? – gli propongo.
- Alle otto. – approva.
Mi manda un bacio e se ne va. Matteo mi viene vicino.
- Chi è quello? – mi chiede, con espressione accigliata.
- Uno con cui esco. 
- Lo sai che ti spia tutti i giorni dall’edicola qui di fronte? – mi rivela.
- Cosa? – mi stupisco io.
- Sì, ti spia. Te lo volevo dire prima, ma, quando ho capito che vi conoscete, ho lasciato perdere. 
- Grazie di avermelo comunicato. 
- È un tipo pericoloso? – mi chiede, con espressione sospettosa.
- Non credo. Fino ad ora mi è sembrato innocuo. 
- Basta che dici una parola e vado a spaccargli la faccia.– mi assicura.
- No, Matteo, mi piace la sua faccia. Se c’è qualcosa che non va, sarai il primo ad esserne informato.
- Va bene. Ma sta’ attenta. – mi raccomanda.
- Non preoccuparti, fratellino. – lo rassicuro.

Così adesso il mio sguardo vaga attraverso la vetrina al di là della strada. Ieri Mirko ha comprato il giornale e si è messo a leggerlo di fianco all’edicola per un’ora buona. Oggi non si vede ancora, ma io aspetto.
A cena comunico la novità a Sara e Tania.
- Sapete che Mirko mi spia dall’edicola?
- No! Veronica, non te ne potevi trovare uno normale, almeno tu! – commenta Tania.
- Pensavo che fosse normale. Mio fratello si è già offerto di spaccargli la faccia. 
- Ti tiene d’occhio per evitare sorprese. – afferma Sara. – Visti i precedenti… Ma allora è una cosa seria!
- Che bellezza! – commento, ironica.
- Dai, ti sta solo studiando: è cauto.
- Anche mio fratello. – aggiungo.
- E non entra più in tabaccheria? – mi chiede Sara.
- Non fuma.
- E le sigarette che ha comprato per un mese?
- Erano per una sua amica. 
- Davvero? – dice Tania, con un sorrisino ironico.
- E che ne so? 
- Scopri chi è quest’amica, per piacere. – mi consiglia Sara.
- Questa storia comincia ad insospettirmi. – afferma Tania, tamburellando le dita sul tavolo. – Dove sono finiti gli uomini normali?
- Tutti già presi. – dichiara Sara, che ne sa qualcosa.

Sono puntuale come un orologio. Alle otto esatte scendo in strada. Mirko non c’è. Poi mi cadono gli occhi su un centauro col casco integrale. Lui si toglie il casco e mi saluta.
- Mirko!
- Ciao, Veronica. Ho un casco anche per te. – mi dice, estraendolo da un vano del bolide.
- Non sapevo che avessi una moto. 
- Ci sono un’infinità di cose che non sai di me. – afferma, ridendo.
- Mi rendo conto. – commento. E avrei un paio di esempi da fargli, ma me li riservo per dopo.
Mi porta a tutto gas in un posto sperduto. Non so neppure dove siamo. Se fossi paranoica, a questo punto chiamerei mio fratello per chiedergli di venirmi a salvare. Ma voglio concedergli un po’ di fiducia. Finalmente rallenta e si ferma davanti a un ristorante immerso nel verde. Mi sfugge un sospiro di sollievo.
- Stanca? – mi chiede.
- No. – rispondo laconica.
- Vieni. Qui si mangia benissimo, vedrai.
Il posto è caratteristico. Forse era un mulino, una volta. C’è anche un caminetto. Il locale è già pieno di clienti. Mirko mi porta direttamente ad un tavolo d’angolo, senza aspettare il cameriere, che comunque gli fa un cenno di saluto da lontano, sorridendogli. È evidente che si conoscono.
- Bel posticino. – commento.
- Sono contento che ti piaccia. Hai fame?
- Abbastanza.
- Che hai? – mi chiede poi, guardandomi fisso negli occhi.
Il suo sguardo mi passa da parte a parte. È di quelli che pretendono la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Non so se sono pronta.
- Niente. – rispondo.
- Dai, lo vedo che sei a disagio. Dimmi di che si tratta.
- Ho visto che vieni a comprare il giornale tutti i giorni. Perché non passi a salutarmi?
- Mi sembra di disturbarti. Sei sempre così impegnata a distribuire sigarette a tutti quei tossici. – si difende.
- E la tua amica non ha più bisogno di sigarette? 
- Sei gelosa? – mi chiede ridendo.
- No. – affermo, controllando che la punta del mio naso resti al suo posto.
- Ti ho mentito. Venivo a comprarle solo per vederti, poi le regalavo ad un barbone. – mi confessa.
- Per un mese hai regalato sigarette ad un barbone solo per vedermi? – esclamo, sorpresa.
- Sì, lo ammetto. – ride.
- E ci hai messo un mese a chiedermi di uscire con te?
- Sono un po’ lento, in certe cose. – si giustifica.
Mi sorge un sospetto.
- Non è un caso che ti ha portato alla tabaccheria, vero? 
- Volevo conoscerti. Così sono tornato dove ci siamo incontrati la prima volta, sperando di rivederti. Una mattina ti ho vista uscire dal portone e ti ho seguita. – mi rivela.
- Capperi! 
- Non penserai che mi comporti sempre in questo modo, vero? È stato un impulso irrefrenabile. Mi sei piaciuta subito. Dovevo rivederti.
- O.k. grazie per essere stato sincero con me. – affermo, con la strana sensazione che, a volte, troppa sincerità può anche essere nociva.
- Adesso pensiamo a cosa mettere sotto i denti. – conclude Mirko, passandomi il menù.
Mentre mangiamo, la nostra conversazione si fa rilassata. Mirko è allegro. Sembra un altro. Entro in sintonia. In fondo è facile, basta tenere Laura e Aldo fuori dalla nostra chiacchierata. Quando usciamo, il cerchio di cielo visibile dallo spiazzo, è pieno di stelle brillantissime. Mirko mi prende per mano e, arrivati alla moto, si appoggia al sellino e mi stringe anche l’altra mano. Sono in piedi davanti a lui e lo sto guardando dritto negli occhi. Nel buio li vedo luccicare.
- Mi sto innamorando di te. – mi dice sottovoce, e come suo malgrado.
- Anch’io. – mi lascio sfuggire, suggestionata dal suo sguardo.
Mi abbraccia stretta. Poi mi allontana quel tanto che basta a baciarmi. Mi si scioglie qualcosa dentro. Non mi ero accorta di aver innalzato difese contro di lui. Quando è stato? Quando ho scoperto che mi spiava, sicuramente. Ho avuto paura. Ma ora mi domando perché. Anche lui ha paura. Lo sento. Siamo entrambi spaventati, ma abbiamo bisogno di lasciarci andare, altrimenti il nostro rapporto non andrà da nessuna parte.
A mezzanotte, come Cenerentola, rientro in casa. Sara mi aspetta in soggiorno.
- Come è andata? 
- Bene.
- Bene come? – mi sollecita, con la curiosità che le schizza fuori da tutti i pori.
Quando finisco di raccontarle tutto, si alza dal divano e mi guarda.
- C’è qualcosa che ti preoccupa, Sara?
- Ne ho conosciuti di tipi strani, Veronica, ma questo mi pare da oscar. 
- Secondo me ha solo paura. Teme che io possa farlo soffrire come gli è accaduto con Laura e allora prende tutte le precauzioni. 
- Spero proprio che sia così, e che tu non sia incappata in un pazzo maniaco. – commenta.
- Di solito sei più ottimista di così.
- È vero, ma… beh, magari sono solo un po’ stanca. Andiamo a dormire, che è meglio. 

Mirko mi viene a prendere in tabaccheria all’ora di chiusura. Lo presento a mio fratello e lui risponde con un grugnito, stringendogli la mano con sguardo più torvo del dovuto. Esco in fretta, seguita da Mirko, per evitare storie. Una volta fuori, faccio un respiro di sollievo.
- Giornata pesante?
- Non più del solito. – gli rispondo.
- Sai, mi sono accorto di averti raccontato un sacco di cose di me, ma tu mi hai detto ben poco. Sei ancora un mistero per me. Dimmi qualcosa.
- Che cosa? 
- Non so. Parlami di te. 
Bella richiesta. È di quelle che richiedono un bel po’ di meditazione. Mi concentro.
- Io sono una persona normale. Sono un po’ distratta, spesso non mi accorgo delle cose che mi capitano attorno. Sono disordinata e pigra, quando mi è possibile. Mi emoziono per cose di piccolo conto. Cerco di essere onesta, di non lamentarmi, di non far pesare i miei cattivi umori sugli altri. Sono fedele. Non baro al gioco. Non mi arrabbio quando perdo.
- Sei fedele? In che senso? 
- Nel senso che evito di tradire la fiducia degli altri, e i miei ideali, quando ce li ho, le mie idee, le decisioni che prendo.
- E non ti capita mai di cambiare idea?
- Qualche volta, se ho delle convinzioni basate su informazioni inesatte. È normale, no? Se certe opinioni sono frutto di ignoranza, quando scopri come stanno davvero le cose, allora cambi idea. 
- Quindi lo fai anche con le persone. Se scopri che uno che si dichiarava tuo amico ti pugnala alle spalle, non gli sei più fedele. Lo tradisci in tutta tranquillità.
- Prima cerco di chiarire. 
- Certo. Se scoprissi che il ragazzo con cui stai ti tradisce, tu andresti da lui per chiarire la situazione.
- Naturale. 
- Sei sicura che ci riusciresti? 
- Perché non dovrei?
- Lascia perdere. – butta lì, per chiudere il discorso.
Ne deduco che lui non l’ha fatto. Quando Aldo gli ha confessato di lui e Laura, Mirko non ha chiarito la situazione con lei. Però non ho voglia di chiedergli se la mia intuizione sia esatta. Se ricominciamo a parlarne, ci roviniamo la serata. Siamo a metà strada da casa mia e mi viene in mente che non so dove abita Mirko.
- E tu dove abiti? – gli chiedo.
- Proprio dietro casa tua, nel villino color senape, a piano terra. 
- L’appartamento col giardino pieno di rose!
- Sì, quello. L’avevi notato? 
- Ma certo.
- Lo sai che, quando sono fiorite, il profumo mi stordisce talmente che certe volte devo chiudere tutte le finestre per respirare? 
- Ti tappi in casa per respirare? – e scoppio a ridere.
Anche Mirko ride, poi mi mette un braccio sulle spalle e mi bacia sulla guancia.
Viste le sue insistenze, conduco Mirko nell’appartamento che divido con Sara e Tania, tanto so di non trovarle ancora in casa. Non che ci sia niente di strano. Non abbiamo mai stabilito un netto ostracismo contro i nostri amici, ma, di tacito comune accordo, facciamo salire raramente qualcuno da noi. Mirko, nonostante la sua insistenza a salire, non mostra alcuna curiosità. Si trattiene quasi dal guardarsi intorno e si limita a sedere sul divano, mentre io metto un po’ di musica. Quella, nonostante le tirate di Tania sul volume eccessivo, è una presenza costante. Per me la musica è tutto. Non ne faccio, la ascolto soltanto, ma è come se facesse parte delle cellule del mio corpo. Ne hanno bisogno per vivere, come dell’aria, dell’acqua e del cibo. È sopravvivenza. Lui non commenta. Sta guardando la nostra libreria stracarica, ma se ne resta buono e zitto, sprofondato nei cuscini. All’improvviso gli trovo un’aria tenebrosa e poco amabile. Che succede? Che mi prende?
- Ti va un caffè? – gli chiedo, a disagio.
- Sì, è un’idea. – accetta.
“Idea originale, soprattutto.” mi complimento con me stessa.
Non arrivo in cucina che sento girare le chiavi nella toppa. Tania o Sara?
- Ciao, straniero. Io sono Sara.
- Ciao, io sono Mirko. 
- E che ne hai fatto di Veronica?
- Sta facendo il caffè. – sento che risponde.
Poi Sara si affaccia sulla porta, mentre accendo il gas.
- È sempre così imbronciato, o se l’è riservato per me? – mi domanda.
- Non so. Da quando è salito lo vedo un po’ strano. Mi pare che l’ambiente lo rattristi. 
- Sarà la musica? Vado a cambiare compilation.
Torno in soggiorno col caffè e trovo Sara che tenta una conversazione qualsiasi col mio taciturno ospite, senza molto successo, mi pare.
Mentre beviamo rientra anche Tania. Deve avere un diavolo per capello e lei di capelli ne ha davvero tanti, rossi, lunghi e ricciuti. Ci saluta a malapena e va a prendersi una tazzina in cucina.
- Giornataccia? – le chiede Sara.
- Peggio. Non ce la faccio più. Credo che mi cercherò un altro studio legale in cui farmi massacrare. Sono certa che lo faranno anche gli altri, ma almeno avranno facce nuove.
- Lavori in uno studio legale? – le chiede Mirko, che pare, improvvisamente, riconnettersi col mondo.
- Sì, purtroppo. – risponde la capellona, con un sospiro depresso.
Sai, proprio oggi sentivo che il nostro studio legale sta cercando qualcuno. Magari gli vai a genio. 
Le orecchie di Tania diventano improvvisamente puntute e rosse e il suo sguardo bramoso si fa acuto.
- Dove? Dammi l’indirizzo.
- Tieni. – le dice lui, porgendole un biglietto da visita, apparso all’improvviso da una tasca.
Lupus in fabula. Si dice così, no? I casi della vita. Poco fa mi chiedevo che ci faceva questo sconosciuto sul nostro divano e adesso lo so. È venuto a tirare fuori dai guai la mia coinquilina. Tutto ha un senso, se si guarda bene in fondo. Risolta la questione, Mirko decide che ha dato. Si alza, ci saluta (me con un bacio sulla guancia) e se ne va.
- Carino. – commenta Sara.
- Utile. – aggiunge Tania.
- Strano. – concludo io.
La compilation prosegue con un accorato vaffanculo di Marco Masini. Ma chi ce l’ha messa questa?
- Beh, che si mangia? – chiede Tania, alzandosi di scatto come un pupazzo a molla.
- Fai tu. Lo sai che a noi piace tutto.

Mentre per lavare i piatti abbiamo dovuto decidere i turni, per cucinare, Tania si è assunta subito l’onere esclusivo. Dice che la rilassa. Buon per lei. Sara ed io, invece, ci rilassiamo mangiando, prerogative che rendono tutte e tre perfettamente felici e contente.
- Un po’ chiuso, il tuo amico. – osserva Sara, dopo che la cuoca è sparita in cucina.
- Sì. A volte i suoi silenzi sono così consistenti che trovo impossibile abbatterli.
- Sarà un riflessivo.
- Ed è guaribile?
- Non saprei. – risponde Sara, ridendo. – Certo, sarebbe meglio. Non ti annoi con lui?
- Non ancora. I suoi silenzi sono pieni delle mie domande inespresse. 
- Non per demoralizzarti, ma… non credo che questa storia avrà un lieto fine. Siete partiti male e state andando avanti peggio. 
- Lo so. Sono già sulla china dell’”avanti per forza d’inerzia”.
- Forse faresti meglio a dirglielo. È inutile e deleterio trascinarsi dietro una storia priva di senso. Potreste rimanere amici. – mi consiglia l’esperta dei rapporti usa e getta.
- Ma non siamo neanche amici. Che dici? 
- Allora cosa siete? 
- Boh!
- Ottima risposta, Veronica. Ottima risposta.
- Ci devo riflettere. All’inizio Mirko mi pareva carino. Non dico che su questo abbia cambiato idea, ma poi ho cercato di scoprire altri aspetti di lui, il suo carattere, i suoi gusti, conoscerlo, insomma. Ma è una faticaccia. A momenti buoni, in cui appare aperto e simpatico, alterna momenti di chiusura totale, in cui ti offre il suo broncio come unico appiglio. Il problema è che io mi intimidisco, mi sento a disagio e non riesco a parlarci. Allora resto zitta anch’io e mi deprimo. Che devo fare?
- Niente. Il ragazzo non è per te. Mollalo. – mi suggerisce Sara, con l’espressione delle certezze definitive.
- Penso che lo farò. Avevo l’impressione che stessi innamorandomi di lui, ma forse non è così. Mi fa paura e mi provoca ansia. 
- Mollalo quanto prima. Se fossi io, l’avrei già fatto.
- Non ne dubito minimamente. – rispondo, ridendo io, stavolta.
Il problema è che io non ci so fare. Quanta esperienza ho? Poca. Quante volte mi hanno lasciato? Tutte. Io non ho mai chiuso con nessuno, sono stati i miei boys a lasciarmi, quindi non ho esperienza. E aggiungiamoci che, ogni singola volta, mi sono sentita piuttosto male. L’idea di far soffrire nello stesso modo Mirko, non mi rende entusiasta. Certo Sara ha ragione: prima è, meglio è. Ma come si fa? Cosa si dice? Cosa hanno detto a me?
“Ho bisogno di un momento di pausa.” disse Paolo, che se la faceva con altre due ragazze contemporaneamente e forse non reggeva il ritmo.
“Non sei tu. Sono io.” disse Sergio, il cui egocentrismo non ammetteva visitatori esterni in osservazione del suo gigantesco io.
“Devo ritrovare me stesso.” mi comunicò Andrea, prima di partire in vacanza per Mikonos.
“La tua amicizia è importante per me, non voglio rovinarla.” mi disse Marco, di cui non ero amica e che non conosceva altra amicizia che quella dei suoi compagni di squadra di calcetto.
Allora, che gli dico? Davanti a questo dubbio amletico, farei volentieri a cambio con Sara. Quasi quasi ci mando lei.
Glielo propongo a cena.
- Sei pazza? – mi urla in faccia, come non aveva mai fatto prima.
- Abbassa la voce, Sara, o i nostri vicini penseranno che ci stiamo accapigliando come delle streghe. – la rimprovera Tania.
- Ma l’hai sentita? Vuole lasciare Mirko per interposta persona! 
- Per procura. – sottolinea Tania.
- Che ti costa? – incalzo io – Tu sei più esperta di me. Troverai di sicuro le parole giuste. 
- Sei una fifona. È così che ti comporti di solito? 
- Di solito sono gli altri a lasciarmi.
Sara mi osserva a lungo, con sguardo subdolo e sornione, quindi suggerisce:
- E tu fatti lasciare.
- E come?
- Ma ti si deve dire proprio tutto! Fai la lagna, lamentati di ogni cosa, fatti dispiacere anche le cose che ti piacciono, parla male di tutto e di tutti, fai la rompiscatole, assillalo di messaggini e telefonate, ammorbalo in ogni modo possibile. Non potrà sopportarlo a lungo. E poi, non ti curare del tuo aspetto, fatti vedere sciatta e poco attraente. Sorridi il meno possibile, sii noiosa. – finisce tutto d’un fiato.
- L’idea è brillante, ma ce la farò? Non ho grandi doti di attrice. – commento, perplessa.
- Tutti siamo attori. – afferma Tania con estrema sicurezza.
Sara ed io la guardiamo contemporaneamente con la medesima espressione incuriosita e attenta.
- Beh, che c’è? Voi non recitate un ruolo nelle vostre vite? Tutti hanno una maschera che permette loro di adattarsi al mondo circostante. Chi è mai riuscito ad essere veramente se stesso in ogni momento e con chiunque?
- Hai ragione. – concordo – Ma ammetterai che non è esattamente la stessa cosa. 
- No, certo, ma ce la puoi fare. – afferma Tania.
- Sei d’accordo con Sara. – la accuso, facendo un po’ di broncio.
- Non hai alternative. O lo lasci o ti fai lasciare. La prima ipotesi comporta che tu gli parli chiaramente, ma non ne hai il coraggio. La seconda possibilità ti impegnerà un po’ di più, ma potrebbe anche essere divertente.
- Divertente? Per voi, forse. C’è anche una terza possibilità, comunque, quella che io continui la mia storia con Mirko e vedere come va a finire. 
- La più sconsigliabile. – ribadisce Sara.
Tania non si pronuncia.

Per prima cosa, inizio a rispondere “no” a tutti gli inviti e le proposte di Mirko. Cinema? Non mi va. Cena? Non mi sento bene. Passeggiata in centro? Mi annoio. Niente trucco, niente bei vestiti, niente battutine, niente sorrisi. Mirko, all’inizio lievemente disorientato, si decide infine per una reazione piuttosto singolare: mi si appiccica addosso ancora di più. All’improvviso comprendo il mio errore fatale: sto copiando lui. Sto diventando la sua anima gemella.
Faccio partecipi della mia scoperta le mie due amiche. Amiche? Ho detto “amiche” senza rifletterci. Comunque le due donzelle scoppiano a ridere all’unisono. Sì, anche Tania, che nel frattempo si è allegerita di un lavoro e sta per intraprenderne un altro. A quanto pare le fa bene.
- Non era esattamente questa, l’intenzione. Dovevi fare in modo di rompergli le scatole, abbastanza da farti mollare. Che stai combinando?
- Ho sbagliato approccio. Sono divenuta come lui. Sono diventata la sua anima gemella.
Nuova ondata di risate. Io le guardo come attraverso un vetro molto sporco. Non riesco a partecipare alla loro allegria, forse perché, concentrata sulla mia imbarazzante situazione, le loro ragioni di ilarità mi restano oscure. La mia espressione sconcertata causa in loro un ulteriore stimolo a proseguire senza ritegno. Lascio che si sfoghino, che si asciughino le lacrime e poi insisto:
- E adesso che faccio?
- Cambia tattica. Non c’è altro da fare. – consiglia Sara, ridacchiando ancora.
- Cioè?
- Non hai ancora capito cosa potrebbe infastidirlo?
Medito per qualche istante.
- Forse dovrei tradirlo. – realizzo.
- Bene. E fai in modo che lo sappia.
- Ma dove lo trovo uno che stia al gioco? 
- Che fine ha fatto quel tuo amico del liceo? 
- Chi? – chiedo, cercando di capire come faccia Sara a conoscere i miei amici del liceo.
- Quello che abbiamo incontrato tempo fa al centro commerciale. 
Illuminazione. È Roby, l’amico di Matteo.
- Non era mio compagno al liceo, ma di mio fratello.
- Che differenza fa? Mi è sembrato simpatico. Prova a parlargliene. 
- A chi? 
- Oddio, ti si è incartato il cervello? Al tuo amico. 
- È amico di mio fratello. – insisto.
- E allora non puoi parlargli?
- Ma non lo conosco abbastanza. – chiarisco, con una leggera esasperazione. – E poi, se lo dice a Matteo, quello va a cambiargli i connotati e finisce la storia. 
- E tu falla finire.
- Dai, non scherziamo. Questa è una tragedia.
Sara e Tania si guardano in faccia e ridacchiano contenutamente. Forse comincio a provocare in loro un blando senso di commiserazione.
- Tu non conosci nessuno che potrebbe farti un favore del genere? – propongo a Sara, sconsideratamente.
Sento chiaramente gli ingranaggi delle rotelline mettersi in moto nel suo cervello, poi lei strabuzza gli occhi ed esclama:
- Ma certo! Certo, che ce l’ho. È perfetto. Lo chiamo subito.
Tania mi guarda in modo strano, mentre Sara corre al telefono.
- Ho sbagliato? – le chiedo sottovoce, insospettita dal suo sguardo.
- Temo di sì. – risponde lei, perplessa, sullo stesso tono.

Marcello è alto, bruno, con profondi occhi castano chiaro, liquidi, magnetici e un po’ ironici. Essendo già al corrente di tutta la storia, gli perdono l’ironia, anche se mi sento un verme. Ma loro si divertono. Che c’è di male?
Mi esamina ai raggi x, y e z, sentenzia la prognosi e infine decide di prendermi in cura. La mia gratitudine è inversamente proporzionale al largo sorriso che gli sboccia sulle labbra. Mi sento umiliata. Forse farei bene ad andare di filato da Mirko e dirgli “Senti, ho scherzato.” Ma il solo pensiero mi terrorizza. Perché? Perché ho paura di lui? Non me ne ha mai fornito un valido motivo. Non capisco. E, soprattutto, non mi capisco.
Marcello comincia a farsi vedere spesso in tabaccheria. È simpatico, chiacchiera con chiunque, di qualunque argomento. Mio fratello se ne innamora. Voglio dire che lo prende in simpatia. Mirko non ci trova niente di strano per i primi cinque o sei giorni, poi inizia ad adombrarsi. Io approfitto della sua presenza per flirtare con Marcello. O meglio, per essere precisi, Marcello flirta con me e io tento di stare al gioco. Come sono imbranata! Temo che non mi riesca troppo bene. Però qualcosa di giusto devo aver fatto, perché stasera Mirko mi guarda con odio e mi tratta malissimo.
- Chi è quello scemo che ti sta sempre intorno? – esordisce, con espressione dura.
- Chi? – gli chiedo, tentando, piuttosto bene, l’imitazione di una che casca dalle nuvole.
- Lo sai benissimo chi. – mi risponde freddamente.
- Vuoi dire Marcello? È un mio amico.
Siamo d’accordo di raccontare la balla che siamo amici da anni.
- E di questi amici ne hai molti?
- Sì, abbastanza. Perché?
- Non mi va di vedere che fai la scema con gli altri.
- Faccio la scema? È un mio amico, ti ho detto. Il fatto che tu non abbia amici non significa che io debba necessariamente cancellare i miei dalla mia vita! – rispondo, sinceramente irritata. Adesso mi sono calata completamente nella parte.
- E del fatto che io non lo sopporto, non te ne frega niente? – ribatte acidamente.
- No. In effetti no. Io sono fatta così. Se non ti sta bene, mi dispiace per te, ma io preferisco non frequentarti più. – concludo.
A questo punto Mirko dovrebbe sommergermi sotto una montagna di improperi e poi andarsene sbattendo la porta (se non fossimo in mezzo al marciapiede, a pochi metri dal mio portone). Invece, cosa del tutto stupefacente, si mette a frignare come un bambino di due anni e a chiedermi scusa, come se il bastardo mentitore fosse lui ed io la sua vittima designata. Mi spiazza. Mi sento terribilmente in colpa. Sono un verme che si fa schifo da solo.
- Mirko, scusami tu. Non mi sento a mio agio con te. Volevo dirtelo da un po’ di tempo, ma avevo paura della tua reazione. Non siamo fatti l’uno per l’altra, credimi. Lo so e lo sai anche tu. Scusami, ma è meglio se non ci vediamo più.
Eccole le parole giuste, quelle che avrei dovuto dirgli almeno un mese fa, prima di trasformarmi nella sua anima gemella.
- Non farlo, ti prego. Lo so, ho sbagliato. La gelosia è un mio problema, non è giusto che lo faccia pesare su di te. Puoi vedere tutti gli amici che vuoi, e io non ti farò più scenate. Scusami. Scusami, ma non lasciarmi.
- Mirko, non siamo fatti l’uno per l’altra, te l’assicuro. Con te mi immalinconisco. Non posso farci niente. 
- Ti prometto che cambierò. – mi assicura.
- Perché vuoi cambiare? Tu sei come sei. Non sarebbe giusto che cambiassi per colpa mia. – dissento, con autentica sincerità.
- Ma io voglio cambiare.
- Fai come vuoi, ma io non ce faccio a stare con te. – insisto, drasticamente.
- Ti prego. – aggiunge, con uno sguardo da cane bastonato.
- Non pregarmi, mi fai stare male. 
A questo punto Mirko si ricompone. Mi guarda con infinita dolcezza (inaudito!) e mi prende la mano, come per rassicurarmi che tutto va bene, che ha capito e che accetta le mie decisioni, anche se non le condivide.
- Come vuoi, allora. Ma potremmo restare almeno amici?
Eccola la trappola! Ma noi non siamo amici! Vuoi restare che cosa? Due che si ammorbano a vicenda tre o quattro volte al mese? Per fare che?
- Magari ci sentiamo più in là. – gli concedo, un po’ vagamente, più che altro per porre fine a questa scena patetica.
- Sta bene. – mi fa, sorridendo tristemente.
Poi mi lascia la mano e se ne va, barcollando leggermente lungo il marciapiede.
Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!
Le mie amiche mi festeggiano in soggiorno. Sono ancora emozionata. Ci sono riuscita.
- È stato così difficile? – mi chiede Sara, stringendomi per le spalle.
- All’inizio. Solo all’inizio. Ma una volta che mi sono lanciata, non è più riuscito a fermarmi.
- Bene. Racconta. 
L’ultima parte del mio resoconto le rende un po’ inquiete.
- Quello non ti molla. Vedrai che torna alla carica, con la scusa dell’amicizia. Certi rapporti vanno stroncati sul nascere. Te lo dico io!– commenta Sara.
- Stavolta sono d’accordo con te. – la sostiene Tania.
- Ho sbagliato ancora, vero? –
- Vedremo. – dice Tania.
- Sì, vedremo. – aggiunge Sara.
Come richiamato da un segnale invisibile, si presenta Marcello. Anche lui, dopo aver ascoltato il riassunto dell’ultima conversazione con Mirko, ci rilascia il suo commento.
Se smettessi adesso di venire in tabaccheria, rischieremmo un fiasco clamoroso. Non solo dovrò persistere, ma dovrò trovare anche qualcun altro che ci appoggi. Ma tu non hai amici tuoi? – mi chiede.
- Tutti scomparsi, da quando ho cambiato quartiere.
- Che peccato. Vedrò se posso reclutare qualcuno dei miei. – mi propone, come se stessimo formando il cast di una soap opera.
Se i suoi amici sono simpatici come lui...
Sì, l’idea mi va a genio. Un po’ di allegria nel locale non guasta. I clienti ci vengono più volentieri.
- E inoltre, dovremmo farci vedere in giro. – aggiunge, con ostentata indifferenza.
- In giro?
- Sì, per rendere tutto più plausibile. 
- Perché non ci ho pensato prima? – mi domando, con un leggero tono di ironia.
Lui non coglie.
- Domani sera passo a prenderti con i miei amici e ce ne andiamo al ristorante del Corso.
- Mah! Se lo dici tu.
- Venite anche voi, vero? – chiede alle mie amiche.
- Certo! Mica ci vorrete lasciare qui a fare tappezzeria! –

Ecco come si prepara una comitiva.
Prendere:
1 disoccupato cronico, di famiglia agiata,
3 o 4 dei suoi amici nullafacenti e aggiungere
3 coinquiline per caso.
Shakerare con moderazione e servire.
La prima serata al ristorante è divertente. Le mie coinquiline sono in gran forma, Marcello conduce la conversazione da leader, infarcendola di spunti comici. I suoi tre amici gli fanno il coro. Tutto fila liscio fino all’uscita, quando ci ritroviamo davanti Mirko, inchiodato sul marciapiede come un palo di divieto di sosta. Io lo saluto appena, imbarazzata, le mie amiche mi seguono a ruota. Tutti facciamo finta di niente e continuiamo per la nostra strada, che ci conduce, oltre l’angolo della via, fino ad un punto in cui, verosimilmente, Mirko non può sentirci.
- Ma quello è un vero segugio! – afferma Marcello, stupito – Ti fiuta da lontano?
- Spero di no! Puzzo? – gli chiedo.
- Ma no, hai un profumo buonissimo. Magari prova a metterne meno, non si sa mai. 
- Comunque non era lì per caso. – affermo sicura, guardandomi alle spalle, giusto in tempo per vedere Mirko sbucare dall’angolo.
- Eccolo. – aggiungo a bassa voce.
- Senti, adesso andiamo tutti a casa vostra, così si rassegna e se ne va.
Una volta a casa, mentre i nuovi amici si ambientano, io spio dalla finestra il marciapiede di sotto. E Mirko è là.
- Non ci posso credere. – dico a me stessa.
- Nemmeno io. – aggiunge Sara. – Quello non è normale. Mi sa che ti sei messa proprio in un bel casino. 
- Che posso fare? – le chiedo.
- Non saprei, non saprei proprio. Per adesso stiamo a vedere come si comporta. Poi vedremo.
Marcello ci ha sentite.
- Quello ha bisogno di un educatore. – afferma.
- Eh? – gli chiedo, per avere la traduzione.
- Qualcuno deve insegnargli a vivere.
- No, Marcello. Lascialo stare. Quella è l’ultima spiaggia.– si oppone Sara.
- Ma di che state parlando? – insisto.
- Di dargli un sacco di botte. – mi chiarisce Sara.
- No, no. Io sono una pacifista convinta. Non se ne parla proprio. – sostengo con decisione.
- Se te ne penti, non hai che da dirmelo. – insiste Marcello, con l’espressione di uno sicuro che me ne pentirò.
Due ore più tardi, se ne vanno tutti e io torno a spiare dai vetri. Mirko è sparito. Faccio un sospiro di sollievo e mi guardo intorno per raccogliere le macerie: quattro portaceneri, sette bicchieri e un numero imprecisato di stagnole accartocciate di cioccolatini, appoggiati su ogni superficie orizzontale. Sara rimette a posto i cuscini.
- Sono simpatici, vero? – commenta Tania.
- Sì. – risponde laconica Sara.
- Quanto entusiasmo! – esclamo, osservandola incuriosita.
- Che c’è? – mi chiede.
- Di solito, i monosillabi ti stanno stretti. – noto.
- Mi preoccupa questa storia di Mirko. – ammette Sara, sorprendendomi.
- Vedrai che gli passa. – la consolo, ottimisticamente. Ma già mentre lo dico sono convinta che no, non gli passa.

Per qualche giorno, miracolosamente, Mirko sparisce dalla circolazione e io torno a respirare. Un pomeriggio Marcello si presenta con uno dei suoi amici, Claudio. È una specie di armadio doppia stagione, la cui presenza tra noi, la sera della cena, deve aver avuto qualche peso sulla scelta di Mirko di restarmi alla larga. Hanno quattro pastori tedeschi al seguito, due per ciascuno, e mi invitano a fare due passi nel parco con loro.
- E se incontriamo Mirko?
- Gli aizzo contro Fedra e Berenice. – afferma Marcello, con un sorrisetto sadico.
- Sarebbero i tuoi cani? – mi informo, stupita.
- Sì. Ti piacciono?
- Belli. – rispondo, con la certezza che un “no” mi tramuterebbe in una ghiotta preda per i suddetti.
- E i tuoi come si chiamano? – chiedo all’armadio.
- Didone e Zenobia. – mi risponde.
Qualcosa mi turba. Un momento! Sono tutte donne che hanno fatto una brutta fine…
- Che nomi interessanti. – commento, guardandoli sconcertata.
Mentre camminiamo verso il parco, Marcello ci ripensa.
- Non ti piacciono i nomi che gli abbiamo dato?
- No, non è che siano brutti i nomi, è che le donne che li hanno portati, hanno avuto una notevole sfiga. – chiarisco.
- Cioè? – mi fa Claudio.
- Non lo sai? – chiedo perplessa, tentando di comprendere quale criterio abbiano seguito per scegliere proprio quei nomi.
- No. Parla, avanti! – mi invita, con il suo vocione.
- Fedra e Didone si sono ammazzate, Berenice e Zenobia le hanno fatte secche. Hanno avuto un po’ di sfiga, direi. 
- In qualche modo bisogna morire. – afferma lapidario Claudio, sfoggiando con sottigliezza la sua filosofia di vita, senza mostrare alcun rimorso nei confronti dei due cani che porta al guinzaglio.
- Parole sante. – mi sfugge.
- Come mai sei una specialista di donne sfigate? – mi chiede Marcello.
- Affinità elettive? – sostengo, con autoironia.
- Non è che a furia di studiare la sfiga degli altri, te n’è rimasto appiccicato addosso qualche brandello? C’è Mirko.– mi informa.
- Dove? – gli domando, irrigidendomi.
- A ore nove. – mi fa.
- E sarebbe? – gli chiedo, completamente all’oscuro del suo gergo.
- Parallelo alla tua sinistra. 
Basta non girarsi. Guardo parallelo alla mia destra, dove c’è Marcello e gli faccio un bel sorriso. Lui me lo restituisce con gli interessi.
- Potremmo fare di meglio. – mi sussurra.
- Non ora. – dissento.
- È un’occasione magnifica. Lui non sa che tu sai. 
- Non ora. – ribadisco, irremovibile.
Mi sento il collo rigido, ma non lo muovo, continuando a guardare fisso davanti a me.
- Scampato pericolo. – mi annuncia Marcello, dopo qualche minuto.
- Se n’è andato?
- Pare proprio di sì. – risponde, guardandosi intorno e poi dietro.
- Sparito. – conferma.
- Bene. – commento, sospirando.
- Se quel microbo ti da fastidio, dimmelo. – mi invita Claudio, picchiandosi un ragguardevole pugno nel palmo dell’altra mano aperta, manifestando eloquentemente le sue intenzioni.
- Non mancherò. – gli rispondo, per impedire che la sua mente vaghi indipendente, correndo verso avventate iniziative arbitrarie.
In fondo sono così, una tenera di cuore. Comincio a chiedermi perché tutti gli uomini che conosco manifestino il desiderio incontenibile di trasformare, in peggio, i connotati di Mirko. Sarà invidia? Mirko è proprio un bel ragazzo. Sarà questo che gli procura tanti nemici? O si tratta di pura e semplice sfiga, come quella delle quattro cagne lupo che mi circondano e che si sono viste affibbiare nomi altisonanti e fatali, quali quelli di Zenobia, Berenice, Didone e Fedra? C’è sicuramente un filo logico che unisce tutte le cose, ma a me, in questo momento, decisamente sfugge.

La sera a cena racconto la mia avventura canina, sorvolando sulle buone intenzioni di Claudio e sulla pletora delle sfigate.
- Finchè Mirko si tiene alla larga, va tutto bene. - commenta Sara – È naturale che lo incontrerai spesso. Abita qui accanto, mica gli possiamo impedire di uscire di casa.
- Con Claudio alle tue calcagna, non credo che si avvicinebbe mai. – afferma Tania.
- È bello grosso, eh? – riconosco, pensando alle sue mani, formato badile.
- Potresti assumerlo come guardia del corpo. E che te ne pare di Tommy? – continua Tania, rivolgendosi a Sara.
- Buon partito. – si limita a rispondere.
- Che? – chiedo. – in che senso?
- Libero, belloccio, danaroso. Resta da capire se è normale. -
risponde Sara.
- Da un po’ di tempo a questa parte, mi sembra di vederti più cauta, nella scelta degli uomini. Che ti succede? – le chiede Tania, perplessa.
- Mirko docet. – risponde concisamente.
- Se uno è libero in tempi di concorrenza agguerrita e sleale, gatta ci cova. – traduce Tania, a mio esclusivo vantaggio.
A volte mi sorge il dubbio che mi ritenga leggermente ritardata. È colpa mia. Ho lasciato che scambiasse la mia timidezza per debolezza di mente. Prima o poi dovrò chiarire questo malinteso. Ma suonano al citofono, devo rimandare.
Marcello, Tommy e Claudio ci aspettano di sotto. Hanno deciso che le nostre serate tranquille, davanti alla televisione, hanno fatto il loro tempo. Dopo cena si esce, per andare dove non è chiaro, ma sicuramente è una di quelle cose che scopriremo solo vivendo.
Passeggiare lentamente in centro, lustrando i sampietrini a bordo marciapiede, è uno dei loro svaghi preferiti. Quando hanno completato l’andata e il ritorno per tre o quattro volte, scelgono il bar con il maggior numero di attrattive al femminile e si fermano per una birra. Ma questa sera la ricerca è inutile, ci siamo già noi, quali rappresentanti del genere donnesco, e sembra che bastiamo, visto che si fermano al primo tavolino disponibile. Birra per tutti e occhio al passeggio. Qualche buon esemplare può sempre passare sotto il naso. Una volta facevo questo gioco con le mie amiche. Anche gli uomini fanno lo stesso. È proprio vero che siamo tutti uguali. All’improvviso vedo Mirko. Faccio finta di non averlo visto, così permetto agli altri di fare altrettanto. Ma non mi reggono il gioco.
- C’è il moscerino. – mi soffia all’orecchio Claudio, che mi si è seduto proprio accanto, sulla destra.
- Lo so. – gli comunico sottovoce.
- È passato liscio. – mi informa Marcello, dalla sinistra.
- Bene. Ma non badate a lui, pensate ad altro. – li invito, con un sorriso tirato.
- Sono sempre del parere che dovremmo fare di meglio. – mi informa Marcello, facendomi l’occhietto. – Così si rassegna. 
- Si sarà già rassegnato, ormai. – commento.
- Non ci sperare. – mi smentisce Sara, immediatamente.
- Non essere pessimista, lo sai che porta sfiga. – la rimprovero.
- Da quando? Questa non l’ho mai sentita. – interviene Tommy.
Però mi sorge l’atroce dubbio che stia prendendo in giro me. Soprassiedo. La leggera gradazione alcolica della birra che ho in corpo comincia a sortire i primi effetti. Mi sento rilassata e in pace col mondo. Se non disturbo, mi farei un sonnellino. Chiudo gli occhi solo per un momento. Uno di troppo.
- È notorio. Pensare il male attira il male, pensare il bene attira il bene. - declama Marcello, con l’aria di prendersi in giro da solo.
- Ciao, Veronica. – mi scuote una voce conosciuta.
Sgrano gli occhi. Mirko è dietro di me e sorride.
- Ciao Mirko. – rispondo, facendomi venire il torcicollo, ignorando come abbia fatto ad avvicinarsi tanto, senza che qualcuno si sia degnato di suonare l’allarme.
Mirko saluta anche Tania e Sara, poi dice “Buona serata a tutti” e continua per la sua strada.
- Avevi ragione, porta sfiga. – ammette Sara, rabbrividendo.

Non so dove sto andando, ma ci vado lo stesso. In fondo, tutta questa storia è nata per caso. Se c’è un destino, ci ha portato a questo: Sara si è messa con Tommy, valutando evidentemente sufficiente il suo grado di normalità; una strana simpatia è nata tra Claudio e Tania, dico strana perché, a vederli insieme, fanno un effetto buffo, del genere “il gigante e la bambina”. Roberto, il terzo amico della prima sera a cena, invece, è sparito. Sollecitate notizie al riguardo, ci hanno riferito che lui ha un altro giro. Tradotto, mi viene da pensare che non lo abbiamo entusiasmato. Marcello, infine, ha un obiettivo sempre più lampante e pressante: “potremmo fare di meglio”. Mirko è spesso in giro, ma non sembra faccia apposta a trovarsi sulla mia strada. Capita. Ci salutiamo da lontano, come vicini di casa o conoscenti, che si incontrano spesso, ma che non hanno molta confidenza. Non mi sembra che ci sia nulla di strano. Così mi rilasso e passa in secondo piano il motivo per cui questa striminzita comitiva si è formata. A dire il vero, è Sara l’unica che ancora, ogni tanto, se ne ricorda. Ma, tutta presa dalla scoperta di Tommy, le passerà. L’estate avanza e presto ciascuno prenderà la via del mare o della montagna, per qualche giorno di sano riposo. Da cosa si debbano riposare Marcello, Claudio e Tommy, ancora non mi è chiaro, ma stanno già parlando di partenze. Noi chiudiamo in agosto, venti lunghi giorni. Sara, che lavora in Comune, va in ferie quando le pare, mettendosi d’accordo con i colleghi. Allo studio di Tania, invece, fanno i turni, perché rimanga sempre attivo un presidio. Anche in questo caso, trattandosi di una casa editrice che produce fumetti, mi è del tutto ignota la necessità di un covo di avvocati che resti sempre attivo. Forse si tratta di fumetti talmente brutti, che l’editore teme costantemente che qualche fanciullo, più furbo degli altri, gli faccia causa per riavere indietro i due o tre euro del costo di copertina. Comincia a far caldo sul serio e stasera, senza aria condizionata, si mette male.
- Andiamo a farci una passeggiata, ho voglia di un gelato. – propone Sara.
- È pieno il freezer, di gelati. – rilevo, dalla mia poltrona preferita, pigramente restia a lasciarla.
- Tra poco ci passano a prendere. Hai intenzione di dare buca ai ragazzi? - la biasima Tania, perplessa.
- Aspettiamoli giù. Non ne posso più di questo caldo.
- Hai ragione, in strada ci saranno almeno un paio di gradi in meno. -  sostengo, con ironia.
- Va beh! Tanto tra poco saranno qui. – le concede Tania.
È per questo motivo, che mi trovo sul marciapiede davanti a Mirko, con relativo Beagle, quando arriva Marcello. Stiamo annaspando, da quattro o cinque minuti, tra grevi banalità da suicidio e opprimenti silenzi spalmati di afflizione, senza ricevere il benchè minimo supporto da parte delle mie stolide amiche. Marcello afferra al volo la situazione e il toro per le corna, pronuncia un generico “ciao” e mi stampa un bacio sulle labbra con l’espressione quasi annoiata di uno che lo fa per abitudine, lasciando Mirko di stucco a presa rapida e me lievemente intronata. Al repentino sopraggiungere di Claudio e Tommy, Mirko si schioda dalla rigida posizione “statua di sale”, saluta in generale e se ne va con il cane.
- Ti è piaciuto? – mi domanda Marcello, come dopo un amplesso particolarmente coinvolgente.
- Che cosa? – gli chiedo, con la perfida intenzione di manifestargli che, se ha fatto qualcosa, io non me ne sono neanche accorta.
- Questo. – mi chiarisce, replicando con determinazione la sua prestazione, ma aggiungendovi una ragguardevole dose di passione.
Stavolta resto senza fiato e anche senza parole. Non è un bacio dimostrativo a beneficio di Mirko, questo è proprio per me e per lui, e non è stato niente male.
- Allora? Te lo dicevo che si poteva fare di meglio. – mi sussurra, tenendomi abbracciata.
Ancora le parole faticano a farsi largo, nella calca dei miei pensieri sparpagliati, che un tornado sta sbatacchiando violentemente nei meandri del mio cervello in pappa. Così mi limito a guardarlo negli occhi, un ulteriore passo falso, che mi precipita in un liquido amalgama di miele vischioso da cui trovo impossibile scollarmi.
Claudio mette fine a questa scena innaturale, invitando tutti a muovere le chiappe.
Insomma, non ho risposto. In fondo, Marcello non mi ha posto domande, se escludiamo quell’allora?, che in realtà era una semplice affermazione della grandezza del suo ego. “Allora? Hai visto come ci so fare?” “Allora? Hai visto che ne valeva la pena?” “Allora? Sono un grande o no?” Non so dove vado, ma ci sto andando lo stesso.

A fine serata, ci riaccompagnano a casa. Marcello mi tiene per mano per tutta la strada e, davanti al portone, mi bacia di nuovo, prima di dirmi:
- Buonanotte, fiorellino. –
Fiorellino? Mamma mia! De Gregori si rivolta nel cd.
Le mie coinquiline mantengono il silenzio stampa fino in soggiorno, poi si buttano sul divano, mi guardano, si guardano, infine Tania dice all’altra:
- Che ne pensi?
- Dipende da lei.
- Non da lui?
- No, lui mi sembra cotto. 
- E lei?
- Non lo capisco. 
- Magari, prima o poi, le tornerà l’uso della parola.
- Allora ci potrà dire cosa sta combinando.
- E se resta muta per sempre?
- La portiamo da un bravo dottore.
- Piantatela di parlare di me, come se io non ci fossi! – intervengo, con un tono perentorio, che non riconosco nemmeno io.
- Ah, bentornata! Dov’eri? Nel paese delle meraviglie? 
- Mi sento un po’ spaesata, datemi tempo. – mi difendo.
- Perche? Non te l’aspettavi? – mi chiede Sara, guardandomi come se fossi appena scesa da un’astronave.
- No. Non me l’aspettavo. Credevo che giocassimo per via di Mirko.
- Ma dai! È da un pezzo che Mirko ha finito di essere una scusa. 
- Se per te era così lampante, perché non mi hai illuminata prima? 
- Perché era troppo divertente.
- Grazie. Il vostro sostegno è davvero insostituibile.
- Va beh, che ci vuoi fare? Siamo state distratte da altre storie, io e Tommy, Tania e Claudio…
- Io e Marcello… Era inevitabile, quindi. 
- Inevitabile no, ma molto probabile, senza dubbio. È dall’inizio che ti fa il filo. Possibile che non ti abbia mai sfiorato il dubbio?
- Possibile.
- Sei una vera frana, Veronica, ma quel che è peggio, non mi sembri molto presa. 
- Ti sbagli, sono presa, presissima. Soltanto che sono ancora sotto shock.
- Allora ti piace!
- Certo che mi piace. Mi piace un sacco.
Mi piace un sacco. Mi è sempre piaciuto, dalla prima volta che l’ho visto, costringendomi ad ammirare la professionalità con cui mi ha sottoposta alla risonanza magnetica, operando una scansione completa col suo sguardo di miele liquido. Mi ha depistato il suo sorriso ironico, però, o sono stata fuorviata dall’umiliante condizione in cui mi sono presentata. Mi ero convinta che soltanto la sua compassione da buon samaritano avesse deposto a mio favore. Possibile che già allora meditasse di farsi pagare l’onorario?

Comunque non è una storia di grandi sentimenti. La via dell’amore è lontana anni luce. L’apice della concentrazione di sentimentalismo si riduce al nomigliolo che mi ha affibbiato: fiorellino. Mi è andata anche bene, se penso ai nomi dei suoi cani. Non si può negare che sia simpatico, aperto, gioviale, estroverso. Se proprio devo trovargli un difetto, è che rimane spesso concentrato su se stesso: ha un ego molto voluminoso. Ma tant’è, ero forse alla disperata ricerca di una storia romantica? No. E allora non mi lamento. Stiamo bene insieme. Che voglio di più dalla vita? Un Lucano, risponde la pubblicità, dalla mia mente alienata.

Non ho più avuto incontri ravvicinati del terzo tipo, con Mirko. Forse è partito per le ferie, o forse mi evita accuratamente. Non saprei. Nessuno lo ha più nominato. Solo a me torna in mente, ogni tanto, quando esco di casa, come un pensiero che hai lasciato attaccato sul marciapiede e che ti si ripropone ogni volta che, inavvertitamente, ci appoggi sopra un piede. A me capita.

Tania, appena rientrata in casa, mi cerca con lo sguardo, mi raggiunge e tira fuori dalla borsa un libretto.
Guarda un po’ questo. – mi fa, gettandomelo in grembo, con aristocratica eleganza.
- Cos’è?
- Un fumetto. Sfoglialo, osservalo bene.
- Che c’è? – chiedo, senza ottenere risposta.
Tania si siede di fronte a me e si limita a guardarmi. È evidente che non si muoverà, finchè non avrò trovato quello che vuole mostrarmi.
Guardo la copertina. Mirkael. Sembra una storia di vampiri, disegnata da un certo Dejeaux. Lo sfoglio. I disegni sono marcati, netti, ma hanno un che di elegante. Mi ricordano Alan Ford. Ad un tratto, la mano che sfoglia mi resta bloccata a metà. Chi sono questi? No, non può essere. Eppure sembrano proprio loro. Sfoglio ancora qualche pagina. Sì, non c’è dubbio. Alzo gli occhi su Tania. Lei fa una smorfia, a metà strada tra un sorriso sardonico e un ghigno beffardo.
- Sono loro. – afferma, con sagacia.
- Pare proprio. – confermo, stupita.
- Che ci fanno Claudio, Marcello e Tommy, su un fumetto? – mi chiede.
- E lo vuoi sapere da me?
- Ma lo sai chi è l’autore? 
- Dejeaux. – leggo sulla copertina.
- E lo sai chi è? 
- No. – ma, proprio mentre lo nego, già mi si accende una lampadina. – Mirko?
- Proprio lui. – conferma Tania, stralunando gli occhi.
- Ma che storia è?
- Leggilo, le sorprese non sono finite, leggilo tutto. – mi invita.
Così lo riapro e stavolta lo leggo sul serio.
- Una rapina in banca? – mormoro.
- Già. Ma vai avanti, arriva alla fine. 
Leggo, leggo. E questa chi è? Oddio, sembro io! No, no, sono proprio io! Angelie, mi chiamo. E sono decisamente più bella che dal vivo. Angelie è l’amore segreto di Mirkael, il vampiro. Mirkael? Mirko! Santi numi!
- Adesso capisco a che servono gli avvocati in quella casa editrice! – esclamo, guardando Tania negli occhi.
- Vuoi fargli causa?
- No, perché? Mi ha disegnata così bella!
- Ma i ragazzi, se lo vengono a sapere, gli fanno causa di sicuro, sempre che non decidano di prendere qualche letale scorciatoia. 
- Basta non dirglielo. – affermo, con voce quasi implorante, mio malgrado.
- E tu, che intenzioni hai?
La guardo un momento, poi decido.
- Di leggerli tutti.
- In tal caso, te li devi comprare, perché a me, copie gratis, non me ne danno. 
- Che spilorci!
- Questa la devo restituire domani. Non la maltrattare.
- Non preoccuparti. La sfoglio soltanto un’altra volta.
E altre due volte insieme a Sara. Lei, comunque, è più stupita di me e di Tania messe insieme.
- Ma è un grande! Che modo sottile di vendicarsi! – commenta Sara.
- L’essenziale è che i ragazzi ne restino all’oscuro. – affermo con forza.
- Naturalmente. Che nessuno ne parli, nemmeno per sbaglio. – mi sostiene.
- È bravo, però. – dico, ammirata.
- Lo dici solo perché sei la sua eroina. – mi smonta.
- Può darsi. Comunque ha una bella fantasia.
- Come no? Ha chiamato Mirkael il protagonista.
- Da uno che chiama Beagle il suo beagle, cosa ti aspettavi? – interviene Tania - Però, a te, Angelie, ti sta proprio bene. 
- Già, è strano che non m’abbia chiamato Veronik. – commento.
Chiusa lì. La mia curiosità, però, resta insaziabile finchè il mio edicolante non riesce a trovarmi un paio di numeri arretrati. Quando li sfoglio, tuttavia, scopro che Angelie è già presente. E mi capita una cosa strana, non voglio leggerli. Bramo la storia dall’inizio. Così, per essere sicura, richiedo gli arretrati dal mese di marzo, quando ci siamo conosciuti. Aspetto dieci giorni, con ansia. E quando, finalmente, ho in mano il giornaletto, scopro di esserci già. Possibile? Allora chiedo gli arretrati da gennaio. L’edicolante mi dice che sta chiudendo per ferie e se ne parla a settembre. Lo odio. Ma continuo a pretendere la storia dall’inizio. Aspetterò.

Chiudiamo per ferie anche noi, dal dieci di agosto. Marcello è partito da una settimana, per Ibiza. Spiace ammetterlo, ma non mi manca affatto. Anzi, mi sento decisamente meglio. Non so perché. Io parto con Matteo. Andiamo dai nonni, come tutte le estati. Hanno una casa a San Vito, a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Sole, mare, pesce fresco, gli amici di tante vacanze. In spiaggia, mentre prendo il sole, mi capita di pensare a Mirko e ai suoi fumetti. Non vedo l’ora di leggerli. I venti giorni volano in un batter d’occhio. Il ritorno è un po’ triste, ma me ne scordo subito, in attesa che il giornalaio riapra. Marcello torna. I fumetti arrivano. Pretendo una serata tutta per me. Lui mi guarda in modo strano, ma non si oppone.

E adesso, finalmente, sono qui, con la pila completa dei sette numeri arretrati, pronta a divorarli dal primo all’ultimo. Stavolta vado sul sicuro. Mi sono trasferita qui alla fine di dicembre. Ho in mano il numero di gennaio. Inizio a leggere.
Mirkael è un vampiro pentito. Per non creare danni a creature innocienti, poiché il suo istinto e la sua fame devono comunque saziarsi, ha deciso di farlo solo con chi merita un castigo. È una specie di vampiro gentiluomo, un giustiziere della notte, che succhia il sangue agli assassini e ai malviventi in generale. Alla fine del volumetto, sorprendentemente, trovo Angelie che viene assalita da uno stupratore, il quale, naturalmente, fa la fine che si merita. Nel numero di gennaio? Ero appena arrivata! E già facevo volare la sua fantasia… Cribbio. Ecco perché non mi ha chiamata Veronik. Ancora non sapeva il mio nome. A febbraio Angelie diventa il suo chiodo fisso. Tra una bevuta di sangue e l’altra, la segue, la tallona, cerca in ogni modo di scoprire qualcosa di lei. Ma Angelie non se ne accorge. Nel numero di marzo, Mirkael compie un passo falso e Angelie lo nota. Parla con lui, ne è curiosa, anche affascinata. Mirkael tenta in ogni modo di nascondere la sua natura di emoassetato. In aprile la situazione degenera. Angelie si innamora di lui, lasciandolo combattuto. Angelie è una creatura di luce, mentre lui è la creatura della notte. Mirkael sa che deve allontanarsi, per non contaminarla. La ama troppo, per rischiare di farle del male. In maggio la abbandona, perché ormai è certo che la sua passione alimenta la sua sete e la sofferenza fisica di non potersi dissetare dalle vene di Angelie è per lui insopportabile. Da lì in poi, la ama da lontano, proteggendola come può, senza farsi scoprire. La salva persino da se stessa, quando lei comincia a frequentare una gang di banditi e rapinatori di banche, senza che le sorga mai il benchè minimo dubbio sull’onestà dei gaglioffi. Fine del numero di luglio, quello che mi aveva portato Tania. Stupefacente!
Oh, Mirkael, che personaggio sofferto, romantico e generoso, che oscurità tormentata dalla sete di luce. Che amore languido e appassionato. E che figura sognante e ingenua, questa Angelie. Un po’ tonta, forse, ma davvero angelica. È così che mi ha vista? È così che mi vedono tutti? Una che ci si può rigirare come si vuole, tanto non capisce niente? Cribbio. Che figura da fessa!

Devo esternare. Alla prima occasione, ne parlo alle ragazze.
- È proprio così che mi vedono gli altri? – chiedo – Come una fessa a cui si può far bere qualunque fandonia?
- Abbastanza. – risponde Sara, tossicchiando.
- Ah, bene. – mormoro. Basta saperlo.
- Anche lui, però si descrive piuttosto bene, non ti pare?
- Non penserai che sia davvero un vampiro! – esclamo.
Sara e Tania scoppiano a ridere.
- Ma no, parlavo del suo carattere chiuso. È una creatura della notte.
Forse, un pochino.
- Ma quelli delle rapine in banca? Come gli sarà venuta l’idea? – chiede Sara.
- Li avrà visti mentre andava a prelevare al bancomat. – suppone Tania, ridendo da sola della sua battuta.
C’è qualcosa di molto simile nello sguardo che Sara ed io ci scambiamo. C’è un medesimo pensiero: Mirko non ha fantasia, disegna quello che vede.
- Avete mai chiesto ai vostri ragazzi come si procurano di che vivere?
- Quando ho conosciuto Marcello, mi ha detto di essere di famiglia agiata. – spiega Sara. – A Tommy non ho mai chiesto niente. Mi sembrava indelicato. 
- A me Claudio non ha mai parlato di un lavoro e io non ho mai domandato niente. Che strano. – dice Tania.
- Cominciamo ad indagare, con discrezione, mi raccomando. – invita Sara.
- Ma che stiamo pensando? Non ci possiamo mica far suggestionare da un fumetto! – insinuo.
- Scritto da uno che attinge dalla realtà a piene mani, perché difetta completamente di fantasia? 
- Ti ricordo che la mia prima apparizione è avvenuta mentre tentavano di stuprarmi. Questo, ringraziando il cielo, non è mai accaduto. 
- È vero. – si rilassa Sara. – È vero. Ogni tanto riesce a far volare la sua fantasia.
- Fantasia o desiderio represso? – si insospettisce Tania.
- Smettetela! Cribbio. 
La sola idea di Mirko che mi seguiva per le strade, senza che io me ne fossi mai accorta e, per giunta, gli facessi venire strane idee per la testa, adesso mi disturba parecchio.

Nonostante la diplomazia di Tania e la discreta curiosità di Sara, non abbiamo potuto scoprire un bel nulla. Marcello mi sbatte in faccia la sua famiglia benestante ogni due per tre, quindi non c’è alcun bisogno che gli chieda nulla, ma gli altri due restano abbottonati come cappotti in gennaio. I nostri dubbi sono rimasti esattamente dov’erano. Non solo niente li smuove, ma più passa il tempo, più ci insospettiscono le battute che ogni tanto si scambiano tra loro. Prima non ci facevamo caso. Adesso ogni appiglio è buono. In qualche modo, il fumetto di Mirko ci ha messo una pulce nell’orecchio, che si è aperta un varco verso il nostro cervello.

L’edicolante mi consegna il nuovo numero di Mirkael. Ormai sono segnata. Lo prendo anche se non gliel’ho chiesto.
- Agosto? Pensavo non uscisse in agosto. – commento.
- A sì, questo non va mai in vacanza.
- Davvero?
Così gli consegno cinque euro e me ne torno al lavoro. All’improvviso mi accorgo che non ho la più pallida idea di quanti numeri arretrati esistano. Guardo la copertina. Anno III n° 8. In tutto 32 numeri. Lo credo che cominci a scarseggiare di fantasia, poverino. Come si fa a inventarsi tante storie? Per forza bisogna anche attingere un po’ dalla realtà. Spero almeno che lo paghino bene. Mi ricordo che una volta mi ha detto che lavora meglio durante la notte, quando il silenzio è più profondo e lui ha la percezione che tutti gli altri stiano dormendo. Solo, nella notte, come Mirkael il vampiro. Mi nasce un rispetto profondo per il suo lavoro creativo e solitario.

- Tania, hai visto Mirkael di agosto? – le chiedo, raggiungendola in cucina, appena rientrata in casa.
- No, perché? Che novità ci sono?
- La banda ha un garage dove smontano macchine rubate, per rivenderne i pezzi. Mirkael sta studiando le loro mosse. Ma non accade altro che li riguarda. Angelie invece ha nostalgia di lui e ogni tanto lo rimpiange.
- Davvero? Nei suoi sogni.
- Mirkael continua a guardarla da lontano, sospirando. Che amore straziante! – finisco, sospirando anch’io.
- Veronica?
- Che c’è?
- Non dirmi che… - non osa finire la frase.
- No, che ti viene in mente? – dissento immediatamente.
- Niente. Non lasciarti commuovere da un fumetto.
- Certo, non ci penso proprio.
Ci penso invece. Non riesco proprio a smettere. Lo so che è tutto fasullo, che un amore del genere non esiste, ma è più forte di me. Mi appassiona. E comincio anche a chiedermi come tutta questa storia sia iniziata. Adesso li voglio tutti, dal numero 1 anno I.

Il giornalaio, con cui ormai ci diamo del tu, mi dice che, se non ricorda male, c’è anche un numero zero. Non è sicuro di potermelo procurare, ma ci proverà.
- Grazie, Dario. Fammi sapere.
- Grazie a te per il caffè. 
Giorni fa, gli ho portato il caffè, raccontandogli che lavoro al bar-tabacchi di fronte. Lui non ci ha mai messo piede, perché non si fida a lasciare l’edicola incustodita. Così ho preso l’abitudine di portarglielo io, verso le dieci. Mi chiedo come se la cavi con i suoi bisogni fisiologici, ma non ci conosciamo abbastanza per questo genere di confidenze.

Sono passati due giorni. All’apertura, Dario mi fa cenno da lontano. Vuole che vada da lui.
- Guarda. Sono di mio nipote. Te li regala volentieri, perché lui è stufo marcio e ha bisogno di spazio per quelli nuovi. Adesso ha altri interessi, roba spaziale, sai. C’è anche il numero zero. Lo dicevo io!
- Grandioso! – esclamo, guardando nel sacchetto che mi porge. Ad occhio e croce ci sono tutti.
- Buona lettura. Fammi sapere se te ne manca qualcuno, così te li ordino.
- Grazie mille. Ringrazia tanto tuo nipote. È molto generoso.
- Lui ringrazia te per averglieli tolti da sotto il letto. Non sapeva più dove metterli.
Esauriti i ringraziamenti, torno al lavoro, nascondendo la borsa sotto il bancone. Non so perché, mi vergogno che Matteo mi scopra con questi fumetti in mano. All’ora di pranzo si presenta Sara.
- Che ci fai qui?
- Avevo un permesso da utilizzare e me lo sono preso. Era una giornata morta.
- Ottima idea. Devo darti una cosa da portare a casa. Se qualcuno te lo chiede, sono tuoi. – le impongo, rifilandole il sacchetto compromettente.
Sara ci guarda dentro, poi guarda me e sghignazza.
- Ti vergogni della tua regressione all’infanzia? 
- Non voglio che li veda Marcello, tu sai perché.
Anche questa è un’altra verità. Sara si convince e se li porta via. Scommetto che si metterà a leggerli, appena arriva a casa. Non sono la sola che si è appassionata alle storie di Mirkael. Adesso ha tre nuove fan. Bastiamo per aprire un fan-club?
Tornando a casa, la trovo sul divano, circondata dai fumetti. E sta ancora leggendo. Alza gli occhi un attimo, il tempo di salutarmi, e risprofonda nella lettura.
Io mi avvicino, cerco il numero zero. Non lo trovo.
- Il numero zero? – chiedo sottovoce, come se in questo modo possa disturbarla meno.
Lei si guarda intorno, poi mi indica un giornalino sull’angolo del tavolino.
È lui. Finalmente! E sprofondo anch’io.
Mirkael è un uomo comune, ha un lavoro, un appartamento al terzo piano di un palazzo qualunque, una fidanzata carina, Bea, lunghi capelli biondi, occhi azzurri, nasino all’insù. Nessuna ombra, vita alla luce del giorno. Una sera esce dal cinema, con la sua fidanzata. Mentre camminano sul marciapiede buio, da un vicolo oscuro emerge un braccio umano che lo trascina indietro, nel buio fitto. Un essere tenebroso gli si avventa addosso e lo tramortisce. Quando si sveglia, scopre di essere debole. Torna a casa come un sonnambulo. Della sua fidanzata, nessuna traccia. Guardandosi allo specchio, scopre due segni sul collo. All’inizio non capisce. Comincia a cercare Bea, ma non la trova. A notte inoltrata, eccola che entra in casa, si avvicina al letto dove lui sta dormendo, e anche lei gli succhia il sangue. Fine del numero zero.
- Aldo e Laura?! – esclamo ad alta voce.
- Già. – mi risponde Sara, senza alzare gli occhi dalla pagina.
Attacco il numero uno. Mirkael, grazie alle attenzioni dell’uomo nero e di Bea, è diventato un vampiro. Ha lasciato il suo appartamento e ora vive in un castello semidiroccato, circondato da un giardino invaso di rose che crescono in contorti e fitti cespugli simili a rovi. L’atmosfera si è fatta dark. Da qui in poi, non si vede più la luce del giorno. Mirkael cerca Bea e lo sconosciuto vampiro per vendicarsi, ma la sua ricerca è infruttuosa. Nel frattempo, deve nutrirsi e gli capita di far del male a chiunque. Il rimorso non sa cosa sia. Non potendosi vendicare di coloro che l’hanno condannato, si vendica su chiunque altro gli capiti a tiro.
Arrivo al numero cinque. Una notte vede un bambino picchiato da un energumeno, davanti ad un bar malfamato. Il bambino chiede aiuto e Mirkael, in un barlume di lucidità, ritrova parte del suo stato umano, risponde al richiamo e lo salva. Da questo momento, prende una decisione. Si nutrirà soltanto di coloro che meriteranno un castigo, per i loro comportamenti violenti. Comincia la sua caccia notturna alla ricerca di misfatti e malfattori. Si trasforma in giustiziere della notte, senza abbandonare la ricerca di Bea e del vampiro iniziatore.
Arrivo al numero dieci. Una notte, ritrova le tracce di Bea. La segue. Scopre che vive con il vampiro innominato. Li spia. Tutto quello che fanno è contrario ai suoi principi, che ha riacquisito grazie a una sorta di meditazione trascendentale. Alla fine, decide che la miglior punizione, per entrambi, è di abbandonarli al loro squallore. La vendetta non gli appartiene più. Grande Mirkael!
E siamo al secondo anno. Qui inizia a fare l’investigatore. Se incappa in malviventi che tramano azioni illegali, li denuncia alla polizia. Interviene solo quando li coglie sul fatto e comprende che l’intervento della legalità non potrebbe arrivare in tempo.
Mirkael si trasforma in angelo della notte. Tenta di aiutare tutti quelli che nella notte si perdono. I suoi pensieri si fanno più profondi, e le sue parole più rare. Quasi non parla più. Ma agisce. Salva alcuni barboni dal gelo dell’inverno, ospitandoli in un’ala del suo castello. Li sostiene economicamente, li sfama, li aiuta a tornare esseri umani con una dignità. Chiede in cambio soltanto che si dimentichino di lui.
E poi vede Angelie, per la prima volta, e in lui scatta una molla. Il desiderio di tornare alla luce, di tornare completamente umano. L’unico suo desiderio che non potrà mai appagare. Ma è una vicenda che conosco già. Mi fermo.
Questa storia mi commuove. Non posso farci niente. E non è soltanto perché Angelie sono io, col mio caschetto nero e i miei occhi verdi, con i miei jeans e i miei maglioncini attillati. Sara sospira. Chiude l’ultimo volumetto e mi guarda.
- Forse l’ho giudicato male.
- Anch’io. – concordo.
- Il suo non è un silenzio vuoto. È troppo pieno. – mi spiega.
- Già. È così pieno che se dovesse parlarne, non saprebbe da dove iniziare. – aggiungo.

Tania ci trova così, languidamente sognanti e semisepolte dai fumetti. Lei ha cenato fuori. Noi ci siamo nutrite di vampiri. Ci guarda perplessa.
- Adesso tocca a me. – decide, sedendosi. – Da dove si comincia? 
- Da questo. – le indico – porgendole il prezioso numero zero.
Poi li mettiamo in ordine, impilandoli delicatamente sul tavolino, come si trattasse di reliquie, e lasciamo il soggiorno.
Noi, una volta in cucina, sappiamo già cosa fare, senza scambiarci neppure una parola. Io afferro il barattolo della nutella. Lei prende il pane.
Ci sediamo una di fronte all’altra e ci mettiamo all’opera, fino a che il vetro sul fondo del barattolo non diventa lucido e pulito. Per ottenere questo effetto, ci aiutiamo con pezzetti di pane infilzati nelle forchette, solo perché con le dita non ci arriviamo.

È sabato sera. Nonostante sia il mio giorno libero, sono stata in tabaccheria a dare una mano a Matteo. Di Marcello nessuna traccia. Torno a casa da sola e per tutta la strada mi capita di rammaricarmi che Mirko non sia in giro. Mi piacerebbe incontrarlo per caso e scambiare due parole, tra un silenzio e l’altro. Vorrei tanto fargli sapere quanto ammiri il suo lavoro.
A casa, Sara e Tania mi aspettano.
- Hai visto Marcello?
- No, perché?
- Claudio e Tommy sono irreperibili. – mi comunica Sara.
- Ah. – commento. - Avranno altri impegni.
- Potevano avvertirci.
- Forse qualcosa di improvviso… 
- Forse. – ripete Tania, con un’espressione piuttosto agguerrita.
- Andiamo al cinema? – propongo.
- Ma sì, non sia detto che ci tappiamo in casa, mentre loro fanno quello che vogliono, senza neanche avvertirci. 

È sul giornale della domenica, in cronaca. Banda di rapinatori smascherata da una soffiata anonima. Un articoletto senza importanza, che Tania nota per caso, ci informa del motivo che ha impedito ai ragazzi di farsi vivi. Li hanno arrestati. Trovati con le mani nel sacco, come si suol dire. Corbezzoli!
Sara non si sente bene. Tania è pallida. Io, stranamente, mi sento come se già lo sapessi.
- Su, ragazze, non facciamone una tragedia. In fondo qualche sospetto ci era venuto. Non è vero? – dico, tentando di confortarle.
- Un sospetto e una certezza non sono la stessa cosa. – obietta Tania.
- Lo so, ma che ci possiamo fare? Ormai è andata.
- Speriamo di non trovarci coinvolte in qualche modo, piuttosto. Mi scoccerebbe finire al commissariato, per incauta amicizia. - commenta Sara.
- Non è un reato, questo. – afferma Tania, per confortarla.
- Per me sì. Non sono mai stata tanto cieca in vita mia. – confessa Sara.
- Forse ti ho un po’ contagiata? – insinuo.
- Se la tua ingenuità è tanto contaggiosa, bisogna che ti stiamo alla larga. Io mi metto in quarantena. – annuncia Sara, andandosi a chiudere in camera sua.
- Anche tu vuoi abbandonarmi? – chiedo a Tania, che si guarda intorno con aria depressa.
- Io mi vado a fare un giro. Da sola. – precisa.
Non credo di avere alcuna responsabilità, ma, in qualche modo, il loro atteggiamento mi provoca un attacco acuto di “senso di colpa”. Mi aggiro per qualche tempo tra la cucina e il soggiorno, con i pensieri alla deriva e un vago desiderio inespresso. Di che cosa? Cioccolata, caffè, passeggiata nel parco? Poi mi torna in mente Mirkael. Banda di rapinatori smascherata da una soffiata anonima. Esco di corsa.

Davanti al villino delle rose, mi trattengo dal suonare immediatamente al citofono. Guardo verso le vetrate, ma le tende chiuse mi impediscono la visuale. Non c’è neppure Beagle in giardino. Ci provo lo stesso. Osservo il tasto rotondo accanto al nome Mirko De Angelis. Suono? Non suono. Insomma, cosa sono venuta a cercare? Mirkael. Allora, fatti coraggio e suona! Premo il bottone una sola volta, con delicatezza. Dopo un attimo si ode il clic della serratura che si apre. Spingo il cancello ed entro. Mirko è già sulla porta. Lo guardo. Mi guarda.
- Ciao, Mirkael. – lo apostrofo, con sguardo ironico.
Lui rimane interdetto per un momento, poi esala una sorta di sospiro di sollievo, sorride e risponde:
- Ciao, Angelie. Vieni, entra.
- Grazie. Questo dunque è il tuo castello? – commento, tanto per darmi un contegno.
- Già. Ti va un caffè? Stavo giusto per farlo.
- Sì, grazie. – rispondo, sempre più imbarazzata.
Mi porta in cucina. È tutto lindo e ordinato. La caffettiera è già sul gas. Lui accende il fornello e mi invita a sedermi. Così ci troviamo una di fronte all’altro, in silenzio. Però non si tratta di un silenzio vuoto. È pieno di domande e di risposte che i nostri occhi si stanno scambiando. Poi Mirko mi prende una mano.
- Sono felice che tu sia qui. – ammette, senza che ce ne sia veramente bisogno.
- Mi sei mancato. – ammetto, senza che ce ne sia veramente bisogno.
- Angelie. – mormora, sorridendomi.
- Mirkael. Volevo dirti che ho letto i tuoi fumetti e che mi hanno davvero appassionata e commossa. Sei bravissimo. 
- Ti ringrazio, ma un po’ lo devo anche a te. Tu mi hai ispirato. 
Gli sorrido. Non oso commentare.
- Non mi chiedi se sono stato io a denunciare i tuoi amici? – mi chiede.
- No.
- Sono stato io. – ammette ugualmente.
- Hai fatto bene. – lo rassicuro.
- Non sei arrabbiata? 
- Niente affatto. Anche noi stavamo indagando sui loro maneggi.
- Allora, siamo ancora amici? – mi chiede, con una timida espressione insicura.
- Sì, siamo amici. – confermo, mentre un serpentello di delusione mi si attorciglia intorno allo stomaco.
- È pronto il caffè. – mi annuncia.
Siamo amici. Certo, cosa pretendevo? Che mi saltasse al collo e mi dicesse che sono il suo unico amore, la sua passione sfrenata, il suo delirio notturno? È troppo tardi per questo. Certi errori grossolani si pagano con l’impossibilità di rimediarli. Io ho la repellente tendenza a commetterne tanti, anche quando sono spinta dalle migliori intenzioni. Sono una frana. Lo so. Non posso farci niente. Mi resta Mirkael e l’attesa per il prossimo numero. Spero che almeno là, nella finzione, Angelie, riesca a farsi amare con passione.

Sara, terminata la quarantena, sbuca fuori dalla sua tana, spinta dalla fame. Lo stesso motivo riporta Tania a casa. Io, dopo il timido bliz da Mirko, mi sono messa a cucinare. Niente di impegnativo: spaghetti al sugo e cotolette con insalata. Le mie coinquiline gradiscono.
Mangiamo in silenzio, schiacciate da una cappa di tristezza, che ciascuna prova per i suoi motivi, naturalmente. Ci passerà. Dopo il pranzo, lavo anche i piatti. Non tocca a me, ma sento il bisogno di espiare. Che cosa? Non lo so, mi punisco per le colpe commesse e per quelle che commetterò. Non saprò mai prendere la vita per il verso giusto, è questo che mi turba e fa degenerare i miei pensieri. Sono una pasticciona dei sentimenti. Amo quando penso di non amare e non amo quando penso di amare. Sento il serpentello spostarsi dallo stomaco al cuore. Delusione. Sto espiando anche quella.
Tania e Sara stanno guardando la tv. Io non ce la faccio. Ho voglia di uscire.
- Io vado a fare una passeggiata. – comunico alle due satolle amiche.
- Ciao. – dicono in coro, senza offrirsi di accompagnarmi.
- Ce l’avete con me? – chiedo, colpita da questo dubbio improvviso.
- No, che ti salta in mente? – obbietta Tania, serenamente.
- C’è un bel film, tra poco. Vorrei vederlo. – mi spiega Sara, candidamente.
- Va bene. Allora, ciao. – mormoro, uscendo.
Forse non ce l’hanno con me, però sono troppo silenziose. Mi crogiolo nel turbamento, finchè, al cancello del parco, un beagle non mi sfreccia vicino alle gambe, sorpassandomi alla velocità della luce. Se l’ho riconosciuto, Mirko dev’essere alle mie spalle. Mi volto. Sì, è lui! Mi fermo ad aspettarlo, sorridendogli.
- Ciao, Veronica. – mi saluta.
- Ciao, Mirko.
- Che caldo. – si lamenta.
- È vero, andiamo all’ombra del boschetto? – gli propongo.
È dove mi ha raccontato la storia di Aldo e Laura. Spero non lo ricordi anche lui. Invece, il percorso dei suoi pensieri sta seguendo un’altra strada.
- Adesso che hai visto i miei fumetti, vorrei sapere se ti dispiace, che abbia preso in prestito la tua immagine, per uno dei miei personaggi.
- No, al contrario. Mi fa piacere. 
- Allora, posso usarla ancora? – mi chiede.
- Vuoi un’autorizzazione scritta? – domando, ridendo.
- No. È che se poi al tuo personaggio succede qualcosa che non ti piace, non vorrei che mi facessi causa. 
- Ma per chi mi hai preso? – mi offendo.
- Scusa. È che Laura mi ha fatto causa, quando ha scoperto che l’avevo usata come vampira.
- Ecco a che vi serve uno studio legale. – commento.
- Ma a te è andata meglio, finora. Non sono ancora sicuro se farti diventare una vampira o una ammazzavampiri.
- Vuoi porre fine ai giorni di Mirkael? – intuisco.
- In effetti, sono un po’ stufo. 
- Hai già un’idea alternativa?
- Non ancora. – ammette.
- Allora non farlo, ti prego. Deluderesti tutti i tuoi fan.
- I miei fan? – chiede, perplesso.
- Quelli che spendono cinque euro al mese per leggere le tue avventure.
- D’accordo. Allora decidi tu. Quale strada prenderà Angelie? Si innamorerà di Mirkael e si farà vampirizzare o gli diventerà nemica e gli darà la caccia per ucciderlo?
Lo guardo un momento, uno soltanto, come se fossimo immersi nel suo fumetto. Il suo mantello nero svolazza nel buio. Un lampione lontano emana un tenue alone di luce che mette in risalto il suo profilo. Il mio caschetto nero è immobile, come se il vento non potesse raggiungermi. I miei occhi verdi sprofondano nell’oscurità dei suoi. E tremo.
- Si innamorerà di Mirkael e si farà vampirizzare. – gli rispondo, tutto d’un fiato.
- E così, una creatura della luce si trasformerà in un’assetata di sangue che si perderà nella notte? – commenta, con espressione dubbiosa.
- Ma resterà con Mirkael, il suo amore, per sempre. – concludo, guardandolo sfrontatamente negli occhi, come farebbe Angelie.
- Non ti sarai fatta influenzare dai miei fumetti? – mi chiede, con sguardo ironico, sorridendo.
- Quanto assomiglia Mirkael a Mirko? – gli domando, invece di rispondere.
Ci riflette per qualche momento.
- Molto. – afferma, guardando lontano, con espressione assente.
- Allora devi sapere che Angelie assomiglia davvero a Veronica. 
All’improvviso Mirko mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Ci sono un sacco di punti interrogativi che gli ballano nelle pupille e le sue labbra si muovono senza emettere suono. È a questo punto che lo bacio. Sì, prendo un’iniziativa. È una novità sorprendente, che mi riempie di bizzarra energia. Mi sento come un prigioniero che evade dalla gabbia. Mi sento bene. Soprattutto quando Mirko mi stringe a sé, con una forza irresistibile. Lo stringo anch’io, sentendo chiaramente il serpentello lasciare la presa sul mio cuore e scivolare via, verso l’erba alta.
- Mirkael, mordimi sul collo. – lo imploro.
- Angelie. – mormora Mirko, ridendo e covandomi con uno sguardo rovente.
Io resto in silenzio. Non c’è più bisogno di parole, adesso.

Nel numero di settembre, Angelie, sempre in cerca di Mirkael, riesce infine a trovarlo e, senza farsi vedere, lo segue fino al suo castello. Fuori è giorno e Mirkael dorme del suo sonno innaturale. Osservandolo, Angelie scopre la sua vera natura e si spaventa, ma ne è attratta irresistibilmente. Quando Mirkael si sveglia, sente la sua presenza e la cerca tra le stanze abbandonate. Trovatala, la prega, saggiamente, di andarsene e di dimenticarsi di lui. Ma Angelie l’ha scrutato per tutto il giorno e non riesce a staccarsene, quindi gli si avvicina, provocandolo. Mirkael si strappa da lei, urlandole di andarsene, ma Angelie gli si avvicina di nuovo, offrendogli la gola e implorandolo: - Prendimi!
Mirkael, non resistendo oltre, cede alla sua passione, pur sapendo che se ne pentiranno entrambi, la creatura della luce gettata nelle tenebre e la creatura delle tenebre che aspira alla luce.
- Pensi davvero che me ne pentirò? – chiedo a Mirko, mentre guardo le nuvole che passano veloci, fuori dalla finestra di casa sua.
- Spero di no. È solo un fumetto. – commenta.
- Ma nella realtà, tu mi ami davvero? 
- Sei il mio unico pensiero, - mi conferma Mirko – da quando ti ho vista per la prima volta. 
- Non è buffo che io mi sia innamorata di te, grazie alle parole di un vampiro?
- Erano le mie. Ho sempre sperato che tu le leggessi. Le ho scritte per questo. 
- Dunque c’era tutto questo, dentro i tuoi silenzi.
- C’era anche di più, molto di più, ma non sono cose che possa leggere un ragazzino su un giornaletto.
- A me puoi dirle. – lo incoraggio.
- A te posso farle. – mi corregge.
Io lo guardo. Lui mi guarda. Il suo sorriso è sparito, sostituito da un’espressione intensa e passionale, quasi insostenibile.
Cadiamo l’uno tra le braccia dell’altra, stringendoci con foga. Poi cominciamo ad avanzare verso la camera da letto, baciandoci sfrenatamente, spogliandoci a vicenda e spargendo gli abiti in terra lungo il corridoio. Finalmente giungiamo nudi alla meta. Mirko sfoga in fretta e con frenesia tutta la sua passione repressa, in un’esplosione che sta a metà strada tra vittoria e vendetta, poi si getta di fianco, come fulminato.
- Stai bene? – gli chiedo, dopo qualche momento, sospettando della sua immobile fissità.
- No. Perdonami. Sono un bruto. 
- Non dire così. Possiamo fare di meglio. – lo conforto, rendendomi conto di aver appena ripetuto il ritornello preferito di Marcello.

Naturalmente, il meglio viene dopo. Mirko, superata l’ansia e la smania di possesso, si rivela un amante dolce e appassionato, tenero e attento, il miglior vampiro che potesse capitarmi. Il sangue mi scorre veloce nelle vene e mi sfiora il desiderio assurdo che Mirko mi addenti il collo e mi succhi come un succo di frutta. Ad un tratto, lui mi fissa con lancinante serietà. I suoi occhi, vicinissimi ai miei, divengono neri e fiammeggianti, sprofondandomi nell’anima. Mi sento penetrare profondamente e avvolgere da una sensazione indefinibile, prepotente ed assoluta, fino a non avere più confini né spazi, fino a non appartenermi più. È una comunione indissolubile di corpi e di anime, una insostenibile trance interamente al di là delle parole e dei pensieri. L’universo intero siamo noi, trasformati in un’esplosione travolgente di fuochi d’artificio.
Quando infine, lentamente, tutto si placa, il mare in tempesta, il vento d’uragano, le scosse sismiche, il nostro respiro torna regolare e i battiti del cuore perdono il loro ritmo indiavolato.
- Grazie, amore mio. È stato incredibile. – dico a Mirko, ancora stravolta, con un sentimento di smisurata gratitudine.
Oggi non ho scoperto soltanto un mondo nuovo, ma anche una parte di me che ignoravo esistesse.
- Grazie a te, mio inestimabile tesoro. – mi risponde, sfiorandomi l’angolo della bocca con un bacio conturbante.
E dopo qualche momento di intensa riflessione, accarezzandomi i capelli:
- Vieni a vivere con me? – mi domanda, con espressione implorante. 
Lo so, può apparire prematuro, ma anch’io sento che questo è l’uomo giusto, l’amore giusto, il momento giusto.
Quindi gli sussurro: - Sì, amore mio. Non desidero altro.