Hypogeum

“Lo spirito di un guerriero non tende all'indulgenza o alla lamentela, non tende alla vittoria né alla sconfitta. Tende unicamente alla lotta, e ogni lotta è la sua ultima battaglia sulla terra.” Marius Kappa chiuse il libro, poi lo annusò. Quell'odore di carta antica non solo era un balsamo per la sua anima, ma anche una sollecitazione che colpiva il suo corpo: un rincorrersi di microscopiche onde sulla pelle sollevava i peli delle sue braccia, come per la presenza di un campo elettrostatico. Finché quella biblioteca fosse esistita, quel mondo poteva avere ancora una speranza. Come sapeva da tempo, l'ignoranza era il peggior crimine della razza umana. Il buio, la morte, l'oblio, la schiavitù, erano tutte conseguenze di quella particolare inconsapevolezza che li aveva condotti oltre ogni possibilità di riscatto o redenzione. Erano tutti in catene, e ancor peggio, erano tutti morti dentro. Il comunicatore interruppe l'errabondo corso dei suoi pensieri. Clara lo convocò con urgenza al laboratorio scientifico. Aveva fatto una scoperta inquietante. L'urgenza che aveva riconosciuto nella sua voce lo costrinse ad affrettarsi attraverso i tunnel sotterranei di Hypogeum, la base segreta dei ribelli.

Nell'universo esistono grandi cicli che si ripetono anche quando la razza umana ne è inconsapevole. Subirli o approfittarne sta a chi vi si trova coinvolto.

– Quanto tempo abbiamo prima dell'onda d'urto elettromagnetica?

– Pochi mesi, Marius, ma il Sole non dà appuntamenti. Non posso indicarti una data precisa. In realtà l'inversione dei poli magnetici solari avviene generalmente ogni undici anni. Questa volta è in ritardo, ma dai movimenti che riscontriamo si deduce che ci siamo quasi.

– Secondo i tuoi calcoli, sarà sufficiente a mettere fuori uso tutti gli impianti elettrici e elettromagnetici?

– Penso di sì, ma non in maniera tanto grave da non poter essere ripristinati nel giro di qualche giorno o settimana.

– Quindi, se vogliamo che non vengano riattivati, dovremo dargli una mano.

– Aspiri al caos totale?

– Sì, Clara. La cosa più importante è eliminare i vertici. Dovremo intervenire sulle tre principali istituzioni. Solo davanti a questo vuoto di potere si scatenerà la rivolta.

– Ma davvero pensi che si scatenerà la rivolta? Là sopra c'è un mondo di servi assuefatti che non sanno neppure che può esistere una qualche forma di libertà.

– C'è anche un gran numero di piccoli gruppi che si riuniscono in segreto per discutere come dovrebbe essere un mondo migliore, e altre comunità organizzate come la nostra. Il seme della rivolta è già stato piantato. Ha solo bisogno di una piccola spinta per germogliare. Noi saremo quella spinta. E poi, quello che avverrà non dipenderà più da noi.

– E mi dici perché deve toccare proprio a noi? Se il seme è già piantato, come affermi tu, non possiamo starcene semplicemente a guardare quello che accadrà? Il Sole farà il lavoro per noi.

– L'hai detto proprio tu, poco fa: non sarà sufficiente. Non possiamo permettere che il sistema si ripristini. Dobbiamo cogliere al volo questa opportunità.

– E come pensi di muoverti?

– Ubris Vatertod potrebbe essere la chiave per iniziare. Dobbiamo escogitare un piano.

– Anche due o forse tre.

– Che vuoi dire?

– Non hai detto che bisogna intervenire sulle tre principali istituzioni?

– Sì, hai ragione. Cancellarle completamente darebbe alla razza umana una possibilità di ricominciare tutto da capo. Organizziamo subito un'assemblea per discuterne e stabilire un piano d'azione.

Eppure Clara non sembrava convinta. Marius osservò la sua espressione con un senso di vaga irritazione. Proprio adesso che si presentava l'occasione che aveva sempre vagheggiato, lei si metteva di traverso.

– Che c'è?

– Marius, fai attenzione a Vatertod. Se dovesse capire che hai in mente qualcosa, potresti fare una brutta fine, come Loryn, come Carlos e tutti gli altri che hanno avuto la malaugurata sorte di avere a che fare con lui. Quel verme sopporta accanto a sé soltanto decerebrati senza palle, che saltano immediatamente a ogni suo cenno, come cani scodinzolanti. Non lasciarti incantare dalla sua apparente educazione. È un bastardo psicopatico. Nient'altro.

Marius si rilassò. Clara non era contraria al progetto, ma solamente preoccupata per il pericolo che avrebbero corso. La paura era un nemico potente, un nemico che covava dentro ognuno di loro. Comprensibile, ma debellabile.

– Lo so bene, Clara, ma dal momento che il destino ci offre questa possibilità, non possiamo sprecarla. Ne parliamo da troppo tempo, adesso è il momento di agire. Farò attenzione. Cerchiamo di progettare un piano praticabile. Avvisa tutti i clan.

– D'accordo, ma permettimi di farti ancora una domanda. Tu sei un grande attore, Marius, ma non hai mai recitato in una commedia tanto complicata. Vatertod è un freddo rettile senza organi interni. Tu invece hai un'anima. Sarai in grado di far recitare anche lei?

Sulle labbra di Marius affiorò un sorriso di sfida.

– Lo vedremo.          

C'era un vantaggio nella pioggia programmata: iniziava e finiva sempre in perfetto orario. Quando i led colorati sulla facciata della grande piramide segnarono le cinque, smise di piovere. Contemporaneamente, quattro addetti alle infrastrutture uscirono dall'edificio trasportando quattro borsoni vuoti, che caricarono su un furgone verde.

L'agente Marius Kappa, di servizio sui quadranti centrali, sorvolò con il suo Pegasus la piramide, osservando il furgone inoltrarsi sul viale alberato che conduceva all'uscita del parco.

Nella sua immensa dimora, Ubris Vatertod  guardò l'orologio.

– Ora! – disse tra sé e sé, sorridendo.

Marius Kappa udì l'esplosione che fece saltare in aria il furgone e incendiò alcuni alberi. Immediatamente virò per tornare sul luogo, si collegò con la Centrale di Ordine Pubblico per fare rapporto sul caso, quindi chiamò gli addetti agli incendi e ai parchi. E poco dopo planò sul sito dell'incidente, constatando che non ci sarebbe stato bisogno di trasportare le vittime all'inceneritore.

La Decana Julia stava innaffiando le sue numerose piante da fiore, quando Sorella Genesis la raggiunse sulla vasta terrazza.

– Mi ha fatta chiamare, Decana?

– Sì, Genesis. Volevo parlarti. Mi hanno detto che esci di frequente, che ti piace andartene a zonzo. Come sai, la Congregazione di Pandora non è una prigione, ma sono obbligata a ricordarti che abbiamo delle regole e che ci teniamo a che vengano rispettate. Una di queste regole è che le Sorelle di Pandora fanno vita ritirata. Se quando non sei in servizio ti annoi, puoi dedicarti all'attività che più ti piace, la pittura, il ricamo, la scultura, il giardinaggio e via dicendo. Ne abbiamo per tutti i gusti. Puoi occupare il tempo libero in mille modi, purché ciò avvenga all'interno della Congregazione. Scegli tu, ma smetti di uscire, per favore. Se hai bisogno di passeggiare, c'è il bosco sui tetti.

Sorella Genesis avrebbe voluto rispondere a tono, ma la sua posizione glielo impediva. Non riuscì comunque a pronunciare nemmeno una sillaba, perché in quel momento apparve Lady Sheron, che attraversò la sala con la foga di un tornado, piombando sulla terrazza ad abbracciare la sua amica. Lady Sheron era la Presidente della Gea, una delle due Fondazioni che governavano il mondo.

– Mia cara Julia, ho scoperto una cosa pazzesca.

– Dimmi, Sheron. Perché sei così agitata? Cos'hai scoperto?

– Ubris Vatertod si sta facendo realizzare un clone.

– Cosa?

– Io credo che abbia intenzione di presentarlo come suo erede.

– Ma è pazzesco!

Genesis era rimasta immobile dov'era, in attesa di essere congedata, ma sembrava che la Decana si fosse completamente dimenticata della sua esistenza e quanto a Lady Sheron, non la considerava più di un soprammobile. Pur essendo in forte imbarazzo, non le parve opportuno interrompere.

– Lo sai che sono sempre stata contraria ai cloni. Trovo che utilizzarli sia immorale.

– Potresti impedirglielo?

– E come? Conosci Ubris, fa sempre di testa sua.

– Allora dovrai sopportarlo. E quando ce lo presenterà, potrai mettere il veto.

– Ma che dici, Julia? Non si può mettere il veto sulla designazione di un erede!

– Ma è tassativo che gli eredi debbano essere umani.

– Tassativo? È una consuetudine, che non trova corrispondenza negli accordi delle Fondazioni. Di sicuro Ubris non ci verrà a raccontare che si tratta di un clone. Che poi non sia umano sarebbe da discutere, ma non è questo il punto. Sta creando una sua copia, che probabilmente spaccerà per suo figlio o per suo fratello e questo per me è inammissibile.

– Ma se dovesse accadere, tu lo potrai smascherare.

– Metterei in pericolo la mia spia. Ubris si chiederebbe come faccio a esserne a conoscenza. Scatenerei un pandemonio.

All'improvviso la Decana si voltò a guardare la giovane donna.

– Genesis! Che ci fai ancora qui?

– Aspettavo il suo congedo, Decana.

Lady Sheron la fissò per un attimo come se si trattasse di uno scarafaggio finito accidentalmente nella sua tazza di tè.

– Certo, puoi andare, Sorella, ma ti ricordo il codice del silenzio – l'ammonì la Decana.

– Sarò muta come un pesce in fondo all'oceano – rispose Genesis.

– Molto bene, confido nella tua lealtà e nella tua capacità di dimenticare questa conversazione. E ricordati di non uscire dalla Congregazione!

Genesis s'inchinò alle due donne e poi uscì velocemente dalla stanza, riflettendo su quanto aveva sentito. Quello che sapeva di sicuro era che Lady Sheron e Ubris Vatertod si dividevano equamente l'intera ricchezza del globo. Pur fingendosi di larghe vedute, erano praticamente due despoti che potevano decidere sulla vita e la morte dei loro vassalli. Per quel poco che aveva appreso, quel sistema gerarchico poteva essere definito piramidale. Ogni livello successivo, via via che si scendeva di importanza, comprendeva una casta più numerosa. Lo stesso sistema si rifletteva sulle varie istituzioni che facevano comunque sempre capo al vertice. Piramidi dentro piramidi. Il livello più infimo e più numeroso era costituito dalla casta degli schiavi, quello cui lei apparteneva. Genesis non riusciva a capire perché Lady Sheron e Ubris Vatertod, anziché mantenere sempre viva la loro accanita competizione, non pensassero di unire le Fondazioni, così da smetterla con i loro intrighi, dispetti e vendette, che alla fine facevano sempre pagare a tutti gli altri.

L'illuminazione a Hypogeum era tarata sulle frequenze solari e impostata su un ciclo di giorno/notte di 24 ore, esattamente uguale a quello della superficie. Ai campi coltivati giungeva un'umidità regolare grazie a un sistema di pompe che portavano in superficie l'acqua di un lago sotterraneo purificata con filtri al grafene. Clara osservò la distesa di un verde intenso. La loro non era un'agricoltura come quella sterile e artificiale delle Fondazioni. Qui tutto era vivo e si rigenerava in completa autonomia. La natura era perfetta. Bastava lasciarla fare, donandole gli unici aiuti di cui aveva bisogno, luce e acqua. Una nutrita colonia di api faceva il resto.

Hypogeum era sorta grazie al ritrovamento di una banca dei semi nascosta in un bunker sotterraneo, collegato alla rete dei tunnel. Ci erano voluti solo dieci anni per vedere nascere quelle piccole foreste naturali, che fornivano tutto il cibo necessario alla loro sopravvivenza. Ma Hypogeum non era l'unica. I clan erano ormai sparpagliati in tutto il globo, come piccoli focolai di una nuova civiltà. Per sicurezza non erano direttamente collegati tra loro, onde evitare che la scoperta di uno di essi potesse tradirli tutti.

Nel tempo avevano sviluppato una nuova tecnologia che li rendeva completamente indipendenti dalla superficie. Tecnologia che, se messa a disposizione del mondo, avrebbe potuto fornire energia, cibo, acqua e salute per tutti, senza costi. Se non ci fossero state le Fondazioni. Le Fondazioni erano il loro nemico, il nemico dell'umanità intera.

Ogni giorno, i residenti venivano a raccogliere i frutti di cui avevano bisogno per nutrirsi. Clara faceva parte di una comunità di sessanta persone. A loro piaceva chiamarsi clan. Era un termine antico, uno di quelli che in superficie erano stati cancellati, per abolire anche solo il ricordo di società precedenti. Lei apparteneva al clan dei Koala. Marius Kappa era uno dei fondatori di Hypogeum e apparteneva al clan dei Canguri. Il suo gruppo era quello più numeroso e attivo in superficie. La maggior parte dei Canguri aveva mantenuto un'attività regolare nel mondo esterno, in attesa di trovare il modo di cambiare le condizioni di vita sul pianeta. Clara era sempre stata convinta che il loro progetto fosse un'utopia, ma adesso che le cose si erano messe in moto, aveva dovuto ricredersi. L'assemblea aveva votato all'unanimità il progetto di Marius. Non sarebbe stato facile, ma se c'era qualcuno che poteva riuscire nell'intento questo era lui, con l'aiuto di tutti i clan. Ciascuno dei circa cinquecento residenti di Hypogeum aveva la propria specializzazione. Ciascuno, a suo modo, poteva ritenersi una persona eccezionale. La loro comunità era basata sull'istruzione. Una conoscenza ad ampio raggio era considerata la priorità assoluta. Le specializzazioni avvenivano poi in base alle preferenze e ai talenti personali. Secondo ricerche che non avevano ancora concluso, Hypogeum esisteva da circa trentamila anni. A scoprirne l'esistenza era stato un team di archeologi di cui faceva parte Moebius Kappa. Quando la situazione economica e politica mondiale si era complicata, lui vi aveva trasferito in segreto la sua biblioteca, oltre a tutti i volumi di cui era riuscito a entrare in possesso e a migliaia di testi e informazioni registrati su supporti informatici. L'abolizione delle scuole e il rogo di tutte le biblioteche avevano seguito di poco questa sua impresa, dimostrando la sua notevole lungimiranza. Poiché all'epoca della scoperta di Hypogeum gli accademici mummificati, integrati nel sistema, avevano ridicolizzato e boicottato la scoperta della civiltà sotterranea, ignorandone l'esistenza, Moebius ne aveva potuto facilmente nascondere gli ingressi. La conoscenza di queste grotte si era poi tramandata di generazione in generazione solo tra pochi eletti selezionati. Quando, molti anni dopo, Marius e i suoi compagni avevano rinvenuto in una delle gallerie il grande Libro d'Oro, esso fu chiamato codex Moebius in onore dell'archeologo ormai dimenticato. Quattro dei residenti lo stavano decifrando da anni, eppure sembrava che la fine non arrivasse mai. Il codex Moebius raccontava una storia incredibilmente antica, una storia affascinante e piena di mistero.

Il Presidente Ubris Vatertod aveva un sogno: abolire la conduzione paritaria delle Fondazioni, per convogliarle entrambe sotto un unico dirigente, capo, Signore Assoluto. E quel Signore Assoluto doveva essere lui. Marius Kappa gli aveva insegnato la storia antica e dimenticata dell'Impero Romano, quando un Imperatore poteva tutto. A poco a poco, Ubris Vatertod aveva fatto propria la splendida visione in cui, finalmente, dopo millenni di stupidità della storia umana, lui avrebbe assunto il potere assoluto come primo Imperatore del mondo. Quella visione gli procurava veri e propri orgasmi.

Ubris Vatertod aveva conosciuto Kappa a una conferenza molto privata, per non dire segreta e illegale, cui aveva partecipato in incognito. La storia antica costituiva un tabù, ma c'erano ancora piccole nicchie di seguaci, che nutrivano in segreto le arti vietate della conoscenza. Ubris Vatertod, educato a ben altre competenze, si vantava ora di essere uno di essi. La conoscenza è un'arma e le armi dell'intelletto sono le più utili in caso di difficoltà, soprattutto in un caso come il suo. Per altri si trattava per lo più di un passatempo, come per quel Kappa, che a suo dire, vi era stato iniziato dal padre, il quale aveva avuto un nonno che possedeva un'intera biblioteca cartacea, finita al rogo negli anni della Rivoluzione Globale, quando furono chiuse definitivamente le scuole e bloccato l'accesso alle informazioni che non fossero espresse dai media del regime. Erano stati anni di lotte senza quartiere, tra quelle che allora erano solo multinazionali, ma che possedevano già tutto il potere reale, e i governi locali che continuavano a gingillarsi con il loro illusorio potere virtuale, tentando di sopravvivere per non cedere alla verità. Quei governi pretendevano che i popoli non fossero informati di come stavano in realtà le cose, ma poi giunse anche per loro il momento di arrendersi e di ammettere apertamente che ormai erano tutti schiavi. Mai più nessuno avrebbe potuto ripagare i propri debiti, contratti con le banche private dai governi nazionali per conto delle popolazioni. Le multinazionali, che comprendevano al loro interno anche le banche, avevano acquisito intere nazioni, imponendo esse stesse le regole ai governi, che al momento opportuno erano stati esautorati di tutto il loro restante effimero potere. Le stesse élite che guidavano le multinazionali avevano stabilito che la popolazione mondiale andava ridimensionata e di molto. Per questo avevano trovato le scuse più adatte ad armare pesantemente nazioni, fazioni, partiti di ogni colore e di ogni ideologia, avevano trovato il modo di diffondere virus e batteri, di inquinare aria e acqua di ogni genere di elemento tossico, avevano trovato il modo di affamare intere nazioni e di metterne gli abitanti gli uni contro gli altri. Poi, finalmente, la cruenta Rivoluzione Globale produsse un notevole assottigliamento della popolazione mondiale. Come ebbe a dire Kappa una volta, la decennale rivoluzione del '20-'30 produsse gli stessi effetti della peste nera del XIV secolo: un terzo degli abitanti del pianeta si trasformarono in cenere e fumo. Fu allora che prese piede l'abitudine di bruciare le salme, come già comunemente si usava in alcune tradizioni orientali. Quella massa di cadaveri non avrebbe mai trovato abbastanza posto per la sepoltura, neppure in enormi fosse comuni. Dopo qualche anno, per prendere le distanze dai comuni mortali, l'élite dominante progettò di erigere un Cimitero Monumentale che fosse dedicato esclusivamente alla commemorazione di coloro che vi appartenevano. Fu questo che ispirò in Ubris Vatertod un piano ardito e drastico come quello che un giorno, in un momento di debolezza, avrebbe confidato a Kappa.

A volte Kappa veniva invitato nella splendida residenza di Ubris Vatertod, per discutere di storia antica. Di solito Ubris faceva di tutto per nasconderne la presenza, aggirando i sistemi di sicurezza che pure lui stesso pretendeva.

Una volta Kappa discusse con Ubris delle abitudini sessuali nell'antica Grecia, tanto per tastare il terreno. Stava ancora cercando di capire che tipo d'uomo fosse, che genere di amicizia si stesse istaurando tra loro e in che modo avrebbe potuto entrare nei suoi piani. Un pomeriggio, con sua grande soddisfazione, fu ammesso nel bunker sotterraneo dov'erano custodite notevoli opere d'arte. In una sala laterale si trovò davanti a uno schermo gigante. Ubris gli disse che un tempo esistevano locali come quelli, e anche più grandi, dove il popolo poteva accedere a pagamento per assistere alla proiezione dei film.

– Guardare le immagini a due dimensioni è davvero molto strano.

– A quei tempi non esisteva ancora il visore olografico. C'erano solo questi schermi, che ormai sono completamente scomparsi. Su, stenditi. Godiamoci un momento di relax.

Kappa si accomodò accanto a lui su una delle chaise longue dalla strana forma sinuosa, mentre lo schermo si illuminava di nuove rappresentazioni in movimento.

Ubris aveva fatto partire un filmato d'epoca che chissà dove era andato a pescare. Le rilassanti immagini bucoliche di una campagna che ormai era solo un vago ricordo, erano ben presto sfumate in altre che riprendevano un episodio della vita sessuale di due uomini mezzi nudi, in un ambiente primitivo, tra cavalli e balle di fieno. Era come guardare dal buco della serratura della storia. Kappa, che aveva notato lo strano sguardo di Ubris, comprese improvvisamente quali fossero le sue intenzioni. Era giunto il momento di inserire la prima tessera nel mosaico. Continuò a osservare lo schermo fingendo la massima calma, in attesa che Ubris compisse la sua mossa. Benché fino a quel momento il suo interesse sessuale si fosse orientato preferibilmente sul genere femminile, vedendo come i due attori ci davano dentro, Kappa fu travolto da un'erezione in piena regola. Dopo aver valutato con mano esperta l'effetto che quella proiezione aveva su di lui, Ubris non aspettò la fine della scena per strappare il velcro della sua patta, tirargli giù i pantaloni e spingerlo a girarsi sul ventre, per servirsi del suo vergine orifizio. Sebbene Marius fosse pronto a tutto, si domandò se ne sarebbe valsa la pena. Non fece commenti, svuotò la mente da ogni pensiero e cercò soltanto di vivere quel momento con assoluta presenza. Mentre le immagini non erano più visibili dalla sua posizione, l'audio sembrava perfettamente sincronizzato con il respiro e i gemiti di Ubris. Il vigoroso nitrito di un cavallo sottolineò la fine della proiezione molto prima che Ubris fosse soddisfatto di quello spuntino pomeridiano.

Ora che Marius Kappa aveva trovato il giusto approccio con Ubris, si trattava per lui di stabilire in che modo avrebbe potuto colpirlo. Ucciderlo nel suo stesso Palazzo avrebbe comportato troppi rischi. C'erano celle video ovunque, un sistema di sicurezza interna e guardie del corpo che giravano per i corridoi armate fino ai denti. Marius si impose di avere pazienza in attesa di cogliere l'attimo.

Nella Congregazione di Pandora, Lady Sheron e Julia cenarono insieme, come facevano spesso. Quella sera si erano fatte servire sul bordo della splendida piscina situata nell'attico, completamente riservato alla Presidente. Le colonne sottili di alabastro e marmo rosso creavano misteriose ombre nell'acqua dolcemente illuminata dal fondo. Preziosi lampadari antichi pendevano dall'alto soffitto distribuendo un chiarore discreto. Lady Sheron era elegante come sempre, dal momento che un inflessibile conformismo le impediva di sentirsi a proprio agio diversamente. La Decana Julia, al contrario, si concedeva in privato una nota di eccentrica fantasia nei colori della tunica trasparente che costituiva la sua divisa. Naturalmente non avrebbe mai osato il bianco o il rosa delle Sorelle novizie, ma usava quei colori in veli cangianti che aggiungevano strati vaporosi alla sua nudità. Quella sera il suo abito era di voile azzurro che si apriva completamente sui lati sovrapposti. Sheron lo notò con un sorriso, quando Julia accavallò le gambe, scoprendo buona parte della lunga coscia nuda, ornata unicamente dal tatuaggio di un serto di roselline in fiore.

– Perché sorridi, mia cara?

– Riesci a conquistarmi ogni volta. Ti adoro.

– E tu invece dovresti imparare a lasciarti un po' andare, almeno qui. Odio quei tuoi tailleur rigidi e formali che nascondono completamente le tue grazie. È inumano. Te l'avrò ripetuto mille volte.

– Lo sai che ho bisogno della mia divisa. Fa parte di me.

– No, fanno parte di te la tua intelligenza, il tuo spirito, il tuo carattere, il tuo corpo, non certo la tua divisa.

– Avrai modo di strapparmela più tardi, Julia. Ma prima fammi assaggiare questa delizia. È uno dei miei piatti preferiti.

– Lo so. È il solo motivo per cui ho chiesto di prepararlo.

– Tutto bene qui?

– Come sempre. E tu hai preso una decisione a proposito del clone di Ubris?

– In realtà ho in mente un progetto di cui ti volevo giusto parlare.

– Bene. Sono tutta orecchi.

 

Nella dimora di Ubris Vatertod la discrezione era una legge assoluta. Tanto Lady Sheron si mostrava pubblicamente, fornendo con piacere tutte le notizie che riguardavano lei e la sua vita, tanto Ubris Vatertod manteneva il più stretto riserbo su ogni aspetto della sua. Ai media era stato vietato persino l'uso della sua immagine. Quando si parlava di lui, era consentito mostrare il suo simbolo, quello di un'aquila all'interno di un doppio triangolo dorato. Ubris si poteva quindi permettere di andare ovunque senza essere riconosciuto, tranne dai pochissimi appartenenti all'élite con i quali si riuniva saltuariamente per fare il punto della situazione. La gestione del suo dominio era nelle mani dei vertici da lui nominati. Quando gli affari non andavano bene, si limitava a tagliare teste per sostituirle con altre. Ciò implicava che non dovesse perdere molto del suo prezioso tempo in futili discussioni. I vertici si guardavano bene dal disturbarlo per qualunque sciocchezza.

Ubris si sceglieva i suoi amanti tra gli schiavi. L'idea di recarsi alla Congregazione di Prometeo per prendersi il suo piacere, lo disgustava. Il suo uomo doveva essere suo soltanto, per tutto il tempo che decideva. Una volta finito il suo interesse, egli stesso si prendeva il gusto di eliminarlo, con i metodi personali che aveva affinato con il tempo e l'esperienza. Una sala del suo bunker era destinata allo scopo, accogliendo la sua collezione di attrezzi di tortura che aveva raccolto grazie a pazienti ricerche. Vederli all'opera era uno dei suoi più sottili piaceri.

Tra Ubris Vatertod e il Decano Alexander non correva buon sangue. Ogni volta che s'incontravano, il Decano rinnovava il suo invito a trascorrere qualche giorno nei suoi appartamenti alla Congregazione, quasi rimproverandogli di trascurare un suo preciso dovere. Ubris non poteva ammetterlo. Più volte era stato tentato di sostituirlo, ma ogni volta che rifletteva su chi potesse essere adatto a quella posizione, il suo progetto si arenava. Non frequentando la Congregazione di Prometeo, e non importandogliene assolutamente nulla, non aveva idea di chi fosse il candidato ideale. D'altra parte, sceglierlo all'esterno della Prometeo sarebbe stato considerato un affronto, facendo scaturire una serie interminabile di discussioni. Perciò, ogni volta rimandava la soluzione del problema. Un problema, del resto, più che mai lontano da lui, dal momento che l'esistenza stessa delle Congregazioni era uno degli errori del passato che si era prefisso di correggere.

 

Marius Kappa non si faceva illusioni. L'essere entrato nelle grazie di Ubris Vatertod era più un rischio che un beneficio. Eppure non poteva perdere la magnifica occasione di conoscerlo meglio, di memorizzare i suoi gusti, le sue abitudini, l'ambiente in cui viveva. Da qualche parte, in mezzo a tutte quelle informazioni, c'era nascosto il modo di farlo fuori. Doveva solo mantenere la calma e avere la pazienza di fingere senza ritegno. Ubris non gli sembrava particolarmente intelligente. A volte gli raccontava cose di sé che gli sembravano del tutto ridicole. Gli sarebbe volentieri scoppiato a ridere in faccia, se non avesse saputo che un filo di follia scorreva nelle sue vene. Meglio assecondarlo, lasciarlo parlare senza interromperlo, guardarlo negli occhi con espressione ammirata. Un po' il genere di cose che fanno quelli che s'innamorano. Per acquisire lo sguardo giusto, gli bastava ricordare Romeo e Giulietta, una splendida opera di un autore dimenticato dal mondo. E tacere. Tacere sempre, se non interrogato. A domanda risponde. A richiesta esegue. A sostenerlo c'era il piano che doveva portare a termine. Non ci pensava mai davanti a Ubris, come se il solo pensiero potesse trasmettere alla vittima designata ciò che si stava tramando ai suoi danni. Ma un danno per Ubris era un beneficio per l'umanità. Così almeno la pensavano quelli di Hypogeum. Il tempo a sua disposizione si stava man mano esaurendo, ma Kappa era sicuro di venirne a capo. Leggeva la disfatta nel volto di Ubris. Ogni giorno di più era nelle sue mani. Avrebbe ceduto presto, perché quello che gli offriva non era solo un corpo da usare a suo piacimento, ma anche un sentimento. Marius possedeva le sue armi segrete, inoltre riusciva a fingere un sentimento fino alla perfezione. A Hypogeum si studiava anche recitazione e lui era ritenuto il migliore.

 

Il cattivo umore non era raro in Ubris, tuttavia quel giorno era diverso. Marius era stato convocato con il solito semplice messaggio, ma al suo arrivo fu accolto nel bunker con espressione seria. Niente convenevoli, niente giri di parole. Superata evidentemente la soglia dell'educata richiesta, Ubris gli ordinò semplicemente di svestirsi. Di solito gli piaceva strappargli il velcro che gli chiudeva la giacca e poi indugiare con calma spogliandolo del resto. Questo cambiamento mise in allarme Marius, poiché sembrava che all'improvviso avesse sviluppato una sorta di ostilità nei suoi confronti. Il suo progetto era in pericolo? Cosa poteva aver messo così di malumore Ubris? La sua curiosità era grande, eppure Marius mantenne il suo impegno di astenersi dal sondarlo e dal porre domande, sapendo che ne sarebbe venuto a capo lo stesso. Dopo essersi rivestito al termine di un amplesso piuttosto violento, si limitò a chiedergli:

– Preferisci restare solo?

Ubris sembrò cadere dalle nuvole.

– No, Marius. La tua presenza qui oggi è la mia unica consolazione. Il Decano Alexander mi ha portato all'esasperazione. Sto meditando da tempo di sostituirlo. Non dovrei farlo, ma ti confesso che non conosco bene quelli della Prometeo. Non saprei davvero chi nominare al suo posto.

– Di sicuro saprai scegliere saggiamente.

– Se fossi saggio farei saltare in aria l'intera Congregazione. Per come la penso io non dovrebbe neppure esistere.

– Capisco.

Ubris sollevò lo sguardo, fissandolo dritto negli occhi, con un sorrisetto malizioso e molto sicuro di sé.

– Potresti andarci tu, Marius. Ti guardi attorno, studi i suoi stimati membri per qualche tempo e poi mi riferisci. Che te ne pare?

– Per me è sempre un piacere esaudire i tuoi desideri.

– Ed è proprio così che mi stai conquistando, centauro.

Marius sentì un rigurgito di acidità bruciargli la gola, ma sorrise.

– Ci andrò stasera stessa.

– Penso sia inutile raccomandarti il silenzio.

– Inutile, è vero.

Marius si mosse per andarsene, ma Ubris lo bloccò.

– Aspetta. Voglio che tu possa entrare e uscire liberamente da qui. Vieni con me, ti registro sui sensori.

Fu così che Ubris gli consegnò nello stesso tempo le chiavi di casa e del suo cuore.

 

Ubris si complimentò con se stesso per l'idea geniale che gli avrebbe permesso di conoscere la situazione alla Congregazione senza essere costretto a trasferircisi. Ci avrebbe pensato Marius. Era un uomo di cui ci si poteva fidare. C'era sempre bisogno di buone spie. Marius gli piaceva. Aveva coraggio, o forse era incoscienza, una mentalità aperta, eppure una decisa conoscenza dei suoi limiti e il rispetto assoluto per la gerarchia. Marius lo ammirava, glielo leggeva negli occhi, e non per il suo potere, ma per l'uomo che era. Sentiva il suo calore, riconosceva in lui un sentimento mai ispirato prima. Era una droga potente, qualcosa che gli forniva un'energia esplosiva e senza regole. Arrivava persino ad ammettere che Marius era capace di regalargli una certa felicità, senza chiedergli nulla in cambio.

 

A Hypogeum ferveva l'agitazione. La squadra degli archeologi aveva deciso di seguire le citazioni del Libro d'Oro, che indicavano abbastanza chiaramente l'esistenza di una città sotterranea incredibilmente vasta. Poiché non poteva trattarsi di Hypogeum, doveva trovarsi altrove, probabilmente sotto di loro. Riuniti i clan, avevano quindi annunciato la loro spedizione, chiedendo se qualcun altro fosse interessato a unirsi a loro.

Fryda sollevò immediatamente la sua obiezione.

– Ma vi sembra questo il momento? Siamo in allerta, ragazzi.

– Ma noi non possiamo fornivi alcun aiuto. Non siamo tecnici, né guerrieri. E poi, in fondo, se le cose dovessero andare male, potremmo essere costretti a nasconderci altrove. Quale miglior luogo che questa città di cui parla il codex? Andiamo in avanscoperta. Potrebbe essere ancora abitabile, oppure diventarlo con qualche modifica, in modo da accogliere sfollati, profughi, fuggiaschi e perseguitati. Credo che se la nostra esplorazione avrà successo potrebbe essere utile a tutti.

Molti dei presenti annuirono, ma Clara tornò a insistere che stavano perdendo tempo.

– Quel libro racconta un mito. Non c'è niente di reale in quello che c'è scritto.

– Questa è una tua opinione. Noi invece pensiamo che sia tutto vero. Andremo giù e ve lo proveremo.

– Non possiamo certo impedirvelo. Buon divertimento. E non dimenticate niente di essenziale. Non vorremmo dover correre in vostro aiuto mentre siete bloccati in qualche galleria crollata.

– Grazie per il tuo ottimismo, non vi disturberemo.

 

La Congregazione di Prometeo era, insieme con quella di Pandora, il secondo obiettivo del piano di distruzione del sistema vigente che i ribelli di Hypogeum avevano progettato. Nei piani di Marius c'era quindi da tempo l'idea di intrufolarsi in quella istituzione. L'invito di Ubris era in perfetta sintonia con il suo progetto. L'ingresso della Congregazione, tutto marmi e luci soffuse, prometteva lusso e sapiente intrattenimento; nella hall, numerosi divani in pelle amaranto, tavolini in cristallo, statue, fontane, piante ornamentali; e poi uomini, quasi una folla di uomini, eleganti, di tutte le sfumature epidermiche, belli o semplicemente interessanti, affascinanti o rudemente attraenti, di tutte le fasce di età e per tutti i gusti. Ma tanto per cominciare non fu Marius a decidere. Il primo ad avvicinarsi a lui, quasi buttandoglisi tra le braccia, fu un giovane Fratello bruno, snello, vivace, dall'eloquio spigliato, estroverso all'inverosimile, che lo travolse come un treno in corsa. Senza quasi poter protestare, si ritrovò nel suo covo, come lui chiamava la stanza 5 del quinto piano. Del resto a Marius non interessavano i servizi della Prometeo, ma proprio gli uomini che vi si aggiravano. Fratello Mercury era il candidato ideale per potersi informare senza fatica su tutto ciò che riguardava la Congregazione. Parlava volentieri, era pettegolo, logorroico, un fiume in piena difficilmente arginabile. Quello che Marius cercava veramente era il punto debole dell'istituzione, l'incrinatura da sfruttare per distruggerla. Piuttosto che suggerire a Ubris il possibile sostituto del Decano, gli avrebbe mostrato l'impossibilità di sceglierne uno, per manifesta indegnità dell'intera rappresentanza dei suoi membri. Questo era ciò che Ubris si aspettava e questo Marius gli avrebbe offerto, assecondandolo.

 

Isaac aveva già esplorato i sette livelli sotterranei al di sotto di Hypogeum, quando era appena un ragazzo. A quei tempi, lui e Daniel avevano iniziato quasi per gioco a decifrare il codex Moebius. Sin dal principio, dove si parlava del Regno sotterraneo di Damkin, la curiosità aveva fatto presa sul loro desiderio d'avventura che, accompagnato da una certa dose d'irresponsabilità, li avevi portati a scendere di livello in livello per esplorare e insieme trovare risposte alle mille domande che ogni giorno scaturivano dalle loro fantasiose congetture. Là dove non arrivava la capacità di tradurre i simboli di quella scrittura sconosciuta, giungeva in soccorso la loro sbrigliata fantasia. Isaac ricordava perfettamente che giunti al settimo livello si erano dovuti arrestare. Il passaggio per proseguire nella discesa era infatti molto stretto, pericoloso, con la volta in parte già crollata e in parte pericolante, a rischio di franare da un momento all'altro. Daniel non ne aveva voluto sapere di tentare ugualmente, e quel giorno Isaac gliene fu grato. Davanti a loro il cunicolo franato bloccava completamente il passaggio.

Micol e Davis decisero di portare giù le attrezzature adatte a puntellare lo scavo che avrebbero dovuto compiere per liberare il cunicolo dalle macerie e assicurarne la sicurezza e la stabilità.

Daniel scosse la testa. – E alla prossima frana che faremo? Continueremo ad andare su e giù per procurarci il materiale necessario?

– Possiamo portarne qui parecchio e se ci sarà bisogno potremo spostarlo più avanti. In fondo si tratta di qualche rotolo di grafene, qualche paletto e un paio di trapani al laser.

– Dai, Micol, ci vorrà una vita.

– Non è detto che ci troveremo altre volte davanti a questo sfacelo.

– Non lo sappiamo.

– Appunto, non lo sappiamo. Affrontiamo un problema alla volta. Per ora il problema è questo. Poi si vedrà.

– Ricordati che non abbiamo l'approvazione piena dei clan, quindi nemmeno l'aiuto che eventualmente ci potrebbe servire.

Isaac si piantò sulle gambe incrociando le braccia. – Volete già rinunciare? Ditelo subito. Sappiate comunque che io non mi fermerò qui.

– Nemmeno io – disse Daniel.

I gemelli Micol e Davis si guardarono per qualche istante. Evidentemente tra loro passò una comunicazione cui gli altri non potevano essere ammessi. 

– D'accordo. Andiamo avanti.

 

Alla Congregazione di Prometeo, Kappa s'incontrò con fratello Mercury, anche se non ne aveva alcuna voglia. Ma il giovane Mercury possedeva un intuito e una sensibilità piuttosto rari. Dopo averlo spogliato, lo condusse alla piscina tiepida e profumata sul terrazzo, facendo scivolare indietro la copertura del tetto. Attraverso il vetro nitido si scorgeva il maestoso cielo stellato. Immerso fino al collo, con la nuca comodamente appoggiata su un cuscino, Kappa si rilassò completamente, mentre Mercury lo massaggiava alternando forza e delicatezza.

– Questa sera il mio signore Satum è molto stanco – osservò il giovane.

Quando aveva conosciuto Mercury, Kappa gli aveva raccontato qualcosa di Mercurio e Saturno. In quell'occasione, il giovane gli aveva affibbiato il soprannome di Satum in contrapposizione al suo. Mercurio e Saturno, il giovane e il vecchio, il birichino e il saggio. Le battute del ragazzo l'avevano fatto ridere, costringendolo ad accettare quel nomignolo, tanto da sceglierlo in seguito come nickname nella registrazione alla Prometeo.

– Sì, hai ragione. Sono stanco.

– Allora riposati e parliamo un po'.

– Lo sai che non mi piace parlare. Dimmi tu. Cosa hai fatto questa settimana?

– Le solite cose. Anzi, no. Ho partecipato a una riunione segreta.

– Mi meraviglio di te, Mercury, se era segreta non ne dovresti parlare.

– Ma io te ne parlo perché ho intenzione di coinvolgerti. Tu sei il mio eroe volante e per questa missione occorre proprio un eroe.

Kappa lo schizzò con l'acqua profumata.

– Stavo quasi per caderci. I tuoi scherzi prima o poi ti metteranno nei guai.

Mercury scivolò accanto a lui, avvicinando la bocca al suo orecchio.

– Ascolta, Satum. Se sapessi che c'è un gruppo di persone che vogliono trovare il modo di ribaltare questo sistema, progettando un colpo contro le Fondazioni, non saresti curioso di ascoltare quello che hanno da dire?

Marius si domandò per quale oscuro motivo Mercury lo ritenesse tanto interessato all'argomento e soprattutto tanto innocuo da raccogliere una simile confidenza senza reagire immediatamente conducendolo all'OP con le mani legate dietro la schiena. Fu quindi costretto a mantenere la sua facciata di agente, pur consapevole che avrebbe rischiato di far tacere Mercury, mentre al contrario era molto interessato a ciò che aveva da raccontargli.

– L'averti accolto tra le loro fila è stato un gravissimo errore. Potrei arrestarti e affidarti a certi miei colleghi che sanno come estrarre le informazioni da un cervello senza lasciare indietro nemmeno il ricordo di una nuvola che è passata in cielo. Tu sei un pericolo per te stesso e per gli altri.

Mercury sorrise, accarezzando le colline villose dei suoi pettorali. Poi chinò la testa e avvicinò le labbra al capezzolo più vicino, strizzandolo in una morsa delicata con i suoi denti perfetti.

– Me l'hanno chiesto loro – mormorò mollando la presa per un attimo.

Immediatamente Kappa se lo scrollò di dosso, rimettendosi in piedi.

– Te l'hanno chiesto loro?

– Sì. Hanno detto che tu conosci il Presidente Ubris Vatertod. Hanno bisogno che gli parli di lui.

– No. È escluso.

Kappa si asciugò, si rivestì in fretta e uscì dalla stanza 5 del quinto piano, senza neanche salutare.

La sua fuga improvvisa non gli aveva lasciato il tempo di togliersi di dosso il profumo dell'acqua in cui era stato immerso per quasi un'ora. Se lo sentiva nel naso, così forte da dargli la nausea. Temeva che potesse essere scambiato per un richiamo, mentre in quel momento il suo unico desiderio era di restare da solo, a rimuginare i propri pensieri. Fu grato che la sotterranea fosse meno affollata del solito, così da viaggiare a distanza dagli altri. All'arrivo del treno, salì sull'ultimo vagone, deserto. Dieci fermate lo separavano dal suo quadrante. Rimase in piedi, appoggiato con la schiena al fondo della vettura. Si domandò cosa potesse aver scoperto Mercury di lui e dei suoi piani. Ne aveva parlato con qualcuno? E se era vero che un gruppo di sovversivi stava preparando un colpo grosso, non si sarebbero intralciati a vicenda? Ma il filo dei suoi pensieri fu interrotto poco prima della seconda fermata: dal penultimo vagone tre uomini passarono nel suo, camminando con passo sicuro. Tutti indossavano la tuta verde dei tecnici addetti alle infrastrutture. Uno di loro puntò un laser sull'unica cella video interna, mentre gli altri due non si fermarono finché non lo raggiunsero, afferrandolo per le braccia.

– Che cosa volete?

Per tutta risposta gli arrivò una scarica elettrica che lo tramortì.

 

Quando Kappa riaprì gli occhi, stordito, riconobbe i piccoli rombi verdi e grigi che ricoprivano i pavimenti della Prometeo e poi notò che quei rombi di marmo sostenevano un semicerchio di scarpe. Sollevò quindi lentamente la testa, puntando lo sguardo sugli uomini che le indossavano. Erano sei, con i volti coperti da cappucci neri muniti di un buco all'altezza della bocca e due oblò a specchio in corrispondenza degli occhi. Stavano aspettando che si riprendesse. Annotò mentalmente di essere seduto su una scomoda seggiola di legno, e subito dopo fu cosciente del formicolio generale dovuto alla circolazione bloccata, del dolore causato dalle legature ai polsi e alle caviglie e di un fastidioso ronzio alle orecchie.

– Satum, spero che tu adesso abbia capito che non scherziamo.

– Va bene, non scherzate. Nemmeno io ho un gran senso dell'umorismo, al momento, quindi, se non vi dispiace, arriviamo al sodo. Che volete da me?

Uno degli incappucciati fece mezzo passo avanti.

– Sappiamo che frequenti Ubris Vatertod. Vogliamo sapere com'è organizzata la sicurezza a Palazzo e di quante guardie dispone.

– Purtroppo non ho queste informazioni. Ubris mi fa entrare da un ingresso di servizio, di cui disinserisce l'allarme manualmente.

– Che tipo di allarme?

– E che ne so?

– E le celle video?

– Non ne ho idea. Non me ne sono mai preoccupato.

Un altro incappucciato prese la parola.

– Come mai Ubris Vatertod è interessato a te?

– Sono un appassionato di storia antica. È una materia che studia anche lui, così gli piace discuterne con qualcuno che sappia di cosa stia parlando.

– Ma è uno studio illegale!

– E sì, lo ammetto, sono un criminale.

– Sei uno strano tipo, Satum. Comunque, ti comunico che questa conversazione è registrata. Con le opportune modifiche potremmo farla pervenire ai tuoi superiori e interrompere la tua mediocre carriera di servo dell'OP, per iniziarne subito un'altra come schiavo in qualche miniera sperduta nel deserto africano.

– Allettante.

– Satum, adesso sai che cosa ti aspetta se per caso volessi parlare di noi con qualcuno, o se non farai esattamente quello che ti chiediamo.

– Oh, finalmente arriviamo al sodo?

– Devi informarti sui sistemi di sicurezza di Ubris Vatertod. Vogliamo entrare a Palazzo.

– Per far che?

– Questo non ti riguarda.

– Visto che entro e esco da quel Palazzo piuttosto spesso, potrei risparmiarvi la fatica. Potrei sottrargli io stesso quello che volete con tanta determinazione.

– Non vogliamo nulla che gli appartenga, a parte la sua testa.

Kappa non ne fu troppo sorpreso.

– Perché non gliela staccate quando viene qui, nei suoi appartamenti?

– Purtroppo questo non è possibile. Vatertod non ha mai messo piede qui.

– Ma davvero? Questo è piuttosto strano, no?

– Non ci interessano i tuoi commenti. Tu portaci le informazioni che ci servono e poi penseremo noi a farlo sparire.

– Non credete che sia un obiettivo troppo limitato? La sua scomparsa non cambierà nulla.

– Ma quella di entrambi i vertici delle Fondazioni forse sì.

–  Franz! – lo richiamò uno degli incappucciati – Se gli dici troppo saremo costretti a farlo fuori.

Una nuova voce s'intromise, bassa e perentoria.

– Basta! Sa già troppo per i miei gusti. Troveremo un altro modo. Eliminatelo e fatelo sparire nella caldaia.

Quindi l'uomo si allontanò. Kappa immaginò che si trattasse del leader e in effetti, obbedendo ai suoi ordini, due degli incappucciati si avventarono su di lui.

– Un attimo! Calma. Io posso risolvere in un colpo solo tutti i vostri problemi.

Il capo si fermò, voltandosi verso di lui.

– Che vuoi dire?

– C'è già pronto un piano del genere. Effettuando solo una piccola modifica, otterrete esattamente quello che volete, anzi, molto di più.

– Quale sarebbe il tuo piano?

– Il piano non è mio, in verità, ma dello stesso Ubris Vatertod. Vuole fare fuori in un colpo solo i vertici della Gea.

– Non ti credo. Stai cercando un diversivo per rimandare il momento in cui finirai nella caldaia.

Benché questo continuo riferimento alla caldaia gli fosse fastidioso, Kappa non si scompose.

– Ubris Vatertod vuole autonominarsi Imperatore Assoluto, spazzando via tutti gli altri e ha già progettato un piano pronto all'esecuzione. Deve solo aspettare qualche mese perché il suo clone sia pronto.

Il capo degli incappucciati parve interessato. Tornò verso di lui con passo misurato.

– Un clone? Per farne che?

– Un funerale.

 

Lady Sheron entrò nella sala a lei riservata nella Congregazione di Pandora. Sorella Lydia si mise a sua disposizione. L'aiutò a mettersi comoda, le offrì il tè e poi s'inginocchiò ai suoi piedi.

– Vuole che le legga le ultime news economiche?

– No, grazie, Sorella. Aspetto una visita. Anzi, vai alla reception ad accogliere il mio ospite e accompagnalo qui appena arriva.

– Come vuole, Presidente.

Poco dopo apparve la Decana Julia, che abbracciò Lady Sheron e si sedette accanto a lei, appoggiandosi ai cuscini.

– È tutto pronto?

– Ce lo dirà Lisias tra poco.

– Quanti laboratori sono coinvolti?

– Per fortuna solo quattro, uno della Gea e tre della Kronos.

– Non dovrai fare a meno anche del tuo, vero?

– Naturalmente no, ho già ordinato il trasferimento delle attrezzature e l'evacuazione degli addetti scientifici dal complesso, nella più assoluta riservatezza.

– E gli altri addetti?

– Dovranno soccombere per la causa.

– Capisco.

– Naturalmente mi troverò in vantaggio sulla Kronos, dopo questi incresciosi incidenti, ma si tratta solo di un effetto collaterale.

– Naturalmente.

Le due donne scoppiarono in una risata.

– Hai preparato la stanza per il clone? – domandò Lady Sheron, tornando seria.

– È tutto pronto, mia cara.

– E hai già deciso chi si occuperà di lui?

– Sì, ho scelto Sorella Genesis. In fondo è già coinvolta, nostro malgrado. Sarà un modo per vincolarla ancor più al segreto. Oltre tutto ha la pessima abitudine di uscire dal complesso quando è libera dal servizio. Affidarle un compito a tempo pieno gliene farà perdere l'occasione.

 

L'esplosione contemporanea di alcuni laboratori scientifici rappresentò per i media un boccone prelibato. Per settimane si sarebbero sbizzarriti a discuterne, facendo congetture e gettando fumo negli occhi. Si sarebbero fatte tante di quelle ipotesi da confondere del tutto l'opinione pubblica, che infine, stanca di rincorrere una verità nel mare di panzane, si sarebbe dedicata ad altro. Gli unici fatti certi, in quel caos, erano quattro laboratori scientifici distrutti e un numero impressionante di vittime. Gli addetti all'Ordine Pubblico brancolavano nel buio.

A Genesis fu affidato il compito di accudire un uomo che sembrava appena sceso dalla Luna. Doveva insegnargli a parlare con correttezza e con i termini appropriati,  a utilizzare il visore multimediale, persino a mangiare con la dovuta educazione e a vestirsi con raffinatezza. Era come un bambino piccolo in un corpo da adulto. Però imparava velocemente, e questo, se non altro, lasciava presagire una certa intelligenza. Genesis dimenticò cosa fosse il tempo libero e quasi con rammarico fu sollevata dal servizio per cui era stata addestrata.

A differenza della maggior parte delle Sorelle, Genesis non era nata nella Congregazione. Era figlia di un ambizioso dirigente di terzo livello e di una sua schiava. Dal momento che era dotata di elevata bellezza, fu presto venduta alla Congregazione. Qui imparò le arti della seduzione femminile, specializzandosi nel sesso rituale in tutte le sue forme, iniziando presto il suo tirocinio. La soddisfazione dei clienti l'aveva posta in breve tempo ai vertici delle Sorelle più richieste, più pagate e più coccolate della Congregazione. Purtroppo, il suo status originario non le permetteva di sentirsi del tutto protetta dalla Pandora. Per lei, a differenza delle altre Sorelle, sussisteva sempre la possibilità che qualcuno chiedesse di acquistarla. Oppure, una volta sfiorita la sua bellezza, la Congregazione poteva decidere di disfarsene. Genesis apparteneva a una casta cui era vietato possedere beni. Era perciò determinata a conquistare il maggior credito personale possibile con le sue doti, finché era giovane, per non finire in chissà quale infima condizione, o persino incenerita prematuramente come un animale randagio. L'essere stata scelta per un compito delicato come quello, le regalava la speranza di entrare a far parte dello staff della Decana. La sua carriera aveva subito un'imprevista impennata, che avrebbe potuto metterla al riparo dalle incertezze del futuro.

 

Alla centrale OP del III quadrante, gli agenti erano in stato d'allerta. Tutte le attrezzature tecnologiche erano state attivate al massimo della potenza. Tutte le comunicazioni erano sotto controllo. Le ipotesi più accreditate, almeno tra i meno asserviti alle Fondazioni, si fondavano sull'ipotesi che fosse in atto una guerra tra la Gea e la Kronos, per l'egemonia degli studi scientifici. L'unico intoppo a questa tesi si basava sul fatto che a saltare in aria fossero stati laboratori di entrambe. Marius ne aveva discusso parecchio con il suo collega Peter Walth e con altri. Dai rilievi si era potuto appurare che la natura degli esplosivi era la stessa, ma questo per alcuni significava solo che aveva agito la stessa mano. Non dava alcun nome ai mandanti. Sia che i mandanti fossero esterni, sia che fossero interni a una delle Fondazioni, non cambiava di una virgola il fatto che navigassero nel buio. Per Marius e Peter aveva un senso che fossero tre i laboratori della Kronos e soltanto uno quello della Gea. Se la Gea aveva ordito questo attacco, il loro laboratorio era stato sacrificato per distogliere i sospetti. Ma non c'erano prove. E sicuramente nessuno di loro sarebbe andato a interrogare Lady Sheron o Ubris Vatertod. Poi Marius ricevette un messaggio sulla linea tht.

 

Per Marius Kappa la situazione si era parecchio ingarbugliata, eppure, per ottenere i suoi scopi, riteneva più facile e anche più divertente sfruttare i progetti di Ubris e quelli degli incappucciati. Fingersi complice e devoto amante di Ubris Vatertod, accettare di essere ricattato dal commando infiltrato nella Prometeo e mantenere la sua facciata di fedele servitore dell'OP era in fondo un gioco a incastro sul filo del rasoio, ma nulla che non potesse gestire mantenendo la calma.

Clara e Fryda lo fissarono a lungo. Il suo rapporto era inquietante.

– Marius, sei un pazzo. Se non ti ammazza Ubris, lo farà il commando della Prometeo – sentenziò Clara.

– Non mi hai ascoltato, allora. Il piano di Ubris si concilia perfettamente con quello del commando. Loro lo vogliono morto. Ed è quello che avranno.

– E il nostro piano?

– Sarà attuato subito dopo che quello di Ubris avrà avuto successo.

Ciò che contava era mantenere i nervi saldi. Non c'era alcuna ragione perché Ubris, il commando o l'OP dubitassero di lui anzitempo. I giochi avevano inizio. Gli era impossibile programmare tutto alla perfezione, ma essere dotato di una grande prontezza di spirito l'avrebbe fatto reagire agli eventi nel modo più efficace ed efficiente.

– Sarà meglio che tu non interagisca con Hypogeum per qualche tempo. Temo che qualcuno ti metta sotto controllo – disse Fryda.

– Ne sono costantemente consapevole. Se avete notizie urgenti da comunicarmi, mandatemi un messaggio sulla linea tht.

– Anche quella non è del tutto sicura – obbiettò Fryda.

– C'è un'assemblea indetta dagli archeologi, stasera. Non ti fermi con noi? – gli chiese Clara.

– Non posso. Mi aspetta Ubris, e lui ha priorità assoluta. Stanotte inizieranno le danze.

– Allora, in bocca al lupo, Marius.

 

Nel buio totale del coprifuoco, Marius Kappa avanzava velocemente verso il IV quadrante, quando una voce lo raggiunse, bloccandolo.

– Ciao, bello. Splendida serata, vero?

Marius Kappa si voltò a guardare la donna appoggiata al muro, percepibile solo nel momento in cui l'aveva illuminata con il visore in modalità notturna.

– Niente di speciale. Ho visto serate migliori.

Anche nell'oscurità che li circondava, Marius intuì la sensuale bellezza della donna.

– Quanto scommetti che migliorerà, se vieni con me?

– E se invece venissi tu con me?

– E dove mi porteresti? Sentiamo.

– Alla Centrale d'Ordine Pubblico, per esempio.

– Ehi, non hai la faccia dello sbirro.

– Perché, gli sbirri che faccia hanno?

– In qualità di Sorella di Pandora mi è proibito usare un linguaggio non consono.

– Ne deduco che saresti offensiva, qualora non lo fossi. Ma come mai una Sorella adesca clienti sulla strada? All'OP sarebbero molto curiosi di saperlo, con le loro brutte facce.

– Forse. Ma tu sei carino.

Di Marius Kappa avevano detto di tutto, tranne che fosse carino. A parte i folti capelli biondi che manteneva lunghi, legati in una coda di cavallo, per il resto si sarebbe detto un pessimo soggetto, uno tutto muscoli e poco cervello, a dimostrazione di quanto l'apparenza inganni. L'abito nero era quello tipico dei dipendenti delle istituzioni, ma gli anfibi d'ordinanza erano rigorosamente lucidati a specchio. Il visore acceso in modalità notturna impediva di distinguere il suo sguardo grigio, forse l'unica nota particolare del suo aspetto.

– Perché non rientri alla Pandora, finché sei in tempo?

La donna parve agitarsi.

– Non temere, non voglio denunciarti.

Ma non era per questo che la donna si stava agitando. In quel momento un familiare sibilo giunse anche alle sue orecchie e fece scattare entrambi verso l'arco dei portici a poca distanza. Correndo si misero al riparo del largo loggiato coperto, sorretto da una foresta di colonne marmoree, in cui si aprivano gli ingressi dei tre enormi edifici abitativi collegati che costituivano la Congregazione di Pandora.

– Ma tu perché ti nascondi? – domandò la donna, stupita.

– Non sono affari che ti riguardino.

– Sei uno strambo sbirro, lo sai?

– Fai troppi commenti.

– Che strano, il drone era in anticipo. Non passa mai prima dell'una. Che sarà successo?

– Probabilmente è meglio che tu non lo sappia.

La donna lo fissò, perplessa.

– In che guaio mi sto cacciando?

– In uno di quelli da cui non si esce se non con molta collaborazione.

– Ok, che cosa vuoi da me?

– Sei davvero una Sorella?

– Certo. Vuoi vedere il mio atto di appartenenza?

– Non ce n'è bisogno, mi fido.

– Allora, che cosa vuoi?

– Portami nel tuo alloggio.

– Vuoi che faccia risultare il servizio? È questo che ti serve?

– Hai indovinato.

– Sei fortunato, non ho avuto contratti stasera. Sono tutta per te.

– Anche per tutta la notte?

– Certo, ma ti costerà mille crediti. Te lo puoi permettere?

– Sei sfrontata. Come ti chiami?

– Sorella Genesis.

– Allora andiamo, Sorella Genesis.

– Qui non ci sono celle video – lo informò, dimostrando di aver compreso l'importanza della questione.

– Lo so.

– Quindi sei venuto di proposito.

– Silenzio! Andiamo.

Genesis lo condusse al suo ampio monolocale, contrassegnato sulla porta dal numero 77. Kappa possedeva una predilezione per i numeri. La prima cosa che gli venne in mente fu che il 77 era un numero di Ulam, ma subito dopo ricordò che in un'antica tradizione cabalistica il 77 indicava il diavolo. Benché nel secolo passato quest'ultimo avesse decisamente perduto il suo smalto, essendo stato demolito tutto ciò che per secoli le tradizioni religiose avevano imposto come verità assoluta, riecheggiò nella sua memoria un antico detto: il diavolo non gioca mai da solo...

Al loro ingresso, il locale s'illuminò. Kappa sfilò il visore, riponendolo nella sua fondina. Genesis era già occupata nella registrazione del suo bizzarro cliente. Meglio farlo subito. Sarebbe stato più credibile.

– Da che ora vuoi che ti registri?

– Dalle nove, direi.

Genesis sollevò un sopracciglio.

– Spero che nessuno ricordi di avermi vista in giro, stasera.

– Hai parlato con qualcuno?

– No, mi ero appena liberata da un altro impegno, ma lui non parla.

– Allora ci sono buone probabilità di non incorrere in problemi.

Kappa attese che la transazione fosse completata e poi si avvicinò per convalidarla con il palmo della mano. Lo scanner ronzò per qualche istante, quindi confermò il buon esito della trattativa. Mille crediti erano appena passati dal suo conto a quello della Congregazione di Pandora. Da quel momento sarebbe stato bombardato da inviti e consigli per la sua vita sessuale, ma non gliene importava niente. Aveva un ottimo sistema di pulizia, illegale ma non individuabile.

– Bene. E adesso mettiti comodo e raccontami tutto – disse Genesis.

– No, adesso ti metti tu buona buona e mi lasci pensare agli affari miei.

– Stai scherzando? Rischio il segregamento o una schiavitù peggiore e nemmeno mi fai sapere perché?

– Meno ne sai, più stiamo tranquilli tutti e due.

– Se qualcosa dovesse andare storta, cosa devo dire?

– Niente. Se qualcosa va storto, non c'è niente che tu possa dire o fare...

Kappa fu interrotto dal cicalino di una chiamata in arrivo. Immediatamente indossò il visore.

– È un mio collega. Presto, spogliati e mettiti sul letto.

Kappa rispose alla chiamata.

– Sono a spassarmela con una Sorella di Pandora. Che c'è di così urgente?

Con un cenno fece capire a Genesis che doveva fare più in fretta.

– Ma è incredibile, proprio stasera, e proprio adesso che avevo deciso di tenermela per tutta la notte! Ho appena sganciato mille crediti per questo!

Genesis aveva finito di spogliarsi e si era sdraiata sul letto in posizione provocante, indossando una mascherina fucsia.

– Certo che puoi vederla, ma giusto un attimo, eh?

Kappa puntò la lente verso il letto, Genesis salutò con la mano, sorridendo e mostrandosi in tutto il suo denudato splendore. Dopo la generosa concessione di quella visione, Kappa tornò a parlare.

– Che te ne pare? Valeva l'intera notte?

Genesis sperò che quella conversazione significasse la fine di quello strano contratto.

– Va bene, arrivo. Cos'è successo?

La sua voce aveva un convincente tono infastidito.

– Stai scherzando? Sicuro che sia proprio Ubris Vatertod?

Kappa rinfoderò il visore. Genesis pensò di trovarsi davanti a un attore di talento.

– Qualunque cosa volessi nascondere, ti sei costruito un alibi, direi. Sei soddisfatto?

– Non lo so ancora.

– Cos'è accaduto a Ubris Vatertod?

– Lo saprai dalle news. Adesso devo andare.

– Concordiamo almeno una versione per il tuo alibi. Ti faccio un riassunto della serata. Sei arrivato alle nove, ti ho ammorbidito con una dose di cibo superlux e con un bio-vino afrodisiaco, e poi ti ho dato il colpo di grazia con il mio corpo addestrato alla passione tantrica.

– Il bio-vino mi farebbe comodo. Vai a prenderlo.

Genesis scese dal letto. Le sue movenze sembravano rigorosamente studiate. Camminava senza posare i talloni in terra, come usano le danzatrici. Nella luce rosata e calda della stanza, la sua pelle ambrata risplendeva di pagliuzze dorate. Già da questo si poteva intuire l'appartenenza a un'elevata categoria, non fossero state sufficienti le sue forme, perfettamente aderenti all'iconografia classica del genere. Era impossibile capire se l'insieme fosse frutto di modificazioni genetiche o se si trattasse di una splendida opera della natura. La donna attraversò la stanza e aprì una basculante nascosta nel muro. C'erano parecchie boccette dai colori ambrati, rese scintillanti dall'illuminazione interna del vano. Ne prese una e gliela consegnò con un sorriso.

Kappa se la infilò in un taschino.

– Non la bevi?

– Non ora.

– Lo sai che non dovresti portarla fuori da qui. Le regole valgono per tutti.

– Dovresti imparare a farti gli affari tuoi. Non ti hanno insegnato l'arte del silenzio?

– Ero troppo giovane. Devo averla dimenticata.

– Sei impertinente. Allora ti regalo una perla di saggezza. Parlare troppo e a sproposito è la via più breve per la più infima schiavitù. Appuntala sul tuo note-app.

Genesis sorrise.

– Grazie per il consiglio. Naturalmente, ti sono debitrice di un contratto. Sarò a tua disposizione, quando vuoi.

Poi si appoggiò a lui e lo baciò.

Kappa accarezzò la sua schiena liscia come la seta, poi le pizzicò il sedere.

– Credo che verrò a trovarti presto.

– Grazie per aver scelto i servizi della Congregazione di Pandora.

Kappa ascoltò la formula di saluto convenzionale di Genesis con soddisfazione. Finalmente la donna aveva deciso di rientrare nei ranghi. Si guardò intorno ancora per qualche istante, come per darsi il tempo di dire addio a tutto ciò che aveva pagato e cui stava rinunciando, quindi uscì dall'unità abitativa 77 della Congregazione di Pandora, nel quadrante IV.

 

Marius Kappa tornò a Palazzo, entrando dalla porta principale. Con lui c'era Peter Walth, l'agente con cui faceva coppia durante i servizi di pattugliamento speciali, cui era assegnato non molto spesso, per sua fortuna. Per ovvi motivi, Marius preferiva di gran lunga lavorare da solo.

Ubris Vatertod  pendeva nudo da un cappio appeso al gancio di una tenda, nella sua impressionante camera da letto. Le dimensioni di quella singola stanza erano pari a dieci unità abitative civili. Marius Kappa e il suo collega Peter Walth fissavano entrambi il suo volto arrossato e la gonfia lingua penzolante.

– Mi dispiace di averti interrotto. Ti sei sfogato abbastanza? – domandò Walth.

– No, non abbastanza. Mi hai interrotto mentre stavo per ricominciare.

– Beh, se non altro ne avrai un bel ricordo. Non si trovano tutti i giorni Sorelle così belle.

– Hai ragione, ma anche a te ho portato un ricordino della serata, tanto a me non serviva più.

Kappa estrasse dal taschino la boccetta di bio-vino afrodisiaco. Walth l'afferrò rapacemente, facendola sparire in fretta in una tasca.

– Grazie per il pensiero, anche se è contro la legge. Accidenti, spero non ci abbia visto nessuno.

– No, sono tutti impegnati con il cadavere.

– Menomale. Chissà se le celle video hanno ripreso qualcosa di interessante?

– Credo che di sotto siano già al lavoro per memorizzare le registrazioni da valutare.

– Vado ad appurare.

Il Palazzo di Ubris Vatertod era una costruzione di cinque piani. Nei tre piani più alti viveva il Presidente, mentre gli altri due erano adibiti alla schiavitù. Dei livelli sotterranei nessuno sembrava essere a conoscenza. Vatertod aveva sicuramente fatto sparire tutti quelli che avevano lavorato alla loro recente realizzazione. All'ingresso era annessa la centrale di controllo, gestita dalla società interna HiGens. Come ogni palazzo gentilizio che si rispetti, era circondato da un ampio parco, e fornito di tutte le tecnologie d'avanguardia per disperdere l'inquinamento e il pessimo clima della megalopoli. Ma per i gusti di Kappa, in quella stanza faceva troppo caldo. Il cadavere si sarebbe decomposto prima che qualcuno decidesse di tirarlo giù.

Walth fu presto di ritorno.

– Avevi ragione. La HiGens è al lavoro per estrarre i dati. Gli addetti alla sicurezza sono già stati rimossi. Credo che li inceneriranno a tempo di record.

– Efficiente, per certi versi.

Walth tornò a fissare il cadavere.

– Per me Vatertod si è suicidato – commentò, senza distoglierne lo sguardo.

– Anche per me.

– Non c'è altra spiegazione.

– No, infatti. Non c'è.

Kappa era in rigorosa modalità non-pensiero. Anche un solo fremito che avesse modificato la sua espressione avrebbe potuto tradirlo. Il suo sguardo grigio era un muro di ghiaccio sporco.

– Io non capisco. È l'uomo più potente e più ricco del pianeta, e si suicida. Ma allora, è proprio vero, la felicità non è di questo mondo. Perché l'avrà fatto? No, davvero non capisco.

– Chissà, ci sono cose che non si possono comprare né col potere, né con i crediti. L'amore, per esempio.

– Non ci sono mai state news su questo argomento, mi sembra. Tu ne sai qualcosa?

– E perché dovrei? Ma adesso andiamo. Lasciamoli lavorare e torniamo in Centrale.

La parte più noiosa del suo lavoro era la stesura dei rapporti, ma piuttosto che tornare alla sua squallida unità abitativa, Kappa preferì adempiere al dovere quella notte stessa. Poi, appena terminato, sentì il bisogno di farsi una doccia. Scendendo ai servizi comuni, però, trovò Walth seduto sulla panca davanti al suo armadietto.

– Bella nottata, eh? – gli disse il collega, guardandolo speranzoso, quasi con la bava alla bocca.

Il suo alito puzzava di bio-vino. Quella sostanza non lasciava scampo. Gli ormoni impazzivano, ogni inibizione cadeva e qualunque forma vivente diventava un'attrattiva sessuale irresistibile. Marius immaginò che cosa stesse per succedere e quindi decise di levarsi subito di torno. Prese qualcosa dal suo armadietto e si defilò con eleganza. Di sicuro, ricevendo quel dono da lui, Walth aveva travisato le sue intenzioni.

Mancavano un paio d'ore all'alba quando si buttò sul suo letto. Quella strana giornata poteva dirsi chiusa. Ricapitolando le sue azioni, non si soffermò troppo sull'impiccagione, quanto sul fortuito incontro con Genesis. Era davvero una donna particolare, affascinante, misteriosa nella sua nudità. Non aveva mai frequentato le Sorelle, ma per lei avrebbe tranquillamente sovvertito le sue abitudini. Poi sorrise ironicamente di quei pensieri. Emise un rumoroso sospiro e chiuse gli occhi deciso ad addormentarsi subito.

Peter Walth si offese moltissimo per la fuga di Marius. Prima lo aveva chiaramente invitato a un festino e poi vi si era sottratto senza neppure una scusa. Ma il suo collega non l'avrebbe passata liscia. Questo affronto meritava una sottile vendetta.

 

La notizia del suicidio di Ubris Vatertod colse Lady Sheron impreparata.

– Ma cosa diavolo gli è passato per la testa? È da non credersi, non poteva farmi un regalo migliore! Le mie spie alla Kronos m'informano che l'intero vertice ha già iniziato a massacrarsi. Credo che per spuntarla, ognuno di loro sia disposto ad ammazzare tutti gli avversari. Ah, come godo!

– Potresti finalmente deciderti a concedere la tua mano a Manu Yorky. Questo farebbe guadagnare punti a quel babbeo. Poi, una volta unite le Fondazioni, sbarazzarti di lui. Come ti suona il titolo di Presidente Unico Sheron? – suggerì la Decana Julia.

– Ah, andiamo, non sono così ingorda. Ho già il mio da fare a seguire l'andamento del mio dominio. E poi la sola idea di unirmi a Yorky mi fa venire brividi di raccapriccio.

– In ogni caso, dal momento che nessuno dei dirigenti di primo livello della Kronos sembra avere un briciolo di cervello, un poco alla volta, inevitabilmente, finirai per assimilare tutta la Kronos.

– Non ho mai capito perché a Ubris piacesse tanto circondarsi d'imbecilli.

– Forse perché non si notasse troppo la sua mediocre intelligenza. In confronto ai suoi dirigenti faceva la figura del genio.

– Ma cosa l'ha spinto a farla finita? Cosa è riuscito a nascondermi?

– Difficile dirlo. A proposito, che ne faremo adesso del clone?

– Non ci ho ancora pensato. Però troverò il modo di sfruttarlo a mio vantaggio.

– Ne sono certa.

 

Nei livelli sotterranei della Prometeo c'era una notevole agitazione. I cappucci parlottavano tra loro senza interruzione da dieci minuti. L'irrequietezza di Kappa cominciava a raggiungere livelli inquietanti. Infine esplose.

– Scusate! C'è altro che dovete dirmi?

Uno dei cappucci lasciò il gruppo, avvicinandosi a lui.

– I funerali si terranno domani. Sei sicuro che il piano scatterà anche senza Ubris Vatertod?

– Sono sicurissimo. Mi sono accertato che fosse già tutto predisposto, con un automatismo perfetto.

– Allora tu puoi andare. Ci faremo vivi noi.

– Per cosa? Io ho fatto quello che dovevo fare. Adesso tocca a voi, sempre che abbiate un piano per sfruttare la situazione che si verrà a creare. Più di questo io non posso fare. Quindi, auguri.

– Se noi ti chiameremo, tu verrai. È chiaro?

– È chiaro, ma inutile.

 

 

Come dissero i media, per Ubris Vatertod fu organizzato un vero funerale, come quelli che si facevano un tempo. Il corteo era formato da una ventina di perfette riproduzioni d'auto d'epoca, tra cui spiccavano due Ferrari, una Maserati, una Rolls Royce e una Jaguar, tutti modelli famosi dei secoli passati, conservati come preziose reliquie in chissà quali confortevoli ripari blindati di lusso. Nel III quadrante le forze dell'Ordine Pubblico aprirono i cancelli per far entrare gli alti rappresentanti delle due Fondazioni che governavano il pianeta, una delle quali era stata guidata dallo stesso Ubris Vatertod. Secondo i media, la sua sostituzione ai vertici della Kronos aveva già scatenato una lotta senza quartiere tra i suoi più vicini collaboratori, dal momento che il Presidente non aveva eredi diretti. L'essersi suicidato senza aver prima nominato un successore, era stato ritenuto molto sconveniente. Destabilizzare in quel modo il sistema era stato considerato da irresponsabili.

Il cimitero, l'unico esistente nella megalopoli, che accoglieva esclusivamente gli alti rappresentanti dell'élite, era un gioiello monumentale, alla costruzione del quale si erano dedicati i più grandi artisti del dopoguerra globale. Era stato completato con il contributo del sudore e del sangue di millecinquecento artigiani, tutti schiavi altamente specializzati.

I rappresentanti dell'élite scesero dalle loro auto splendenti per seguire il feretro alla sua ultima dimora. Erano presenti ad attenderli tutti i dirigenti più alti in grado e i funzionari che speravano di farsi notare. L'interno del monumento, una piramide tronca a pianta quadrangolare, aveva pareti dipinte nelle tonalità dell'azzurro, con scie bianche a formare rombi e quadrati, cerchi e spirali. L'ampio oculo alla sommità era chiuso da una vetrata a piombo riproducente un'aquila dalle ali spiegate. La cerimonia fu molto veloce. Nessuno, oltre l'officiante del protocollo, volle pronunciare discorsi. Ubris Vatertod l'aveva fatta troppo grossa. Non solo s'era ucciso, ma non si era neppure degnato di designare un successore. Era inammissibile. Con una certa soddisfazione, Lady Sheron diede il segnale che sanciva la conclusione della cerimonia.

Dopo le ultime parole di saluto alla salma, il meccanismo di discesa del feretro si avviò lentamente verso il fondo del pozzo di dimora. Il dispositivo cigolava in maniera pietosa. Faceva venire i brividi. Qualcuno si tappò le orecchie con le mani. Qualcun altro iniziò a indietreggiare, sperando che l'operazione avesse presto termine. Ma a metà della sua lenta corsa qualcosa andò storto. Il cigolio divenne un sussulto metallico, che si trasformò poi in un rumore infernale. Infine la bara si sganciò, e facendo rimbalzare verso l'alto le catene cui era agganciata, precipitò nel pozzo trascinata dal suo stesso peso, finché non giunse a schiantarsi sul fondo. E in quell'istante un'immane esplosione vaporizzò gli astanti e polverizzò l'intera costruzione, lanciando massi e mattoni con inaudita violenza in ogni direzione. Bisognava ammettere che prima di saltare in aria essi stessi, molto tempo prima, i quattro esperti di sistemi esplosivi assunti da Ubris avevano fatto un ottimo lavoro. La colonna di fumo si poté osservare fino alla decima ripartizione dei quadranti. I media dissero che le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Il mondo sarebbe andato alla deriva.

 

Alla Centrale d'Ordine Pubblico del III quadrante scoppiò il caos, come del resto in tutte le altre. Ma quella era la più vicina all'esplosione, e il boato era giunto alle orecchie di tutti. Kappa stava entrando proprio in quel momento nell'ufficio del Direttore Txerri. Fece in tempo a vederlo impallidire e poi correre fuori come impazzito, urlando ordini.

La sera stava calando. Tra poco il buio avrebbe invaso le strade e il coprifuoco avrebbe indotto tutti i non autorizzati a rinchiudersi nei propri locali privati. Ma quell'esplosione poteva aver incuriosito il popolo, averlo spinto a scendere per le strade a verificare quello che era accaduto. La folla si sarebbe trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tutti quelli vicini alle entrate della sotterranea si sarebbero precipitati di sotto e ne sarebbe scaturito altro caos. In superficie sarebbero intervenuti i droni e la situazione si sarebbe ulteriormente complicata, con migliaia di feriti e chissà quanti morti. Una catastrofe. Del resto non c'era il tempo per disattivare il sistema di sicurezza pubblica. Ci voleva l'autorizzazione di una commissione apposita, che non avrebbe mai fatto in tempo a prendere una decisione. Quella giornata sarebbe stata ricordata a lungo.

Kappa si ritrovò a volare sul suo Pegasus, rimbalzando di strada in strada, per ricordare alla popolazione che doveva rientrare alle proprie unità abitative prima che facesse buio, ma in pochi l'ascoltavano. Quando sorvolò la zona limitrofa al Monumentale, la folla era così fitta che i mezzi terrestri di OP non riuscivano più a passare e i droni avevano iniziato a punzecchiare i curiosi con scariche elettriche. Non potendo fare più nulla, Kappa decise di tornare ai limiti del quadrante, per invitare i curiosi a tornare indietro. Mentre quasi ne usciva, scorse una donna che gesticolava  per attirare la sua attenzione. Riconobbe Genesis. La incitò ad allontanarsi, ricordandole che mancava poco al buio. La donna sollevò lo sguardo al cielo.

– Non riesco a liberarmi dal flusso della gente! Le strade sono tutte bloccate – urlò.

Kappa doveva lasciarla al suo destino. Non poteva far altro. Era in servizio, su un mezzo dell'OP. Assumere un comportamento diverso dal solito avrebbe potuto attirare l'attenzione e forse anche far nascere qualche sospetto su di lui. Eppure il suo spirito anarchico prevalse costringendolo a rifiutarsi di restare entro i confini imposti da quelle stupide regole. Planò sulla folla, arrivò a sfiorare le teste di quel fiume impazzito e  tese una mano verso di lei. Dopo averla afferrata, Genesis si dondolò per darsi una spinta, riuscendo a effettuare una mezza capriola che le consentì di inforcare il veicolo. Nello stesso tempo, temendo di cadere, strinse con forza le braccia attorno al suo busto. Kappa aveva già ripreso a salire. Sorvolando i tetti del quadrante, progressivamente più tranquilli, mentre si allontanavano dall'epicentro dell'esplosione, raggiunse il tetto del IV quadrante caratterizzato dal logo della Congregazione di Pandora, impresso all'interno di un cerchio pulsante di piccoli led che iniziavano ad accendersi, man mano che la luce naturale si affievoliva. Tutto intorno, per l'intera estensione dei tetti, si stendeva un vero e proprio bosco. Mentre Genesis ne approfittava per indagare fisicamente le doti nascoste di Kappa, l'agente calò in verticale, poi spense il motore e aspettò che lei smontasse, senza aiutarla. Se era riuscita a salirci in quelle condizioni, discenderne non poteva essere un problema. E infatti Genesis sciolse con riluttanza il suo abbraccio e saltò sul piano di atterraggio. Il suo impudico sondaggio gli aveva ispirato un desiderio che in quel momento non poteva esaudire.

– Grazie. Ho un altro debito con te. Quando vieni a trovarmi?

Kappa la guardò con severità.

– Non appena mi sarà possibile. Adesso sparisci, impertinente.

– Aspetta. Dimmi che cosa è successo.

– Attiva il visore e guarda i media. Servono a questo.

All'improvviso sbucò dagli alberi un uomo. Sembrava abbastanza maturo, piuttosto attraente, e assomigliava incredibilmente a qualcuno di sua conoscenza.

– Genesis! Non ti trovavo più! Mi avevi promesso che mi avresti insegnato nuove parole.

Genesis impallidì.

– Torna nella tua stanza. Chi ti ha dato il permesso di venire quassù?

– Me lo sono preso. Nessuno può dirmi cosa posso o non posso fare.

Kappa pensò che non c'era alcun dubbio su chi fosse, o meglio, cosa fosse. Poi schiacciò il pulsante del joystick e lo tirò indietro per riprendere quota.

Genesis lo vide sparire dietro i palazzi che aveva di fronte. Che strano sbirro, pensò.

 

Marius Kappa s'inoltrò sul sentiero quasi nascosto dalla vegetazione, dopo essersi guardato prudentemente intorno. In quella zona non passava quasi mai nessuno, ma era sempre meglio controllare. Continuò a camminare rasentando l'alto muro che circondava il parco, finché non raggiunse il luogo dove una porta metallica si affacciava tra le fronde rampicanti. Quindi si fermò, controllò ancora che nessuno lo avesse seguito e passò la mano sul primo sensore. In risposta al suo gesto le porte dell'ascensore si aprirono e lui vi entrò. Poi pose l'occhio davanti al secondo sensore e aspettò che la cabina lo portasse nelle profondità del bunker. Ubris lo raggiunse poco dopo, avvertito dal segnale d'allarme attivato dal movimento della cabina.

Quando Ubris fu di fronte a lui, lo informò del suo strano incontro.

– Sono sicuro di aver tolto di mezzo il clone, ma ne ho appena visto un altro in perfetta forma.

– Lo so, lo so. Ma prima di tutto lasciati dire che ho apprezzato molto l'impiccagione. Un vero spettacolo. Peccato averlo dovuto cancellare dalle registrazioni video. Dell'altro clone non ti avevo parlato, perché pensavo che fosse andato perso, e invece... Non solo l'ho ritrovato, ma gli ho anche affidato un compito.

Marius si mostrò stupito.

– Ero convinto che fosse morto nelle esplosioni dei laboratori scientifici.

– No, Lady Sheron l'ha nascosto nella sede della Pandora. Lei non lo sapeva, ma sarà il mio Cavallo di Troia – poi scoppiò a ridere.

Probabilmente nessun altro avrebbe potuto capire il significato di quella frase. Era per questo che parlare con Marius gli dava tanta soddisfazione.

– Mi fa piacere – disse Marius, ammirato.

Ubris lo fissò compiaciuto, per qualche istante.

– Ma sì, visto che ti sei dato la pena di precipitarti qui per darmi questa informazione, è giusto che tu sappia quali sono i miei progetti.

Marius finse di schermirsi, ma Ubris proseguì, ben felice di mostrare al suo uomo quanto fosse intelligente.

– Ho fatto riempire di esplosivo le Congregazioni. Ho sempre odiato il loro potere. È giunta l'ora di cancellarle dalla faccia della terra. Il mio clone riceverà il messaggio di attivare i sistemi. E sarò io, da qui, a far partire il conto alla rovescia. Dovranno sparire insieme, boom, come un perfetto spettacolo di fuochi d'artificio. Ho solo una piccola difficoltà. Non so ancora come far arrivare il clone alla Prometeo.

– A questo potrei pensarci io – si offrì Marius.

– Davvero? Se ci riuscirai, saprò come ricompensarti.

– Ci riuscirò, ma non ho bisogno di alcuna ricompensa. Lo faccio solo per amor tuo.

Ubris lo baciò con passione sulle labbra, stringendogli la nuca. Si sentiva veramente amato per la prima volta in vita sua. Era una sensazione inebriante.

– Quindi, una volta attivati i sistemi, li comanderai da qui. Mi permetterai di assistere?

– Ma certo, ne sarò felice, anzi lo farai tu.

– Io? Non vorrei rovinare tutto. Non sono pratico di queste macchine sofisticate.

– Ma no, guarda!

Ubris si avvicinò a una consolle e gli mostrò un pulsante rosso.

– Basterà che tu prema questo.

 

Tutti i mezzi erano ormai rientrati all'hangar. Il buio era sceso definitivamente, dando inizio al coprifuoco. Da quel momento, i droni erano in piena attività, programmati per intercettare e bloccare chiunque fosse all'aperto senza autorizzazione. Non vi erano eccezioni possibili. Kappa consegnò il badge di volo e andò a farsi una doccia.

Poco dopo ricevette un messaggio. "È giunta l'ora che tu venga a rapporto". Anche Walth era appena rientrato.

– Sembra che l'inferno abbia aperto le sue porte. Hai mai sentito parlare della profezia dell'Apocalisse?

– Tutte sciocchezze, Peter. Non dare ascolto a chi si dedica a quei voli di fantasia.

– Eppure sembra la fine del mondo.

– Di questo mondo, forse, ma poi ce n'è sempre un altro.

Walth si stupì della risposta di Marius. Sembrava molto sicuro di quello che affermava, eppure lui non aveva mai sentito niente del genere. Era giunta l'ora di indagare approfonditamente su di lui.  

Kappa scese nella sotterranea pur sapendo che ci sarebbe stato un gran caos. E infatti non fu un viaggio breve, né facile. Giunto alla Congregazione di Prometeo, si diresse all'ascensore di servizio, fece chiudere le porte e attese di essere riconosciuto. Quasi immediatamente la cabina si mise in moto, scendendo verso le profondità della costruzione, che da quello che aveva potuto dedurre, contava più livelli sotterranei di quanti ce ne fossero in superficie. Ciò di cui era sicuro, era che fossero tutti illegali. Ma ovviamente alle Congregazioni, diretta emanazione delle Fondazioni, era tutto concesso.

Quando l'ascensore si fermò, riaprendo le porte, si trovò davanti il giovane Mercury, che lo accolse baciandolo sulle labbra.

– Mio signore Satum, ardevo dalla voglia di rivederti. Perché non sei venuto subito dopo la grande vittoria?

– La saggezza direbbe che dovrei essere lontano da qui mille miglia. Perché mi avete chiamato a rapporto, proprio in un momento così delicato?

– Non preoccuparti, Satum, nessuno potrebbe collegarti a quello che è accaduto, no?

– Chi può dirlo?

– Vieni. Facciamo presto. Ti stanno aspettando.

Mercury si staccò a fatica dal corpo di Kappa.

Nella sala della tavola rotonda regnava un brusio agitato. Non appena Kappa vi fece il suo ingresso con Mercury, tutti si andarono a sedere ai loro posti. Questa volta nessuno indossava cappucci.

Il Decano Alexander prese la parola. Kappa riconobbe nella sua voce quella del leader incappucciato.

– Alla buonora, Satum. Gli avvenimenti si sono svolti esattamente come ci avevi preannunciato. Te ne siamo grati. Adesso viene la parte più delicata. Dobbiamo confrontarci con la Decana Julia.

– A questo proposito ho una notizia per voi. Il piano era uccidere Vatertod prima che potesse utilizzare il suo clone per simulare la sua morte e lasciare che al suo funerale scattasse la seconda parte del suo piano. Tutto questo è filato liscio, ma c'è un problema, adesso. Ho scoperto che il clone è sotto la protezione della Decana Julia.

 

Al clone era stato assegnato il nome di Ubris jr. e una delle stanze all'ultimo piano, quello riservato alla Presidentessa Lady Sheron, appena scomparsa nell'immane tragedia del Monumentale. La Decana Julia era prostrata dal dolore. Piangeva ininterrottamente dal momento in cui i media avevano diffuso la notizia. Aveva perso la sua migliore amica, di cui era stata amante e consigliera fedele per oltre dieci anni. Mentre il suo pensiero vagava tra quei dolci ricordi, che l'avrebbero seguita fino all'incenerimento, lo sguardo si fissò su Ubris jr che seguiva la sua lezione multimediale di economia.

– Che ne faremo ora di te? – si domandò ad alta voce.

– Decana Julia, adesso che i vertici delle Fondazioni non esistono più, le istituzioni più alte in grado sono le Congregazioni, vero?

Fu Genesis a porle quella domanda, con una sorta di timidezza nella voce.

La Decana spostò lo sguardo su di lei, valutandola.

– In effetti, hai ragione. Le Congregazioni sono emanazioni dirette dei vertici. In questo momento, i più alti in grado sono i Decani.

– Allora tocca a voi prendervi in carico la responsabilità e la guida dei popoli?

– Credo di sì. Dovrei mettermi in contatto con il Decano Alexander per sentire come valuta le nuove circostanze e prendere insieme le decisioni per superare questa fase critica. Ma oggi sono troppo addolorata per pensare a queste cose.

– Decana Julia, mi perdoni se insisto, ma la situazione è davvero precaria. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa. Non sarebbe meglio che fosse proprio lei a muoversi prima del Decano Alexander? L'esistenza di Ubris jr potrebbe fare la differenza, non crede?

– Hai di nuovo ragione, ma a che ci serve Ubris jr?

– Che cosa ne voleva fare Lady Sheron?

– Voleva tenerlo nascosto per ricattare Vatertod. Ma quei giochi di potere sono morti con loro.

– In realtà Vatertod non è morto, è lui – commentò Genesis, indicando Ubris jr.

– Da un certo punto di vista è così, ma il suo cervello non contiene le informazioni del suo corpo originale, quindi in effetti non è lui.

– Quel che importa è l'immagine. Sul contenuto nessuno si porrà domande.

– Devo pensarci, Genesis. In questo momento proprio non ci riesco – ammise Julia, ricominciando a piangere.

 

Alla Centrale OP del III quadrante, intanto, c'era un agente che aveva cominciato a nutrire dei sospetti. Peter Walth aveva intercettato alcuni strani messaggi diretti a Marius Kappa e da allora aveva agganciato la sua frequenza al decodificatore Hoophex, che lo teneva costantemente sotto controllo. Walth trovava davvero strano che Kappa ricevesse così pochi messaggi. Certo sapeva che era un solitario, un tipo strano, ma che i pochi messaggi che aveva potuto analizzare giungessero dalla Prometeo e dal Palazzo di Ubris, non gli sembrava per nulla normale. Se poteva capire quelli della Prometeo, benché sapesse che frequentava Pandora, quelli del Presidente Ubris Vatertod gli erano sembrati inquietanti. Chi era Marius Kappa? Cos'aveva a che fare con la Fondazione Kronos? Era stato una spia di Ubris? Kappa controllava l'OP per suo conto? Per non parlare di quei rari messaggi in cui le uniche parole trasmesse erano: "serve tua presenza". Di quelli non era stato nemmeno in grado di identificare la provenienza. Il segnale era spalmato su una vasta area, come se ne venisse appositamente occultato il punto di partenza, con una tecnologia di cui non aveva cognizioni. C'era qualcosa che non quadrava. Era per caso la Fondazione Gea? E ora che erano scomparsi, nel giro di pochi giorni, sia Ubris che Lady Sheron, come mai Marius continuava a ricevere messaggi sia dal Palazzo di Ubris che da quella fonte misteriosa? E l'ultimo gli era giunto dalla Prometeo. Ancora una volta Walth si domandò chi fosse in realtà Marius Kappa e per chi lavorasse.

 

Dopo aver ascoltato la notizia portata da Kappa, scoppiò il caos nella sala. Durò qualche minuto, poi il Decano di Prometeo picchiò un pugno sulla tavola rotonda. Il silenzio calò immediatamente tra i presenti.

– Parlare tutti insieme non serve a niente! – li rimproverò il Decano.

Poi aggiunse: – Quindi ne deduco che la distruzione dei laboratori sia stata opera di Lady Sheron, al solo scopo di rapire il clone.

– Probabile – disse Kappa.

– La Decana Julia deve avere un piano, quello che Lady Sheron non è riuscita a portare a termine.

– È possibile.

– Di qualunque cosa si tratti, non le daremo il tempo di agire. Ci serve ancora il tuo aiuto.

– Io ho eseguito il mio compito, mi pare. Che cosa volete ancora da me?

– Come hai scoperto l'esistenza del clone?

 

Ubris jr evolveva in fretta. Genesis stava nuotando nella piscina riscaldata dell'attico, mentre le luci colorate colpivano l'acqua, quando udì il tonfo attutito di un corpo che si tuffava con l'eco di ampi spruzzi. Con eleganza fece una capriola nell'acqua per vedere chi le avrebbe fatto compagnia e si stupì. Nessuno aveva ancora insegnato a Ubris jr l'arte del nuoto, ma a quanto pareva non ce ne sarebbe stato bisogno.

– Sei molto bella – le disse, quando la raggiunse.

– Ti ringrazio.

Come se tra loro fosse passato un messaggio diverso da quello espresso in parole, Ubris si sentì autorizzato ad avvinghiarsi a lei, esplorando la sua nudità con mani curiose e audaci. Genesis comprese che era giunto il momento di aggiungere alla sua istruzione un capitolo nuovo. Lo spinse sott'acqua ridendo, poi scivolò via nuotando fino al lato della piscina dove l'acqua era più bassa. Quando Ubris la raggiunse, cominciò a impartirgli la prima lezione, che però non poté completare, interrotta dal richiamo del comunicatore.

– Vieni immediatamente – le ordinò Kappa dalla stanza 77.

Nascosto nel bosco, il commando aspettò che fosse buio e poi si calò al piano attico con le funi, entrando dai finestroni aperti della piscina. Per un gran colpo di fortuna, trovarono il clone che proprio in quel momento usciva dall'acqua. Non avrebbero nemmeno dovuto cercarlo.

Ubris jr se li trovò di fronte come un muro nero.

– Chi siete?

– Amici. Siamo venuti a liberarti.

– Ma io non vi conosco.

– Devi fidarti di noi.

– No, prima voglio parlare con Genesis. Vado a cercarla.

Vedendo che si dirigeva con decisione verso l'uscita, uno di loro lo raggiunse, afferrandolo per un braccio.

– Non fare storie ­– si spazientì l'uomo.

Ubris si mise subito a urlare. L'uomo si vide allora costretto a interromperlo, tramortendolo.

– Adesso ci tocca portarcelo in spalla, genio. – lo rimproverò un altro, osservando il corpo crollato sul pavimento.

Kappa era nella sua stanza, quando Genesis entrò. L'improvvisa interruzione l'aveva resa furibonda, anche se cercò di nasconderlo. 

– Hai deciso di riscuotere il tuo credito?

– Prima potremmo chiacchierare un po', ti va?

– Potresti almeno dirmi il tuo nome.

– Ah, non te l'ho mai detto? Il mio nome è Marius. Marius Kappa.

– E sei uno sbirro.

– Agente di primo livello alla Centrale del III quadrante.

Guardandolo, Genesis si sciolse.

– Sei davvero carino, Marius.

Marius incassò per la seconda volta quel bizzarro complimento.

– Anche tu sei carina – rispose, anche se non riteneva che quello fosse il termine più idoneo a descriverla.

– Ma avresti potuto avvertirmi del tuo arrivo. Ero impegnata.

– Stavi insegnando nuove parole al clone di Vatertod?

– Di che cosa stai parlando? – disse, allarmata.

– Sto parlando del clone che nascondete qui. È affidato a te, vero?

Genesis si sedette sul divano, guardando Marius senza rispondere.

– Apprezzo il fatto che non tenti di mentirmi. Sei una brava ragazza. Hai idea di quale sarà il suo destino?

Rassegnata, Genesis rispose:

– Non è stato ancora deciso.

– Bene. Ma perché l'hanno rapito, allora?

– Lady Sheron voleva che Ubris Vatertod non potesse servirsene per designarlo come suo erede.

– E per questo ha distrutto anche tutti gli altri laboratori? Per timore che qualcun altro potesse crearne ancora?

– Il suo laboratorio non è stato distrutto, l'ha soltanto trasferito. E comunque Lady Sheron era contraria alla clonazione.

– In effetti anche Vatertod. Lady Sheron era in errore. Ubris si voleva servire del clone per altri scopi.

– Tu sai tutto, vero?

– So molte cose.

– E perché non me le racconti? – disse Genesis dolcemente, accarezzandogli la nuca.

– Sei una ragazza curiosa – commentò Kappa, abbassando le spalline della sua tunica di voile.

– La curiosità è solo sete di sapere.

– La sete di sapere a volte può essere pericolosa. Si possono scoprire cose che sarebbe meglio ignorare.

– Anche una pessima verità è migliore di una consolante bugia – disse Genesis, strappando il velcro che chiudeva la casacca di Marius.

– Sei dura.

– Sono una schiava.

Kappa s'interruppe dopo aver abbassato la sua tunica fino alla vita.

– Non capisco. Non sei una Sorella di Pandora?

– Sì, ma mi hanno acquistata. Non sono nata qui.

– Racconta.

Marius sfilò la tunica verso il basso, con l'aiuto di Genesis, che la lasciò cadere a terra. Mentre gli parlava della sua infanzia, armeggiò con tutta calma con gli automatici che chiudevano la casacca, di cui lo liberò. Raccontandogli della sua adolescenza e del suo addestramento, sciolse i lacci degli stivali e gli sfilò i pantaloni. Parlandogli del suo amore per le passeggiate all'aria aperta e del suo odio per il coprifuoco, gli sfilò la biancheria intima e si distese su di lui. I lunghi capelli ramati, ancora umidi, gli si sparsero sul torace e sui fianchi. Marius le sollevò il mento con un dito per guardarla negli occhi. Sembrava che le profondità del bosco vi fossero state impresse a raggiera, e tra un raggio e l'altro s'intravedesse il mare.

– Quindi chiunque potrebbe acquistarti?

– Vorresti farlo tu?

– Non essere crudele, adesso. Sono un servo anch'io.

Genesis lo baciò.

– Non sarebbe bello un mondo senza schiavi né servi, in cui tutti fossero uguali?

– Non c'è mai stato un mondo così, Genesis, te lo posso assicurare. Anche quando gli uomini pensavano di essere liberi non lo erano affatto.

– Tu sai cose dei tempi antichi?

– Sì.

– Ti prego, raccontamele. In cambio farò tutto quello che vuoi.

– Proprio tutto?

 

  La Decana Julia era inviperita. Genesis avrebbe voluto sparire sottoterra.

– Com'è potuto accadere? Perché non l'hai tenuto d'occhio? Rispondi!

– Non ne ho idea, Decana, sono andata a dormire nella mia stanza come tutte le notti. La porta del piano era ben chiusa, come sempre. Ne sono certa. Forse sono scesi dal bosco. Alcune delle finestre della piscina erano aperte.

– E tutto ciò è avvenuto in piena notte! Questo è l'inizio della fine.

– Chi può aver avuto interesse a rapirlo?

– Che domande fai? Di sicuro Alexander! Ma la domanda è: come faceva a sapere della sua esistenza? E come faceva a sapere che lo ospitavamo qui? Sei stata tu? Rispondi!

– No, Decana. Forse Lisias, la spia di Lady Sheron.

– Non dire idiozie. Lisias è il più fedele dei servi, da sempre. Tu, invece! Eri l'unica, oltre a me e Sheron, a sapere che Ubris jr era qui.

Per Genesis quel confronto era devastante. Da una parte c'era la lealtà dovuta alla Congregazione di Pandora, dall'altra l'aspirazione a conquistare la libertà. Ma che mondo sarebbe stato quello cui aspirava Marius? Non riusciva nemmeno a immaginarselo. Marius gliene aveva parlato, ma a lei mancavano tante conoscenze che lui dava per scontate. Proprio l'ignoranza rendeva schiavi gli uomini, le aveva detto. E come avrebbe potuto raccontare alla Decana di Marius? Doveva tacere.

– Ma io non ne ho mai parlato con nessuno – si difese.

– Ne hai combinata una di troppo. Entro stasera sarai fuori dalla Congregazione.

Genesis si sentì mancare.

– Ma Decana, non ho fatto niente! La prego...

– Ubris era affidato a te. Era una tua responsabilità. Quindi, se non hai fatto niente, sei colpevole di negligenza. Adesso vai nella tua stanza, finché non ti verranno a prendere. E non osare portare via nulla. Ti concedo di tenere solo gli abiti che indossi. Vai e non farti più vedere.

Invece non le fu permesso di indossare neppure i suoi abiti. L'uomo che si presentò a prelevarla le fece indossare una tunica nera, pesante, che la coprì dalla cima del capo alla punta dei piedi. All'altezza degli occhi vi era uno spiraglio di velo più leggero, attraverso il quale poteva vedere. Non contento, le fece togliere le scarpe e le cinse una caviglia con un pesante bracciale di metallo, cui era collegata una catena. Genesis avrebbe voluto piangere, ma non lo faceva da quando era una bimbetta e non si ricordava neppure più come si facesse. Nel cortile della Congregazione un'auto era in attesa. Fu fatta salire nel retro, fissando la catena a un gancio. Poi l'uomo salì accanto al guidatore, dando ordine di partire. Genesis non era mai salita su un mezzo di superficie. Non era molto comodo. Veniva sballottata a destra o a sinistra a ogni curva. Inoltre i vetri erano dipinti di nero, impedendole la visuale. Qualcosa poteva intravedere dal parabrezza, ma solo attraverso un piccolo oblò centrale nel vetro nero che separava i sedili posteriori da quelli anteriori. Il viaggio fu pessimo, aggravato dai pensieri che si rincorrevano nella sua mente. Il mistero che avvolgeva il suo futuro era poco allettante. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto obbedire a qualunque ordine, che avrebbe dovuto tacere, che il suo padrone aveva su di lei diritto di vita e di morte. Sapeva che il suo destino era cambiato. E che non poteva farci niente.

 

A Hypogeum ci si aspettava che, privati dell'élite di governo, scoppiasse una rivolta generalizzata, eppure nessuno si muoveva. Il sistema era tanto saldo e ben consolidato che proseguiva per inerzia sulla sua strada, come non ci fosse alcun bisogno di guida. A nessuno veniva in mente che potesse esistere un modo diverso di vivere, un mondo organizzato con altre forme di convivenza. Gli unici che in passato avevano intuito una possibilità alternativa, erano stati prontamente eliminati come cellule cancerogene in un organismo. In fondo, a nessuno mancava da mangiare, da vestire e da dormire. La sopravvivenza era assicurata. Ribellarsi voleva dire dover trovare con le proprie forze il cibo, il vestiario e un posto al chiuso. Come? Dove? Il pianeta era stato occupato interamente dalle Fondazioni. Non restava che scavare nel sottosuolo, già ampiamente utilizzato per la viabilità sotterranea, capillare e veloce, che univa in una rete fittissima ogni quadrante della megalopoli australiana. Sul resto del pianeta, ogni centimetro di terreno non edificato, non adibito cioè al riparo degli schiavi, era sfruttato dalle colture geniche, dagli impianti industriali ed estrattivi, o dalle immense discariche di materiali tossici e radioattivi. Nessuno considerava un'impresa praticabile il trasferimento in altri continenti.

Per Marius Kappa era confortante non doversi occupare della distruzione delle Congregazioni. Ci avrebbe pensato Ubris, con il suo contributo. Si sarebbe perciò concentrato soltanto sugli attentati alle centrali OP. C'era un pensiero però che lo disturbava moltissimo, la presenza di Genesis alla Pandora. Non poteva lasciare che venisse uccisa. Ormai era entrata a far parte del suo progetto e non voleva farne a meno.

Bussando alla stanza 77 della Congregazione di Pandora, Marius comprese che qualcosa non quadrava. Al posto di Genesis lo accolse un'altra Sorella.

– Devo aver sbagliato. Cercavo Genesis – si scusò.

– Genesis non è più tra noi.

Marius s'irrigidì.

– È morta?

– No, non volevo dir questo. L'ha comprata un emiro della Gea, un dirigente di terzo livello.

– E sai come si chiama, dove lo posso trovare?

– È inutile. Non te la cederà mai. Da sempre era suo desiderio comprarla.

– Non voglio comprarla, devo solo parlarle due minuti.

– Sempre che l'emiro Ahmin Ahmed te lo conceda, puoi trovarla al VI quadrante, al palazzo della Rosa Blu.

 

Il palazzo della Rosa Blu era inaccessibile. Marius cominciò a dubitare di poter far evadere Genesis. Eppure c'era qualcosa in lui che gli impediva di arrendersi. Doveva trovare il modo. Aveva chiesto udienza all'emiro, con la scusa di aver bisogno di una testimonianza per un'indagine in corso, ma gli era stata negata. Si era intrufolato con un furgone che consegnava la frutta, ma aveva a malapena potuto dare un'occhiata alla porta di servizio delle cucine. Non ancora rassegnato, cominciò a esplorare in volo la zona, a debita distanza. Scoprì finalmente che al tramonto molte donne si riunivano sui tetti. Come poteva scoprire se Genesis si trovava con loro? Viste da lontano, con quelle tuniche ampie e informi, sembravano tutte uguali. Però, a differenza che nel resto del palazzo, sui tetti non c'erano guardie del corpo. Forse avrebbe potuto volare più vicino e magari Genesis l'avrebbe riconosciuto, gli avrebbe fatto un cenno, come quella volta in mezzo alla folla, e lui avrebbe potuto caricarla sul Pegasus. Ma se non fosse stata tra loro, la sua invasione di quello spazio avrebbe messo in allerta l'emiro, che avrebbe vietato alle donne di salire, o avrebbe riempito di guardie del corpo quei tetti. Forse sarebbe stato meglio cercare prima un altro modo.

 

Che ci faceva Marius Kappa nel VI quadrante? Peter Walth non riusciva a darsi pace. C'era decisamente qualcosa di molto strano nel comportamento di Marius. Strano e misterioso. Peter aveva deciso che l'unico modo per capirci qualcosa era di seguirlo, diventando la sua ombra.

 

Dopo essersi assicurato che nessuno lo stesse osservando, Marius si calò nelle viscere della terra. Aveva bisogno di aiuto, ma soprattutto aveva bisogno di occhi vigili nel palazzo della Rosa Blu. Al comando centrale della stazione di sorveglianza esterna c'era Fryda, appollaiata sulla sua poltrona rotante circondata di piccoli ologrammi che tremolarono quando ci passò in mezzo.

– Ciao, Canguro, qual buon vento?

– Ho bisogno di sorvegliare un posto per capire dove tengono una persona.

– Che posto? Chi devi individuare?

Succintamente, Marius le raccontò la storia, omettendo tutto ciò che non era rilevante.

– Ci provo subito.

Marius la osservò muovere le mani nell'aria come se cercasse di spostare ragnatele invisibili. Un ciuffo di capelli rossi le ricadeva sugli occhi. Fryda muoveva di scatto la testa per allontanarlo, soffiando contemporaneamente verso l'alto con una buffa smorfia.

– L'ho trovato. Mi inserisco sul canale.

– Brava. Quante celle video ci sono nel sistema?

– Beh, quel palazzo è più sorvegliato di quello di Ubris. Vediamo...

– Le schiave sembrano tutte al pianoterra.

– Sì, direi di restringere il campo. Quando la vedi, dimmelo.

– Sembrano tutte uguali.

– Non direi. Ci sono brune, bionde e rosse, con i capelli corti, lunghi o con le trecce. Com'è la tua amica?

– Capelli lunghi, castano ramato, alta più o meno come te.

– Che dici, potrebbe essere questa?

Fryda amplificò il campo dell'ologramma che riprendeva una donna dalla lunga chioma dai riflessi color rame.

– Sì, bravissima, è proprio lei.

– D'accordo. Dunque, devi farla uscire da quel palazzo? Hai già un'idea?

– Nessuna. E tu?

– Per ora no, ma lasciami il tempo di studiare la situazione. Ti farò sapere.

 

Peter Walth aspettò pochi minuti, poi si decise a entrare anche lui nel ripostiglio di servizio. Dall'esterno non sembrava avesse nulla di diverso dagli altri. La solita porta di metallo verde in un anonimo corridoio laterale della sotterranea. Tentò di aprirla, senza risultato. Poi estrasse dalla tasca il suo lasciapassare, un multicacciavite che gli aveva lasciato in eredità suo nonno. Con quello ne aveva aperte di porte! Anche questa non fece resistenza, ma quando fu entrato, trovò il ripostiglio vuoto. Dov'era finito Marius? Peter si accanì nella ricerca di comandi nascosti, interruttori, o qualunque cosa facesse pensare a congegni che permettessero di aprire una porta occultata, ma non trovò nulla. Quando uscì, applicò una cella video al muro di fronte a quella porta. Non credeva che gli sarebbe bastato tenerla sotto controllo per capire come Marius facesse a sparire e neppure per scoprire dove andasse, ma era sempre un tentativo. Prima o poi ne sarebbe venuto a capo.

 

Genesis non possedeva l'indole della schiava. Lo comprese sin dal primo momento in cui mise piede nel palazzo della Rosa Blu. Si rese conto che le sue compagne vivevano in un costante stato di paura. Lei, per sua fortuna, non ne aveva mai fatto esperienza fino in fondo. Alla Congregazione di Pandora si sentiva relativamente tranquilla, perché nessuno usava violenza. Qui, al contrario, veniva usata spesso, anche senza motivo, come si premurarono d'informarla non appena arrivata. In quella sorta di prigione dorata, la prima causa di punizione era la disobbedienza. Ma ciò che la stupì maggiormente fu apprendere che il castigo veniva applicato a casaccio, senza badare a chi fosse la reale colpevole della trasgressione. Di conseguenza, ciascuna si comportava come una secondina con tutte le altre. La disciplina era ferrea e chi sbagliava rischiava di essere punita prima di tutto dalle sue stesse compagne. Genesis si scandalizzò di questo comportamento aberrante, ma non osò commentare. Furono molti i pensieri che tenne per sé. Aveva capito subito che parlare era uno dei modi più probabili per mettersi nei guai. Dunque ascoltava, osservava, meditava, obbediva e taceva, mostrandosi tanto più mite e remissiva quanto più dal profondo sentiva emergere una ribellione sorda ed esplosiva.

Come non bastasse, fu quasi subito assegnata all'harem, seguita dagli sguardi infuocati d'invidia delle vecchie compagne e da quelli corrosivi di gelosia delle nuove. Doveva fuggire. Pensava solo a questo, rifiutandosi di soffermarsi sulle conseguenze, del tutto ignara di dove avrebbe potuto trovare rifugio; sicura soltanto che avrebbe dovuto farcela con le sue sole forze, perché se le sue compagne avessero conosciuto le sue intenzioni, l'avrebbero resa inoffensiva denunciandola o più probabilmente picchiandola selvaggiamente.

Si era ormai rassegnata alla sua tunica nera e coprente, quando, dall'agitazione generale ed entusiasta delle sue compagne, aveva capito che stavano per essere distribuite nuove vesti per tutte. Una sarta si era installata con la sua attrezzatura in una stanza adiacente all'immenso salone dove trascorrevano le giornate. Una ad una le sue compagne sparivano oltre la porta, per poi ritornare dopo un certo tempo, ornate di sguardi sognanti e soddisfatti. Quando fu il suo turno, si trovò di fronte una donna giovane e sorridente, che cominciò a prenderle le misure. A un tratto le sussurrò all'orecchio:

– Sei Genesis?

– Sì – rispose stupita.

Solo allora la donna tirò fuori da una tasca un minuscolo congegno.

– Serve a interferire con la cella video – la informò, dopo averlo attivato.

Poi svuotò una cassa che conteneva stoffe di tutti i colori, sollevò un doppiofondo e le ordinò di entrarci. Genesis non fece domande. Non era quello il momento.

Quasi immediatamente, dopo che il coperchio si fu chiuso su di lei, sentì che la cassa veniva trasportata. Udì voci ovattate, poi un urto piuttosto violento, quindi l'impressione di muoversi con una dolce vibrazione.

Passarono così parecchi minuti, ma poi tutto tornò a fermarsi. La cassa venne aperta. Due uomini l'avevano prelevata da un furgone e poggiata a terra.

– Grazie, ragazzi. A buon rendere. Sparite, adesso – disse la donna che subito dopo si voltò verso di lei.

– Tutto bene?

– Sì. Ma tu chi sei?

– Mi chiamo Ada. Sono un'amica di Marius Kappa. Avremo tempo per le spiegazioni. Adesso cambiati.

Velocemente le passò un completo blu con pantaloni e casacca lunga, anfibi e un cappello di lana con visiera in cui nascondere i capelli. Mentre indossava i nuovi abiti, Genesis osservò che si trovavano all'interno di un garage semivuoto.

– Vieni con me e tieni la testa bassa – disse infine Ada.

Aperta una porta metallica, si ritrovarono nella sotterranea. Giunsero al binario appena in tempo per saltare sul primo treno.

– Dove stiamo andando?

– Nell'unità abitativa di Marius. Dovrai tenerti nascosta per qualche giorno, immagino. Tieni la testa bassa. Non vogliamo che ti riconoscano, vero?

– E poi che farò?

– Questo dipende da te.

 

Il monolocale di Marius aveva l'aria di non essere molto utilizzato. Genesis si sedette sul letto, guardandosi intorno. La finestra priva di tende affacciava su un muro scrostato, ad appena un metro dal vetro. Sulle pareti completamente spoglie e ingiallite spiccava un rettangolo bianco, dove probabilmente era stato appeso per lungo tempo qualcosa. Il tavolo appoggiato sull'angolo era sgombro e due sedie metalliche gli facevano compagnia. C'era un lavabo rettangolare, sul cui gocciolatoio riposavano un paio di tazze capovolte e un bicchiere reso opaco dal calcare. Genesis andò ad aprire la porta del piccolo frigo. Desolatamente vuoto. In bagno c'era appena lo spazio per muoversi tra la doccia e il lavandino. Uniche tracce di presenza umana, un accappatoio nero appeso a un gancio dietro la porta, uno spazzolino da denti, un dentifricio e un flacone di sapone. Evidentemente a Marius piaceva tenere tutto nascosto negli armadi a muro. Dopo essersene accertata, Genesis si rilassò. Non era una trappola. Marius viveva davvero lì, o meglio, ci dormiva. Genesis riportò lo sguardo sul letto a una piazza. E lei dove avrebbe dormito? Lo scatto della porta la fece sobbalzare.

– Genesis! Sono davvero felice che sia andato tutto bene.

Istintivamente Genesis gli volò tra le braccia.

– Grazie per avermi fatto liberare.

– Ti avevo fatto una promessa, non potevo rimangiarmela.

– E dov'è questo mondo nuovo dove vuoi portarmi?

– Tutto a suo tempo. Prima devi aiutarmi a uccidere Ubris.

Genesis lo osservò con sguardo smarrito.

– Io non ho mai ucciso nessuno e poi la Decana è convinta che sia stato portato alla Prometeo. Ma io non ci sono mai stata, non saprei dove cercarlo. E poi Ubris non mi ha fatto nulla di male. Perché mai dovrei ucciderlo?

Marius interruppe quel flusso di obiezioni posandole una mano sulla bocca.

– Calma. Non è al clone che mi riferisco. Sto parlando di Ubris Vatertod, l'originale.

– Ma che dici? Lui è già morto!

– No, quello era un altro clone.

Genesis crollò a sedere sul letto.

– Sei sicuro?

– Certo. L'ho ucciso io, su richiesta dello stesso Vatertod.

– Perché? Perché ha finto la sua morte?

– Per fare strage dei suoi avversari al suo finto funerale.

– Perché?

– Perché vuole il potere assoluto, Genesis. Ma noi glielo impediremo.

– Noi?

– Io lo distrarrò mentre tu lo ucciderai.

– Tu sei pazzo.

– Non vuoi essere libera?

– Certo, che lo voglio!

– E lo vuoi ottenere senza muovere un dito?

Genesis sospirò.

– Com'era quella frase sui guerrieri?

– Un guerriero vive agendo, non pensando di agire, e neppure pensando a quello che penserà quando avrà finito di agire.

– Un giorno mi farai leggere quel libro?

– Ci puoi contare.

Genesis si alzò, piazzandosi di fronte a lui e fissandolo bene negli occhi.

– Come posso ucciderlo?

 

Ubris jr aveva eseguito bene il suo primo compito alla Congregazione di Pandora. Non era stato facile, con quella rompiscatole di Genesis sempre tra i piedi. La prima volta che la voce nella sua testa gli aveva detto di tornare nel bosco, era stato subito dopo aver visto Genesis scendere da un Pegasus dell'OP. Con lei c'era un agente impassibile, dagli occhi di ghiaccio. Aveva forse sbagliato a mostrarsi? Purtroppo non poteva saperlo. Ma i suoi ordini erano stati chiari. Ai piedi di un certo albero c'era un anello di metallo. Doveva sollevarlo e girarlo. Tutto qui. Quella era stata una strana notte, ma molto divertente. Ora che si trovava alla Congregazione di Prometeo, la voce aveva ricominciato a guidarlo. Era stato affidato a un Fratello di nome Loter, che era piuttosto avanti con l'età. Il Decano Alexander gli aveva detto che non c'era bisogno di stargli troppo addosso, ma Loter doveva averlo preso in simpatia, perché non lo lasciava un attimo da solo. Per fortuna aveva il sonno pesante. Avrebbe potuto uscire dalla stanza senza troppe difficoltà. Questa volta l'anello si trovava vicino alla piscina. Sperava proprio che sarebbe stata un'altra notte piacevole. Sarebbe stato bello farsi un'altra nuotata, anche senza Genesis.

 

Marius Kappa passò la mano sul sensore, entrando nell'ascensore che lo avrebbe portato nelle profondità del bunker. Avvicinò l'occhio al secondo sensore e l'ascensore cominciò a scendere rapidamente.

Non era solo. Nella prima sala li accolsero le antiche vestigia di un mondo dimenticato, tanto lontano da confondersi con strani miti che pochi mantenevano vivi nella memoria come pericolosi segreti.        

– Resta qui – sussurrò.

Poi Kappa raggiunse la sala seguente, dov'era ansiosamente atteso. Fu accolto da Ubris con un piccolo applauso.

– Complimenti. Il secondo clone è giunto alla Prometeo.

– Sì, Alexander l'ha preso in consegna.

– Ha già attivato il congegno alla Congregazione come ha fatto alla Pandora. Il suo compito è terminato. Tra poco sentiremo i fuochi d'artificio.

– Sarà una bella sorpresa per tutti.

Sdraiato su un enorme divano, Ubris Vatertod si stirò come un gatto, poi gli fece cenno di avvicinarsi a lui.

– C'è ancora tempo. Sei stato bravissimo, amor mio. Tra poco il mondo sarà nostro. Vieni a prenderti la tua ricompensa.

Marius si sdraiò accanto a lui. Ormai mancava davvero pochissimo al momento fatidico. E sarebbe giunto prima di quanto Ubris immaginava. Nell'ombra dell'ampio salone una figura si mosse. Nel più perfetto silenzio si avvicinò alle spalle dell'immenso divano e, prendendo perfettamente la mira, conficcò lo stiletto nella nuca di Ubris, nel modo che con tanta pazienza le aveva insegnato Marius.

Marius si scrollò di dosso il cadavere. Non restava che trasportarlo nella caldaia.

– Brava Genesis. Hai fatto un ottimo lavoro.

Genesis non ne era così sicura. Si sentiva strana.

– E adesso chi lo sposta?

– Ci penso io. Ma prima, attivo il timer collegato all'esplosivo nascosto nelle Congregazioni.

Dopo aver permuto il pulsante rosso della consolle, Marius si lasciò sfuggire un sospiro di soddisfazione.

– Quanto manca al grande botto?

– All'incirca due ore. Ma il vero caos comincerà quando attaccheremo l'OP. Che cos'hai?

Genesis tremava.

– So che siamo in guerra, ma l'idea che tutte quelle persone muoiano mi fa stare male. E poi ho appena ucciso un uomo. Non è proprio come bere un bicchiere d'acqua.

– Hai ragione, ma c'è uno scopo in tutto questo. È il prezzo da pagare per la nostra libertà.

– E non credi che anche in mezzo a quella gente ci siano tanti che vorrebbero essere liberi, anziché morti?

– Non possiamo salvare tutti, Genesis. Non funziona così.

– Non mi piace come funziona, potevo esserci anch'io alla Pandora.

– E invece sei qui, con me. E tra poco sarai a Hypogeum, quindi sbrighiamoci.

Fatto sparire il cadavere, Marius e Genesis tornarono all'aperto, dirigendosi alla sotterranea. Non c'era ancora l'affollamento delle ore buie. Salirono sul treno per la periferia, diretti alla cerchia del X quadrante. Impiegarono circa un'ora. Si addentrarono quindi nel labirinto di corridoi, fino a una porta metallica verde, in tutto e per tutto simile a quelle che immettevano nei locali di servizio. La differenza era nel numero che contrassegnava la porta, il 1789, un numero che per Kappa possedeva un'importanza simbolica. Era l'anno di una rivoluzione che aveva cambiato il mondo, almeno in apparenza. Marius passò la mano sul sensore e la porta si aprì su un piccolo locale pieno di attrezzi. La luce non si accese immediatamente, ma solo quando si chiusero la porta alle spalle. Marius spostò verso l'alto un gancio infisso nel muro, dopo averlo girato due volte su se stesso e la parete cominciò ad aprirsi come una porta, mostrando una scala che scendeva nelle viscere della terra.

– Niente ascensore? – si stupì Genesis.

– Presto capirai che le scale sono più sicure, perché funzionano sempre, anche senza energia.

Dopo una serie di rampe che Genesis non contò, la scala finì all'imbocco di una vasta grotta illuminata da cui si diramavano diverse strade alberate. In mezzo alla piazza c'era una strana fontana, con uno spruzzo d'acqua che teneva in alto una palla simile a ghiaccio.

– Benvenuta a Hypogeum.

– Non è grande come la megalopoli, vero? – domandò Genesis.

– No, per il momento è un piccolo villaggio, come ne esistevano un tempo. Ci vivono solo cinquecento persone.

– E questa luce? Sembra quasi che ci sia il sole.

– Ha la stessa frequenza, infatti. È perfetta per l'agricoltura naturale.

– Sai, quando me l'hai raccontato, pensavo che mi volessi prendere in giro.

– Però hai accettato di venire con me.

– È perché tu mi piaci, Marius. Mi piaci molto. E adesso vivremo qui?

– Prima dobbiamo finire il lavoro che abbiamo iniziato. Vieni, devo incontrare i miei uomini.

– Sei tu il capo?

– Sono uno dei fondatori di Hypogeum. In un certo senso abbiamo preso spunto dalla storia antica.

– Non era quello che voleva fare anche Ubris Vatertod?

– La sua visione era distorta. Lui voleva il potere assoluto. Noi pratichiamo l'uguaglianza tra tutti gli uomini, la condivisione, l'aiuto reciproco. Ciascuno si serve di ciò di cui ha bisogno. Non esistono crediti, non esistono schiavi. Ognuno partecipa con le proprie capacità e con il proprio lavoro alla produzione di quello che ci serve per vivere bene. E nel tempo libero studiamo. Abbiamo migliaia di testi antichi, cartacei, e testi informatici di tutto lo scibile umano, che furono nascosti per essere sottratti alla distruzione della Rivoluzione Globale. Qui erano state conservate anche le sementi naturali, per evitarne l'estinzione. Ti piacerà stare qui, vedrai.

Quando giunsero sull'altro lato della grotta, imboccarono una delle strade, leggermente più stretta delle altre, con alberi su un lato e aperture sull'altro, simili a veri portoni. Alcuni erano aperti, mostrando all'interno laboratori dove si svolgevano svariate attività, per la maggior parte incomprensibili per Genesis.

– Questa è la via degli artigiani. Poi ti mostrerò tutto, e ti spiegherò che cosa facciamo qui, ma adesso ho fretta di andare al centro di controllo.

– Capisco perfettamente. Marius, come fate per l'energia?

– È un tipo di energia che sfrutta i legami nucleari deboli. È una fonte di energia illimitata e pulita.

– E per l'aria che stiamo respirando?

– Non è un sistema chiuso. Questo complesso di tunnel e di grotte era già qui. Noi pensiamo che sia parte di una rete molto più vasta, sviluppata in tutto il pianeta. Probabilmente, migliaia di anni fa, le condizioni della vita in superficie si sono complicate per qualche catastrofe ambientale, o forse per un'era glaciale, che ha costretto gli uomini di quel tempo a trasferirsi al riparo. Abbiamo trovato reperti molto interessanti. Come avrai modo di vedere, i nostri antenati erano ingegneri incredibilmente capaci. Noi abbiamo occupato solo una piccola parte di queste gallerie, ma sotto i nostri piedi ci sono sicuramente altri sette piani. Ci sarebbe spazio per altre centinaia o addirittura migliaia di persone.

– È incredibile.

– Siamo arrivati, seguimi.

 

La cella video impiantata da Peter Walth aveva registrato l'ingresso di Marius in compagnia di una donna. Peter si domandò chi fosse. Aveva la strana impressione che somigliasse alla Sorella di Pandora che Marius aveva ingaggiato proprio la notte del suicidio di Ubris. Se non era lei, le assomigliava. Probabilmente quello era l'ideale di donna dell'agente Marius. Immaginò che dietro quella porta ci fosse il rifugio segreto del suo collega. Ma come faceva a entrarci? Questo Peter non aveva potuto scoprirlo.

 

Il comando centrale della stazione di sorveglianza esterna era in piena attività. Marius si avvicinò alle spalle di una donna.

– Fryda, ci sono novità?

– Marius, sei tornato? Ci hai fatto preoccupare. Sembrava che seguissi i nostri piani a casaccio. Ma sicuramente avevi i tuoi buoni motivi, visto dove siamo arrivati.

– In effetti ho dovuto deviare leggermente dai piani iniziali, ma il risultato dovrebbe essere lo stesso.

– Grazie per averci informato dell'ultimo passo. Stiamo facendo il conto alla rovescia per le Congregazioni. Tra pochissimo comincia la festa.

Marius osservò l'ora indicata dai sistemi.

– Solo se il clone di Ubris ha fatto le cose come si deve, naturalmente.

– Ingrandisco le immagini olografiche.

Fryda si voltò a guardare Genesis.

– Nuovo acquisto?

– No, non mi ha comprata.

Fryda si mise a ridere.

– Non intendevo in quel senso. Tu devi essere Genesis. Sono io che ho mandato Ada a liberarti.

– Grazie infinite. Non so come ringraziarvi. Non credo che avrei resistito a lungo. Sicuramente avrei fatto qualche sciocchezza di cui mi sarei pentita. Mi avete salvato la vita.

– Genesis è una Sorella di Pandora – spiegò Marius.

Improvvisamente la stanza s'illuminò mostrando una sequenza di esplosioni, che rapidamente distrussero i due complessi tenuti sotto controllo video.

– Credo di doverti correggere. Ero una Sorella di Pandora, ma adesso sono Genesis e basta, a quanto pare.

– E anche il secondo clone di Ubris è andato – commentò Marius.

– Sicuro che in giro non ce ne siano altri?

– Lo spero. Ubris mi ha detto di aver fatto creare il secondo in un altro laboratorio per maggior sicurezza, nel caso che il primo fosse riuscito male. Non voleva perdere tempo ricominciando tutto da capo. Però non posso essere certo che mi raccontasse proprio tutto.

– Allora limitiamoci a sperare che sia così, e che non ci siano altre sorprese. Dunque, Marius, se anche questa è fatta, non ci resta che dedicarci all'OP.

– I ragazzi si sono fatti vivi?

– Tutti ai loro posti, come sempre. Fino a questo momento non sono sorti problemi.

– Bene. Presto sistemeremo anche questa faccenda.

Genesis fece una strana espressione.

– Che c'è? – domandò Marius.

– Decimati anche gli OP, voi pensate che non resteranno istituzioni che possano impedire una rivoluzione, ma siete sicuri che non sarà la gente stessa a impedirla? Questo sistema a molti va bene così com'è e non vogliono assolutamente cambiarlo. Siete proprio sicuri che siano poi così tanti quelli pronti a fare una rivoluzione?

– No. Non si è mai pronti per una rivoluzione, ma viene un tempo in cui non è più possibile rimandarla. Tra pochi giorni un'onda elettromagnetica investirà il pianeta, distruggendo tutti i sistemi basati su questa energia. Nel giro di pochi secondi saranno cancellati tutti i data base, non esisteranno più crediti, né registrazioni di alcun tipo. Nomi, proprietà, sistemi d'allarme, celle video, droni, treni, mezzi di superficie e sotterranei, illuminazione, energia, più niente. Sarà l'alba di un nuovo mondo.

– E secondo te sarà migliore?

– Sarà diverso.

Fryda li interruppe.

– Marius, ti consiglio di parlare con Clara. Ci sono novità che non ti ha potuto ancora comunicare.

– Clara? Ci vado subito. Vieni con me, Genesis.

 

Peter era scioccato. Le Congregazioni colpite a morte, tutte quelle vittime innocenti e nessuna idea di chi fosse a manovrare i fili letali di quella cospirazione contro tutte le istituzioni. Tutte? Non tutte. Fino a quel momento erano state colpite le Fondazioni e le Congregazioni. Restava in piedi l'OP. Con un tuffo al cuore, Peter si rese conto che l'OP sarebbe stata la prossima vittima. Ma, c'era un ma. L'OP non aveva una sede centrale come le altre. Era un'istituzione ampiamente spalmata sul territorio. Solo sul continente megalopoli c'erano ben cinquanta sedi. Chiunque fosse il responsabile dell'attacco, di sicuro non poteva attaccare cinquanta luoghi differenti nello stesso momento. O forse sì?

 

Attraversando i nuovi tunnel, molto più stretti dei primi, Genesis si rese conto che Hypogeum poteva anche provocare un senso di claustrofobia. Non sarebbe stata affatto felice di vivere per sempre seppellita là sotto. Si domandò se per lei fosse più importante la libertà o la luce del sole e l'aria sulla pelle. Sapeva però di non avere molti elementi per stabilirlo, dal momento che la libertà si limitava per il momento ad essere solo una parola, per lei, o forse una semplice illusione. Che cos'era davvero la libertà? Ma non fece in tempo a meditare una risposta, perché Marius la condusse in una nuova grande cavità in cui si aprivano altri edifici. Entrarono in fretta in quello centrale. Le pareti erano incredibilmente levigate, tanto da riflettere la luce che scendeva dall'alto. In una delle camere c'era una donna intenta ai suoi strumenti.

– Clara, che novità hai per me?

La donna si voltò, mentre un largo sorriso si dipingeva sul suo volto scuro. Di primo acchito sembrò a Genesis di trovarsi di fronte a una donna brutta. Sotto un cespuglio di capelli ricci nerissimi era annidata una fronte bassa, da cui emergeva un naso molto largo. Ma a un secondo sguardo scoprì che i denti straordinariamente bianchi e perfetti le donavano un aspetto gradevole e simpatico. Inoltre, subito dopo, poté osservare che era dotata di una rara voce dalle inflessioni melodiose. E così la prima brutta impressione svanì di colpo. Clara era una donna dalla forte personalità, questo era certo.

– Marius, finalmente! Abbiamo seguito i tuoi progressi. Non so come ci sei riuscito, ma quello che conta è che hai portato a termine il piano iniziale.

– Sì, certo. Ma adesso dimmi quali sono le novità.

– Il Sole non si sta comportando come al solito.

– Che vuoi dire?

– Ecco, non so come spiegarmelo, ma l'inversione dei poli non è avvenuta. Di conseguenza, non ci sarà nemmeno l'auspicato flusso elettromagnetico.

– Ma potrebbe trattarsi solo di un ritardo, no?

– No, in effetti nel Sole non esistono più due poli. Attualmente ce n'è uno soltanto.

– Ma cosa dici? Come può essere?

– Non lo so, ma è quello che vedo.

– Capisco. Non possiamo aspettarci nessun aiuto, dunque. Dovremo trovare il modo di distruggere le linee noi stessi.

– È un'impresa impossibile.

– In questo momento non c'è più nessuno alla guida. Se c'è un momento favorevole per una rivoluzione dal basso, è proprio questo, Clara.

– Però c'è ancora in piedi l'OP.

– Ci stiamo lavorando.

Voci concitate si udirono provenire da fuori, in avvicinamento, poi, alle loro spalle, apparvero gli archeologi.

– Marius, abbiamo finito di tradurre il codex Moebius. Ti aspettavamo.

I gemelli Micol e Davis, con Isaac e Daniel, si presentarono a Genesis con molto calore. Avevano sentito parlare di lei e sapevano che aveva aiutato Marius a portare a termine quel piano che sembrava non avere molte speranze di successo.

– Ho fatto ben poco. – disse Genesis schermendosi. Non se la sentiva proprio di vantarsi per aver ucciso Ubris.

– Ragazzi, abbiamo poco tempo per i convenevoli. Di che cosa volevate parlarmi?

Marius si accomodò sul cornicione di pietra che correva lungo l'intera parete fungendo da sedile e li guardò in attesa di ascoltare le novità.

– Mentre tu eri in superficie a divertirti, noi abbiamo esplorato le profondità, seguendo le indicazioni forniteci da Ahsan nel Libro d'Oro.

– Chi è Ahsan? – domandò Genesis.

– È l'autore del codex Moebius.

– Vai avanti – lo invitò Marius.

– Ti ricordi le antiche tradizioni dei Navaho? Ebbene, quei nostri antenati avevano ragione. C'è vita qua sotto.

Genesis si sedette accanto a Marius. Si potrebbe quasi dire che gli si accasciò accanto, in cerca di sostegno.

– Cosa dicevano queste tradizioni Navo? – domandò lei.

Isaac le sorrise.

– Navaho. Erano una popolazione nativa del continente americano. Una loro leggenda narrava di quando il pianeta era giovane e un popolo di esseri divini giunse con navi spaziali nella Valle della Morte. Loro li chiamavano Hav-Musuvs. Secondo i loro racconti, erano vestiti di bianco e avevano armi a forma di tubo, capaci di stordire, generando una sensazione pungente, come una pioggia di spine di cactus. I Navaho sostenevano che gli Hav-Musuvs si stabilirono nel sottosuolo e che fecero di questo pianeta la loro casa.

– E voi dite che sono ancora qui?

– Non c'è dubbio, – disse Micol – li abbiamo visti.

Marius la osservò con ironia.

– Li avete visti? E ci avete anche parlato?

– Non abbiamo parlato con nessuno, ma li abbiamo visti. Vivono molto oltre il settimo livello, assai più in profondità. È strano là sotto. C'è vegetazione, un lago immenso e poi c'è...

– ... c'è un sole – completò Isaac.

– Un sole!? – dissero in coro Marius e Genesis, con lo stesso tono incredulo.

– Sì, il nucleo della terra è un piccolo sole, racchiuso in una specie di geode immenso, grazie al quale l'ambiente non risulta eccessivamente caldo, si è al riparo dalle radiazioni nocive e sembrerebbe perfetto per la vita degli umani e della vegetazione.

– Ed è stata la decifrazione del codex a dirvelo?

– Nel codex Moebius, Ahsan narra la storia di come gli Hav-Musuvs abbiano modificato geneticamente il genere umano, del motivo per cui l'hanno fatto e che cosa li ha spinti qui, per poi nascondersi nel sottosuolo. Non è una storia facile da digerire – ammise Isaac.

– Abbiamo fatto confronti incrociati con miti e leggende di ogni popolo antico e abbiamo trovato un riscontro. Raccontano sempre la stessa storia, – aggiunse Micol – cambiano i nomi, ma non i contenuti. Ci siamo dovuti arrendere all'evidenza. Inoltre, nel codex ci sono alcune informazioni che, anche se è vero che non abbiamo trovato riscontro in altre tradizioni, sono talmente chiare che è impossibile siano frutto di un'errata decifrazione.

– Che ne direste di spiegarci di che cosa si tratta? – disse Marius, mentre anche Clara gli si sedeva accanto per ascoltare, benché per lei quelle notizie non fossero una novità.

Davis gli si piazzò davanti a gambe larghe, come per essere sicuro di reggersi stabilmente in equilibrio. Poi, fissandolo bene negli occhi, iniziò a parlare.

– Dal codex si evince che l'umanità non esisteva in natura. Venne creata per servire gli Hav-Musuvs, che nel codex si autodefiniscono Araluim. Ahsan scrive che l'uomo venne creato come schiavo e lavoratore, modificando geneticamente un animale. Grazie a questo intervento esterno abbiamo acquisito una coscienza e la possibilità di autodeterminazione. Inoltre il nostro aspetto è simile al loro.

– Sono sicuro che anche i Sumeri abbiano scritto qualcosa a questo proposito – disse Marius.

– Hai ragione, ma loro non hanno mai affermato di essere stati creati come schiavi.

– Non ha importanza, questo è irrilevante.

Daniel si intromise.

– Quello che è rilevante è il motivo per cui vennero qui. In seguito a una guerra galattica in cui furono sconfitti, gli Araluim furono costretti all'esilio, qui, su questo pianeta. Questo mondo non è che un bagno penale da cui non potranno fuggire fino a quando non sarà deciso altrimenti. Gli Araluim sono imprigionati qui da decine di migliaia di anni terrestri. Nel codex si parla anche di un'istallazione artificiale da cui vengono monitorati. Se tentassero di fuggire, le armi di questo satellite artificiale li farebbero scomparire in una nuvola di fuoco. Il satellite in questione è la Luna.

– Satellite artificiale? Ma che sciocchezza è questa? – insorse Genesis.

– Il codex non lascia dubbi.

– E perché si sarebbero rifugiati nel sottosuolo?

– Perché è più stabile e non soggetto ai cataclismi e alle intemperie. Ma soprattutto per sfuggire a una guerra con una parte di loro che si era ribellata, colpendo la fazione avversaria con armi atomiche che rischiavano di distruggere il pianeta.

– Armi atomiche?

– Sì, esatto. I peggiori di loro sono quelli rimasti in superficie a mantenerci schiavi - disse Isaac.

Marius si lasciò sfuggire una smorfia.

– Vuoi dire che anche quelli sono ancora qui, oggi? - domandò Genesis, stupita.

– Noi pensiamo di sì. Pensiamo che il sistema delle Fondazioni sia frutto di un loro disegno.

– E se Ubris Vatertod fosse stato uno di loro? – domandò Genesis.

– Sarebbe uno di meno – affermò Marius, lapidario.

– Come hai fatto a ucciderlo? – volle sapere Clara.

– È stata Genesis.

Lo stupore si dipinse sui volti degli archeologi.

– Ma come hai fatto? Gli Araluim sono immortali.

– Questo non lo era. L'abbiamo incenerito. Quindi non era uno di loro.

– Oppure, semplicemente non sono immortali – commentò Marius.

Clara si voltò verso di lui.

– Prima del tuo ritorno in superficie volevamo annunciarti che l'assemblea ha deciso di tentare un contatto con gli Araluim. Sembra che non abbiano mai interferito con la nostra civiltà, ma se riusciamo a renderceli alleati contro la loro fazione avversa, potrebbero forse aiutarci a distruggere il sistema delle Fondazioni.

Marius scosse la testa.

– Non vi sembra che sia giunta l'ora di redimerci con le nostre forze, di prenderci la responsabilità della nostra esistenza, di smettere di essere schiavi di chiunque? Lasciate gli Araluim al loro destino, come loro ci hanno abbandonato al nostro.

Daniel spostò il peso da un piede all'altro.

– Mi spiace, Marius. L'assemblea ha votato a favore, quasi all'unanimità.

– Aspettate almeno che sia portata a termine la terza parte del piano. Dobbiamo ancora distruggere l'OP.

– Senza l'aiuto dell'onda d'urto elettromagnetica? Non possiamo farcela. Il nostro attacco si trasformerebbe in una guerra impossibile da vincere. Cinquanta di noi contro migliaia di agenti supportati da un numero imprecisato di droni? Senza parlare della nuova incognita rappresentata dagli Araluim di superficie. Dove sono e che cosa faranno quando attaccheremo l'ultimo baluardo della presunta legalità del sistema? No! Dobbiamo rivedere il piano.

– Anche questo avete deciso all'unanimità?

– Sì, Marius. Dobbiamo cambiare i nostri progetti – confermò Clara.

– E intanto lassù qualcuno ripristinerà l'ordine delle Fondazioni, rinominando i vertici. Così tutta la nostra fatica sarà andata sprecata.

Un cicalino risuonò nella sala. Clara si precipitò al comunicatore subterrestre.

– Base Hypogeum – rispose.

– Qui base Derinkuyu. Siete voi che avete iniziato la rivoluzione?

– Beh, sì, siamo stati noi.

– E non vi serve una mano? Qui c'è gente che freme per partecipare alla festa.

Clara si voltò a guardare Marius e gli altri, come in cerca di aiuto. Marius chinò la testa, riflettendo. Poi, presa la sua decisione, si rivolse all'interlocutore lontano.

– Quanti siete?

– Solo qui un centinaio, ma ho sentito altre basi, in tutto potremmo essere un migliaio, per il momento, e il numero è sicuramente in crescita.

 

Genesis si unì alla spedizione che avrebbe tentato un contatto con gli Araluim, nel regno sotterraneo di Damkin, come veniva chiamato nel grande Libro d'Oro che si era fatta mostrare. Non voleva restare con le mani in mano, ma nemmeno partecipare a una guerra di superficie per la quale non era preparata. Nello stesso tempo, non possedendo alcuna conoscenza specifica, nessun mestiere, nessuna dote particolare che potesse risultare utile alla comunità, era l'unico modo che le sembrava valido per integrarsi nel suo nuovo clan. Clan era un termine che aveva appena appreso. Una parola che non comprendeva fino in fondo, ma che le piaceva, dandole un senso di appartenenza che non aveva mai provato prima. L'unica richiesta che le era stata fatta era quella di mostrare la sua resistenza in palestra. Solo dopo aver superato tutte le prove cui era stata sottoposta, era stata accolta nel gruppo della spedizione. Gli archeologi erano piuttosto simpatici. Micol l'aveva aiutata a trovare l'attrezzatura per il lungo viaggio. Avendone già fatto esperienza, sapeva perfettamente che cosa le sarebbe servito e che cosa si poteva considerare inutile.

– Ricordati che tutto ciò che deciderai di infilare nello zaino, dovrai essere in grado di sopportarlo sulle spalle per tutto il viaggio. Quindi, bando all'inutile paccottiglia.

– A dire il vero, io non ho portato con me nemmeno uno spazzolino da denti.

– Bene. Sai fare a meno del superfluo.

– So fare a meno di tutto, se occorre. Credo che mi affiderò a te per la preparazione dello zaino, se sarai così gentile da guidarmi.

– Conta pure su di me.

Congedarsi da Marius era stata in fondo la parte più difficile di quella nuova esperienza. Marius era stato l'unico ad avere cura di lei. L'aveva persino salvata dalla prigione dell'emiro Ahmin Ahmed e non c'era stato neppure bisogno che invocasse il suo aiuto. Marius aveva ascoltato la sua storia, aveva capito il suo punto di vista, l'aveva consigliata e non solo non l'aveva mai considerata una schiava, ma le aveva anche offerto la visione e la speranza di una vita finalmente libera, nonostante la libertà fosse ancora per lei solo una parola che rievocava vaghi ideali, non ben inseriti nella sua vita reale. Poteva dire che ci stava provando, che tentava di illudersi. Ma sapeva bene che fuori da Hypogeum era tutta un'altra storia.

– Promettimi che non ti farai ammazzare – gli aveva detto.

– Posso solo prometterti che ci proverò. E tu promettimi di essere prudente, là sotto. Non prendere strane iniziative. Lascia fare a chi ha più esperienza di te. Davvero non capisco cosa ti affascini tanto di questa folle impresa. Non si sa molto di quella razza. Potrebbero non essere molto contenti di essere stati scoperti. Per quanto ne sappiamo, potrebbero anche decidere di farvi fuori tutti.

– Potrebbero essere cannibali o assassini seriali... Sì, lo so. Per quanto mi riguarda, starò molto attenta, non preoccuparti per me. Pensa solo alla tua strategia. Dobbiamo vincere.

– D'accordo, ma avrei preferito saperti qui, al sicuro.

Un nodo alla gola impedì a Genesis di replicare. Gli buttò le braccia al collo e lo baciò. E quella fu l'ultima volta che lo vide prima di precipitarsi nell'avventura al centro della terra.

 

Furono giorni e giorni di oscurità. Inoltrandosi nei tunnel, alcuni più larghi, altri più stretti, gli esploratori scendevano scale ben scolpite, oppure procedevano incespicando sul terreno disuguale e a tratti viscido, oppure ancora discendevano scale pericolosamente dissestate. Benché ciascuno fosse dotato di un leggero casco illuminante, i tunnel più ampi apparivano più oscuri e paurosi. Genesis era infastidita dall'odore di chiuso e a volte da quello della muffa, ma soprattutto sentiva il peso opprimente della pietra sopra di sé e tutto intorno. L'idea di essere circondata da chilometri e chilometri di roccia le provocava un leggero panico incipiente, che la costringeva a stringere i denti per non lamentarsi ad alta voce, se non addirittura a urlare. Ma in quei frangenti non si trovò mai da sola. Al suo fianco, se ciò era possibile, oppure subito davanti a lei, pronto a sorreggerla nei tratti più scivolosi, c'era Nele. Quando la vedeva in difficoltà, Nele era subito pronto a mormorarle una battuta di spirito, un commento consolatorio, un invito a farsi coraggio, ricordandole che presto si sarebbero fermati a riposare. Gli esploratori non parlavano molto, e comunque sempre a bassa voce, bisbigliando, come per non profanare un luogo puro, o forse per evitare di essere uditi anzitempo. A Genesis pareva non esistere un senso nella tortuosità di certi passaggi, o nella scelta di un cunicolo anziché un altro, ma i gemelli, che erano davanti a tutti, procedevano con incredibile sicurezza, come fossero dotati di un'invisibile bussola e avessero impressa nella memoria una mappa ben definita. E in fondo era comprensibile, dal momento che loro c'erano già stati. Le scorte di cibo liofilizzato erano equamente distribuite negli zaini e quando si fermavano per riposare ciascuno decideva volta per volta cosa far rinvenire nel proprio contenitore autoriscaldante. I condensatori d'acqua invece erano sempre in funzione, e man mano che avanzavano lungo il cammino potevano decidere quanto bere e quanto tenere da parte per il pasto. Genesis fu orgogliosa di riuscire a regolarsi, senza essere costretta a chiedere agli altri l'elemosina di un po' d'acqua. Si era prefissa il traguardo di non essere di peso, nonostante la sua scarsa esperienza. Dover chiedere aiuto le sarebbe costata un'immensa fatica. Le ore di sonno erano regolari, ma a volte Genesis aveva gli incubi e si svegliava con il respiro affannoso, spaventata e infelice. Si chiedeva allora quale oscuro desiderio di sofferenza l'avesse spinta ad accompagnare la spedizione in un'impresa che a momenti trovava persino assurda. Ci volevano molta determinazione e una passione quasi folle, per imbarcarsi in un'avventura del genere. E Genesis era mestamente consapevole di non essere equipaggiata né dell'una né dell'altra. La sua decisione rimaneva un mistero anche per lei. Ma poi la presenza di Nele, che le era sempre accanto con il suo respiro regolare, la tranquillizzava e tornava a dormire.

– Ancora una volta hai avuto un incubo.

– Come lo sai?

– Ti ho sentita. Avevi il fiatone come se avessi corso. Ti ho svegliata.

– Perché non mi hai detto niente?

– Mi dispiaceva svegliare anche gli altri. Hanno il sonno leggero.

– E a me dispiace aver svegliato te.

– Non importa. Io mi riaddormento subito. Ma posso farti una domanda?

– Certo, Nele, cosa vuoi sapere?

– Perché ti sei unita a questa spedizione se ti infastidisce tanto stare sottoterra?

– Mi incuriosisce il Regno di Damkin. È un'opportunità unica. Non credo che ci saranno molte altre occasioni di vederlo.

– Credo che tu abbia ragione. Soprattutto se gli Araluim ci chiederanno di non farlo più. Non si può mai dire. Potrebbe essere una razza gelosa del proprio isolamento. Se ci pensi bene è probabile, dal momento che in superficie non si sono mai visti. Perché si nascondono? Perché non vogliono avere nulla a che fare con noi?

– Già, perché?

– Forse perché ci ritengono semplici animali d'allevamento, ormai inselvatichiti – commentò Micol.

– Tu credi fermamente a quello che è scritto sul codex Moebius, ma io penso che sia un cumulo di sciocchezze scritte per sviarci – disse Isaac.

– Quando li incontreremo ce lo faremo dire da loro – concluse Nele, raccogliendo lo zaino. – E adesso che ne dite di andare?

 

Peter Walth si domandò spesso che fine avesse fatto quella giovane donna. Come mai dalla porta del ripostiglio era riemerso solo Marius? La teneva segregata? L'aveva uccisa? Marius si comportava come al solito, rispettava i suoi turni di servizio, compilava diligentemente i suoi rapporti, e ormai riceveva rarissimi messaggi solo dalla fonte ignota. Il dubbio che quella fonte fosse all'origine di tutti i loro guai cominciò a insinuarsi nella sua mente, a poco a poco, un millimetro alla volta, ma inesorabilmente sempre più in profondità.

 

Al comando centrale della stazione di sorveglianza esterna, Fryda aveva costituito una squadra di sei persone, due delle quali, a rotazione, coprivano i turni notturni. Il loro compito era di tenere in contatto tra loro le varie cellule dei rifugi sotterranei per sincronizzare gli attacchi di hackeraggio, nonché le azioni pirata. 

Ogni giorno un nuovo gruppo di ribelli si univa all'Operazione Tracollo, ogni giorno almeno una riunione virtuale impegnava Fryda per la regolazione dei livelli di ricetrasmissione, finché non si decise di stabilire parametri fissi per le antenne al grafene. Ci lavorarono in molti e ne nacque un sistema del tutto nuovo, che permetteva la comunicazione istantanea per lo scambio di informazioni e di immagini olografiche in tutta sicurezza. Lo chiamarono Hermes. I livelli furono tarati su una banda di frequenze non intercettabili dalla superficie, inserendo nel sistema un sottoprogramma di rilevamento per i tentativi di localizzazione cui certamente sarebbe stato sottoposto. La prerogativa di questa configurazione di sicurezza era che avrebbe oscurato immediatamente il segnale, trasferendolo automaticamente su un'altra banda, per renderlo di fatto irrintracciabile.

Nel frattempo, le attività delle diverse basi si concentrarono sull'arricchimento del loro arsenale.  Oltre alle bombe a microonde, dette BAM, che erano state miniaturizzate senza per questo diminuirne la potenza, si stava studiando da tempo una rete elf in grado di disattivare l'intero parco droni in forze all'OP. Il problema di posizionare i nodi era stato per lungo tempo il cruccio di Marius. Erano ormai alcuni anni che lui e i suoi compagni approfittavano di ogni occasione per seminare le sfere plasmiche nei punti strategici. Erano molto piccole, del diametro di una lenticchia, e avevano l'aspetto di semplici sassolini. Il rivestimento di grafene le rendeva indistruttibili. Avevano quindi coperto una vasta area spingendosi fino all'ultimo quadrante, ma non avevano avuto scuse per viaggiare sugli altri continenti, utilizzati per scopi diversi da quello prevalentemente abitativo. Al completamento della rete dovevano ora pensare i componenti delle altre basi, fuggiaschi dalle miniere, dalle industrie e dall'agricoltura. E non avevano tutto il tempo del mondo. I progetti di costruzione delle sfere plasmiche erano stati diffusi con priorità assoluta, ma molte basi non erano dotate della tecnologia necessaria, trattandosi di recenti rifugi di fortuna, ancora primitivi, che ospitavano fuggiaschi del tutto privi delle competenze e delle attrezzature necessarie. Marius era molto preoccupato delle conseguenze di questo limite. Liberare la megalopoli sarebbe stato sufficiente? Era sicuro di no.

 

I sei corti tunnel che si dipartivano dalla grotta semicircolare, posti a distanza regolare l'uno dall'altro, correvano in piano fino a sbucare in una sorta di terrazzini privi di balaustre. Erano anch'essi semicircolari ed erano affacciati su una vastissima grotta a un'altezza di una decina di metri dal pavimento perfettamente livellato. Era il luogo da cui avevano potuto spiare gli Araluim. Di fronte all'imbocco dei tunnel si allargava la scala che scendeva per l'ultimo breve tratto. A Genesis fu assegnato un posto di guardia. Doveva studiare la situazione dall'alto, proprio da uno di quei terrazzini che permettevano una comoda vista su tutta la grotta. Si distese quindi sulla roccia levigata, mentre Homar e Nele si sistemavano nello stesso modo sui terrazzini posti alla sua destra e alla sua sinistra, a un paio di metri di distanza dal suo. Dovevano evitare di farsi vedere dal basso, nel caso che qualcuno degli Araluim avesse sollevato lo sguardo. Nele le sorrise, poi le mostrò il pollice sollevato per indicare che andava tutto bene. Genesis non ne era troppo convinta. Secondo lei c'era troppo silenzio. Anche se Micol e Davis giuravano che quella era l'esatta località in cui avevano visto gli Araluim, forse si era trattato di un caso. Magari erano di passaggio, e si stavano semplicemente spostando da un luogo a un altro.

Benché dovesse discendere solo un paio di rampe, il gruppo degli esploratori impiegò almeno un quarto d'ora prima di sbucare con cautela nell'antro. Genesis immaginò che avessero discusso fino all'ultimo. Quando entrarono nel suo campo visivo, si accorse che in effetti erano solo in quattro. Raoul doveva essere rimasto indietro, forse sulle scale.

Genesis si voltò a guardare Homar e Nele. Entrambi erano concentratissimi. Per qualche minuto non accadde assolutamente niente, tanto che Genesis pensò che avessero fatto un buco nell'acqua, ma a un tratto sentì uno strano rumore, come un grido soffocato. Gli archeologi si voltarono all'unisono verso l'ingresso da cui erano entrati e la loro espressione spaventata le bloccò il respiro nei polmoni, immobilizzandola.

Nel giro di qualche secondo, gli hypogei furono circondati da un gruppo di creature alte, completamente rivestite di robuste tute azzurre, con un copricapo simile a quelli che usavano gli apicultori, soltanto che al posto della retina avevano un visore trasparente di aspetto vetroso. Uno di loro teneva Raoul per un braccio, spingendolo verso i compagni. Ma Genesis non poté osservare ulteriormente la scena, perché qualcosa le toccò un piede. Improvvisamente si rese conto che uno di quei guerrieri azzurri era accanto a lei e la stava invitando ad alzarsi. Genesis fu colta dal terrore. Si sollevò in piedi in gran fretta, trovandosi di fronte a quell'essere che la superava largamente in statura. Ma quando questi allungò un braccio verso di lei, fu presa da un tale panico che fece un passo indietro, arretrando nel vuoto. Accorgendosi che stava precipitando, urlò, ma il suo grido fu breve. All'impatto con il duro suolo della grotta, si rese subito conto di essersi spezzata le ossa delle gambe e l'urlo di paura si trasformò in un urlo di dolore. Poi perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi, uno dei guerrieri la stava osservando attraverso l'oblò della sua tuta, a una distanza troppo ravvicinata per i suoi gusti. Nello stesso tempo si rese conto di trovarsi in una specie di vasca di metallo, molto simile al feretro in cui era stato messo Ubris, che i media avevano mostrato per giorni. Pensò che l'avessero ritenuta morta e che l'avessero preparata per la sepoltura, come usava fare l'élite. In un certo senso si sentì onorata di essere sottoposta a un trattamento che in superficie era destinato a pochi eletti. Si toccò le gambe doloranti, inglobate in due involucri di rete dall'apparenza schiumosa eppure molto dura, poi cercò di sollevarsi dalla bara afferrandosi ai bordi. Ma il guerriero che la sovrastava, scrollando la testa, la spinse indietro e le prese entrambe le mani costringendola ad allungare le braccia lungo i fianchi, poi, con un gesto energico e veloce, chiuse il coperchio su di lei. Una vaga luminosità azzurra le permise tuttavia di vedere l'interno della bara e questo fu ancor peggio.

– Non sono morta! Non voglio essere sepolta! Aiuto! Liberatemi! Qualcuno mi aiuti!

E intanto menava sonori pugni sul coperchio, che risuonava come una campana. Ma nessuno giunse in suo soccorso. Il panico la prese alla gola, impedendole di respirare. Poi le sembrò di sentire un sibilo e subito dopo una sorta di umidità sul viso come se nella cassa fosse introdotto del vapore invisibile. Lentamente il senso di panico si dissolse e subentrò in lei una strana calma sonnolenta. Infine si addormentò.

 

Isaac uscì per primo dalla culla medica, tanto che quando gli altri lo raggiunsero, poté spiegare loro che il trattamento cui erano stati sottoposti era una precauzione per il benessere degli Araluim, in quanto non possedevano difese immunitarie valide per proteggersi dai germi che gli hypogei trasportavano in giro. A rispondere alle sue pressanti curiosità era stato lo stesso Sedor, il medico che l'aveva liberato dalla culla.

Accompagnati dall'aralu Antrel, gli esploratori erano stati accolti in una grande sala ovale circondata di divani. Antrel li aveva poi pregati di avere pazienza, perché per Genesis occorreva un trattamento diverso e più prolungato. Quindi era sparito, sostituito poco dopo da Sedor.

– Genesis sta bene. Le ossa si stanno rinsaldando perfettamente. Rulan si scusa per aver causato l'incidente. Purtroppo non è stato abbastanza veloce da afferrarla prima che precipitasse. È davvero mortificato. Adesso sta seguendo la procedura di guarigione. Sarà lui stesso a farla uscire dalla culla e ad accompagnarla qui da voi.

– Ti ringrazio, Sedor. È davvero una buona notizia – disse Micol.

– Sicuramente sarà meno spaventata se anche uno di voi sarà presente al suo risveglio.

– Posso andare io – si propose Micol.

– Bene. Segui il corridoio a destra. Non puoi perderti, è il primo ingresso.

Una volta che Micol si fu allontanata, Isaac ricominciò il suo interrogatorio.

– Sedor, come fate a conoscere la nostra lingua?

– Questo non è facile da spiegare. Vedi, prima di diventare suono, quello che dici scaturisce in un preciso punto della tua mente. Noi attingiamo l'informazione direttamente da quel punto. Comunichiamo da mente a mente.

– Quindi anch'io traduco con la mente quello che mi stai dicendo nella tua lingua?

– No, sono io che adatto i suoni alla tua.

– Ma tra di voi comunicate solo con il pensiero?

– Dipende. A volte sì, quando vogliamo mantenere privata una conversazione. In realtà anche gli altri potrebbero ascoltarla, ma non lo fanno, proprio per rispettare la volontà di riservatezza. È considerata una grave scorrettezza leggere nel pensiero degli altri e ancor di più tentare di influenzarli.

– Capisco. Però qualcuno potrebbe ascoltarvi ugualmente.

– Certo, ma non è il nostro modo di fare.

– Sedor, da quanto tempo non salite in superficie?

– Da almeno sei o settemila anni. Per lungo tempo, periodicamente, ci siamo affacciati alla terra superiore, ma poi è scoppiata una guerra tra noi e alcuni nostri fratelli, e allora abbiamo preferito stabilirci qui, dove vige la pace, per non distruggere il mondo di sopra.

– Non siete un popolo di guerrieri, dunque?

– Lo eravamo. E forse saremo costretti a esserlo di nuovo, ma per il momento viviamo in pace.

– E da quanto tempo vivete anche voi su questo pianeta?

– Da sempre.

– Come da sempre?!

– No, hai ragione, non da sempre, da molto tempo.

– E da dove siete venuti?

– Dalla costellazione di Schwerta.

– E perché, se è lecito chiedere?

– È una storia lunga, ma cercherò di riassumerla in poche parole. Ci siamo trovati coinvolti in una guerra durante la quale purtroppo abbiamo scelto l'alleanza sbagliata. Abbiamo commesso numerosi errori, in verità, ma i nostri generali non riuscivano proprio ad ammetterlo. Abbiamo perso, siamo stati condannati all'esilio e relegati qui.

– Evento che fa di questo pianeta una prigione, dunque.

– Più di quanto voi possiate immaginare, probabilmente, anche se non sono aggiornato sui vostri progressi e sugli sviluppi filosofici, tecnologici e scientifici della vostra comunità. Potreste stupirci.

– Ho forti dubbi.

– Tu, Isaac, sei il portavoce della squadra esplorativa?

– No, sono soltanto il più curioso e loquace.

– Anch'io vorrei porvi qualche domanda.

– Siamo a tua disposizione.

In quel momento, l'ingresso di Genesis, accompagnata da Micol e Rulan, interruppe il flusso della conversazione.

– Come ti senti, Genesis? – le domandò Nele, premuroso come sempre.

– Stupida, più che altro.

– Comunque cammini sulle tue gambe con molta scioltezza per essere una che ha fatto un volo di dieci metri atterrando così male.

– Scusatemi se ho dimenticato il paracadute.

– Si può sapere cosa ti ha spaventato tanto? – domandò Isaac.

– Le vostre espressioni. Dovevate vedervi. Sembrava che vi fosse apparso davanti un mostro orrendo.

– Ha ragione – disse Homar – ho avuto anch'io la stessa impressione.

– Eravamo solo stupiti dall'abbigliamento scelto dagli Araluim per accoglierci. Quando li abbiamo visti la prima volta erano più informali, per così dire.

– Ora capite che per il nostro benessere non potevamo fare altrimenti. Ci dispiace di avervi spaventato o sorpreso, ma credo che ormai possiamo ritenere chiuso l'argomento. Adesso è giunto il momento di recuperare le forze. Cibo e bevande vi attendono qui vicino. Abbiate la pazienza di seguirmi.

 

– Abbiamo ricevuto un segnale dalla zona del vecchio Giappone. È il primo segno di vita da quel settore. Secondo te, devo inviare i dati per la trasmissione sicura?

Fryda si interruppe per osservare la reazione di Marius.

– Assolutamente no. Un segnale diretto è alquanto sospetto, non trovi? Ogni base che ci abbia contattati l'ha fatto attraverso altre basi conosciute. Piuttosto chiedi a tutti gli altri se ne sanno qualcosa.

– Hai ragione, lo faccio subito.

Nel giro di pochi minuti iniziarono ad accendersi lucine verdi accanto ai nomi delle basi, una lista che comprendeva ormai una trentina di presenze. Le risposte si potevano leggere accanto a ciascun nome.

– Negativo. Che facciamo? – chiese Fryda.

– Niente. Non rispondere.

All'improvviso apparve l'immagine di Perez della base Jolla.

– Hypogeum, abbiamo ricevuto anche noi il segnale.

– Pensate di rispondere?

– Sono nostri dirimpettai. Risponderemo senza esporci. Siamo in una fase molto delicata. Non forniremo loro alcuna informazione finché non saremo sicuri di chi c'è dall'altra parte.

– Grazie per avercelo comunicato.

– Come procede nella megalopoli? Ancora tutto fermo come sembra dai media?

– Sì, Perez. I sonnambuli continuano a dormire.

– Li sveglieremo presto.

– E da voi come va la semina?

– Qui in America avremo una rete a maglia molto larga, purtroppo, ma dai nostri calcoli dovrebbe essere sufficiente. La semina è completata.

– Avete fatto presto. Come vi siete mossi?

– Abbiamo sequestrato un drone.

Fryda applaudì.

– Fantastico!

Marius sorrise.

– Molto bene.

 

Anche Rulan, attraverso il vetro della tuta, sembrava biondo, come ogni altro Araluim che Genesis avesse visto fino a quel momento. Però in qualcosa era diverso. Come Nele le era stato vicino durante tutta la lunga discesa a Damkin, così Rulan sembrava intenzionato a non allontanarsi da lei per tutto il tempo della loro permanenza tra gli Araluim. Sembrava volesse farsi perdonare di essere stato troppo lento nell'afferrarla quando era precipitata dal terrazzino. Ma non era colpa sua. Genesis era piuttosto mortificata a sua volta per essersi lasciata prendere dal panico. Se gli Araluim non avessero avuto l'avanzata tecnologia medica che gli si doveva riconoscere, sarebbe diventata un peso per tutti e probabilmente non sarebbe più stata in grado di tornare indietro. A dire il vero, anche con le gambe sane non sarebbe stato facile. A un tratto pensò che non l'aveva ringraziato per questo.

– Rulan, sono proprio un'insensibile. Non vi ho ancora ringraziato per avermi rimesso in piedi. Vi sono infinitamente grata.

– Fa parte delle nostre consuetudini rimediare ai danni fisici prima che creino ulteriori problemi collaterali o irreversibili.

– Grazie lo stesso.

– Tu non fai domande?

– Non me ne viene nessuna.

Rulan la fissò per qualche istante, senza espressione. Poi disse:

– È strano che tu abbia fatto tutta questa strada per nulla. Se non ti ha spinta la curiosità nei nostri confronti, qual è stata la molla?

– Sono nuova di Hypogeum e non sapevo cos'altro fare per rendermi utile.

Rulan sorrise.

– Fino a questo momento non vedo utilità nella tua presenza qui.

– Nemmeno io.

– Per un paio di giorni i medici saranno impegnati a individuare i virus e i batteri che ci avete portato. Una volta che avremo potuto rendere immune la nostra comunità, vi porteremo a visitare Damkin. Allora forse ti verrà spontaneo fare domande.

– Credo di sì. Di solito sono molto curiosa.

– Infatti lo percepisco, ma in questo momento hai soprattutto molta paura.

– Dev'essere per colpa della vostra divisa. È inquietante vedervi solo attraverso quel vetro.

 

Quando infine furono liberi di aggirarsi per le vie di Damkin, i componenti della spedizione furono invitati a presentarsi alla comunità. Ad accompagnare Genesis si offrì Rulan. I corridoi erano larghi, ben illuminati, l'aria era pura e persino lievemente profumata, la temperatura era perfetta e non c'era umidità. Lungo i corridoi perfettamente levigati si aprivano porte metalliche, di forma trapezoidale.  Uno strano simbolo lampeggiava accanto a ciascuna di esse. Genesis non avrebbe saputo dire che cosa significassero, ma le sembrarono caratteri simili a quelli utilizzati per incidere il Libro d'oro. Infine davanti a Rulan si spalancò una di quelle porte e lui aspettò che Genesis lo raggiungesse. Quindi, con un gesto universale la invitò a entrare, seguendola subito dopo. Nell'anfiteatro avevano già preso posto numerosi Araluim, mentre i suoi amici archeologi erano seduti in una fila di fronte ai palchi. C'era un posto vuoto tra Nele e Micol. Genesis capì che era stato lasciato per lei. Si voltò verso Rulan per chiedere conferma, ma lui, senza aspettare che parlasse, glielo confermò.

Mentre andava a sedersi, Genesis ricordò una frase che aveva sentito da Marius: "Un guerriero deve sapere prima di tutto che le sue azioni sono inutili e nonostante ciò deve procedere come se lo ignorasse. Questa è la follia controllata."

 

Marius si domandò come se la stesse cavando Genesis, con quel manipolo di incoscienti archeologi. La storia di andare a disturbare gli Araluim non lo trovava per nulla d'accordo, ma la maggioranza aveva votato. Sapeva che Genesis era condizionata a obbedire, e quindi si augurava che oltre a non correre rischi inutili, avrebbe obbedito agli altri, più esperti di lei. Eppure un fondo di preoccupazione risuonava costantemente dentro di lui, anche quando era impegnato in tutt'altro. Evidentemente, quella donna impertinente era riuscita a fare breccia nella sua corazza, disarmandolo un poco alla volta, forse proprio perché l'aveva ritenuta del tutto innocua. In un certo senso gli sembrava di essersi cacciato in un guaio. Strana sensazione. Neppure con Ubris Vatertod ne aveva avuta una simile. Ricordò all'improvviso la decisione e la fermezza con cui Genesis aveva conficcato lo stiletto nella sua nuca e quante volte avesse provato quel movimento su un manichino apposito, con disperata determinazione, quasi fosse l'unico ostacolo che si frapponeva tra lei e il traguardo della libertà. Era consolante pensare che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe saputo dove colpire e con quanta forza. Marius scosse la testa. Quel giorno non riusciva proprio a togliersi dalla testa la preoccupazione e i brutti presagi. Doveva smetterla. Smetterla e tornare al lavoro.

La base giapponese era stata vagliata con cura da quella di Jolla. I ribelli erano una trentina, e non si sentivano sicuri. C'era il pericolo che la base venisse scoperta. Così Jolla aveva deciso di non renderli partecipi del tentativo in atto. Meglio che non avessero nulla da confessare, nel caso che davvero fossero stati scoperti. Hypogeum prese atto della decisione.

Ancora una volta Marius pensò all'isolamento delle miniere d'oro. Dall'Africa non erano mai giunti messaggi di alcun tipo. Non avevano ancora trovato nessun modo per rendere partecipe del progetto quella parte di mondo. Quello era l'unico difetto di un piano che poteva dirsi perfetto. Era un buco nero. E Marius temeva che li avrebbe inghiottiti tutti.

 

L'assemblea degli Araluim sembrò a Genesis una formalità. All'apparenza servì per far conoscere nel regno la presenza di ospiti, molto probabilmente indesiderati. Ma era chiaro che la notizia doveva essere arrivata per via telepatica a ciascuno di essi nel momento stesso in cui avevano varcato la porta dell'antro. Stranamente gli Araluim presenti non erano molto numerosi. Facendo un sommario calcolo, Genesis ne contò un centinaio. A questo si era ridotto il favoloso regno di Damkin? Gli Araluim erano forse in via di estinzione?

Gli esploratori furono invitati a presentarsi, uno alla volta, con il loro nome. Lo fecero alzandosi in piedi, chi più imbarazzato, chi meno, ma tutti con la voce sicura di chi non ha niente da nascondere e non nutre alcun timore. Poi fu chiesto loro di raccontare il viaggio nei tunnel, interessandosi molto al grado della loro fruizione, se avessero osservato tunnel crollati, scale fuori uso, infiltrazioni d'acqua, o problemi di altro genere. Quindi chiesero la loro opinione sulla possibilità che vi fossero altri gruppi interessati alla medesima esplorazione. Fu Isaac a spiegare che il loro progetto era nato grazie alla decifrazione del grande Libro d'Oro. A quel punto uno di essi esclamò:

– Ahsan l'ha fatto davvero!

Quindi tra gli Araluim nacque una discussione sui reali intenti del loro compagno che si era rifiutato di lasciare la superficie, convinto che gli esseri umani meritassero rispetto e dovesse essere loro compito guidarli e aiutarli a rendersi autonomi, anche e soprattutto dall'ingerenza degli Araluim di superficie. A Genesis questo Ahsan apparve subito molto simpatico. Chissà che fine aveva fatto e se davvero ai suoi tempi era riuscito nel suo lodevole proposito. Vista la pessima condizione in cui versavano al momento, non doveva aver ottenuto molti successi. Di sicuro ai suoi compagni era del tutto indifferente, sia Ahsan che il suo intento. Quindi Genesis si rese conto che l'autore del Libro d'Oro era un cane sciolto. Non stava né con gli Araluim del regno di Damkin, né con quelli di superficie. Doveva aver fatto una triste fine, poverino.

 

– Sono robot – disse Nele, convinto.

– No, sono solo diversi da noi – obiettò Micol.

– Ma come può essere, se proprio loro ci hanno modificato mescolando i loro geni ai nostri? – domandò Genesis.

– Appunto, mescolando.

– Non hanno sentimenti – disse Daniel.

– Allora i sentimenti sono patrimonio esclusivo di quello che eravamo prima che gli Araluim ci trasformassero.

– Può darsi – commentò Nele.

– Non ci serve il loro aiuto. Possiamo farcela da soli – disse Micol.

Genesis la osservò con un rinnovato senso di ammirazione.

– Torniamo a Hypogeum? – suggerì.

– A suo tempo. Sfruttiamo questo incontro per imparare qualcosa dalla loro tecnologia, se non dalla loro fredda cultura.

– Ma ci hanno fatto capire che non hanno intenzione di aiutarci. Credo che questo riguardasse anche i segreti della loro tecnologia. Non sono avvezzi a condividere, soprattutto con noi. Ci considerano esseri inferiori.

– Cerchiamo di essere più intelligenti di quanto non ci considerino, allora – disse Isaac.

– Le culle mediche sono molto interessanti, non credete? – disse Genesis.

– Ah, tu ne sai qualcosa, vero?

– In superficie sarei rimasta in unità medica per mesi.

– Ti sbagli, non avresti avuto neppure la possibilità di accedervi. Sei fuggita dal tuo proprietario, ricordi?

– Spero mi abbiano considerata morta nell'esplosione della Pandora.

– Non ci sperare. Sarebbe assurdo che una Sorella venduta al miglior offerente fuggisse per ritornare presso l'istituzione che l'ha cancellata dai suoi data base trasformandola in crediti.

– Hai pensato di cambiare nome? – le chiese Micol.

– Sì, ci ho pensato. E credo che sarebbe anche utile cambiare il mio aspetto.

– Questo non dovrebbe essere molto difficile.

 

Le femmine di Damkin vivevano in settori separati. Erano altissime, longilinee, dalla pelle nivea e biondissime. I loro occhi presentavano tutte le sfumature dell'azzurro e del grigio, ma forse nessuna di loro aveva occhi belli quanto quelli di Genesis. Una di loro, di nome Keira, glielo disse, con una strana soddisfazione, come fosse merito suo.

– Nel tuo territorio sei una regina?

Genesis si mise a ridere.

– No, ero una schiava.

– Come hanno osato?

– Forse dovrei raccontarti come stanno le cose da noi.

Parlarono per alcune ore, come vecchie amiche. A Genesis Keira piaceva molto. Scoprì che le femmine Araluim erano isolate per loro decisione. Erano dedite allo studio e alla sperimentazione. Tutte le novità giungevano infatti dal loro settore.

– Dove vivono i vostri bambini?

– Bambini?

– Sì, i vostri figli.

– Noi non abbiamo figli. Il nostro numero deve rimanere stabile.

– Perché?

– Perché questa squadra un giorno tornerà a casa e sulle navi non c'è spazio che per noi.

Genesis ammutolì per qualche istante.

– Vuoi dire che voi siete gli stessi che sono arrivati su questo pianeta?

– Certo.

– Scusa, Keira, mi potresti dire quanto è lunga la vostra vita?

– Intorno ai 36000 anni terrestri.

– 36000? Ma è un'eternità!

– No, è la durata del nostro tempo.

– E quando pensate di tornare a casa?

– Presto. Il tempo è maturo. Faremo un nuovo tentativo tra poco.

– Ci avete già provato?

– Solo una volta.

– E come sapete che i tempi sono maturi?

– Speriamo che gli osservatori si siano stancati di aspettarci al varco, lasciando solo i sistemi automatici di neutralizzazione.

– E se così non fosse?

Keira chinò la testa. Poi la sollevò con espressione di sfida.

– Allora combatteremo. Meglio morti che segregati in questo buco per sempre.

– E siete tutti d'accordo?

– Ci muoveremo solo quando lo saremo. Non vogliamo ripetere la divisione.

– Ma in quanti vivete quaggiù?

– Vivere è un termine che ha diversi significati per noi. Molti sono in uno stato di stasi da centinaia di anni. Qualcuno ha deciso di sgranchirsi le gambe ogni mille anni, altri ogni cento, qualcuno non vuole essere disturbato fino al momento della partenza. Io e pochi altri siamo rimasti in attività per molto tempo, consumando così la nostra vita in questa prigionia. Avremmo potuto evitarlo, ma abbiamo preferito che ci fosse una nutrita guardia pronta a ogni evenienza. Se qualcuno ci attaccasse, rianimeremmo tutti nel giro di mezz'ora.

– Scusami, Keira, ma quando deciderete di andarvene, come farete a evitare la Luna?

– Sto progettando da molto tempo un sistema di difesa da montare sulle nostre astronavi.

– E funziona?

– Io dico di sì, ma molti miei compagni vogliono testarlo prima di partire.

– Possiamo aiutarvi in qualche modo?

Keira parve molto stupita dalla sua offerta.

– Tu sei una portavoce del tuo popolo?

– No, Keira. A dire il vero io posso rappresentare solo me stessa.

– Quindi mi stai offrendo il tuo personale aiuto?

– Sì, mio personale.

– Vedi Genesis, un aiuto ci farebbe comodo, ma non saprei come organizzare le cose. Per testare il nostro sistema difensivo, dovremmo provarlo in volo. E immagino che tu non possieda un mezzo volante, quindi...

– E invece abbiamo un mucchio di droni di cui vorremmo sbarazzarci.

– Droni?

– Sono macchine volanti guidate da un sistema di computer autonomi. I Servizi di Ordine Pubblico ci controllano grazie a quelli.

– E voi volete sbarazzarvene?

– Esatto.

– Di che genere di armi sono dotati?

– Come mi dispiace che non ci sia Marius con me. Lui sa tutte queste cose. Ti dispiacerebbe coinvolgere nella nostra conversazione il resto dei miei compagni? Loro sono sicuramente più informati di me.

– D'accordo. Allora propongo una piccola riunione con la partecipazione del mio reparto.

 

Peter Walth aveva ormai deciso di seguire di persona Marius Kappa. La curiosità sul suo conto era diventata un'ossessione. Eppure, questo impegno fuori programma non lo conduceva da nessuna parte. Marius non frequentava nessuno. Svolgeva il suo servizio e poi tornava al suo alloggio al X quadrante, oppure varcava la porta metallica del suo rifugio segreto. Sempre da solo. Non faceva mai niente di strano. Era all'apparenza l'uomo più ordinario che avesse mai conosciuto. Intanto la situazione nella megalopoli sembrava essersi attestata in una modalità d'attesa. Ma qualcosa tra gli alti vertici rimasti si stava muovendo. Presto tutto sarebbe tornato alla normalità.

 

Marius Kappa ascoltò l'annuncio ufficiale mentre affondava la forchetta in un gustoso pasticcio di verdure. Rimase impietrito, mentre nella mensa i commenti si moltiplicavano e l'agitazione si faceva palpabile. Nel giro di pochi minuti, tutti si trasferirono in massa nell'aula delle assemblee, raggiunti da quanti si erano trovati altrove. Per una volta, non c'era stato bisogno di convocazioni.

– Lo sapevo che avremmo dovuto agire subito! Questa pausa di riflessione ci ha fatto perdere ogni vantaggio – si lamentò Fryda.

– Trovo inutile perdere tempo in recriminazioni, adesso. Dobbiamo decidere come muoverci nell'attuale situazione. Qualcuno ha proposte utili? – disse Marius.

Poco lontano si levò una voce.

– Per prima cosa mi piacerebbe sapere chi è questo Gaspar Santander che ha preso il potere in nome delle Fondazioni. Chi lo conosce? Da dove salta fuori?

Anche Virgil, arrivato dalla stazione di sorveglianza esterna, si rivolse a Fryda e Marius, accanto a lui.

– Io non l'ho mai sentito nominare e voi?

L'unica risposta fu una massa di teste tentennanti.

– No, nessuno.

Marius si accorse che Fryda aveva ancora in funzione il visore.

– Fryda, prova a fare una ricerca veloce.

– La sto già facendo. Qui ho trovato che si tratta di un eminente economista.

– E dove lo tenevano nascosto? – domandò Elias.

– A quanto pare rappresenta la Multiform. È una società che si occupa di ricerche spaziali, fondata da Lady Sheron una decina d'anni fa.

– È una copertura! – urlò uno dei Canguri.

– Ricerche spaziali? E chi è che sta progettando voli nello spazio? Andiamo! Ha ragione lui. È una copertura.

– In ogni caso, deve avere l'appoggio tanto dei superstiti dirigenti della Gea quanto di quelli della Kronos.

– E adesso che facciamo? – urlò un altro Canguro dal fondo della sala.

– Andiamo avanti con il nostro progetto. Gaspar Santander non potrà fare molto quando l'O.P. sarà decimato – rispose Marius.

– Che probabilità abbiamo?

– Le medesime che avevamo prima. Non è cambiato niente. Quando l'OP non esisterà più, ci occuperemo anche di Santander.

– Non dovremmo aspettare il ritorno della squadra di esplorazione, prima di decidere?

Marius si voltò verso la donna che aveva parlato.

– Io credo di no. Ma mettiamo la decisione ai voti. Luce verde per chi è d'accordo.

Ciascuno dei votanti sfiorò i comandi posti sul proprio bracciolo. Sul fondo dell'antro scaturì l'immagine olografica, dove apparvero i risultati del voto, mano a mano che veniva espresso. Infine, apparve il risultato. Le luci verdi erano di poco superiori a quelle rosse. C'era quasi una parità.

Marius Kappa restò deluso.

– Ripeteremo questa votazione domani sera, così avremo tutti il tempo di valutare con calma la decisione da prendere. Vi prego di considerare ogni aspetto della situazione.

L'assemblea venne sciolta.

– Fryda, torniamo al centro di controllo.

– Senti, Marius, ogni volta che votiamo, sempre più gente si tira indietro. Hanno perso la fiducia. E solo perché il Sole non farà la sua parte. Io avrei un'idea.

– Quale?

– Spargiamo la voce che la tempesta magnetica ci sarà.

– Niente inganni, Fryda. Questo non è un gioco. Ne va della nostra sopravvivenza.

– E allora chiudiamoci dentro e lasciamo che in superficie si arrangino come credono. Noi la nostra libertà ce la siamo guadagnata.

– Questa non è esattamente l'idea di libertà che ho io. E diversamente da te, credo che molti stiano aspettando il ritorno degli esploratori, sperando che dal regno di Damkin ci giunga un aiuto. Dobbiamo imparare a cavarcela da soli, con le nostre forze, e ce le abbiamo.

– Sì, forse è vero anche questo. Ma il fatto certo è che non siamo neppure sicuri che la squadra tornerà. Chi ci dice che non siano rimasti bloccati in qualche galleria crollata, o che gli Araluim non li abbiano uccisi?

Marius provò un improvviso senso di oppressione al petto.

– No! Non lo dire. Gli esploratori torneranno. Ne sono certo.

– È per Genesis che ti preoccupi tanto? Sei impallidito.

– Non dire sciocchezze.

Al comando centrale della stazione di sorveglianza esterna, Ada era sola. Si voltò a guardarli, mentre entravano seguiti da Elias e Virgil che riprendevano il turno.

– Siete appena in tempo! Guardate qua.

Nell'ologramma centrale, ingrandito, era apparsa l'immagine di un uomo alto, dall'aspetto piacevole, con i capelli biondi e lunghi legati in un codino. Il commentatore delle news pronunciò il suo nome più volte, Gaspar Santander.

Marius strizzò gli occhi per qualche istante, poi tornò impassibile.

– Buon lavoro, ragazzi. Io torno in superficie.

Fryda lo raggiunse sulla porta.

– Vieni domani all'assemblea?

– Naturalmente.

 

Dopo molte discussioni, Keira e Shanin riuscirono a convincere gli Araluim a salire in superficie per testare il congegno di autodifesa progettato da Keira. Adesso non restava che convincere quelli di Hypogeum. Genesis era sicura che avrebbero trovato del buono in quel fuori programma. Risparmiava loro un po' del lavoro per abbattere i droni e nello stesso tempo forniva agli Araluim la certezza che la loro fuga dal pianeta sarebbe andata a buon fine.

– Per risalire in superficie impiegheremo il doppio del tempo, vero? – domandò Genesis che si stava già preoccupando del ritorno.

– Sì, più o meno – le rispose Micol.

– Devo contraddirvi, – s'intromise Keira – prenderemo un'altra via.

– È più breve?

– È istantanea.

– Vuoi dire che avete una specie di teletrasporto?

– Esatto, un atomotrasferitore.

Micol sorrise. Avrebbe visto un altro miracolo tecnologico dei sorprendenti Araluim. A Davis invece quell'idea non sorrideva affatto. Neppure Isaac e Daniel erano molto felici di quel cambiamento. Ma a esprimere i propri dubbi fu per primo Nele.

– Non mi piace per niente. Io preferirei la strada che conosciamo già.

– Ma andiamo, ci risparmieremo un sacco di fatica – commentò Raoul.

– E se ci dissolviamo nel nulla? – disse Homar.

Micol sbuffò.

– E va bene, mettiamola ai voti.

– Sì, mettiamola ai voti! – approvò Nele.

– Scusate se vi interrompo, ma non avete scelta – comunicò pacatamente Keira.

– Vuoi dire che non siamo liberi di tornare per la strada che decideremo?

– È per il vostro bene. Voi verrete con noi.

Gli otto umani si zittirono. Se gli Araluim li consideravano loro prigionieri, non volevano saperlo. L'unica che faceva eccezione era Genesis, che di essere schiava o prigioniera non voleva più saperne.

– Keira, ci considerate vostri ospiti o vostri prigionieri?

– Ma come puoi pensarlo, Genesis? Ovviamente siete nostri ospiti e spero anche alleati. Certo, capisco perfettamente che la decisione ultima di aiutarci spetti al vostro popolo, ma noi apprezziamo intanto la tua offerta.

– Grazie per il chiarimento.

– Mi spiace, non pensavo ce ne fosse bisogno. Il vostro bene è anche il nostro.

 

– Ahsan! Come hai fatto a entrare? Come mai nessuno ti ha annunciato?

– Poco importa. Ti trovo bene, Gaspar. E stai tranquillo, non voglio approfittare del tuo tempo. Immagino tu sia molto impegnato in questo momento. Sono qui soltanto per informarmi sulle tue intenzioni. L'ultima volta che ti ho visto, se non sbaglio, stavi cancellando ogni forma di vita da una vasta zona dell'Africa. Sei ancora dell'idea che gli umani siano un abominio da spazzare via dal pianeta?

Gaspar si guardò attorno, abbracciando con lo sguardo le numerose opere d'arte esposte nel salone.

– Con il tempo, gli umani cambiano. Di sicuro non sono stati degli animali selvaggi a creare tanta bellezza.

– Ma tu non cambi.

– Ti sbagli, Ahsan, sono cambiato anch'io. Adesso la penso esattamente come te.

– Allora non mi combatterai?

– Vuoi dire che tutto questo caos è stato opera tua?

– Non ha alcuna importanza. Quello che conta è lo scopo ultimo di questa battaglia. La intralcerai?

– No, sarà più divertente stare a guardare.

– Ricordati che so dove trovarti.

– Purtroppo non posso dire lo stesso di te.

Riaffiorarono lontani ricordi. Eppure, indulgere nelle visioni del passato non è mai una buona idea quando non si può tornare indietro. La condanna all'interdizione perenne sembrava così definitiva. A meno che... A meno che non mutino le condizioni di chi ti ha inflitto la pena. La cosa più tremenda era essere tagliati fuori dalle comunicazioni, non sapere cosa stava accadendo ai mondi là fuori. La pace imposta con la forza non è che una nuova forma di guerra. Se gli antichi bollori erano stati spenti, ugualmente sotto la cenere covava la brace ardente della speranza di tornare a casa, fosse pure un mondo oppresso e disperato o, nella migliore delle ipotesi, un mondo che lentamente si stava ricostruendo. Era tempo di andare a vedere, era tempo di ritentare la fuga.

 

Peter non ci poteva credere. Marius era di nuovo nel Palazzo del Presidente, ma ora il suo nome era Gaspar Santander. Come mai a Marius Kappa era concesso frequentare il Palazzo, chiunque ci si fosse stabilito? Quale entità sovraistituzionale rappresentava? Perché ormai era fuor di dubbio che il suo ruolo non fosse quello di semplice agente OP. Marius doveva essere molto di più. E quello che era, per qualche oscuro motivo, doveva essere tenuto segreto. Peter era divorato dalla curiosità. Anche se era assolutamente contrario a tutte le regole, voleva trovare il modo di intercettare le conversazioni che avvenivano all'interno del palazzo. Gli sarebbe bastato collegarsi alle celle della società interna HiGens. La prossima volta che Marius si fosse incontrato con Santander, finalmente avrebbe saputo.

 

– Come vedi, Homar, non ti dissolverai. Poco fa Antrel si è trasferito con il materiale e ora è qui. Come ti senti, Antrel?

– Keira, possiamo fare a meno di queste sciocchezze? Non credo ci sia bisogno di trattarli come infanti: mi sembrano adulti e con la loro venuta qui si sono dimostrati intraprendenti, coraggiosi e capaci. Tutto il materiale è stato trasferito. Adesso possiamo trasferirci anche noi. Ci stanno aspettando.

Genesis aveva potuto vedere con i suoi occhi almeno una decina di Araluim svanire dalla postazione del Tramol insieme a svariati contenitori composti da un materiale simile all'alluminio. L'unica informazione che le mancava era il luogo dove si sarebbero trasferiti. Gli Araluim lo chiamavano Farkey, ma non sapeva di quale luogo si trattasse.

Lo scoprirono presto, dopo essersi sottoposti all'azione del temuto Tramol. Nele fu l'unico a sentirsi male.

– Credo sia effetto dello stress – lo consolò Genesis.

– Ti sbagli. Si è cagato sotto dalla paura – la corresse Isaac, menando colpetti consolatori sulle spalle del compagno, bianco come la neve.

– Ma dove siamo? – domandò Micol, guardandosi attorno.

Si trovavano in una stanza dalle pareti curve, di un metallo azzurrognolo, senza giunture, perfettamente liscio e levigato.

Keira li guardò sorridendo.

– Siamo sulla Farkey, la mia astronave. Le mie compagne stanno istallando il sistema di difesa che dobbiamo sperimentare. Nel frattempo, se potete mettervi in contatto con i vostri comandanti, potremo iniziare le trattative.

– Noi non abbiamo comandanti. Decide l'assemblea dei clan riuniti.

– Beh, è lo stesso. Vieni qui Isaac. Questo è il nostro comunicatore. Conosci la frequenza per contattare Hypogeum?

– No, mi dispiace. Temo che nessuno di noi ne abbia idea.

– Questo è un problema.

Genesis si fece avanti.

– Il vostro Tramol funziona soltanto da Damkin all'astronave?

– Avevamo le coordinate di un punto al terzo livello dalla superficie, ma non sappiamo in che condizioni sia. Potrebbe essere molto pericoloso trasferirvi alla cieca.

– I livelli sono perfetti fino al passaggio dal settimo all'ottavo.

– Si potrebbe provare con un oggetto inanimato, andata e ritorno. Se ritorna integro, il punto è buono – propose Micol.

– Hai ragione. Proviamo – accettò Keira.

– Un momento. Se trasferiamo una cassa vuota con un visore appoggiato sopra, potremmo anche vedere dove avviene il trasferimento e in che condizioni è il posto, no?

Keira si voltò verso Nele.

– Sì, è un'ottima idea. Vuoi preparare tu il trasferimento?

– Sì, con piacere.

Genesis pensò che Nele volesse farsi perdonare la brutta figura. Ma non immaginò che arrivasse fino a offrirsi volontario, una volta che furono sicuri che il luogo del trasferimento fosse adeguato.

Micol lo prese un po' in giro, ma Nele si dimostrò impermeabile alle sue battute.

– Preferisco mettere termine al più presto a questa esperienza. Non mi piace il trasferimento atomico, ma ancora meno restare su questa astronave.

Prima che svanisse dal Tramol, Keira gli consegnò le frequenze per il contatto.

 

A Hypogeum era in pieno fermento la discussione, quando la sala delle assemblee fu percorsa da una corrente di curiosità e sollievo, alla vista di Nele che si portava al centro dell'emiciclo. Fu subito sommerso da una cacofonia di saluti, domande e rallegramenti.

Poi Marius impose il silenzio.

– Bentornato, Nele. Dove sono gli altri?

– Stanno bene. Scusate se per il momento non mi dilungo nel racconto della nostra esplorazione. Per questo ci sarà tempo. Adesso mi preme che sappiate che sono qui perché gli Araluim vogliono parlarvi. C'è la possibilità che ci aiutino a distruggere i droni in una zona specifica. Mi hanno fornito le frequenze per comunicare con loro.

Marius si rivolse a Fryda.

– Possiamo farlo da qui?

– Certo. Datemi cinque minuti.

– Fai pure con calma – disse a Fryda. E poi tornò a rivolgersi a Nele.

– In che modo pensano di abbattere i droni?

– So soltanto che stanno per ritentare la fuga dal pianeta e che a questo scopo  Keira ha escogitato un sistema difensivo che potrebbe far superare il satellite di controllo senza danni, ma gli altri vogliono prima testarlo. Così Genesis ha proposto di sperimentarlo contro i droni. È una soluzione vantaggiosa per tutti: gli Araluim testano il loro sistema e noi ci sbarazziamo di un po' di ferraglia volante.

– Gli Araluim vogliono ritentare la fuga, hai detto?

– Sì, è proprio questa la loro intenzione.

– Capisco.

– E per i droni? Che cosa ne pensi?

– Gli armamenti a disposizione del satellite saranno sicuramente più sofisticati di quelli dei droni, ma potrebbero costituire un ripiego passabile.

– Come fai a saperlo?

– Andiamo! Stiamo parlando di una civiltà mille volte più progredita di questa.

– Non lo sappiamo. Abbiamo fatto molti progressi...

– Ho finito – li interruppe Fryda.

– Allora fatti dare le frequenze e chiamali – le consigliò Marius, allontanandosi.

– Ma dove vai? – domandò Nele.

– Bisogna farlo sapere subito agli altri gruppi. Non siamo solo noi a essere coinvolti nell'Operazione Tracollo.

– Ma potevo metterli tutti in comunicazione da qui! – disse Fryda. Però Marius era già uscito dalla sala.

 

Genesis fu molto delusa di non poter comunicare con Marius e le sembrò molto strano che preferisse collegarsi con gli altri gruppi ribelli piuttosto che con gli Araluim. Ma sapeva perfettamente che lui agiva sempre in modo consapevole e razionale. Doveva aver avuto i suoi buoni motivi.

Keira parlò all'assemblea. Da parte loro, gli hypogei posero molte domande. Infine giunse un messaggio da Marius, che nel frattempo aveva stabilito con le altre basi che il luogo migliore per l'esercitazione fosse l'Africa, dove non avevano contatti, né modo di combattere i droni. L'unica richiesta era di potersi coordinare in modo da far scattare l'attacco contemporaneamente in tutti i continenti.

L'assemblea votò a favore all'unanimità. Keira accettò l'indicazione e nello stesso tempo l'invito a coordinarsi, salvo che gli altri Araluim non fossero in disaccordo. Marius tornò in superficie subito dopo.

 

– Sei di nuovo qui, Ahsan? Ti piace questo Palazzo, vero?

– Hai già saputo, Gaspar?

– Che cosa?

– Quelli di Damkin vogliono tornare a casa.

– Sì, lo so. Non vedo l'ora.

– Perché non me l'hai detto?

– Ti cambia qualcosa?

– Il tempo stringe.

– Sai una cosa? Da tempo sto studiando uno schermo difensivo che ci protegga dai fulmini di quel tramaglio inviolabile. E c'è sempre qualcosa che non funziona. Sarà un disastro anche questa volta. Quindi, stai tranquillo. Non riusciremo a passare. Di tempo ne avrai quanto ne vuoi.

– Allora pare che Keira sia stata più brava di te. Lei ci è arrivata. Testerà il sistema tra poco.

– Finalmente una buona notizia. E dove?

– Qui, sul pianeta.

– Davvero? Ma non erano proprio loro che sostenevano che interagire con la superficie fosse un crimine?

– In ogni caso, grazie a te, l'Africa è già rovinata. Non credo che farà differenza.

– Già. Bene, in fondo hai ragione tu, il tempo stringe. Allora convoco l'adunanza.

– Ottima idea.

– Scusa se mi è sfuggito di intrufolarmi nei tuoi pensieri, ma non avrai tempo per la tua guerra. Dovrai lasciarli fare. Sono finiti da un pezzo i tempi degli dei.

– Lo so.

 

Peter Walth si rese conto che a Palazzo collegarsi con le celle video non serviva a nulla. Sapeva con sicurezza che Marius vi era entrato, ma nessuna delle celle lo aveva rilevato. Nel contempo, non c'era traccia neppure del Presidente, la qual cosa dimostrava con assoluta certezza che esistevano locali esentati dal controllo di sicurezza. Questo avvalorava l'ipotesi che Marius s'incontrasse con il Presidente in segreto. La chiave di tutto era Marius. Poteva denunciarlo, farlo porre sotto esame e estrarre da lui ogni più piccola informazione. L'OP doveva sapere.

 

L'idea di Fryda che l'Hermes potesse rivelarsi valido anche in trasmissioni via etere incuriosì Keira, che volle provarlo. Il successo del tentativo permise loro di stabilire una connessione sicura, oltre che con le basi dei ribelli anche con la Farkey. Era essenziale che l'OP non venisse a conoscenza anzitempo dell'Operazione Tracollo. Fino a quel momento erano stati i Canguri infiltrati nei cinquanta centri OP a occuparsi di occultare e far sparire ogni pur minima prova dell'esistenza delle cellule. E non era sempre stata un'impresa facile. Ora potevano rilassarsi. Finalmente si sentivano al sicuro.

Passò del tutto inosservata una notizia trasmessa durante le news della notte. Un gruppo di addetti fuggiti da una centrale atomica in Giappone erano stati scoperti e recuperati nell'isola di Fukuoka, in una grotta chiamata Roukan do. Ora l'OP li stava interrogando.

Peter Walth, parlando tra sé e sé, commentò con un – Pensavano di trovare cibo e letto in una grotta? Che idioti!

Marius, che stava entrando in quel momento, lo udì e subito gli scattò un campanello d'allarme.

– Parli da solo, Peter?

– Sì, ho appena sentito le news. Pensa che un gruppetto di addetti alle centrali, in Giappone, è fuggito per rintanarsi in una grotta. Li hanno trovati mezzi morti di fame. Come si fa a essere così stupidi? E quelli dell'OP li stanno pure interrogando. Che immensa perdita di tempo! Non hanno di meglio da fare da quelle parti?

– Sai com'è, il Giappone è uno dei luoghi più noiosi della Terra.

Peter rise.

– E già, anche quello diventa un diversivo. Tutto, pur di non lavorare...

Marius si allontanò in fretta per collegarsi sulla linea tht con Fryda.

– Avvisa Jolla che hanno scoperto la cellula in Giappone. Se possono spostarsi in fretta è meglio, molto meglio per tutti.

Ma Perez e i suoi non potevano spostarsi da nessuna parte. I loro tunnel erano tutti bloccati.

– Questa volta è la fine, Fryda. Sono sicuro che ci scoveranno presto.

– Posso disturbare? – si aggiunse Genesis, che rimaneva in ascolto molto spesso, anche solo per tenersi aggiornata.

– Genesis, sei tu?

– Sì, Fryda. Se Perez ha bisogno di un passaggio da qualche parte, possiamo andare a prenderli. Keira si è offerta di aiutarci.

– Sarebbe grandioso, ma metteremmo in pericolo tutta l'operazione se i droni vi dovessero intercettare, come credo che accadrebbe.

– Keira dice che non ci vedrà nessuno.

– Come sarebbe?

– Il suo congegno rende l'astronave praticamente invisibile a tutti i sistemi di osservazione. È proprio per questo che l'ha progettato. Inoltre lo schermo al plasma dovrebbe far rimbalzare qualunque tipo di arma.

– Perez, hai sentito? Che ne pensi?

– Si può tentare. Ma poi dove ci porterebbero?

– A Hypogeum c'è posto per tutti – propose Fryda.

– E mi spieghi come facciamo a scendere in piena megalopoli? L'astronave di Keira sarà pure invisibile, ma noi no.

Genesis e Fryda risero contemporaneamente.

– Cosa c'è da ridere, signore?

– Non preoccuparti, abbiamo una soluzione anche per quel problema. Voi sbrigatevi a impacchettare la vostra roba, che vi veniamo a prendere.

– E va bene, mi affido a voi.

 

Peter Walth studiò bene l'ultimo messaggio di Marius. Che cosa significava esattamente? "Avvisa Jolla che hanno scoperto la cellula in Giappone. Se possono spostarsi in fretta è meglio, molto meglio per tutti." Cellula sembrava la parola chiave. Quei quattro disperati fuggiaschi in Giappone erano una cellula. Ma di che cosa? E chi era Jolla? Peter era sempre più confuso. Gli strani interessi di Marius non si limitavano quindi alla già vasta area della megalopoli, ma si estendevano molto oltre, fino in Giappone, addirittura. Cosa c'era in Giappone? Centrali, per l'esattezza un numero non indifferente di centrali atomiche. Le sue ricerche gli fornirono poi un'altra spiegazione su che cosa, anziché chi, potesse essere Jolla. Era il nome di un luogo, sulla costa dell'America che si affacciava di fronte al Giappone. Una coincidenza? Non poteva più aspettare. Era inevitabile che dovesse essere Marius a chiarire tutto. Ma quando si decise a cercarlo, era sparito.

 

Marius, di ritorno a Hypogeum, ancora preoccupato, si ritrovò davanti a Perez in carne e ossa. Per accertarsi che non fosse un ologramma, allungò la mano per toccarlo. Per una volta tanto rimase davvero stupito.

– Perez? Come sei arrivato qui?

– Si sono dimenticati di avvertirti, vedo.

– No, non mi sono dimenticata, è che non mi fido della linea tht. Meno la usiamo e più mi sento tranquilla – disse Fryda.

Nel frattempo il cervello di Marius si era messo a lavorare alacremente.

– Keira?

– Sì, con l'aiuto di Fryda e Genesis, naturalmente.

– Naturalmente. E in quanti siete?

– Centoventi.

– Davvero entrano centoventi persone sulla Farkey?

– No, hanno portato giù da noi a Jolla un terminale del Tramol e con quello ci siamo trasferiti direttamente qui.

– Ingegnoso. Adesso però l'America è scoperta.

– La Farkey ha le coordinate per tornare là, – lo informò Fryda – inoltre Genesis ha avuto l'idea di prendere le coordinate di tutte le cellule, così se dovessero nascere altri problemi, si possono prelevare i ribelli e spostarli sulla Farkey, che può fare da ponte per trasferirli qui.

– E se dovessero scoprire noi? – obiettò Marius.

– Ce ne andremmo tutti giù a Damkin, no? Basta arrivare al terzo livello.

– Spero che non ce ne sia mai bisogno.

– Un'altra cosa, Marius. Keira vorrebbe sapere quanto ancora vogliamo aspettare. I suoi compagni stanno diventando irrequieti.

– I Canguri sono tutti pronti. I programmi di hackeraggio sono in fase. Le basi stanno facendo il conto alla rovescia. Direi che manca solo il ritorno degli archeologi e si può iniziare la festa.

– La squadra esplorativa ha deciso di restare sulla Farkey, per seguire il test. Ci hanno preso gusto, Marius. Credo che l'altitudine gli abbia dato alla testa.

– Come preferiscono. Non sarà più pericoloso che stare in superficie.

– Marius, prima che mi dimentichi, abbiamo elaborato un microterminale Hermes. Non usare mai più la linea tht, è troppo vulnerabile. E in questo momento non ce lo possiamo permettere.

 

Grazie alle novità di cui Ahsan l'aveva reso partecipe, Gaspar Santander era molto soddisfatto. Finalmente il momento era giunto. Inoltre, la scoperta dei livelli sotterranei di quella augusta dimora l'aveva piacevolmente sorpreso. A questo proposito, Ahsan si era rivelato una fonte d'informazioni inaspettata. L'adunanza era stata indetta per quel giorno. Gli Araluim erano giunti a Palazzo alla spicciolata, alcuni entrando dal portone principale, altri intrufolandosi dalle porte laterali. Ora si trovavano riuniti nel bunker, in un immenso salone rivestito di preziosi arazzi d'epoca indecifrabile. All'ordine del giorno c'era il tema più temuto e insieme più desiderato da tutti loro, la fuga dal pianeta prigione e il loro ritorno a casa. Per prima cosa Gaspar informò i presenti dell'esistenza del congegno progettato da Keira.

– Per superare la rete, quindi, dovremo prima sottrarre a Keira i progetti di quel sistema. Non sarà facile, comandante.

– No. Prima di pensare a una nuova guerra, io propongo di trattare – disse Gaspar.

Come già si aspettava, ci fu una certa agitazione tra i presenti. Uno di loro urlò:

– Certo, trattare, come l'ultima volta!

Gaspar era ben consapevole dei terribili ricordi lasciati dalla lotta senza esclusione di colpi che aveva posto l'una contro l'altra le due fazioni in cui si erano divisi gli Araluim, fino a metterne in pericolo la stessa sopravvivenza.

– Riflettete. Eravamo appena usciti da una guerra terribile, eravamo tutti più giovani, e l'esilio ci faceva impazzire. Ci siamo lasciati trascinare per inerzia. Adesso che ci siamo calmati e abbiamo assaporato millenni di pace, sono certo che da ambo le parti saremo più inclini a una tranquilla forma di compromesso, e forse persino di accordo. In fondo siamo tutti Araluim e siamo tutti nella stessa situazione.

– E tratteresti tu con Keira? – lo sfidarono.

Gaspar sorrise.

– No, credo che lo farà Ahsan.

– Ahsan il traditore?

– Ahsan il neutrale. Non è mai stato né dalla nostra parte, né dalla loro – affermò il comandante, con decisione.

– No, infatti, stava dalla parte degli umani – disse sprezzantemente uno di loro.

– E tu credi davvero che abbia l'autorevolezza per ottenere quello che vogliamo? – chiese un altro, perplesso.

– Io ritengo di sì.

 

Ahsan accettò l'invito di Gaspar, anche se proprio in quel momento aveva impegni piuttosto pressanti.

– Niente preamboli, Gaspar, vai subito al sodo. Come sai, non ho tempo da perdere.

– E io non te ne farò perdere. La mia richiesta è semplice. Vogliamo tornare a casa anche noi, quindi ci serve il congegno di Keira. Vorremmo che fossi tu a parlargliene. Tu sei sempre stato neutrale, quindi saresti senza dubbio il più idoneo.

– Io? Proprio io? Keira e i suoi non mi apprezzano più di quanto non mi apprezziate voi. Com'è che mi chiamavate tutti? Aspetta, non ricordo...

– Traditore. E anche disertore, qualche volta.

– Esatto. E adesso vorresti che fossi proprio io a trattare la vostra pace? Perché è di questo che stiamo parlando, vero?

– Vero. Torniamo a casa tutti insieme, così come siamo partiti.

– Già.

– Ahsan, forse non mi crederai, ma io adesso ti stimo veramente. Hai fatto molto, senza ricevere nulla in cambio. Scommetto che nessuno ti ha mai ringraziato per quello che fai.

– No, infatti, ma non è per ottenere questo che agisco.

– Non ne ho mai dubitato. Ed è il motivo che mi spinge ad affidarti un compito tanto delicato. Solo tu puoi farlo.

Ahsan meditò per qualche istante.

– È vero, nessuno mi ha mai ringraziato. Ma questa volta non mi limiterò a pretendere un semplice ringraziamento. Voglio molto di più.

– Credo che tu stia per ricattarmi.

– Infatti. Voglio che in cambio aiutiate i ribelli a liberarsi dell'OP.

– Quali ribelli?

– Quelli che tra poco scateneranno il finimondo su questo pianeta.

– Ahsan!

– Gaspar!

– Che cosa vogliono ottenere?

– La libertà. Un sistema diverso, totalmente diverso, senza caste, senza costrizioni. Questi uomini sono in possesso di tecnologie fantastiche, che possono cambiare questo mondo nel giro di pochi anni, che possono trasformarlo dall'inferno che è oggi a una sorta di paradiso.

L'espressione dubbiosa di Gaspar non spense l'entusiasmo di Ahsan.

– È davvero un nobile scopo. E come li dovremmo aiutare?

– Cominciate a spolverare le vostre astronavi e a lucidare le vostre armi. Sarà una guerra.

– Per essere uno che si è sempre mantenuto neutrale, ti sei lasciato coinvolgere per bene, Ahsan. Non me l'aspettavo.

– Glielo dobbiamo.

 

Se Fryda non aveva mai avuto alcun dubbio sulla sanità mentale di Marius, quella mattina l'idea che non fosse propriamente in sé le sfiorò la mente. Ma fu quel genere di pensiero che si caccia via con fastidio, giustificando i comportamenti più bizzarri con il peso dello stress. Tutto sommato, stavano per sferrare un colpo mortale all'OP. Nessuno di loro era davvero in sé, altrimenti non ci avrebbero nemmeno provato. Tuttavia la richiesta di Marius le apparve quantomeno strana. Chiese a tutti di uscire dal comando centrale della stazione di sorveglianza esterna. E sebbene stupiti, i presenti acconsentirono.

Al loro rientro nella sala, Marius comunicò le novità.

– Signore e signori, vi annuncio che gli Araluim al completo sono nostri alleati.

Fryda si fece avanti, bruciando in velocità i suoi compagni.

– Che vuol dire al completo?

– Vuol dire sia quelli di Damkin che quelli di superficie.

– Ma come hai fatto?

– Lasciatemi mantenere qualche segreto.

– E adesso? A che ora si comincia? – domandò Elias, che fremeva dalla voglia di cominciare l'attacco.

– Per poter mettere tutti nelle condizioni di combattere, Keira dovrà prima distribuire il suo congegno agli Araluim di superficie.

– Ma non è ancora stato testato – obiettò Fryda.

– Hanno deciso di lasciar perdere. Se non funziona con i droni, resteranno qui. Ma almeno collaboreranno in pace. Inoltre anche voi potrete essere utili. Non sottovalutatevi.

– Perché adesso parli come se non facessi più parte di Hypogeum?

– Davvero?

– Avresti dovuto dire "noi potremo essere utili. Non sottovalutiamoci."

– Da quando sei diventata così pignola con il linguaggio?

– Da quando ti comporti in modo strano. Per esempio, perché hai voluto parlare da solo con Keira?

– È una richiesta che mi è stata fatta, e in ogni caso non vedo quale sia il problema.

– Ti stai comportando come se agissi in maniera indipendente, o come se fossi il nostro leader, ma in realtà nessuno ti ha eletto. Questa è una comunità paritaria. Adesso, invece, improvvisamente, sembra che sia tu a guidarci. Non ti degni nemmeno di fornirci notizie di cui sei a conoscenza. Ma non puoi decidere anche per noi.

– Hai perfettamente ragione. Abbiamo mancato a una delle regole fondamentali. In guerra ci vuole una gerarchia. Dobbiamo discuterne.

 

Keira programmò con cura l'intervento dei suoi, poi con calma, comunicò con gli altri comandanti Araluim, per informarli che i dissidenti avevano finalmente accettato la pace tra le due fazioni e avevano richiesto di montare il sistema difensivo per ritentare la fuga. Gli Araluim di Damkin ci avevano sempre contato, anche se non si erano ancora spesi in ricerche per contattare i compagni dispersi in superficie. Nessuno avrebbe mai immaginato che a fare da mediatore sarebbe stato proprio Ahsan, l'unico che non si era schierato né da una parte né dall'altra. La sua nave inoltre era stata distrutta durante la guerra, come alcune altre. Per tornare a casa tutti assieme avrebbero dovuto fare un censimento dei reduci, con la relativa assegnazione alle altre navi. Di questo avevano già discusso ampiamente. Se ci fossero stati problemi di affollamento, una parte di loro avrebbe viaggiato in stasi.

Genesis fu messa al corrente della situazione in una riunione informale indetta in plancia. Erano presenti anche i suoi compagni. Ascoltando le novità, Genesis pensò che c'era qualcosa che non quadrava. Fu Isaac, però, a porre la domanda che doveva chiarire i particolari di quella nuova e imprevista fase.

– E quanto ci vorrà per costruire il numero opportuno di congegni?

– I congegni sono già pronti, uno per ogni nave, più qualcuno di riserva.

– Allora sapevate già che i vostri compagni in superficie avrebbero aderito al progetto di fuga.

– Ne eravamo convinti.

– E quanto ci vorrà per la distribuzione e il montaggio?

– Domani avremo un rendez-vous con le navi dei dissidenti. Ognuna di loro accoglierà un tecnico, che monterà il congegno. In due ore sarà tutto pronto e da quel momento potremo iniziare le ostilità. Abbiamo chiesto a Marius di stabilire dove esattamente dobbiamo colpire.

– Dovranno indire un'assemblea e poi discutere le decisioni con le altre basi. Ci vorranno un paio di giorni per prendere le decisioni.

– Scusami se m'intrometto, Isaac, ma non si può entrare in guerra in questo modo. Ci vuole qualcuno che possa prendere decisioni rapide, assecondando il veloce flusso degli eventi. Non potete indire un'assemblea per prendere ogni singola decisione. Altrimenti subirete certamente una disfatta.

– Probabilmente hai ragione, ma la nostra è una comunità paritaria, dove ciascuno ha il suo peso.

– Se entrerete in guerra con l'OP in questo modo, non avrete scampo.

Isaac sembrò cedere all'improvviso.

– Vorrei discuterne con Hypogeum.

– Approvo la tua decisione. Ne hai il tempo.

Ma ancor prima che potessero discuterne tra loro, la squadra esplorativa fu contattata da Fryda, per partecipare all'assemblea già indetta da Marius. Per l'occasione furono convocati anche gli agenti infiltrati nell'OP e tutti quelli che in superficie svolgevano varie mansioni. Si presentarono coloro che riuscirono a disimpegnarsi senza destare sospetti. Marius espose con chiarezza le sue idee, spiegando i motivi che lo spingevano a proporre un nuovo assetto per i ranghi dei combattenti ribelli. Gli agenti furono i primi a dare manforte a Marius, perché sapevano perfettamente quale efficienza e velocità d'azione scaturissero da un sistema militare gerarchico. Per gli altri, che sentivano questa trasformazione come una riduzione del loro diritto a decidere, fu più complicato. Ma quando alla fine si andò ai voti, la maggioranza fu netta. Subito dopo si passò a eleggere il comandante delle operazioni. Inevitabilmente le preferenze andarono a Marius Kappa. Molti si erano resi conto che sin dall'inizio era già considerato il leader. Inoltre, l'aver portato a termine, praticamente da solo le prime due fasi della loro strategia, non faceva che muovere inevitabilmente a suo favore. Anche Keira ne fu molto soddisfatta.

Il comandante Marius ora doveva muovere le sue pedine.

Prima di chiudere il collegamento con la Farkey, che aveva permesso alla squadra esplorativa di votare, Marius s'informò su di loro.

– State bene sulla Farkey?

– Benissimo.

– Vedo anche Genesis. Sempre decisa a restare lassù?

Le attenzioni di Marius la colmarono di piacere.

– Qui mi sembra di rendermi utile, ma se hai bisogno di me, arruolami pure.

Marius rise.

– Sei già stata arruolata da tempo. Ricordati di Ubris.

– Difficile dimenticarlo. Ma ho sentito dire che adesso c'è un altro al suo posto. Avete già valutato l'influenza che potrebbe avere sull'attacco all'OP?

– Di lui non dovremo preoccuparci. È dalla nostra parte.

– Come lo sai?

– Sarebbe lungo da spiegare. Adesso devo occuparmi dell'operazione. Spero di rivederti presto, di rivedere tutti quanti voi. Coraggio e fermezza!

Scomparso l'ologramma, Genesis si rivolse agli altri.

– Il nuovo Presidente è dalla nostra parte? Che ne pensate?

– Se me l'avesse detto un altro, non ci avrei creduto, ma Marius pesa sempre le parole. Se lo afferma, dev'essere vero.

– Mi piacerebbe sapere come fa a saperlo.

– Ha parlato con lui – disse Keira.

– Ha parlato al Presidente? E a quale titolo?

– Gaspar è uno di noi.

Un silenzio improvviso calò sulla plancia. Nessuno se l'aspettava.

Genesis continuò a pensare che c'era qualcosa di strano in tutta quella storia. Marius sembrava sempre al centro di tutto. Anzi, c'erano momenti in cui era proprio il centro, come se tutto girasse intorno a lui. Anche i suoi pensieri. Del resto, se non si era trasformata in un mucchietto di cenere sotto il cumulo di macerie della Pandora, o meglio, se non stava marcendo nella schiavitù dell'harem di Ahmin Ahmed, lo doveva a lui. A lui doveva la scoperta di un luogo diverso in cui vivere, lontano dalla megalopoli e probabilmente anche la partecipazione a quella esplorazione che l'aveva messa in contatto con gli Araluim. Non si sarebbe stupita di scoprire che Marius avesse caldeggiato la sua partecipazione a quella spedizione, quando lei gliene aveva espresso il desiderio. Avevano votato anche in quel caso?

 

Gaspar si allontanò dalla sua residenza, senza avvertire nessuno e senza fornire ragguagli sulla sua destinazione. Quale unico Presidente delle Fondazioni Riunite, era sua prerogativa. I dirigenti appena nominati si guardarono bene dal porre domande. Erano più che mai impegnati a spendere le loro energie per dimostrare il loro valore. Quel giorno, nel bel mezzo dell'Oceano, dove non giungevano a volare i droni, si riunirono le gloriose astronavi dell'esercito Aralu, che avevano visto la luce nella costellazione di Schwerta. Erano antiche, lontane da casa, eppure sembravano la cosa più moderna, più splendente e più affascinante che gli hypogei avessero mai visto. Il Tramol restò in azione per tutta la mattina. Per portare a termine il loro compito, infatti, i tecnici impiegarono più delle due ore previste, dal momento che era fondamentale fornire accurate istruzioni per l'utilizzo del nuovo sistema difensivo.

All'altro capo della rete di comunicazione, attraverso Keira, Marius riceveva i loro messaggi di avvio del sistema.

Il terminale miniaturizzato ricetrasmittente, progettato da Fryda e i suoi, era simile a una pallina di gomma morbida, con la caratteristica di adattarsi al padiglione dell'orecchio e aderirvi a ventosa, tanto da risultare quasi invisibile dall'esterno. Il lavoro al laboratorio di Hypogeum si svolgeva freneticamente, per far fronte alle richieste di nuovo materiale. I terminali miniaturizzati di Hermes avevano impegnato tutti quelli che potevano accedere alle apparecchiature. Gli hypogei avevano sempre creduto che quel laboratorio occupasse troppo spazio e che quindi fosse troppo grande, ma in quel frangente si resero conto che bastava a malapena.

Una volta che tutti si furono dotati di terminali Hermes, il sistema tht fu definitivamente abbandonato. Fino a quel momento era stato il punto debole dell'intera operazione Tracollo. Se l'OP avesse intercettato le loro comunicazioni, sarebbe stato un vero guaio per tutti.

 

Alla Centrale OP del III quadrante, però, Peter Walth aveva messo in moto qualcosa che era ben più di un guaio per l'operazione Tracollo. Appena messo piede alla Centrale, Marius Kappa era stato segregato sotto l'accusa di complotto contro le istituzioni. La squadra preposta agli interrogatori lo trattò come un comune schiavo sottoposto a indagini. Aveva fatto appena in tempo ad attivare il comunicatore Hermes, prima che gli venissero legate le mani dietro la schiena.

Dal suo terminale, Fryda ricevette l'audio di quanto stava avvenendo intorno a Marius, restandone sconvolta. Lanciò immediatamente l'allarme a tutti gli agenti infiltrati OP, ai clan di Hypogeum e per finire anche a Keira.

– È gravissimo che il vostro comandante sia già nelle mani del nemico, ancor prima di cominciare a combattere.

– Sì, è gravissimo. Non abbiamo molto tempo prima che entrino nel suo cervello e scoprano la nostra esistenza e i nostri piani – ammise Fryda.

Gaspar Santanter, che si trovava per la prima volta in visita sulla nave di Keira, si avvicinò al comunicatore.

– Non vi preoccupate. Ci penso io.

 

Marius li tenne a bada con i suoi metodi, ma poteva influenzare un solo agente alla volta. La squadra però era al completo, quattro agenti ben addestrati, completamente privi di scrupoli e armati di una volontà di ferro, il cui unico scopo nella vita era portare a termine il loro compito, cioè estrarre dalla mente del malcapitato ogni sorta d'informazione. Gli agenti si stupirono, reciprocamente, dell'indecisione che scorgevano nei propri compagni. Tuttavia non riconobbero, in ciò che stava accadendo, un'influenza esterna, imputando quell'irresolutezza al fatto che si trattava di un collega. In fondo lo spirito di corpo era un valore, uno dei pochi che si potevano permettere nella loro posizione. Inoltre Marius aveva ben presto sovvertito la situazione, ponendo domande che non si aspettavano, fino a convincerli che c'era qualcuno che stava insinuando sospetti tra di loro per dividerli, in modo che nel frattempo coloro che a ragione dovevano essere perseguiti potessero far perdere le loro tracce.

In mezzo a questo rovesciamento del quadro della realtà, piombò il Presidente unico delle Fondazioni, in carne e ossa. I quattro agenti salutarono impettiti, mettendosi immediatamente a disposizione, attendendo in silenzio i suoi ordini e domandandosi cosa avesse spinto Gaspar Santander a intervenire di persona nell'interrogatorio dell'agente Marius Kappa.

– Pretendo di sapere chi ha denunciato l'agente Kappa – esplose, appena entrato.

Gli agenti si guardarono l'un l'altro, indecisi, poi uno di loro rispose.

– L'agente Peter Walth.

– Portatelo qui immediatamente. E tu, libera le mani del tuo collega.

Marius si rilassò, mentre Gaspar iniziava con lui una conversazione telepatica. Il suo piano era assurdo. Trasferire Peter in una miniera sperduta nel deserto, dopo avergli posto un blocco alla facoltà della parola. Marius si oppose.

"Non riesci a vedere il tuo nemico nemmeno quando lo incontri?"

"Non esistono nemici, ma solo persone che non hanno capito il tuo punto di vista, perché osservano i fatti da una diversa angolazione. In questo caso, poi, a sua difesa c'è la perfetta ignoranza di quanto stiamo facendo e di quali siano i nostri scopi."

"Pensi che approverebbe?"

"Tutti gli uomini sani di mente approverebbero e anzi, lo faranno, non appena ci decideremo a svelare i nostri piani."

"Bene, allora cosa proponi? Che ne facciamo del tuo amico?"

"Affidiamolo a Genesis: sono sicuro che i suoi orizzonti si potranno espandere e nello stesso tempo lo terremo lontano da qui e da Hypogeum."

"E se dovesse rivelarsi un pericolo?"

"Allora decideremo."

"Comunque il blocco glielo metto lo stesso, fino a che non saremo arrivati sulla Farkey."

"Come vuoi."

Peter Walth fu condotto davanti a Gaspar Santander. A vederselo davanti, comprese immediatamente di aver compiuto un passo falso. Inoltre lo colpì la somiglianza tra lui e Marius. Entrambi erano biondi, portavano i capelli lunghi, avevano un portamento da guerrieri e lo sguardo limpido dei giusti, sebbene per l'occasione, freddo e penetrante come un'accusa. Dopo quello sguardo, non fu più in grado di pronunciare neppure una parola.

– Non c'è bisogno di spiegarvi quello che sta accadendo. Credo che l'agente Kappa l'abbia già fatto prima di me. Adesso lasciate che a continuare le indagini sia la mia squadra speciale, che se ne sta occupando da tempo. Voi potete ritornare alle vostre mansioni standard – annunciò il Presidente, prima di lasciare la stanza in compagnia di Kappa e Walth.

Walth si lasciò guidare da loro, con la mansuetudine di un agnello rassegnato al macello.

– Quale squadra speciale? – chiese un agente ai suoi compagni.

– Mai sentito nulla del genere – rispose un altro.

Il veicolo del Presidente partì a velocità sostenuta. Peter sentì lo stomaco fargli un balzo, come quando si alzava in volo sul Pegasus. Si chiese dove lo stessero portando, ma non riuscì a costringersi a domandarlo ad alta voce. Si sentiva come gli avessero messo un bavaglio. I pensieri arrivavano alla bocca, ma il normale impulso di emettere l'aria verso l'esterno articolando la voce con il sostegno di labbra e lingua non giungeva a destinazione. Il veicolo si muoveva nel più assoluto silenzio dei suoi occupanti. Evidentemente non volevano fornirgli alcuna informazione, neppure per errore. Ma quel poco che aveva sentito l'aveva turbato. Una squadra speciale del Presidente si stava occupando delle indagini? Era questo che stava facendo Kappa? Era un agente speciale, dunque. Questo era il motivo per cui entrava e usciva da Palazzo come fosse la sua seconda casa. E la ragazza? Era un agente speciale anche lei? Dunque forse non era morta nell'esplosione della Pandora.

"Hai un Tramol a Palazzo?"

"No, ci preleverà Keira. Una volta tornato alla mia nave, saremo pronti all'attacco."

"Fammi scendere al primo ingresso della sotterranea. Io torno a Hypogeum per stabilire gli ultimi dettagli."

"Coraggio e fermezza!"

 

Furono molte le domande che Peter Walth si rivolse dal momento in cui Marius Kappa scese dal veicolo a quello in cui si ritrovò in una strana stanza rivestita di metallo. Gaspar spiegò ai presenti che era stato lui a denunciare Marius, e che il comandante aveva deciso che fosse Genesis a spiegargli la situazione.

– Se fosse stato per me, l'avrei già trasferito in qualche miniera.

– Non ne dubito – commentò Keira.

– Allora ve lo affido. Io torno alla Sargaum. Vi ricordo che non avete molto tempo. L'operazione sta per partire.

"Non dimentichi qualcosa?"

"Che cosa?"

"Sarebbe gentile da parte tua se sciogliessi il blocco che hai imposto al nostro ospite."

"Ah, è vero."

– Grazie. Coraggio e fermezza – disse Keira, un attimo prima che sparisse.

Genesis comprese che il nuovo arrivato era spaesato e impaurito.

– Ben arrivato, Peter. Qui sei tra amici. Non hai nulla da temere.

Peter si schiarì la voce e provò a parlare, sentendosi improvvisamente libero di farlo.

– Dove sono? Chi siete voi? Perché sono qui?

– Avrai tutte le risposte che ti servono, ma adesso vieni con me. Dobbiamo sgombrare la plancia.

– La plancia? Siamo su una nave?

– Siamo su un'astronave.

– Cosachidoveperché?

Le domande sfuggirono a raffica dalle labbra di Peter.

– Vieni con me, ti spiegherò tutto.

– Grazie, Genesis – disse Keira, mentre la ragazza trascinava il nuovo arrivato fuori dalla cabina di comando.

In quel momento Keira aveva cose ben più importanti da fare che vedersela con le infinite domande dell'agente curioso. Persino Genesis era stata infastidita dalla mancanza di tatto con cui Peter era stato affidato a lei.

 

L'attacco partì da Hypogeum. Dopo poche ore nessuno rimpianse più il mancato contributo del Sole. In risposta alla distruzione dei sistemi informatici condotta dalla squadra di hackeraggio, gli OP fecero alzare in volo tutti i droni a loro disposizione. Era l'unico sistema rimasto in piedi, oltre che l'unico in grado di controllare a tappeto il territorio. Le astronavi araluim, in attesa nei cieli d'Africa, si lanciarono all'attacco dei droni.

– Siamo davvero invisibili. Non è nemmeno divertente combattere così – commentò Keira, distruggendo tutti quelli che capitavano a tiro.

– Sarà noioso abbatterli tutti. Ma quanti sono? – domandò Isaac.

– Signori, non siate frettolosi. Le guerre degne di questo nome durano centinaia di anni – commentò Gaspar Santander.

– Ma che succede?

– Li stanno richiamando alle centrali! Tornano negli hangar! – urlò Fryda.

– No, così non vale! – fu il commento di Gaspar.

– Accendiamo adesso? – domandò Fryda.

Marius le si avvicinò.

– Sì, accendiamo la rete! Elias, segnala l'attivazione immediata a tutte le basi.

– Subito, comandante. 

– Elias, rapporto.

– La rete funziona perfettamente.

– Africa, rapporto.

– Ci stiamo divertendo. Che ne dici se attaccassimo le centrali OP?

– Calma, Gaspar. Prima che ne dici di finire il lavoro che hai iniziato? Poi ne riparliamo.

– Ne riparliamo? Non avrei mai pensato di sentirtelo dire, Ashan.

Fryda si voltò a guardare Marius.

– Ahsan? Ti ha chiamato Ahsan?

Marius fece una smorfia di disappunto.

– Sì.

– Tu sei Ahsan? L'aralu che ha scritto il Libro d'Oro?

– Sì – ripeté Marius, controvoglia.

Fryda e tutti i presenti che avevano udito restarono di ghiaccio.

Anche Isaac, sulla Farkey, rimase interdetto per qualche secondo, poi corse dai suoi compagni hypogei per informarli della scoperta.

– Ma che dici? Hai sentito male – disse Genesis.

– Ho sentito benissimo.

Genesis ne fu sconvolta.

– Ma se è un aralu, allora anche lui tenterà la fuga dal pianeta. – disse Micol.

– Eppure non mi è mai sembrato un superuomo. Non ha mai dimostrato speciali talenti – commentò Davis.

– Fingeva. Gli Araluim sono telepatici e riescono a influenzare le nostre menti.

Gli hypogei si guardarono l'un l'altro.

– Cosa stiamo facendo? Perché abbiamo ucciso tanta gente? Era davvero l'unico modo per riconquistare la libertà?

– No. Sicuramente no. Dobbiamo fermarci subito.

– Scusatemi, potrei avere una spiegazione? Fatemi almeno un piccolo riassunto di quello che sta accadendo – li pregò Peter.

 

Non ci volle molto né per riassumere la situazione in cui si trovavano, né per chiarire il quadro generale da cui scaturivano le loro iniziative. Nello stesso tempo le responsabilità di Marius si ridussero notevolmente, quando emerse dai loro ricordi il suo comportamento. Non solo non li aveva mai incoraggiati a chiedere l'aiuto degli Araluim, ma, al contrario, li aveva sempre spinti a rendersi indipendenti, a riflettere autonomamente sulla storia del passato, confrontandola con le assurdità del presente. Marius non era un Araluim come gli altri, che si erano rinchiusi nel loro mondo sotterraneo, o come quelli di superficie che si erano costruita una nuova vita sul pianeta, ritagliandosi su misura un lotto di mondo in cui starsene comodi e beati.

– Fa lo stesso. Mandiamoli via.

– Gli Araluim non aspettano altro. Tanto non hanno mai fatto niente a nostro vantaggio. Ci organizzeremo e ricominceremo tutto da capo – disse Isaac.

– Marius però ha fatto qualcosa per voi. Non potete negarlo – obiettò Genesis.

– Ma adesso tocca a noi andare avanti.

– Prima o dopo la distruzione dell'OP? – chiese Peter.

– Non voglio che altra gente muoia – disse Micol.

– Allora andiamo a dirglielo. Marius è in collegamento Hermes.

– No, faremmo meglio a tornare a casa.

 

Nello stesso tempo, una reazione simile si stava producendo anche a Hypogeum. Fryda, Ada, Elias e Clara discussero di questo con Marius, fuori dalla portata del comunicatore.

– Come potremmo fidarci ancora di te, sapendo che sei un aralu? Come possiamo essere certi che tu non abbia un secondo fine? Non vi conosciamo abbastanza.

– Mi conoscete benissimo, invece.

– Sappiamo quanto sei bravo a recitare. Potresti farci credere qualunque cosa.

– Dimentichi che tutte le decisioni che avete preso, le avete approvate votando in assemblea. Il mio voto non è mai stato più rilevante di quello di chiunque altro. Inoltre io l'ho accettato anche quando era contrario alla mia opinione. Potete negarlo?

– No, questo no.

– Quello che stiamo facendo è stato deciso in assemblea. Se volete riconsiderare la situazione alla luce della nuova immagine che vi state formando di me, siete liberi di farlo, ma siamo nel bel mezzo di un'operazione bellica, vi sembra il momento? Se ci ritiriamo adesso, facciamo un favore agli OP, che avranno il tempo di progettare una difesa più adeguata. Le vostre indecisioni valgono questo rischio?

– Gli OP sono agli ordini del Presidente Gaspar – obiettò Elias.

– Infatti è così.

– Allora perché distruggere le sedi? Perché uccidere tutti quegli uomini? Basterà che il Presidente dia loro l'ordine di deporre le armi e di sciogliere il Corpo.

– È vero. Per il momento si potrebbe fare come dici. Ma dopo?

– Dopo?

– Già, quando non ci sarà più nessuno che...

– Ci saremo noi.

 

Keira non prese molto bene l'invasione della plancia da parte degli umani, né troppo sul serio le loro richieste.

– Non ho tempo adesso. Tornate alle vostre cabine.

– Vogliamo tornare a Hypogeum. È necessario e urgente – insistette Isaac.

– Non se ne parla. Per trasferirvi dovrei fermare la Farkey. Tornate alle vostre cabine. È un ordine.

A un suo cenno, due degli Araluim presenti li spinsero fuori dalla plancia, facendo scattare il meccanismo di chiusura del portello.

Da Hypogeum sentirono la conversazione. Fryda si voltò verso Marius.

– Non puoi fare qualcosa?

– Keira non è ai miei comandi.

– Ma sei tu che stai coordinando l'azione.

– E va bene, ma non assicuro che possa funzionare.

– L'attacco ai droni è finito da un pezzo. Cosa c'è che impedisca a Keira di fermare la sua nave?

In effetti era in corso un'esercitazione, la prima dai lontani tempi della separazione. I comandanti si sentivano un po' arrugginiti, ma oltre alla scusa di saggiare il nuovo congegno istallato, provavano di nuovo l'euforia del volo, nell'aspettativa del lungo viaggio che li attendeva. Non era stato facile distogliere Keira da tutto questo, ma una volta convinta, li trasferì con la necessaria efficienza.

 

Il ritorno della squadra esplorativa alla base Hypogeum pose uno di fronte all'altro Marius e Peter, che si era opposto a rimanere sulla Farkey, con immenso sollievo di Keira.

– Avevo capito che c'era qualcosa di strano in te – gli disse Peter, in tono accusatorio.

– Puoi vantarti di essere stato l'unico, credo.

– E adesso, quando pensi di riunirti a quelli della tua razza? Quando avete intenzione di partire?

I suoi occhi lanciavano scintille.

– Non capisco la tua ostilità.

– Non è ostilità. Sono solo curioso. Ci lascerete una qualche eredità? In fondo siamo figli vostri. Ah, no, scusa, siamo i vostri schiavi, animaletti intelligenti dalla vita corta, per fortuna. Moscerini che potete tranquillamente spazzare via con un gesto della mano.

– Mi sono sempre opposto ai miei compagni che ostentavano la loro presenza per influenzare la vostra civiltà. È stato grazie a questo che i tempi degli dei sono finiti. Quello che accade oggi non è frutto dei loro errori, ma dei vostri. E così come ne siete stati gli artefici, allo stesso modo potete correggerli. Potete ricominciare da capo, ma non da zero. Gli abitanti di questo luogo hanno creato un nuovo stile di vita, tecnologie e metodi di sopravvivenza che possono essere trasferiti in superficie, con ampio vantaggio per tutti.

– Questo me l'hanno già detto. Gli hypogei ci credono. Io, per ora, sono ancora piuttosto scettico, forse perché al momento mi sembrano solo parole.

– Allora chiedi a Clara o ad Ada di mostrarti Hypogeum. Comincia a conoscere chi ci vive e come. Guardati intorno, fatti una tua idea. Poi potrai decidere con cognizione di causa da quale parte stare. E, tanto per chiarire, io sono dalla vostra.

 

 Gaspar Santander ricevette l'invito a rientrare a Palazzo.

– Perché, Ahsan? Che succede?

– Mi hanno fatto notare che l'OP risponde ai tuoi ordini. Non c'è bisogno di distruggere le basi. Sarà sufficiente che tu dia le disposizioni per smantellare tutto.

– Lo sapevo che ci sarebbero arrivati, ma speravo di fare in tempo a divertirmi un po'.

– Smettila di giocare. Torna a Palazzo e impartisci gli ordini necessari.

– Da quando sei diventato il comandante in capo?

– Siamo ancora all'interno dell'Operazione Tracollo. Poi mi toglierò di mezzo.

– Questa tua affermazione mi dispiace. Non torni a casa con noi?

– Ma certo che torno a casa.

– E allora non puoi toglierti di mezzo. Il tuo compito è quello di fare da collegamento tra noi e loro.

– Ancora con questa storia? Mi era sembrato che aveste iniziato la riconciliazione.

– Iniziato è la parola chiave. Ma c'è ancora da lottare.

– Non direi lottare. Implicherebbe l'idea di una possibilità di vittoria. Ma se una delle due fazioni dovesse prevalere sull'altra, avremmo perso tutti. La nostra unica speranza è la riconciliazione.

– D'accordo. Mi hai convinto.

 

Nonostante i loro trascorsi insieme, Genesis cominciò a provare un freddo senso di distacco da Marius. O forse doveva chiamarlo Ahsan? Presto se ne sarebbe andato. Meglio mettere una buona distanza tra i sentimenti che aveva provato e il loro oggetto. Aveva cullato per troppo tempo quelle piacevoli illusioni. Un conto sarebbe stato tentare di conquistare Marius, tutt'altro aver a che fare con Ahsan, un aralu che si aggirava sul pianeta da millenni, un prigioniero esiliato suo malgrado, un essere di un'altra razza. Ma i sentimenti erano difficili da guidare. Benché non si fosse mai ritenuta un'emotiva, non riusciva a tenere a bada le sue emozioni, un marasma di delusione, rabbia e frustrazione. Non voleva incontrarlo. Se possibile, non voleva vederlo mai più. Ma questo non le fu concesso, dal momento che Marius andò a cercarla fino nello sperduto buco in cui si era nascosta per passare la notte.

– Genesis, ma chi ti ha assegnato questo alloggio? È indecente. Ci sono stanze libere ben più grandi e meglio sistemate di questa.

– Nessuno. Ho deciso io di stare qui.

– Domani ti troveremo una sede migliore, più vicino al centro.

– Ti ringrazio per l'interessamento, ma sto bene qui.

Marius di sedette su una sporgenza della parete di pietra, guardandola con curiosità.

– Capisco. Però non approvo.

– Non importa. Volevi parlarmi?

– Volevo vederti. Come stai?

– Sto benissimo.

– Ti stai abituando alla tua nuova vita?

– Certamente. Non devi preoccuparti per me. Hai di sicuro mille altri problemi da affrontare. Non perdere il tuo tempo con me.

– Ho capito. Anche tu mi rimproveri di essere Ahsan.

– Come potrei rimproverarti di essere quel che sei? E comprendo benissimo che tu l'abbia tenuto nascosto. Adesso però lo so, e non puoi chiedermi di ignorarlo.

– Quindi non mi salterai più al collo? Non mi sorriderai più come una volta?

– Non credo, no.

– E naturalmente non mi inviterai a dormire qui con te, stanotte.

– Non ci sarebbe abbastanza spazio per tutti e due.

– Eppure abbiamo dormito insieme in un letto piccolo come quello, nel mio alloggio.

– Non sapevo che fossi Ahsan, allora.

– Già. Adesso invece lo sai.

Marius si rattristò.

– Non pensavo che avresti reagito come gli altri, ma è ovvio. Non ti biasimo.  

Poi tirò fuori da una tasca un libro, con la copertina consunta dall'uso.

– Ti ho portato questo. So che volevi leggerlo. Buonanotte, Genesis.

Quando Marius fu uscito, Genesis prese il libro tra le mani e lo aprì nel mezzo. "Un uomo comune è troppo preoccupato di farsi piacere gli altri o di piacere a sua volta. A un guerriero piace qualunque cosa, qualunque cosa o persona che decida di farsi piacere, e questo è tutto."

– È evidente che non sono ancora un guerriero – mormorò Genesis tra sé e sé.

 

Dopo lo scioglimento dell'OP, gli Araluim divennero irrequieti. Ormai erano impazienti di partire. Ahsan fu assegnato alla Sargaum, la nave di Gaspar. La partenza della flotta era fissata per quella sera.

Fryda avrebbe voluto indire un'assemblea per salutarlo e augurargli buon viaggio, ma Ahsan si oppose.

– Mi mancherai, Marius.

– Anche tu, Fryda. Ti chiedo un ultimo favore. Stai vicino a Genesis. È ancora spaesata, ma è davvero in gamba.

– E tu sei un po' innamorato di lei.

Ahsan sorrise.

– Già, sembrerebbe proprio di sì.

– Non preoccuparti, Nele l'ha presa sotto la sua ala protettrice.

– Nele, eh?

Guardando la sua espressione, Fryda rise.

– Sei geloso, Marius? Pensavo che un aralu non soffrisse di questa stupida malattia.

– Frequentando tanto a lungo voi terrestri, mi sono lasciato contagiare.

 

Nella grande sala delle assemblee, Genesis seguì la partenza delle navi, ansiosa come tutti gli altri, seduta accanto a Fryda.

– Marius mi mancherà molto. E a te?

Genesis staccò lo sguardo dall'ologramma per osservarla.

– Sì, anche a me. Moltissimo.

– Sai che era innamorato di te?

Genesis si sentì sprofondare. Il cuore mancò alcuni battiti, poi prese a martellarle nel petto come se ne volesse uscire. Impallidì.

"E io l'ho cacciato via. Ho permesso che se ne andasse. Non lo vedrò mai più. Non lo vedrò mai più."

– Lo sapevi?

– No, non lo sapevo.

Dalla Luna partirono cinque o sei attacchi, tutti sventati dalla nuova arma di Keira. La flotta superò presto il satellite, scomparendo negli spazi siderali. "Addio, Marius" pensò Genesis, mentre gli occhi le si inumidivano.

“Un guerriero sceglie una strada, qualunque strada, con il cuore, e la segue; e poi si rallegra e ride. Sa, perché vede che la sua vita finirà anche troppo presto.” Genesis avrebbe voluto urlare. Sarebbe voluta tornare indietro nel tempo. Avrebbe voluto essere meno stupida. Dove aveva ficcato il suo coraggio, la sua decisione di essere libera? Libertà è anche non farsi influenzare dalle differenze. Aralu o umano, Marius era quello di cui si era innamorata. No, non sarebbe mai stata un guerriero.

 

Appena superata la Luna, Gaspar lasciò i comandi al suo vice e si avvicinò ad Ahsan.

– Non fare quella faccia. Stiamo tornando a casa.

– Sai una cosa? La mia vera casa era quella.

– Lo sapevo. Mi chiedevo solo se ci saresti arrivato in tempo per rientrare. Ebbene, sei ancora in tempo. Il Tramol è puntato sul terzo livello di Hypogeum.

 

Marius Kappa si arrampicò velocemente su per i tre livelli, fino a sbucare accanto al frutteto. Superò la prima serie di grotte, adibite a magazzini, arrivando a quella che Genesis aveva deciso di eleggere a sua dimora. Aprì la porta senza bussare. Era certo di non trovarla, invece la luce era accesa e lei era distesa sul letto. Singhiozzava.

– Mia triste signora, cos'è che ti fa tanto soffrire?

Genesis schizzò a sedere sul letto, sorpresa. Poi si precipitò tra le sue braccia, baciandolo furiosamente.

– Avevi detto che non l'avresti più fatto – commentò Ahsan.

– Mentivo. E tu mi hai fatto credere che saresti tornato a casa.

– Dicevo la verità. Questa è l'unica casa dove voglio vivere, con te.