Capitolo due

Delgado si adattò in fretta alla presenza di Consuelo Torres nel suo ufficio. In fondo, non poteva considerarla un soprammobile. In tutta onestà, era costretto ad ammettere che eseguiva gli ordini più in fretta e con maggior efficienza di tutti i suoi collaboratori precedenti. Inoltre, doveva riconoscere che riusciva a stare zitta abbastanza a lungo e che guidava con una scioltezza insolita, per essere una donna. In ultimo, ma non meno importante, era ordinata, precisa e caparbia. Tutto sommato, non gli dispiaceva. Certo che doveva ancora metterla alla prova su un caso difficile e fino a quel momento, per sua fortuna, non avevano dovuto affrontarne. Tuttavia, come un richiamo al destino distratto, questo pensiero materializzò la sequenza di avvenimenti che avrebbe costituito per Consuelo Torres il battesimo del fuoco e per Rey Delgado un incentivo a mutare le sue prospettive.

 

Il primo a saltare in aria fu un piccolo ufficio postale alla periferia di Burgos. Quando Rey Delgado giunse sul posto con la sua vice Consuelo Torres, i pompieri erano già riusciti a estinguere l’incendio che si era scatenato dopo l’esplosione, avvenuta alle quattro del mattino. Era ancora buio, quando Rey scese dall’Alfa 159 sbattendo la portiera con violenza.
Consuelo gli lanciò uno sguardo corrucciato. Lavoravano insieme da poco più di un mese, ma era già riuscita a trovargli mille difetti. Quello dell'ignorarla per la maggior parte del tempo, non era neppure il più grave. Appoggiò il fondoschiena al cofano, con le braccia conserte. Se avesse seguito Delgado, senza un suo esplicito ordine, avrebbe dovuto subire i suoi pesanti richiami, come l’ultima volta che aveva osato tanto. In servizio, Delgado non sopportava tra i piedi nessuno, nemmeno il suo vice. Era per questo che tutti chiedevano il trasferimento, dopo qualche mese di servizio al suo fianco. Pur essendo contro le regole, a lui piaceva lavorare da solo e lo metteva subito in chiaro. Consuelo meditava già da qualche giorno di seguire le orme dei suoi predecessori, ma prima doveva vincere un suo ostinato difetto: per costringerla ad arrendersi, dovevano spararle.
Consuelo Torres portava benissimo i suoi trentacinque anni. Era nata in una bella serata di settembre, mentre, per le strade di Salamanca, impazzava la festa di San Matteo. Si era decisa a lasciare la città solo per studiare alla scuola di polizia a Madrid. E allora aveva preso gusto per i viaggi, aveva iniziato a sentirsi meglio nella propria pelle, aveva quasi fatto pace con il suo essere donna. Quasi, ma non del tutto. Collaborare con Delgado le aveva rimesso in circolo una quantità di piccoli dubbi su se stessa, che credeva di aver spazzato via per sempre. Colpa del grande carisma che emanava dal suo boss e del suo ignobile modo di fare, che la relegava al ruolo di segretaria-autista, priva di cervello, opinioni, professionalità e carattere. Solo la sua grande disciplina interiore la sosteneva in quel compito ingrato.
A distrarla dai suoi problemi, c’era la tenace ricerca di un appartamentino da affittare, che non le costasse un occhio della testa e che fosse abbastanza vicino all’Avenida de Castilla y Leon, dov’era la sede del commissariato cui era stata assegnata. Consuelo amava sopra ogni altra cosa la paella, in ogni sua espressione regionale o locale; adorava correre in mezzo agli alberi, guardare film polizieschi e d’azione, nel cui finale, possibilmente, ci fosse il trionfo della giustizia. Quando si sentiva triste e malinconica, le andava bene anche una commedia romantica, ma era una debolezza cui si convertiva raramente. Le piacevano gli uomini romantici, ma non ne aveva conosciuti molti e quelli che aveva conosciuto non erano mai stati interessati a lei. Del resto era comprensibile, dal momento che si era sempre dimostrata un vero maschiaccio. Non ricercava né l’eleganza, né l’esaltazione della sua femminilità, proteggendo prudentemente il suo lato debole con uno scudo di freddezza e rigore di sicuro poco attraente. Somigliava un po’ alla Trinity di Matrix. Era perfetta per il suo mestiere, un po’ meno per certi rapporti umani. Eppure era convinta di poter trovare un punto d’intesa con Delgado, sul piano della professionalità.

Rey si avvicinò al caposquadra e, senza perdere tempo in convenevoli, gli chiese se avessero già un’ipotesi sulla causa dell’esplosione. L’uomo, alto e ben piazzato, si sfilò il casco, mettendoselo sotto il braccio e lo guardò dritto in faccia.
– Hanno immesso del gas nello sportello bancomat e poi gli hanno dato fuoco.
– Sono riusciti a rubare il contenuto?
– Cosa dovevano rubare, coriandoli di cenere? – commentò, sorridendo.
– Troppo gas? – domandò Delgado, che già sentiva saltargli la mosca al naso.
– Troppo o poco sarebbe stato lo stesso. O erano dei perfetti imbecilli o perseguivano uno scopo diverso.
– E quale?
– Distruggere l’ufficio, per esempio.
– Non ha senso – affermò Delgado.
– Lo so, però è quello che hanno fatto.
Rey apprezzò la sintesi e la chiarezza del caposquadra. Odiava perdere tempo. Per il momento, avrebbe catalogato il caso come tentato furto. Dopo i rilievi dei tecnici, avrebbe deciso se trasferirlo sotto una voce diversa.
 
Il secondo fu un ufficio postale a Quintanadueñas. L’esplosione, avvenuta alle tre del mattino, aveva svegliato il tranquillo paese, facendo temere la fine del mondo. Rey e Consuelo arrivarono sul posto quando ormai lo spavento era passato e la gente se n’era ritornata nelle proprie case, lasciando come osservatori i soliti gruppetti d’irriducibili curiosi. Questa volta, Rey concesse a Consuelo di seguirlo. L’incendio era spento, ma i pompieri, che erano dovuti arrivare da Burgos, erano intervenuti troppo tardi per salvare il salvabile. L’intero edificio era annerito dal fuoco e l’interno dei locali era un ammasso fumante di macerie coperte di schiuma. La tecnica risultò essere la medesima del primo caso, come pure gli esiti del furto. Uno dei pompieri in tenuta nera commentò:
– Nessun ladro può essere così pazzo da sperare che dopo un’esplosione del genere si possa recuperare anche solo un misero bottino.
Osservando i resti fumanti, Consuelo bofonchiò qualcosa tra sé e sé.
– Esprimiti pure, Torres.
– Dicevo che è peggio dell’altra volta.
– Esatto.
– Se stanno facendo delle prove tecniche, mi pare che non imparino molto dai loro errori.
– Dipende da cosa vogliono ottenere…
Consuelo si stupì della compiacenza che il suo boss le dimostrava quel giorno. Non solo la ascoltava, ma le rispondeva persino. Per qualche misteriosa ragione, doveva essere di buonumore, nonostante la levataccia.
Delgado le ricordava un bel cane che aveva posseduto anni prima: un podenco andaluso, resistente, coriaceo, insuperabile cacciatore, cocciuto e indomito, che lei chiamava, guarda caso, proprio Re. D’altra parte, l’Andalusia produceva da sempre quel genere di creature, come Re e Delgado, perfettamente adattate alle più terribili condizioni. Era nell’ordine naturale delle cose. Consuelo si disse che se era stata capace di sopportare Re, poteva anche abituarsi a Rey Delgado.
Dopo qualche minuto di altre inutili chiacchiere con i presenti, Delgado decise di tornare a Burgos. Mentre osservava il buio schiarire, fuori dal finestrino, Rey tornò a rivolgerle la parola.
– Cos’avranno in mente questi pazzi? Che senso hanno queste due esplosioni? Di fronte a che cosa ci troviamo?
A Consuelo sembrarono più riflessioni espresse ad alta voce, che domande alle quali Rey potesse aspettarsi una risposa. Quindi, continuò a guidare in silenzio, come aveva imparato a fare sin dai primi giorni di servizio al suo fianco.
– Che cosa ne pensi, Torres?
– Penso che si stiano allenando in vista di un colpo più grosso – rispose, dopo averci riflettuto un attimo.
– Con questa tecnica non riusciranno a mettere le mani nemmeno su un euro.
– Con meno gas, forse?
– Può darsi. Ma questa storia non mi convince.
– In effetti non convince nemmeno me. Fino a oggi ho pensato che potesse addirittura trattarsi di una vendetta. Sai, con la gente fuori di testa che c’è in giro...
– Beh, questa ipotesi possiamo scartarla. A meno che non stia diventando uno sport nazionale, quello di vendicare un torto subito allo sportello di un ufficio postale, facendolo semplicemente saltare in aria.
– No, direi che possiamo scartarlo.
Per il resto del viaggio, Delgado rimase concentrato sui propri pensieri, senza più pronunciare una sola parola, com’era sua abitudine.

 

 

Il terzo fu un ufficio postale di Castrillo del Val. Il colpo era una fotocopia del precedente, con l’unica differenza che era stato realizzato alle due di notte, mentre c’era ancora in giro un po’ di gente, che si era precipitata sul posto, attirata dal boato, e che aveva fatto in tempo a veder fuggire una Seat Leon, probabilmente color argento, con due uomini a bordo. Era già qualcosa. Anche se nessuno era riuscito a prendere la targa, era il primo indizio utile da due settimane a quella parte. Per il resto, identico modus operandi, medesimo risultato.
– Adesso basta – mormorò Delgado.
Consuelo si domandò cosa volesse dire.
– Basta? – osò chiedere, senza riuscire a trattenere la sua curiosità.
– Sì, basta. Voglio andare a sentire cosa ne pensano i dirigenti delle poste. È chiaro che ce l’hanno con loro, ma non per rapinarli.
– Credo anch’io che non siano i soldi, quello che vogliono.
– Per prima cosa, domattina andremo là.

La sede centrale delle Poste di Burgos era in Avenida de la Constitución. Consuelo si era informata, scoprendo che da questa dipendevano tutti gli uffici della Castiglia e León. Aveva tentato di fissare un appuntamento con uno dei dirigenti, ma le avevano cortesemente spiegato che potevano presentarsi in qualunque momento, sicuri di trovare almeno uno dei responsabili. Delgado la lasciò in macchina. Aveva dormito pochissimo ed era di pessimo umore. Anche il cielo, invaso da una massa di nuvole grigio piombo, non prometteva nulla di buono.
Al terzo piano, dove l’avevano dirottato, facendolo rimbalzare da un ufficio all’altro, Rey fu finalmente ricevuto da uno dei dirigenti, tale Paco Ramírez: lievemente brizzolato sulle tempie, bella presenza, una stazza di tutto rispetto, mani molto pelose e gli occhi più gentili che a Rey fosse mai capitato di trovare in un burocrate di alto livello. L’uomo gli strinse la mano con calore e lo fece accomodare su una poltroncina, di fronte alla sua scrivania.
– Dottor Ramírez, sto seguendo il caso delle tre esplosioni negli uffici postali, avvenuti in queste due settimane.
– Ah, bene. Avete qualche indizio sui colpevoli?
– Non ancora. Ma, soprattutto, non sono convinto che siano tentativi di furto.
– Come, scusi? – chiese Ramírez, stupito.
– Pare che la tecnica utilizzata non fornisca alcuna speranza di accedere al denaro custodito negli ATM.
– Ma allora, perché lo farebbero?
– Speravo che potesse essere lei a suggerirmi un’idea.
– Non capisco, tutto questo non ha senso – commentò Ramírez, posando sulla scrivania una penna con cui aveva giocherellato fino a quel momento.
– Eppure ci dev’essere un motivo. In fondo stanno rischiando per nulla. Stanotte sono stati visti. Se fossero arrivati sul luogo solo un attimo prima, i testimoni avrebbero potuto persino descriverceli.
– Se non è per rapinare gli uffici, non saprei proprio immaginare un altro motivo – commentò Ramírez, con uno strano scintillio negli occhi.
– Dottor Ramírez, la pregherei di rifletterci sopra e di discuterne anche con gli altri dirigenti. Magari a qualcuno può venire in mente qualcosa: lettere minatorie, minacce di cui non si è tenuto conto, reclami gravi cui non si è dato un seguito, istanze legali finite in maniera da ledere i diritti di qualcuno, cose del genere. Questa banda ce l’ha con voi. Su questo non ho più dubbi.
– Capisco. Comunicherò immediatamente le sue considerazioni ai miei colleghi. Le farò sapere. Se mi lascia un recapito telefonico…
Delgado gli porse un biglietto da visita.
Paco Ramírez scrisse qualcosa su un blocchetto per appunti e strappò il foglietto tendendolo a Delgado, con un lieve sorriso.
– Questo è il mio numero. Se avesse delle novità, la prego di informarmi.
Consuelo constatò con piacevole sorpresa che il suo boss sembrava calmo e rilassato. Incredibile. Aveva già avuto modo di notare che ai suoi incontri con esponenti delle alte sfere burocratiche, seguivano bei quarti d’ora di grugniti e invettive, di solito in ceceo. Quel giorno no.
– Non ho concluso niente – commentò Delgado, pacifico, rispondendo al suo sguardo curioso con un’occhiata neutra.
– Non sanno che pesci pigliare, eh?
– Ho parlato con un certo Paco Ramírez, che è caduto dalle nuvole.
– Come si fa a capirci qualcosa? Bisognerebbe almeno trovare un movente.
– Indaga, Torres. Datti da fare.
– Potrei iniziare parlando con i direttori degli uffici che sono saltati. Magari loro hanno qualche idea.
– Questo è già un bel programma. Tu studia come funzionano le cose nelle poste. Io penserò al resto.
– Agli ordini – rispose Consuelo, pur ignorando completamente come e dove avrebbe potuto trovare le informazioni giuste.
Delgado sorrise lievemente tra sé e sé. Consuelo se ne stupì. Sicuramente non era lei la causa di quel raro sorriso.

 

 

Paco Ramírez uscì dal suo ufficio per andare a cercare il collega che si occupava delle risorse umane, Alejandro Sánchez. Nel suo ufficio si trovavano in quel momento anche i colleghi che dirigevano i settori commerciale e amministrativo, Esteban Ruiz e Natal Serrano. Paco raccontò della visita ricevuta e dei dubbi del commissario Delgado. I tre colleghi lo ascoltarono con attenzione.
– Ma figurati! Vendette, minacce, lettere minatorie? Sì, di tanto in tanto ne sono arrivate, ma niente di speciale. Se dovessimo dar retta a tutti i pazzi che ci sono in circolazione… – commentò Natal.
– Ma allora perché ci sono tre uffici distrutti? – chiese Alejandro.
– E non sappiamo neppure se si fermeranno a tre – aggiunse Paco.
– Adesso diramiamo un avviso a tutto il personale. Chiunque abbia notizia di minacce, deve farci immediatamente una relazione – disse Esteban.
– E proprio adesso che c’è in ballo l’accordo con la Serenwest Bank – mormorò Alejandro.
– Che bella figura ci faremo. Dobbiamo fermare immediatamente questi pazzi. Certo che con la polizia incompetente che abbiamo… – commentò Natal.
Paco Ramírez se ne tornò nel suo ufficio con l’impressione di aver solo perso tempo. Per qualche minuto si concentrò ad analizzare la situazione, tamburellando con le dita sulla scrivania. Appoggiò meglio la schiena alla spalliera della poltrona. Cercò di rilassare i muscoli delle gambe. Che tipo, quel Delgado… Dritto all’obiettivo, senza girarci intorno. Uno che di sicuro non amava perder tempo. All’inizio gli aveva provocato anche una sensazione di soggezione, con quello sguardo nero e intenso puntato dritto nel suo. Poi si era rilassato, distratto dal suo volto espressivo, dalla luce della finestra che giocava col nero corvino dei suoi capelli, forse un po’ troppo lunghi. Che bel tipo, quel Delgado. Nel tardo pomeriggio, prima di tornarsene a casa, si decise a chiamarlo, per informarlo di aver fatto un buco nell’acqua. Delgado gli anticipò che probabilmente gli avrebbe fatto un’altra visita. Paco si dichiarò a sua completa disposizione, in qualunque momento.
– Che persona disponibile! – commentò Delgado, dopo aver chiuso la comunicazione.
– Insomma, una persona normale. Se ne trovano ancora, capo. Se non fossimo tanto prevenuti, probabilmente ci accorgeremmo che ce ne sono ancora tante, in giro.
– Non ti allargare, Torres. Pensa a lavorare. Anzi, no. È ora di staccare. Vattene a casa.
– L’avessi, una casa!
– Ancora non hai trovato un buco dove stare? Si può sapere che aspetti?
– Aspetto di trovarne una con un canone d’affitto che non superi il mio stipendio mensile.
Delgado la osservò con sguardo severo e con un’espressione infastidita, tinta da una lieve esasperazione.
– Vieni con me, inconcludente creatura – le disse, infine.
Consuelo si morse un labbro, ma non rispose. Se davvero le avesse fatto trovare casa, sarebbe passata sopra a tutto. Del resto quello era il suo boss, come faceva a rispondergli male? La disciplina glielo impediva.

Paco Ramírez si fece strada sgomitando fino al bancone del bar, chiedendo tapas e birra. Di solito cenava così. Se più tardi, a casa, gli fosse venuta fame, avrebbe mangiato della frutta. A quell’ora c’era sempre un mare di gente, ma a lui piaceva così. Si potevano scambiare due chiacchiere, mettersi un po’ in allegria, rilassarsi, gustarsi qualcosa di sfizioso e poi tornare a casa, a smaltire lo stress e la stanchezza. Più in là vide un uomo completamente vestito di nero che per un attimo gli sembrò Delgado. Poi il tizio si voltò e Paco capì di essersi sbagliato.
Paco Ramírez avrebbe compiuto quarantatré anni in maggio. Da sempre viveva a Burgos, tranne che per una parentesi di quattro anni, durante i quali, per amore della carriera, aveva dovuto sopportare vari trasferimenti in diversi uffici della Castiglia e León: per farsi le ossa, gli avevano suggerito i suoi capi; gavetta, l’aveva chiamata lui. Col senno di poi, era grato di aver potuto approfittare di quell’esperienza, che gli aveva permesso di comprendere appieno tutti i meccanismi che tenevano in piedi il sistema, un sistema che doveva assolutamente cambiare.

 

 

Il quarto fu un ufficio postale di Villacienzo, di nuovo alle quattro del mattino. Nessun testimone, ma un appartamento reso inagibile dall’esplosione e sgombrato in tutta fretta. Per fortuna nessun ferito, ma tanta paura, tra gli inquilini del palazzo di tre piani, che ospitava l’ufficio al livello della strada.
Delgado, per la prima volta, aspettò che, oltre ai pompieri, si presentasse qualcuno degli impiegati dell’ufficio. Alle sei, una signora attempata, con i capelli scarmigliati e un viso stravolto, scese da una Toyota Yaris azzurra, precipitandosi verso quello che restava dei locali. Quando Delgado vide che si guardava intorno con disperazione, stringendosi le mani ai lati del volto, si avvicinò a lei, presentandosi. La donna lo osservò con aria smarrita.
– Lei è la direttrice? – le chiese.
– Sì.
– Non hanno rubato nulla. Si sono limitati a distruggere l’ufficio.
– Perché? Si può sapere perché?
La sua disperazione era commovente.
– Lei non ha nessuna idea dei motivi che potrebbero averli spinti a fare una cosa del genere?
– Ma di che cosa sta parlando? Come faccio a saperlo?
– Non ha mai ricevuto minacce, intimidazioni, che so...
– No, niente. Questo è un paese tranquillo. Qui ci vive brava gente.
– Se per caso le dovesse venire in mente qualcosa, qualsiasi cosa, per favore, mi chiami – le disse Delgado, porgendole il suo biglietto da visita.
– Certo, certo – rispose la donna, con espressione assente.

Delgado decise di fare un salto da Paco Ramírez. Il dirigente non era ancora arrivato, ma furono tanto cortesi da farlo salire. Lungo il vasto corridoio, in cui si aprivano le porte degli uffici della dirigenza, era disposta una fila di ampie poltrone in pelle nera, intervallate da tavolini quadrati in cristallo e acciaio. Delgado si accomodò davanti alla porta di Ramírez, sperando che non avesse un orario troppo elastico o impegni fuori sede che lo facessero tardare. Si ricordò che l’usciere gli aveva assicurato che avrebbe avvertito Ramírez del suo arrivo. Quindi sperò che qualunque cosa avesse in programma di fare, il dirigente gli avrebbe dato la precedenza. In effetti, Delgado non fece in tempo né a scaldare la poltrona, né a guardare l’orologio con impazienza. Il cordiale sorriso di Paco Ramírez gli fu davanti prima che tutto questo avvenisse. Lo salutò e aprì la porta, facendolo entrare nel suo ufficio.
– Stavolta hanno rischiato di andarci di mezzo degli innocenti. Bisogna trovare il modo di fermarli. Questa storia deve finire – affermò Delgado.
– Ho appena saputo. La direttrice era molto scossa.
– Mi dica, fino a oggi, a quanto ammontano i danni?
– Circa 200.000 euro per il denaro distrutto e il doppio per le strutture da restaurare. Forse qualcosa di più per quello di stanotte, che ha causato più danni. Ancora non sappiamo bene. I tecnici non hanno finito il sopralluogo.
– Diciamo 700.000 euro, per arrotondare. Chi paga?
– Abbiamo un’assicurazione.
– Siete coperti per tutti gli uffici?
– Certo, ma non crederà mica che questa storia vada avanti all’infinito! Dovete prenderli!
– E come? Dove possiamo cercare? Se non lasciano tracce e se non abbiamo uno straccio di movente, da dove cominciamo? Non avete mai pensato di mettere delle telecamere di sicurezza?
– Ma certo! Moltissimi uffici le hanno.
– Ma questi non le avevano.
– No, in effetti no.
– Chi può avere a disposizione questo genere d’informazioni?
– Mah, oltre a noi, la sezione immobiliare, i tecnici delle società convenzionate che si occupano delle installazioni, gli impiegati degli uffici. Una quantità di gente, purtroppo.
– Metteremo posti di controllo davanti a ogni ufficio non coperto da impianti di sicurezza video. Quanti sono?
– Non lo so. Devo informarmi.
– Ho bisogno della lista completa, almeno di tutti quelli nel raggio di cinquanta chilometri da Burgos.
– Spero che non siano troppi.
– Lei me li procuri, poi vedremo.
– Va bene. Lo farò subito.
– Mi chiami, quando sarà pronto.
– Non ne dubiti.

 

 

Paco Ramírez fu molto efficiente, com’era nella sua indole e nel suo temperamento. Purtroppo la risposta dei suoi collaboratori non fu altrettanto celere, ma sapeva che ormai lavoravano tutti a ranghi ridotti, con un carico di lavoro che lasciava poco spazio agli imprevisti. All’una e mezza del pomeriggio fu in grado di confermare a Delgado che aveva la lista. Gli uffici, purtroppo, erano una quarantina, e senza neppure allontanarsi fino a cinquanta chilometri da Burgos.
– Troppi – mormorò Delgado.
– Mi rendo conto. Colpa dei tagli. I fondi per la sicurezza si sono esauriti molto prima di completare la copertura. Forse, il prossimo anno, se riusciremo a dare la precedenza a questo…
– Pensiamo al presente, alla situazione attuale. Sta andando a pranzo?
– Vuole che le porti la lista da qualche parte? Dove si trova?
– Sto andando alla Casa Babylón, in Plaza Santo Domingo. Ma se vuole, posso venire io.
– No, va bene così. Sarò là tra un quarto d’ora.
Paco Ramírez fu ben felice che Delgado non avesse proposto di inviargli un fax. Gli faceva piacere rivederlo. Uscendo dal parcheggio sotterraneo, se lo trovò proprio di fronte, a una ventina di metri. Aveva appena attraversato la strada. Difficile non riconoscerlo, con quel completo nero, su camicia nera. Nessuna concessione al colore, per il commissario Rey Delgado, pensò Paco, sorridendo tra sé e sé.
– Ho chiamato Alicia. Ci ha tenuto un tavolo – gli comunicò Rey, una volta che l’ebbe raggiunto.
– Viene spesso a mangiare qui?
– Ogni volta che posso, quando non sono fuori zona.

Consuelo lasciò l’Hostal Cordon con un sospiro di sollievo. Per la metà di quello che aveva lasciato nelle rapaci mani del proprietario, aveva affittato un piccolo appartamento ammobiliato vicino a Plaza Santo Domingo, nello stesso complesso in cui abitava Delgado. Due mesi di anticipo, l’assicurazione che non ci avrebbe mai portato animali di alcuna specie, il giuramento che non avrebbe mai e poi mai tenuto alto il volume di radio o tv, una bella stretta di mano, e finalmente la sua vita cambiava. Tornare ad avere un bagno tutto per sé le sembrava la più incredibile delle conquiste. Delgado si era dimostrato quasi umano, con lei. Era la prima volta. Forse, col tempo, il loro rapporto avrebbe potuto migliorare. Toccava a lei dimostrarsi all’altezza.

 

 

Paco Ramírez osservò divertito Delgado spalmare di guacamole una tortilla, e poi coprirla, con estro artistico, di pomodori e cipolle. Non contento, spolverò il tutto con peperoncino in polvere.
– Ha riflettuto su chi potrebbe guadagnare da questa storia? – chiese Delgado.
– Come sarebbe possibile guadagnare qualcosa dalla distruzione di alcuni uffici postali?
– Senta, Ramírez, per la mia esperienza, nessuno si muove se non ci guadagna qualcosa. In questo caso, poi, col rischio di finire nelle patrie galere, penso che ciò valga ancora di più. Se non guadagnano nulla nei colpi, qualcuno deve pagarli per il lavoro.
– Ma a quale scopo?
– È proprio questo il punto. Avete dei concorrenti?
– Nelle grandi città, qualcuno, ma nei piccoli borghi, andiamo! I nostri concorrenti si muovono su altri campi, vanno sul sicuro. Là andrebbero subito in perdita. Lo so, perché siamo in deficit già noi.
Rey lo fissò per un attimo con grande attenzione, con una fissità vagamente distratta, che mise Paco in imbarazzo. Sembrava cercasse una risposta dai suoi occhi.
– Nei piccoli paesi siete in perdita, dice?
– È naturale. Manteniamo il servizio, coprendo i passivi con i profitti degli uffici più grandi, cosa che i nostri concorrenti non potrebbero fare.
– Questo è interessante.
– È buona la tortilla?
Rey sorrise.
– Piccante al punto giusto.
Che tipo, quel Delgado. Quando uscirono dalla Casa Babylón, Rey tirò fuori dalla tasca la lista che Ramírez gli aveva consegnato.
– Vedrò di far mettere sotto controllo il maggior numero degli uffici, ma sicuramente non saranno tutti. Lei, per favore, non ne parli con nessuno, nemmeno con i suoi colleghi o collaboratori più stretti. Intesi?
– Sta pensando che i mandanti siamo noi? – chiese Paco.
– Per il momento, non sono in grado di escludere nessuno, le pare?
– Capisco – ammise Paco, con espressione molto seria.
Si salutarono con una stretta di mano vigorosa, poi Ramírez si diresse verso il parcheggio sotterraneo, mentre Delgado lo seguì con lo sguardo. Quell’idea che gli uffici fossero in passivo non lo mollava. Qualcosa gli diceva che era là che doveva scavare. I mezzi di certo non gli mancavano. Si mosse con passo deciso verso il commissariato. Aveva un paio di cose da sbrigare. Peccato che avesse concesso a Torres mezza giornata libera, per sistemarsi nella nuova dimora.

Delgado iniziò una ricerca sulle piccole società concorrenti delle poste. Era un mondo variegato, ma di scarsa rilevanza. Certo, avrebbe potuto crescere, spazzando via la concorrenza. Quando tornò in servizio, Consuelo si buttò anima e corpo sul lavoro di ricerca che Rey, un po’ vagamente, le aveva affidato. Nello stesso tempo, seguiva le intercettazioni telefoniche sui dirigenti di Avenida de la Constitución. Poiché usavano un sistema VoIP, era stato sufficiente collegarsi ai loro computer. Non c’era voluto molto, al collega Fernando Gil, per aggirare i loro sistemi di sicurezza. In quei tre giorni, per fortuna, non erano saltati in aria altri uffici. Seguendo le registrazioni, ebbe conferma che la trattativa con la Serenwest Bank, di cui aveva letto su giornali e siti specializzati, sarebbe risultata fondamentale per restituire un po’ di respiro a un’azienda in forte declino. La crisi generalizzata aveva colpito in modo determinante anche le poste. Si parlava di tagli e riduzione del personale, le solite facili soluzioni che ogni azienda in difficoltà metteva in pratica come primo espediente. Ma quello che la incuriosiva di più erano le intercettazioni, in cui si parlava di un certo Infante, che ficcava il naso dappertutto e aveva cominciato a essere decisamente troppo invadente. Qualcuno aveva persino proposto di dargli una bella lezione, in modo da toglierselo dai piedi per qualche tempo. Chi diavolo era?
Ne parlò con Delgado, facendogli la solita relazione giornaliera.
– Infante? Un cocco dei grandi capi? Qualcuno che ha fatto carriera grazie alle sue conoscenze?
– Sicuramente qualcuno che non è nelle grazie dell’élite. Si potrebbe chiedere a Paco Ramírez.
– No. Non voglio in alcuna maniera tenerlo informato su queste indagini. Fa parte anche lui dell’élite. Se il marcio è là, potrebbe esserci coinvolto. Nessuno deve sapere che li stiamo intercettando.
– Certo, hai ragione.
– Io ho sempre ragione.
Consuelo si morse un labbro. Parlava sempre troppo. Doveva imparare a tenere i suoi commenti per sé.
– Scopri chi può essere questo Infante.
– Agli ordini, capo.
Ventiquattr’ore dopo, confortata dall’approvazione di Gil, Consuelo azzardò un’ipotesi. Delgado la fissò in modo strano.
– Cosa te lo fa pensare?
– Ramírez è l’unico che non l’abbia mai nominato. O il problema non lo colpisce minimamente, oppure è lui.
– Oppure è qualcuno che lo sta aiutando a trovare le risposte.
Rey Delgado si domandò come Ramírez avesse fatto carriera. Inoltre, si chiese se il dirigente potesse nutrire dubbi sui suoi colleghi, dopo che lui l’aveva pregato di tacere con loro. Era Ramírez che stava ficcando il naso dappertutto? Doveva seguire le sue regole, rigide e ferree, che non l’avevano mai tradito, oppure il suo istinto, che gli diceva che Paco Ramírez non era coinvolto in alcun modo? No, no, e ancora no. Si stava forse rammollendo? Le regole esistevano appunto per evitare di commettere inutili errori. Lo sapeva per esperienza. Non poggiando su solide basi razionali, l’intuito e l’istinto potevano facilmente sbagliare, quindi non c’era motivo di seguirli. Era troppo presto per andare oltre le ipotesi. Bisognava aspettare di possedere delle certezze.

 

 

L’esplosione del quinto ufficio fu filmata da una telecamera di sicurezza della Banca di fronte, l’unica di Atapuerca. I due uomini arrivarono in moto, indossando caschi integrali e tute nere. Impossibile riconoscerli. I danni furono minori del solito, ma anche in quel caso i due rapinatori non poterono impossessarsi del bottino. Alle dieci del mattino, Delgado ricevette una telefonata da Ramírez. Aveva saputo del nuovo disastro e aveva bisogno di parlargli.
– Vengo subito da lei – si offrì il commissario.
– No, non qui. Vediamoci fuori. È più prudente. Stasera alle 10:00, le va bene?
Delgado sperò che Ramírez avesse scoperto qualcosa di rilevante, ma nonostante la sua impazienza, acconsentì.
– Mi dica dove.
– Facciamo alla Casa Babylón.
– Va benissimo.
– Perfetto.
Consuelo apparve subito dopo davanti alla porta del suo ufficio.
– Ci sono novità, Torres?
– C’è uno degli impiegati dell’ufficio di Atapuerca.
– Fallo passare.
L’uomo era sui cinquanta, forse poco più. Si presentò, poi si sedette davanti a Delgado, con espressione tesa e preoccupata.
– Mi dica, signor Ortega – lo invitò Delgado.
– So perfettamente che sto per dirle qualcosa che non c’entra niente con l’attentato…
– Attentato? – lo interruppe Delgado.
– A me sembrano questo – si scusò l’uomo.
– Continui – lo invitò Rey.
– Lo so che si tratta di una stupida coincidenza, ma da qualche tempo quelli della sede centrale m’invitavano a trasferirmi in un altro ufficio, prima dicendomi che là avrei potuto salire di livello, poi suggerendo che sarebbe stato meglio che fossi io a scegliere, anziché essere costretto ad andare dove mi avessero assegnato. Io non capivo perché insistessero tanto, poi, pressati dalle mie richieste di una spiegazione, mi dissero che probabilmente sarebbero stati costretti a chiudere alcuni piccoli uffici, per contenere le spese. Atapuerca era uno di quelli. Io mi sono rivolto ai sindacati, che mi hanno tranquillizzato, affermando che non avrebbero mai acconsentito. E adesso, che strana coincidenza, commissario, l’ufficio non c’è più. E non so ancora dove mi manderanno.
– Non corre il rischio di essere addirittura licenziato?
– No, questo no, i tagli sul personale li fanno semplicemente non assumendo nessuno al posto di quelli che se ne vanno. Per lo meno, finora hanno fatto così.
– Grazie per essere venuto, signor Ortega.
– Grazie a lei per avermi ascoltato.
Quando sparì oltre la porta, si affacciò di nuovo Consuelo.
– Capo, poco fa se la sono presa ancora con l’Infante.
– Chi sono, si è capito?
– Uno si chiama Natal Serrano e l’altro Esteban Ruiz.
– Di Ramírez ci sono novità?
– Telefonate strettamente professionali. Ma dopo aver chiamato te, più niente.
– Continua a lavorarci. Voglio essere sicuro.
– Che l’Infante sia Ramírez? Per me è lui. Non sarà il caso di proteggerlo? Continuano a dire che gli faranno passare la voglia d’impicciarsi.
– Voglio sentire tutte le registrazioni – decise Delgado.

Cinque minuti prima delle dieci, Delgado era davanti all’uscita del parcheggio sotterraneo, con un occhio all’ingresso della Casa Babylón. Non sapeva esattamente se Ramírez sarebbe venuto in auto o a piedi. Dopo dieci minuti andò a sbirciare all’interno, se per caso non fosse già entrato, mentre lui aspettava fuori, ma non lo vide. Alle dieci e venti cominciò a provare un formicolio alla nuca. Quel senso di preoccupazione, misto a senso di colpa, di quando sapeva che avrebbe dovuto comportarsi in un certo modo, invece di seguire la strada delle regole, ma non l’aveva fatto. Di solito, però, gli accadeva dopo aver constatato che il suo comportamento aveva avuto conseguenze spiacevoli. Nel caso presente non aveva alcun senso. Sì, che ce l’aveva, se l’Infante era davvero Paco Ramírez e se qualcuno gli aveva impedito di presentarsi a quell’appuntamento, portando a compimento le minacce che quel giorno aveva sentito con le sue stesse orecchie.
Provò a chiamare Ramírez sul cellulare, ma era spento. Telefonò al commissariato perché gli trovassero il suo indirizzo, ma non risultava presente su nessuno dei database. Rey s’incazzò. Com’era possibile? Tornò verso il commissariato. A metà strada, il cellulare vibrò nel suo taschino. Era Consuelo Torres.
– Dimmi.
– Hanno aggredito Ramírez. Per fortuna lo stavo seguendo e ho potuto intervenire in tempo.
– Dove sei?
– A casa sua.
– Sta bene?
– Mmm. Starà meglio, se insisterà a tenere i piselli sulla faccia.
– Cosa?
– Capo, vieni qua. Calle de las Infantas, al 3.
– Arrivo.
Delgado si domandò se lo chiamassero Infante a causa del suo indirizzo. E che diavolo ci faceva Consuelo alle calcagna di Ramírez? Aveva fatto di testa sua, disobbedendo ai suoi ordini. Quali ordini? Semmai aveva preso un’iniziativa intelligente, in assenza degli ordini che lui aveva omesso di impartire. Aveva fatto bene, non c’era niente da obiettare. Ci aveva visto più chiaro di lui. Trovò Consuelo al portone. Probabilmente si aspettava il suo cazziatone e voleva riceverlo in assenza di testimoni.
– Com’è andata? – le chiese Delgado, bruscamente.
– Capo, ero in ansia, scusami se ho fatto di testa mia, ma ero proprio convinta che l’Infante fosse lui. L’ho seguito per tutto il tragitto dalla sede fin qui. L’hanno aggredito davanti al portone, appena sceso dalla macchina. Erano in due. Quando li ho raggiunti, avevano già iniziato a gonfiargli la faccia, e sembrava che avessero la ferma intenzione di pestarlo per bene.
– Ma come hai fatto a riconoscerlo? Tu non l’avevi mai visto.
– Sul loro sito ci sono le foto e i numeri di telefono, oltre a tutte le attività di cui sono responsabili.
– E come hai fatto a bloccare quei due?
Consuelo lo fissò, profondamente offesa.
– Non ti sei nemmeno degnato di leggere il mio stato di servizio, a quanto pare – commentò risentita.
– Sì, che l’ho letto – mentì Delgado.
– E non ti dice niente che io sia cintura nera di karate, istruttrice di tecniche di difesa, e che abbia vinto l’anno scorso il torneo nazionale di Kickboxing a Madrid?
– Cazzo, sto lavorando con Rambo e nemmeno lo sapevo. E come te la cavi con le armi da fuoco? – la buttò in scherzo Delgado.
– Benissimo.
Delgado fischiò lievemente, davvero impressionato.
– Quei due che sono scappati, sapresti riconoscerli?
– Chi ha detto che sono scappati?
– Vuoi dirmi che sei pure riuscita a fermarli?
– Per quanto ne so, sono già al commissariato.
– Complimenti, Torres – disse Delgado, ammirato, rivolgendo quella espressione, forse per la prima volta, a un suo vice.
– Grazie, capo. Ramírez è al secondo piano. Io vado.
– Certo. A domani – disse Delgado, ancora un po’ stupito.
E non erano molte le cose che riuscivano a stupirlo. Poi, salì fino all’appartamento di Paco Ramírez e bussò. Il dirigente gli aprì la porta con un pacco di piselli surgelati appoggiato sul lato sinistro del volto.
– Fa male? – si sentì chiedere Delgado che, per svariate ragioni, si sentiva in imbarazzo.
– Non molto, adesso. È davvero in gamba, la sua collega. Grazie per avermela mandata. Ma come faceva a sapere che mi avrebbero aggredito?
Delgado, per una volta, decise di usare un po’ di diplomazia.
– Cosa le ha detto la mia collega?
– Niente di niente. Ha detto che mi avrebbe spiegato tutto lei, commissario.
– Perché mi ha chiesto di vederci, stamattina?
– Ho capito. Non vuole dirmi niente se prima non le faccio la mia relazione.
– Mettiamola così.
Paco mostrò un mezzo sorriso.
– Sediamoci.
Ignorando il divano, Delgado scelse una rigida sedia accostata a un bel tavolo di noce scuro. Ramírez si sedette di fronte a lui.
– Immagino che lei sappia che siamo in trattative con la Serenwest Bank.
– Sì, ho letto.
– C’è una cosa che però non può aver letto sui giornali. Una delle condizioni per completare la transazione era che, nel giro di sei mesi, si tagliassero le spese almeno del 25%. Sa cosa significa questo?
– Uffici da chiudere?
– Adesso sì. Prima c’illudevamo che bastasse adottare certe soluzioni più blande. Ma ormai abbiamo compreso che non basta. I sindacati si sono opposti in ogni modo, fino a oggi.
– E quindi? Adesso chiuderete gli uffici in passivo?
– Sì, per forza. Ma il motivo per cui le volevo parlare riguarda gli uffici distrutti.
– L’avevo intuito. Cos’ha scoperto?
– Che ci sono due dirigenti che hanno preso accordi privati con la Serenwest. Se riescono a ridurre i tempi, riceveranno un consistente bonus.
– Vuol dire che per fare più presto hanno deciso di farli saltare?
– È così. È pazzesco, ma è così. Forse hanno pensato di poter sveltire le pratiche…
Delgado lo fissò a lungo. Poi cambiò argomento:
– Lo sa che la chiamano Infante?
– Sì, lo so.
– E sa perché?
– Pensano che io sia stato una seconda scelta. Loro si aspettavano un altro al mio posto, ma c’è una buona ragione perché ci abbiano messo me. Sono stato addestrato per portare a galla il marcio che c’è ai livelli più alti della dirigenza. Il mio compito è di combattere la corruzione.
– Sul serio? Non immaginavo che le poste prevedessero anche questa figura professionale.
– No, infatti, sono un infiltrato. In realtà siamo colleghi: appartengo a una squadra speciale della Polizia Postale.
Delgado si stupì. Era la seconda volta, quella sera.
– Allora, potremmo anche darci del tu, collega.
– Con piacere, Rey. E adesso mi dici come mai mi ritrovo con soltanto un occhio nero, mentre potrei essere all’ospedale o all’obitorio?
– È grazie alla mia vice, Consuelo Torres. È stata lei a capire che i tuoi amici parlavano di te, quando si riferivano a un certo Infante che volevano far pestare.
– Avete intercettato le telefonate?
– Sì, attraverso i vostri computer.
– Allora vengo al commissariato. Visto che siete già collegati, ti tirerò fuori tutto il materiale che ti serve.
– Ma intanto, come si può bloccare la distruzione degli uffici?
– Oggi è stato siglato l’accordo con i sindacati, che prevede la chiusura di buona parte degli uffici in perdita. Se ne lascerà uno per zona, in modo da coprire il più ampio raggio possibile. A questo punto hanno ottenuto quello che volevano e non c’è più bisogno di esplosioni.
– Allora non ci resta che trovare la banda del gas.
– Io dico che l’avete già trovata.
– Cosa?
– Quei due che la tua vice ha così premurosamente consegnato nelle amorevoli braccia dei vostri colleghi, ho idea che ne sappiano qualcosa.
– In effetti, quelli che hanno visto a Castrillo del Val erano in due, così come gli uomini filmati ad Atapuerca. Potresti avere ragione.
Paco scostò dal viso il pacchetto di piselli surgelati. Delgado vide il livido che gli scuriva la pelle sotto l’occhio e sullo zigomo.
– Non t’è andata troppo male – commentò.
– Di certo non aiuterà il mio fascino.
– Di questo non sarei troppo sicuro.
Paco sorrise, sorpreso che la serietà di Rey potesse mostrare incrinature.
– Così, abbiamo saltato la cena. Che ne diresti di mettere qualcosa sotto i denti?
– Il brontolio del mio stomaco è giunto fino a te?
– Ah, era il tuo? Vediamo cosa c’è rimasto nel frigo.
– Io intanto sento se da quei due hanno cavato qualche notizia interessante.
Rey estrasse il cellulare, mentre Paco si allontanava dalla sala.

 

 

Paco avrebbe potuto difendersi abbastanza bene da solo, ma l’intervento di quella ragazza decisa e atletica l’aveva tanto sorpreso che ne era rimasto spiazzato. Sorrise, ricordando la sua premura, quando, dopo aver fermato i due e averli ficcati in macchina bloccando le portiere, era tornata da lui, chiedendogli se si fosse spaventato, come si sentiva, se poteva fare qualcosa per aiutarlo.
– Hai già fatto tutto – gli aveva risposto, ridendo.
– Ci vuole subito del ghiaccio, su quell’occhio. Vai in casa. Io arrivo appena i miei colleghi prelevano quei due.
Più tardi, Consuelo era salita da Paco. Aveva sorriso, vedendolo usare un pacchetto di surgelati al posto del classico ghiaccio.
– Vivi da solo, vero?
– Si nota subito, eh?
– No, ho visto la targhetta sul citofono.
– Ti ha mandato Delgado?
– Sono la sua vice.
– Come sapevate che...
– Adesso chiamo il capo e ti spiega tutto lui – l’aveva interrotto.
– Grazie per il tuo intervento così tempestivo. Sei davvero in gamba. Delgado è fortunato ad averti come spalla.
– Peccato che lui non lo sappia – aveva commentato Consuelo.
Poi aveva telefonato a Delgado ed era scesa ad aspettarlo.

Mentre attaccavano un piatto di prosciutto e un formaggio manchego, Paco osservò Rey. Era una bella vista. Non molto tempo prima, si sarebbe buttato, adoperando tutte le sue arti seduttive, la sua eloquenza e la sua simpatia. Avrebbe fatto di tutto per conquistarlo e portarselo a letto. Oggi, pur desiderandolo, gli sembrò un’assurdità. Quante volte aveva praticato quell’attività? E quante volte i suoi rapporti erano durati poco più di qualche mese? Non ne valeva la pena. L’amore era un obiettivo troppo alto, irraggiungibile. E il solo piacere fisico non possedeva più l’attrattiva di un tempo. Non poteva più accontentarsi.
– È davvero in gamba, Consuelo – commentò Paco.
– Me l’hai già detto. Cos’è? Ti stai innamorando?
– Io m’innamoro solo degli uomini, quando proprio non posso farne a meno.
Rey lo fissò. Quello che aveva provato dal loro primo incontro, gli galoppò dentro come una mandria di bufali, schiacciandogli il petto. Per un momento smise di respirare. A Paco il silenzio di Rey sembrò una specie di rimprovero. C’era ancora un sacco di gente che non sopportava di sentire quelle ammissioni. E del resto, non riusciva a decifrare la sua espressione. Rey era un uomo di ghiaccio, agli antipodi di come Paco sentiva di essere, un uomo di fuoco, che pure tentava con ogni mezzo di smorzarsi. Reprimere i suoi istinti e i suoi bisogni era diventata una dura abitudine.
– Dirò a Consuelo che le sei molto grato.
– Gliel’ho già detto io.
– Bene. Allora, domattina, verrai in commissariato?
– D’accordo. Mi prendo un paio di giorni di ferie, così non mi faccio vedere in queste condizioni.
– Racconterai dell’aggressione?
– No. Chi lo sa già, si chiederà perché non ne parlo. Preferisco tenerli un po’ sulle spine.
– Cosa farai quando avrai completato il tuo repulisti?
– Probabilmente mi manderanno in qualche altra sede. Sono più di quattro anni che faccio questo lavoro, ormai sono uno specialista del settore.
– Quindi resterai a Burgos ancora per poco.
– Non lo so, probabilmente.
Rey provò un forte dispiacere. Avrebbe voluto approfondire la conoscenza di Paco. Avrebbe desiderato frequentarlo, con calma. Sì, la lenta calma di un fiume che s’impaluda. Meglio darci un taglio subito. Ormai odiava i rapporti a breve scadenza. Ma la verità era soprattutto un’altra. Temeva che di uno come Paco difficilmente avrebbe potuto stancarsi e l’inevitabile distacco sarebbe stato per lui disastroso. Non se la sentiva di affrontare un’eventualità del genere. Era contro le sue regole. Se non vuoi bruciarti, evita il fuoco.

Consuelo introdusse Paco nell’ufficio di Rey con un ampio sorriso. Le piaceva quell’uomo calmo, dallo sguardo gentile. L’aveva di nuovo ringraziata per il suo intervento provvidenziale.
– Non c’è di che, Paco, ma adesso basta. Ho fatto solo il mio dovere. Delgado sarà qui tra poco. Vuoi un caffè, intanto?
– No, grazie, l’ho appena preso. Sono arrivato troppo presto?
– No, no. Di solito il capo arriva prima di me, tranne quando ha avuto una nottataccia. Si vede che è andato a dormire tardi.
– In effetti era l’una, quando se n’è andato.
– È stato da te tutto quel tempo? Caspita! Ne avevate di cose da raccontarvi.
– Di solito è molto sbrigativo, vero?
– Anche troppo.
Paco sorrise. In fondo la sua compagnia doveva essergli piaciuta. Ma questo non lo portava da nessuna parte. Consuelo registrò il suo sorriso. Somigliava a un altro che aveva visto sul volto di Delgado, non molto tempo prima. Una vaga idea iniziò a frullarle per la testa.
Delgado arrivò poco dopo, con la sua faccia dei giorni peggiori. Una nuvola temporalesca era sospesa sulla sua chioma corvina. Consuelo, da buona tattica, se la filò alla svelta, lasciandoli soli.
– Buongiorno, Paco.
– Buongiorno. Dormito male?
– Non ho chiuso occhio. Andiamo, non perdiamo tempo. I computer sono di là.
Paco si mise al lavoro, senza distrarsi. Una volta chiesto come volevano memorizzare i dati, non aprì più bocca. Per qualche minuto, Rey restò a osservarlo, concentrato anche lui in un altro genere di occupazione. Non aveva chiuso occhio, perché, semplicemente, non era riuscito a staccare la mente dal pensiero di Paco. Si era detto mille volte che era inutile pensarci, ma altre mille volte aveva immaginato come sarebbe stato avere un uomo come lui nella sua vita. Poi s’infiltrava in tutto questo la consapevolezza che presto se ne sarebbe andato, frantumando ogni sua velleità. Un inutile spreco di speranze, sentimenti, passione. Passione? Quando mai gli era venuto in mente quel termine? Passione. Ossessione, piuttosto. Già si vedeva distrutto dal vuoto che Paco avrebbe lasciato. Non poteva permetterselo, ma nello stesso tempo, non riusciva a levarselo dalla mente. Delgado si costrinse a uscire dalla stanza e a pensare ad altro. C’erano quei due da interrogare.
Rey raggiunse la sua vice.
– Consuelo, come va con i due aggressori?
– Abbiamo confrontato i due del filmato di Atapuerca con Moreno e Alonso. Sembrerebbero loro. Certo, non si può esserne sicuri, perché non si vedono in faccia, ma la stazza, la postura, il modo di muoversi, coinciderebbero.
– Non hanno parlato?
– Per ora sono muti. Ma io credo che stiano cominciando a cedere. Non li hanno lasciati dormire. Sono cotti al punto giusto.
– Andiamo a vedere. Suggeriamogli i nomi dei due mandanti, e vediamo la loro reazione.
Consuelo tenne per sé i suoi commenti, così come si era abituata a fare, ma nello sguardo che Delgado le lanciò, c’era qualcosa di diverso, quel mattino, una parvenza di complicità che non vi aveva mai scorto prima. Nella stanza degli interrogatori, dove in quel momento si trovava Moreno, l’ingresso di Consuelo Torres cambiò l’atmosfera. Quando Moreno la vide, s’incassò nelle spalle, come se quello fosse il colpo di grazia. Non ci volle molto per sapere dalla sua viva voce che lui e Alonso effettivamente erano stati assoldati dai due dirigenti Serrano e Ruiz. Alonso, interrogato subito dopo, arrivò anche ad ammettere di aver fatto saltare gli uffici su loro ordine. Delgado si era limitato a spalleggiare Torres, lasciandola fare. Pensò che finalmente aveva un vice di cui potersi fidare, anzi, una vice. Doveva ammettere che era una bella sensazione.
Mentre tornavano al suo ufficio, incrociarono Paco nei corridoi.
– Hai già finito? – gli chiese Rey.
– Sì, adesso avete tutto memorizzato, documenti, appunti, bozze di contratti. Tutto il materiale che può esservi utile.
– I due che ti hanno aggredito hanno confessato.
– Erano loro che facevano esplodere gli uffici?
– Sì, proprio come avevi intuito tu.
– Allora il mio lavoro è finito.
– Già – affermò Rey, come se chiudesse una porta.
Paco intravide un velo di tristezza appannare il suo volto.
– Che ne dici di andarci stasera alla Casa Babylón?
– È un’idea. Solo che non posso prevedere come andrà la giornata. Se non mi sarà possibile…
– Mangerò da solo – lo interruppe Paco, con un sorriso rassegnato.
Consuelo seguì quel breve scambio di battute con la sensazione che sotto quelle innocue parole, ci fosse molto, ma molto di più.
Quella sera, Consuelo, vedendo che Rey non si muoveva dalla sua scrivania, gli ricordò che Paco lo aspettava alla Casa Babylón. Delgado sollevò lo sguardo dal monitor e lo piantò in quello della sua vice, come un rimprovero.
– Sei ancora qui? Vai a casa.
– Volevo solo ricordarti il tuo appuntamento.
– Grazie. Me l’hai ricordato, ma non sei la mia segretaria.
– Ah no? – disse Consuelo, che fino a poco prima si era sentita quasi esclusivamente tale.
– Vai, Consuelo. Buona serata.
– Buona serata anche a te, capo – disse congedandosi. – Sai, Paco è una persona davvero speciale – aggiunse poi, mentre usciva.
Delgado osservò la sua schiena che si allontanava. Lo sapeva benissimo che Paco era speciale. Era per questo che non poteva più averci niente a che fare.

 

 

Paco si guardò intorno, nella piazza dove il via vai era costante, anche grazie alla presenza del parcheggio sotterraneo, che era uno dei più utilizzati del centro. Le panchine che circondavano Plaza Santo Domingo erano molto frequentate, soprattutto d’estate. La primavera aveva riportato un po’ di calore, ma raffiche di vento freddo distribuivano staffilate di gelo, ancora in pieno maggio. Decise di non entrare alla Casa Babylón, ma di sedersi là fuori, aspettando Rey. Qualcosa gli diceva che non sarebbe venuto. Che tipo quel Delgado, che tipo da innamorarsene subito, senza ritegno, senza potersi frenare, e poi restare così, a guardarsi intorno senza trovare più niente d'interessante da vedere. Pensò che in quel momento, se l’avesse avuto accanto, tutto il resto del mondo avrebbe potuto sprofondare nella sua più completa indifferenza.
– Ciao, Paco.
La voce morbida di Consuelo lo sbalzò via dalle sue insolite riflessioni.
– Ciao, Consuelo. Giornata pesante?
– Nella norma. Il capo è ancora impegnato.
– Dici che non verrà? – chiese Paco, che già se lo aspettava.
– Ti va di mangiare con me?
Paco comprese, e malinconicamente rispose:
– Sì, entriamo. Stasera c’è troppo vento per restarsene all’aperto.
Dopo cena, rilassata dalle chiacchiere e dall’alcol, Consuelo si scusò di non essere la compagnia che Paco avrebbe preferito.
– Non dirmi che sono stato tanto scortese da averti fatto sentire indesiderata.
– No, al contrario, ma mi dispiace di non essere Rey. Mi piaci molto, ma ho capito che tu…
– Come l’hai capito? – la interruppe.
– Non c’è un vero motivo. È per come vi guardate, per come vi parlate.
– Vuoi dire che anche Rey ti sembra interessato a me?
– Di questo sono profondamente convinta, ma non chiedermi il perché.
Di nuovo quel sorriso vagamente sognante, sulle labbra di Paco.
– Ecco, il tuo sorriso è lo stesso di Rey quando pensa a te.
– Consuelo, ti confesso che non so come comportarmi, davanti al suo distacco.
– Ah, non morde, te lo assicuro. È tutta scena. Abbaia e ringhia, ma è solo il suo istinto di podenco. In fondo non è malaccio. Ci sono momenti in cui sembra persino umano. Approfitta di uno di quelli, per accarezzarlo, ma non contropelo, mi raccomando.
Paco scoppiò a ridere.

Tutti gli incartamenti furono passati al magistrato. La macchina burocratica si mise in moto per assicurare alla giustizia i due dirigenti delle poste, Serrano e Ruiz. Fu confermato l’arresto per Moreno e Alonso. Delgado passò a una nuova indagine, come se nulla fosse. Consuelo studiò le sue espressioni, la voce ferma e tassativa con cui le impartiva ordini inutili. Comprese che era insoddisfatto, frustrato, irrequieto. Pensava ad altro. Consuelo si convinse che pensava a Paco. Infatti, Rey pensava a Paco. La sera precedente si era messo sotto tortura. Da una parte era pressato dal desiderio di vederlo, dall’altra si era obbligato a restarsene seduto davanti al terminale, autoconvincendosi che finire quel lavoro era la cosa più importante di tutte, vitale. Rey non voleva cedere. Non poteva. Gli sarebbe passata presto. Era solo un capriccio dell’età che avanzava.
Ciononostante, quella sera, Rey andò alla Casa Babylón, con la vaga speranza che anche Paco ci tornasse. Voleva incontrarlo per caso, pur sapendo che se l’avesse trovato lì, era perché Paco voleva rivederlo. Invece, mangiò da solo, come sempre: chili con carne all’enchilada, innaffiato da una generosa e forse esagerata quantità di Pacifico Clara. Del resto, poteva permetterselo, dal momento che abitava là dietro, a cinque minuti di digestiva camminata a piedi. Pensò molto a Paco, gli parlò, nella mente, come se fosse davanti a lui. Immaginò di sprofondare nel suo sguardo gentile, che gli regalava un senso di calma e di calore, che lo istigava a sognare cose impossibili, cose che aveva smesso di desiderare da tanto tempo. Riuscì anche a incazzarsi, per questo. Non era mai stato uno dalle illusioni facili. Perché adesso si ritrovava a sognare a occhi aperti, come un ragazzino? La tristezza del momento che seguì quel guizzo di rabbia, lo respinse nell’universo di solitudine che conosceva bene, ma che di solito non lo turbava affatto. La sua era sempre stata una scelta consapevole. Dunque, aveva sbagliato tutto?
Mentre attraversava la piazza, gli cadde l’occhio su una coppia seduta su una panchina. Li riconobbe immediatamente. Erano Paco e Consuelo. Sentì un formicolio alla nuca. Rallentò il passo quasi suo malgrado. I due lo salutarono e Rey si sentì costretto ad avvicinarsi.
– Beh, per me si è fatto tardi – sentì che diceva Consuelo. – Io vado a dormire. Buonanotte Paco. Buonanotte Rey.
Mentre Consuelo si allontanava, Delgado si ritrovò in piedi davanti a Paco.
– Siediti, è ancora calda – lo invitò Paco, sorridendo.
– Stavo andando a dormire anch’io – annunciò Rey, sedendosi.
– In effetti, hai la faccia di uno che vorrebbe scappare. Non voglio trattenerti, Rey. Sarai stanco.
Paco sperò che Rey non gli desse retta. Era appostato là da più di un’ora, aspettando di vederlo uscire dal ristorante.
– Come va il livido?
– Lo mimetizzo con la barba. Per un po’ la lascio crescere.
– Ti conferisce un certo non so che.
– Si chiama fascino – affermò Paco, sorridendo e strizzando un occhio.
– Si sa già quando dovrai trasferirti?
– Non vedi l’ora che me ne vada?
– Tu vuoi andartene?
– Io no. Ma tu sembri impaziente di sentirmi dire che mi sto trasferendo.
– Al contrario.
– Davvero? Che cosa cambierebbe per te, se restassi?
Rey lo fissò con espressione maliziosa, sorridendo.
– Che cosa vuoi farmi dire?
– Che ne so, per esempio, che ti piacerebbe che rimanessi a Burgos, così potremmo vederci.
– E se io te lo dicessi, cambierebbe qualcosa?
– Potrei decidere di rimanere.
– Resteresti a Burgos se io ti chiedessi di farlo? Io?
– Per te rimarrei.
Rey sapeva benissimo di reggere la birra, ma in quel momento si chiese se per caso non fosse ubriaco, tanto gli girava la testa. Il cuore gli batteva così forte da sentirlo pulsare nelle orecchie. E la solita mandria di bufali gli cavalcava sul petto sollevando vaste zolle di emozioni incontrollabili.
– Allora resta. Resta per me – riuscì a dire con il poco fiato che aveva.
– Rey… – mormorò Paco, stringendogli una mano con la sua.
– Paco, attento a te! Se mi dici che rimani a Burgos e poi invece te ne vai, io ti sparo. È bene che tu lo sappia subito.
Paco scoppiò a ridere.
– E tu sappi che mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho visto e che non intendo allontanarmi per niente al mondo.
– Anche tu mi hai arpionato la prima volta che ti ho visto, ma l’idea che non poteva durare ti remava contro.
Paco sfoderò un luminoso sorriso di felicità.
All’improvviso Rey si mise a ridere.
– Che c’è?
– È la prima volta che mi capita una conversazione del genere con qualcuno che non so nemmeno com’è fatto sotto i vestiti.
– Hai ragione. Anche per me è la prima volta. Si vede che invecchiando diamo la priorità ai sentimenti. Però a scanso di equivoci, devo confessarti che io sono un po’ diverso dagli altri che hai conosciuto. Fisicamente, intendo. Ho qualcosa… in più.
– In che senso?
– No, non te lo dico. Preferisco che tu lo veda. Da te o da me?
– Da me, siamo già arrivati. Sono troppo curioso di vedere di che cosa si tratta.

 

 

Forse, per entrambi, era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevano avuto una relazione. Fatto sta che, una volta in casa, si ritrovarono imbarazzati, in mezzo al soggiorno, l’uno di fronte all’altro, come se non ricordassero più come si fa. Fu Paco il primo a riprendersi. L’emozione gli faceva tremare leggermente le mani, come gli capitava da ragazzo, ma sentiva il desiderio crescere a dismisura, in quell’attesa sospesa che li aveva come imbalsamati. Iniziò a spogliarsi davanti a Rey, che restava immobile come una statua. Quando si sfilò la camicia, gettandola a terra, vide lo sguardo di Rey mutare, mentre l’espressione chiusa del suo volto si apriva in un sorriso caldo e stupito.
– Ma sono tre? Hai tre capezzoli… incredibile… – commentò, avvicinandosi, fino a sfiorare il terzo con la mano.
Il primo contatto con il corpo di Paco fu un tocco lieve su quel capezzolo, che si trovava sotto quello regolamentare a sinistra, in una zona dove la folta peluria si faceva leggermente più rada. Quella lieve carezza lo fece rabbrividire, e ancor più le labbra che subito dopo Rey vi posò. Paco gli strinse la testa tra le mani, costringendolo ad alzarla all’altezza della sua. Allora si guardarono negli occhi, in cui ciascuno dei due aveva impressa una domanda. La risposta arrivò immediatamente dalle loro bocche, che trovarono casa l’una nell’altra, un nido caldo e accogliente, fatto apposta per restarci a lungo. Quando si staccarono, Paco era senza fiato.
– Adesso voglio vedere il resto – disse Rey, iniziando a slacciargli la cintura con una fretta che dichiarava a gran voce il suo desiderio impellente.
– Ehi, anch’io ho il diritto di vedere qualcosa.
Paco cominciò a sbottonargli la camicia, ma Rey preferì fare da sé, per essere più veloce. Allora Paco finì in fretta si spogliarsi, mentre osservava il corpo nudo di Rey emergere dagli abiti.
Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, soffermandosi ad ammirare le rispettive dotazioni, visibilmente ansiose di entrare in azione.
– Il nero ti dona, ma il costume adamitico ti esalta – commentò Paco, ammirandolo.
– Adesso basta parlare – disse Rey, con la voce arrochita dal desiderio.
– Allora, mi porti in camera da letto? – chiese Paco.
– Troppo tardi – rispose Rey, saltandogli addosso.


Come spesso capita quando il mondo ci sorride, il tempo passò in fretta per Rey e Paco, totalmente concentrati in quella nuova avventura che, per entrambi, si era manifestata come una splendida opportunità di iniziare una nuova vita, proprio nel momento in cui entrambi si erano quasi rassegnati a tirare le somme e i remi in barca. Ma poiché della vita che ci sorride, a lungo andare, ci si può anche annoiare, essa stessa provvede a metterci, di quando in quando, qualche bastone tra le ruote, sia per rendere più movimentata la nostra esistenza, che per dimostrarci la differenza che c'è tra una giornata di sole e una di pioggia, qualora fossimo tentati di dimenticarcene.

 

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L'uomo in nero