Sarò un inguaribile romantico, ma io amo le storie a lieto fine.
Quella volta però, avevo scritto un racconto che finiva male. Era la storia di Danilo, un investigatore privato, e di Mauro, uno sbirro. Qualcuno di voi, forse, se ne ricorderà. Danilo si era innamorato di Mauro grazie a una fotografia, ma le sue catastrofiche esperienze precedenti l’avevano convinto a ignorare l’evidente interesse di Mauro nei suoi confronti. In realtà aveva paura di soffrire di nuovo. Quel genere di paura di cui ti rifiuti di essere consapevole, inventandoti mille alibi, per poi restare solo, come un coglione.
Di quel finale irrisolto mi ero pentito subito, così ne avevo scritto un seguito, senza tuttavia riuscire a convincere Danilo ad arrendersi all’evidenza. Era innamorato cotto, ma non ne voleva sapere di cedere.
Insomma, ho dovuto scriverne un terzo, per riuscirci. E mi è sembrato, lì per lì, una specie di miracolo. Ma non ero affatto soddisfatto. Il problema ero io. Mi ero innamorato di Mauro e per questo non ammettevo che Danilo potesse ottenere quello che a me era negato. Io volevo Mauro. Lo volevo davvero, in carne e ossa. Poterci parlare, toccarlo, guardarlo negli occhi e... tutto il resto.
Ma, voi direte, ci si può innamorare di un personaggio che abbiamo creato noi stessi? Sì, si può, se a ispirarti è stato qualcuno che hai incontrato davvero, anche se per caso e per poco. Come accada, non so spiegarlo. Forse ci vorrebbero Fromm o Freud, o un altro di quelli che sanno infilarsi virtualmente nei nostri cervelli per trarne tutte le risposte. Io no. Non ne avevo nemmeno una. In compenso avevo mille domande.
Quando colui di cui parlo si era seduto al tavolino del bar di fronte al mio, avevo perso completamente interesse per la conversazione che intrattenevo con i miei conoscenti. Il suo sguardo si era posato su di me per pochi istanti, durante la sua perlustrazione in cerca di facce conosciute. Lo facciamo tutti, quando arriviamo in un posto, anche senza farci caso. Ma il suo sguardo d’insieme mi aveva coinvolto per un tempo superiore alla norma. I suoi fari antinebbia si erano posati su di me trafiggendomi a tradimento. Per un lungo momento mi ero sentito sottoposto a una specie di esame. Mi aveva scandagliato, valutato e respinto. E io, nel medesimo tempo, avevo intravisto un mondo nuovo, vi avevo posato una veloce occhiata, poi la porta del paradiso si era richiusa, lasciandomene fuori. Non ero stato giudicato meritevole di entrarci. Fine. Tutto questo per una semplice occhiata? È così, lo ammetto. Per questo gli ho scattato una foto con il cellulare. Non volevo che quel momento svanisse, che si perdesse nei meandri del tempo, tra vaghi ricordi relegati in soffitta, che perdono il loro senso o l’emozione che ti hanno regalato. Io non volevo perderlo. E quella sera l’ho messo come sfondo del mio PC, battezzandolo Mauro, perché mi ricordava qualcuno con quel nome, che avevo conosciuto mille anni fa.
Dopo aver scritto quei tre racconti, ero convinto di avergli dato sufficiente spazio. Ero sicuro che mi sarebbe passata. Inutile dire che non è stato così.
A volte accendevo il computer soltanto per guardarlo. Scrivere mi era diventato impossibile. Qualunque storia mi venisse in mente, il protagonista era sempre lui. Dovevo trovare il modo di uscirne e l’unico che mi venisse in mente era quello di sovrapporre il vero Mauro all’idea che mi ero fatto di lui. Un alibi è solo un alibi. Ciascuno si può creare il proprio. Il mio era quello.
È così che mi sono ritrovato a cercarlo. Prima di tutto in rete, sebbene consapevole della totale inutilità dell’esperimento. Navigare su internet a casaccio, senza un’idea precisa, privi di qualunque meta, è una strana esperienza. Ti ritrovi in posti dove non avresti mai sospettato di finire, e, il più delle volte, del tutto ignaro della loro esistenza. Poi, neppure troppo deluso, l’ho cercato per le strade. Andava bene tutto, metropolitane, musei, locali notturni, centri commerciali, stazioni. Mai mi sarei sognato di trovarlo davvero. In fondo era soltanto un gioco che stavo giocando con me stesso, perché ero troppo solo. Troppo, troppo solo. Il classico lupo solitario, che perde il pelo ma non il vizio. Beh, veramente io i capelli ce l’ho ancora quasi tutti. Hanno giusto acquisito una lieve sfumatura argentata sulle tempie, ma non mi posso lamentare. E poi non è quello che conta. Nello spirito mi sento ancora un ragazzino. Altro argomento succulento per Fromm e compagni. Ma loro lasciamoli perdere. Non fanno parte di questa storia.

 

Il 21 di giugno hanno tentato di fregarmi la macchina. Non l’hanno presa, ma mi hanno scassato la serratura. Non mi sono neanche incazzato. È talmente vecchia che tra poco la potrò immatricolare come auto d’epoca. Mi sono chiesto unicamente cosa diavolo volessero farsene, con un rottame che resta in piedi per forza d’inerzia, o grazie a quotidiane dosi d’imbarazzanti implorazioni: “Resisti, bella. Ancora un giorno. Ancora uno. Ce la puoi fare.” È un sistema che devo brevettare, perché funziona da anni.
Quindi, una volta constatato il danno, decido di andare dal meccanico per cambiare la serratura. Non sono sempre così solerte, ma quel giorno, inspiegabilmente, mi sentivo spinto a risolvere il problema in tutta fretta.
- Un’ora. - decreta Sebastiano - Ti devo cambiare l’olio e i filtri, visto che ti sei degnato di venire.
- D’accordo. - gli dico, perché so benissimo che ha ragione.
Mi ero predisposto a quella perdita di tempo con paziente rassegnazione, mentre, con la disinvoltura dell’abitudine, mi ero diretto nella saletta d’attesa dietro l’ufficio di Sebastiano. Quando sono entrato era già occupata. Nonostante il controluce, il contraccolpo è stato immediato. L’ho riconosciuto subito. Immediata è stata anche la sensazione di precipitare in un vortice del destino. Ero arrivato al capolinea. Adesso si trattava di salire sul bus senza fare stronzate. Però il biglietto non ce l’avevo.
- Ciao. - ho detto, strattonato da una tempesta di ansia, speranza, imbarazzo e confusione.
- Ciao. - mi ha risposto lui, abbassando il giornale che stava leggendo.
Mi sono avvicinato e gli ho teso la mano.
- Federico Volpe.
- Mauro Contini.
Una stretta di mano decisa, avvolgente, calda e molto più lunga del consueto. Neppure questa è una cosa che faccio di solito. È stato allora che avrei dovuto capire. Ma non potevo. Inoltre, la sorpresa di avergli dato il nome giusto, mi frastornava.
- Porti spesso la macchina qui da Sebastiano? - gli ho chiesto, tanto per riprendermi dallo sgomento, intavolando la conversazione più banale e futile del mondo.
- No, è la prima volta. Ho forato una gomma proprio qui a dieci metri.
- Una fortuna.
“Di sicuro per me, che sennò non ti avrei mai rivisto.”
- Dipende da quale angolazione guardi le cose. Una fortuna sarebbe stata non forare.
- Certo. Ma avendo bucato, meglio qui che altrove.
- E la tua cos’ha?
- Mi hanno scassato la serratura. E Sebastiano ne approfitta per altri lavoretti.
- È il tuo meccanico di fiducia?
- Direi che lo frequento più spesso dei miei parenti.
Mauro sorride.
Anche questa è una cosa che vorrei essere in grado di descrivere, ma purtroppo non sono un poeta. Però immaginatevi un raggio di sole improvviso e accecante nel bel mezzo di una giornata tetra e buia. Ci si avvicina.
- Hanno una macchinetta del caffè, che tu sappia?
- C’è un bar dietro l’angolo. Sono giusto due passi.
- Mi fai da guida?
- Volentieri.
‘Volentieri’ non è esattamente la parola che avrei dovuto adoperare. Il mio entusiasmo è talmente devastante che devo trattenermi. Se traspare ugualmente non posso dire, ma Mauro sorride di nuovo. Mentre camminiamo mi rendo conto che abbiamo più o meno la stessa statura, ma lui ha movenze più eleganti. Me lo immagino con un mantello, come un cavaliere d’altri tempi. Tiene la testa alta, come un aristocratico che ha coscienza del proprio valore e del proprio rango. Non mi stupirei di vederlo a cavallo, magari in armatura e con la spada sguainata. Sono talmente immerso nei miei sogni, che non vedo il bar. Mauro invece sì.
- Non è questo? - mi chiede.
- Ah, sì.
- A cosa stavi pensando?
Mi stupisco. Questa non è una domanda che si fa a qualcuno che hai appena conosciuto. Richiede confidenza e lunga frequentazione, la fai a un amico, a un confidente, non a un tizio con cui ti sei ritrovato in una sala d’attesa dieci minuti fa.
- Mi sono distratto, scusa.
- Nessun problema. Un caffè ci sveglierà.
Mauro si siede a un tavolino e mi guarda. Il mio imbarazzo ha radici profonde. Mauro mi piace da impazzire, ma non posso mostrarglielo adesso. Sarebbe assurdo. Vorrei che quest’incontro fortuito fosse soltanto il primo di una lunga serie, ma non ho la più pallida idea di come instaurare una conversazione vagamente interessante. Non so chi è, non so cosa fa, non conosco le sue tendenze, so a malapena il suo nome.
- Mi sembra di averti già visto da qualche parte. - mi dice, scrutando senza scrupoli nei miei occhi, del tutto indifferente all’effetto che questo mi provoca.
- Mi sembra che ci siamo visti al bar di Gerardo, in Piazza Garibaldi.
- Ah, ecco. Adesso ricordo. Armeggiavi con il cellulare mentre i tuoi amici ti parlavano e tu rispondevi a monosillabi. Ti stavi annoiando con loro?
- Non proprio. Avevo ricevuto un messaggio e stavo rispondendo. - mento spudoratamente. Come potrei dirgli che ero impegnato a fotografarlo?
- Sai una cosa? Odio i cellulari.
- Ti capisco. Non stai mai con chi stai.
- Esatto. Mentre sei con uno, parli con un altro. Non lo trovo educato. Anzi, mi dà proprio fastidio. - afferma, implacabile.
- Hai ragione. Ma a volte, anche non rispondere è poco educato.
- È per questo che io non ho un cellulare, così non rischio di offendere nessuno.
- E chi vuole parlare con te, come fa?
- Se è per lavoro, ho il cercapersone, sennò viene a trovarmi. Oppure mi chiama a casa, la sera.
- O sul lavoro, no?
- No, sul lavoro non posso distrarmi.
- Perché, cosa fai?
- Il chirurgo.
- Beh, capisco. È una professione difficile, delicata, che richiede molta concentrazione. - commento, con una certa ammirazione.
- Per me è naturale. Non avrei potuto fare nient’altro.
- Capisco. È la tua missione.
- E qual è la tua?
- Bibliotecario.
- Noioso?
- No, ho sempre sognato di vivere in mezzo ai libri.
- Ti capisco. Leggere è l’unico passatempo che mi concedo, quando non devo studiare per aggiornare le mie tecniche.
Quindi abbiamo qualcosa in comune. Non è molto, ma scavando si potrebbe trovare dell’altro.
- Cos'hai letto ultimamente? - gli chiedo, tanto per capire il suo genere.
- Beijing Story.
Lo pronuncia con un tono particolare, a metà tra dolcezza e malinconia. L’ho letto anch’io. È la password che mi mancava. Ma non posso essere sicuro d’aver capito.
- Ti è piaciuto?
- Abbastanza. Anche se il finale è una specie di rinuncia. Una sconfitta. In quel mondo non sei libero di essere chi sei davvero e questo è terribile.
- Anche da noi non è facilissimo essere gay.
- Lo so, ma non ti arrestano per questo.
- È vero. Però c’è tanta gente che ancora non ci capisce, che ci disprezza.
Un guizzo attraversa lo sguardo di Mauro. È come un pescatore che finalmente abbia fatto abboccare all’amo un pesce difficile da catturare.  Stavamo giocando allo stesso gioco, e adesso le carte sono in tavola.
Mauro guarda l’orologio.
- Torniamo all’officina?
- Certo.
Interrompere la conversazione proprio adesso mi sembra un pessimo segnale. Ho detto qualcosa di sbagliato? Ho capito male? O forse, semplicemente, non lo interesso nemmeno di sfuggita? Non mi stupirebbe affatto. Non sarebbe che l’ultimo di una lunga serie.
Ripercorriamo la strada in silenzio. Sebastiano ci vede e si rivolge a Mauro.
- La gomma è a posto. Può ritirare la macchina.
Mauro si volta verso di me:
- Devo andare. Se ti capita di passare da Gerardo, io sono là quando posso, prima di cena, le sere in cui riesco a sganciarmi dalla sala operatoria a un’orario decente.
- Anch’io ci vado, a volte. Sicuramente ci vedremo.
Un appuntamento vago. Un altro amo lanciato nel vuoto. Non è vero che la sera va là. Io ci sono passato un sacco di volte, sperando di rivederlo, ma lui non c’era mai.

Ho valutato le mie possibilità. Ho lottato con le mie aspettative, con i desideri, le illusioni, i sentimenti che Mauro, quello vero, mi ha ispirato. Ho deciso di assecondarne una parte, quella che non mi dava requie. Volevo rivederlo. Anche se una vocina, dentro di me, mi diceva di abbandonare quella strada. “Ti ha lasciato la libertà di stargli alla larga, approfittane.” Mi ha lasciato la libertà di cedergli, mettendo alla prova la mia determinazione, la forza di volontà, la perseveranza.
Quello che la vocina non è riuscita a capire, è che stare lontano da Mauro è una missione impossibile. Non dico fisicamente, a quello ci sono costretto dalle circostanze. Intendo mentalmente. Mauro mi si era infiltrato nella mente già la prima volta che l’avevo visto. Da allora non avevo mai smesso di pensare a lui. Non conoscendolo, me l’ero inventato. Conoscendolo, ero sicuro che l’avrei accettato esattamente così com’era. Non avevo scampo, come non ne avevo concesso a Danilo nei miei racconti. Va da sé che dalla sera seguente ero diventato un habitué del bar di Gerardo. Mi sedevo al banco, nell’angolo più lontano dalla porta, da cui si poteva scrutare sia i tavolini all’esterno, attraverso le vetrate, che l’intero locale, fornito di aria condizionata. Me ne restavo a bere e a osservare la porta aprirsi e chiudersi sputando fuori e dentro tutta la gente del mondo, tutta, tranne Mauro. Ad agosto il locale chiudeva per ferie. L’ultima sera Gerardo mi fa:
- Tu non ci vai in vacanza?
- No. A me piace andare in bassa stagione, quando non si muove nessuno.
- E da domani dove vai a farti l’aperitivo?
- Magari qui di fronte.
- Ah, no, eh!? Da quello stronzo di Gaetano i miei clienti non ci vanno. Vai dove ti pare, ma non al bar di fronte.
- Agli ordini, capo. Mi cercherò un posticino vicino casa, così non avrò nemmeno il problema del parcheggio.
- Allora ci rivediamo a settembre.

 

Non credo che funzioni sempre così, ma diciamo che per farmi fare una cosa, basta suggerirmi il contrario. Per questo, il giorno successivo, ero seduto al banco del bar di fronte, sotto lo sguardo sospettoso di un barman in gilè nero e camicia di un bianco abbagliante.  Mentre mi chiedevo cos’avesse da guardarmi, una voce mi sussurra all’orecchio ‘Mauro è qui’.  Non sono solito sentire le voci come Giovanna d’Arco e non soffro di allucinazioni di alcun tipo. Eppure, voltandomi verso la porta, la vedo aprirsi lentamente e Mauro stagliarsi nel vano, in tutto il suo splendore, solo lievemente appannato dalla giornata trascorsa. Ha la faccia stanca e tirata, ma il portamento di un principe in incognito. Non mi vede. Del resto non si guarda intorno. Si siede al banco, poco lontano da me, chiedendo un analcolico. Poi tuffa un cucchiaino in una scodella di arachidi e ci si riempie il palmo di una mano. Io non mi avvicino subito. Ho come la sensazione d’infrangere un tabù. Ma la mia determinazione a non violare la sua privacy dura molto poco. È più forte di tutto l’attrazione che esercita su di me.
- Ci si rivede. - gli dico, avvicinandomi con un’inspiegabile sensazione d’inadeguatezza.
Lui si volta. Lo sguardo spento si ravviva di colpo.
- Ciao, Federico. Dov’eri sparito?
- Io, veramente, di solito vado da Gerardo.
- È questo, il bar di Gerardo.
- No, Mauro, mi dispiace contraddirti, ma il bar di Gerardo è quello di fronte.
- Davvero?
- Fidati.
- E allora perché stasera sei qui?
- Perché Gerardo ha chiuso per ferie, mentre il bar di Gaetano è aperto.
- Ah. Buffo.
Mauro ha l’espressione svagata di un genio che ha ben altre cose per la testa e che di sicuro non ha il tempo per soffermarsi su particolari insignificanti come quello. Io però, che lo sto aspettando al varco da più di un mese, ne sono vagamente irritato.
- Giornata pesante? - gli chiedo.
- Un po’. Mi sento come uno straccio strizzato. Si vede, eh?
- Sinceramente, sì.
- Una buona dormita e passa tutto.
- Ma prima una bella cena.
- No, ho già mangiato un panino prima di uscire. Mi rilasso cinque minuti e poi me ne torno a casa.
Sembra un messaggio chiarissimo. Ti concedo cinque minuti. Cosa posso fare in cinque minuti? Niente. Non vale nemmeno la pena di tentare un minimo di conversazione. Mauro non sembra in grado di affrontare una schermaglia. Dovrei prenderlo di petto, ma decisamente non mi pare il caso. Sarà per la prossima volta.
- Ti va di fare due passi? - mi chiede, dopo aver svuotato il bicchiere.
- Volentieri.
Questo ‘volentieri’ non possiede lo stesso slancio entusiastico di quello d’un mese fa. Però va bene lo stesso. Passare altro tempo con lui è comunque meglio di niente.
Sta scendendo la sera. Le strade sono semi-deserte. Spicca l’assenza di traffico. Questo è il periodo che preferisco, in città. Camminiamo lentamente. Lo sto accompagnando a casa, senza neppure ricordarmi che ho lasciato la macchina vicino al bar.
Parliamo poco, quasi nulla. Poi, all’improvviso, e senza il minimo collegamento con ciò che ci siamo detti finora, Mauro mi chiede:
- Stai con qualcuno?
- No.
- Nemmeno io. Si sta bene da soli, vero?
- No, che non si sta bene.
- Allora perché non ti trovi qualcuno?
- Ci sto lavorando.
Mauro si volta verso di me, mi guarda e ride. Io posso ridere, ma lui no. Era una battuta strettamente privata. Non può sapere che mi riferivo a lui.
- Se stai pensando a me, ti conviene lasciar perdere. Sono un pessimo soggetto.
- Allora dovrai essere molto convincente.
- Non chiedermelo. Sono troppo stanco. E mi piaci molto. Mi spiace, ma dovrai fare tutto da solo.
- Almeno chiedimi di lasciarti in pace.
- No. Non lo farò. Se mi seguirai, dovrà essere perché lo vuoi tu.
- È la cosa più curiosa che mi sia mai capitata. Sei un tipo strano.
- Non sai quanto.
Mauro si ferma. Siamo davanti a un villino di mattoni rossi, circondato di siepi. Ha una torretta merlata che lo fa assomigliare a un castello in miniatura.
- Sono arrivato.
- Quando ci rivediamo?
- Quando vuoi tu.
- Domani?
- Va bene.
- Al bar di stasera?
- Perfetto. Purtroppo non posso prevedere a che ora ci sarò, ma verrò.

La sera diventa quasi notte e Mauro, al bar di Gaetano, non si fa vedere. Però adesso ho il vantaggio di sapere dove abita, quindi decido di appostarmi davanti a casa sua. Ormai sono senza ritegno.
Parcheggio davanti al villino. Normalmente non sarebbe possibile, ma la città si è svuotata. Resto in macchina, aspettando che Mauro rientri. All’improvviso, le finestre che s’affacciano sulla strada s’illuminano. Mauro è in casa.
Cosa mi ha detto quella volta? Chi vuol parlare con me, mi viene a trovare...
Dopo un attimo attraverso il giardino buio e suono il campanello, che riesco a indovinare da un lampo riflesso dai fari di un’auto che passa.
Sento un clic metallico e subito dopo il portoncino si apre lentamente. Mauro si staglia nel vano completamente buio. Stento a riconoscerlo, ma non ho dubbi che la voce sia la sua.
- Federico, sono contento di vederti.
- Ti aspettavo al bar.
- Hai ragione, scusa. Stasera ho fatto tardi. Vuoi entrare?
- Visto che ormai sono qui...
- Vuoi entrare? - insiste, come se la mia risposta non fosse quella giusta. Certo che voglio entrare.
- Devi esprimere chiaramente la tua volontà. - mi spiega.
Questo è matto.
- Sì, se non ti disturbo.
- Allora entra pure.
Mi sento vagamente allarmato da questo strano invito. Siamo su candid camera?
Mauro mi lascia entrare nel corridoio buio. Non vedo niente.
- Scusa, Mauro, ma non c’è la luce?
- Ti guido io. - mi sussurra, prendendomi sottobraccio e guidandomi davvero come un cieco.
La sensazione di allarme aumenta. Mi sono messo alla mercé di un pazzo?
Mauro apre una porta che vede solo lui, e finalmente entriamo in una stanza illuminata. È un’immensa biblioteca con le pareti completamente rivestite di legno scuro, con mensole che s’innalzano fin quasi al soffitto a cassettoni. Ci saranno migliaia di libri. In mezzo alla stanza, tre divani di pelle nera posti a ferro di cavallo davanti a un monumentale caminetto spento. L’intero pavimento è ricoperto di tappeti orientali, scuri, con il fondo rosso. Due applique ai lati del caminetto sono tutta l’illuminazione che c’è. Venendo dal buio fondo del corridoio, la luce mi sembrava più intensa, ma ora che i miei occhi si sono abituati, mi rendo conto di quanto sia scarsa.
- Posso offrirti qualcosa da bere?
- Grazie, ma non ti disturbare.
- Nessun disturbo. Alcolico o analcolico?
- Quello che prendi tu.
- Meglio di no. - dice ridendo.
Io, quest’uomo, non lo capisco.
- Fai tu. - rispondo, imbarazzato.
Mauro si allontana dalla stanza per un paio di minuti. Ne approfitto per guardarmi intorno, cercando tra le ombre d’intravedere qualcosa, ma non ci sono altro che i libri e i divani. Nonostante tutto è un ambiente molto rilassante. Peccato per il silenzio intenso, che fa sembrare il mio respiro un rumore assordante. 
Mauro ritorna con un bicchiere per sé e un altro che mi porge sorridendo.
Non indago sul suo contenuto, ma quando l’assaggio capisco che è un cognac. Il suo invece contiene una bevanda rossa. Succo d’arancia? Pomodoro? Bloody Mary?
- Non hai seguito il mio consiglio. - mi dice, restando in piedi vicino al camino.
Sembra un rimprovero.
- Sapevi già che non l’avrei fatto.
- Questa è la tua volontà. Ti sei chiesto quale sia la mia?
- Sì, ma non so rispondermi. Credo che debba farlo tu.
- Non voglio importi la mia presenza, ma se tu la vuoi, per me va bene.
- Che significa?
- Questo dipende da te. Che cosa stai cercando? Che cosa ti aspetti da me?
- Vuoi dire che dovrei essere io a stabilire il tipo di rapporto che ci sarà tra noi? Non ha senso.
- Per te non ne ha, perché ancora non mi conosci.
- È questo che vorrei. Conoscerti.
- Il problema, Federico, è che questa è una strada senza uscita.
- Continuo a non capire.
- Mettiamola così. Se mi conoscerai, non avrai la possibilità di conoscere nessun altro.
- Vuoi dire che se decidessimo di stare insieme, poi non sarei libero di andarmene, se un giorno lo volessi? Sei tanto geloso? - dico ridendo.
- Io sarei l’ultimo.
Che cazzo vuole dire questo qui? È pazzo sul serio.
- Sarei curioso di sapere come potresti impedirmelo.
- Non sarei io a farlo. Saresti tu stesso.
- Senti, Mauro, non ti capisco. E comincio ad avere la vaga sensazione di essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, con la persona sbagliata.
- Hai la sensazione giusta, Federico.
- Tu m’incuriosisci da morire. Sei inquietante.
E mi spaventi anche. Ma non riesco a fare un passo che mi allontani da te.
- Hai tutto il tempo per decidere. Torna pure a trovarmi, se vuoi.
Mi congeda così. Uno schiaffo per completare l’opera non mi stupirebbe.
- Ti accompagno.
- Mauro, posso sapere se io t’interesso almeno un poco?
- Tu m’interessi moltissimo. Ma non è questo il punto.
- E allora qual è?
- È capire fino a dove tu ti senta di spingerti.
- Ma riguardo a cosa?
- Alla tua vita. Se ci sei molto affezionato, ti sconsiglio di affezionarti a me.

 

Questa conversazione mi ha conferito una certezza. Mauro è pazzo. Se accetto l’idea di avere una storia con lui, devo accettare anche quella che piuttosto di veder morire questa storia, lui provvederebbe a far morire me. È stato vago, ma abbastanza esplicito, in proposito. L’ultimo uomo. Non ne potrei avere altri. Mauro per sempre. E devo decidere io. Assurdo. Impensabile. Pazzesco. Per un paio di settimane ho lasciato decantare quest’idea. Mi dicevo che Mauro non poteva amarmi, visto che non mi conosceva nemmeno. Perché avrebbe dovuto amarmi? Non aveva senso. E io potevo restargli lontano? Continuavo a guardare la sua foto, sbavando per lui, eppure non mi sembrava di conoscerlo più di quando scrivevo quei racconti, inventandomelo. Alla base di tutto non c’era niente. Neppure un sentimento, non dico vero, ma neppure superficiale. Quello che provavo era un’incredibile attrazione. Solo quella. Sentivo le voci. Una mi diceva ‘Vai, che ti costa?’ e un’altra ‘Stai lontano da lui. Stai lontano!’ Ed entrambe sembravano scaturire al di fuori di me. Forse Mauro mi aveva già un po’ contagiato con la sua follia.
A due settimane di distanza, le voci si sono ridotte a una sola, che m'invita ad andare da Mauro. E siccome non ce la faccio più a stargli lontano, cedo volentieri.
Aspetto che si accendano le luci in casa. Anche questa volta non lo vedo arrivare. Forse il villino possiede un ingresso sul retro.
- Benvenuto, Federico.
- Ciao, Mauro.
- Hai preso una decisione?
- No. Volevo solo vederti.
- Vuoi entrare?
Di nuovo quel giochino. Per tagliar corto rispondo di sì. Stentoreo, secco e deciso.
Sono inghiottito dal buio del corridoio come Pinocchio dal ventre della balena. Mauro mi stringe a sé, guidandomi dritto alla biblioteca. Ci saranno altre stanze, ma non ne vedo le porte.
- Sono felice che tu sia venuto.
- Ti sono mancato? - gli chiedo, con ironia.
- Ho pensato molto a te.
- Se vuoi possiamo vederci più spesso.
- Devi essere tu a volerlo.
- Ancora con questa storia?
- Non potrei cambiarla neppure volendo.
- Come sono state le tue storie precedenti?
- Una lunga serie di delusioni. E le tue?
- Poteva andarmi meglio.
Mauro mi si siede vicino. Mi prende una mano e la guarda con interesse. Mi allarga le dita. Appoggia il palmo al mio. Le sue dita sono leggermente più lunghe delle mie.
Mi sta prendendo le misure?
- Noi ci assomigliamo. - mi dice con dolcezza.
- Me ne sono accorto.
- Siamo fatti l’uno per l’altro. - afferma, agganciandomi lo sguardo.
Mi sento ipnotizzato.
Mi accorgo di sentire la sua voce che chiama il mio nome, ma le sue labbra restano immobili. Devo fare uno sforzo tremendo per sganciare il mio sguardo dal suo. Ne sento la necessità impellente, come se fosse questione di vita o di morte.
All’improvviso il suo viso si china sul mio collo. Ho l’impressione che stia per mordermi e mi allontano con uno scatto repentino.
- Non lo vuoi anche tu?
- No. - dico alzandomi in fretta.
- Non voglio farti del male.
- Lo so.
No, in realtà non lo so. Non so nulla. Non capisco più niente. Né quello che provo, né quello che voglio.
- È meglio che tu vada, Federico.
- Perché?
- Non posso trattenermi se mi stai vicino. Mi attrai come una calamita.
- Anche tu, ma non riesco a rilassarmi.
Mauro si alza e va alla finestra. Guarda nel buio.

 - Vattene, Federico. E promettimi che non tornerai.
- Perché?
- Perché mi sto innamorando di te.
- E che ci sarebbe di male?
- Tu non puoi capire. Devi andartene. Adesso.
Resto indeciso, ma lentamente mi sposto verso la porta. Sento un soffio d’aria sulla nuca. Come una carezza. La sua voce all’orecchio che mi sussurra ‘non andartene.’ Ma Mauro è vicino alla finestra. Sto diventando pazzo.
Mi tuffo nel buio del corridoio e a stento raggiungo la porta, barcollando come un ubriaco. L’apro ed esco.
Il giardino è inargentato dalla luna piena.

Cosa mi sta succedendo? Sento ancora qualche brivido lungo la schiena, quando ripenso al momento in cui stava per baciarmi. Mi ha afferrato un terrore incomprensibile. E poi un immenso rimpianto. Del resto il rimpianto è una componente essenziale della mia intera vita sentimentale. Vorrei essere in grado di descrivere le mie sensazioni. Ci provo, ma è del tutto impossibile. In quel momento ho sentito la terra aprirsi sotto i miei piedi e ho saputo, non so come, che se mi fossi lasciato andare, sarei stato inghiottito da un mondo di tenebre. Che idea stupida! Forse sono i primi sintomi di un leggero esaurimento nervoso. Forse dovrei rivolgermi a uno specialista. Uno bravo.
“Signor Volpe, lei non deve sottovalutare lo stress.”
“Quale stress, dottore? Sono la persona più tranquilla del mondo.”
“E la sua vita sentimentale come va?”
“Benissimo. Mi sto innamorando di un pazzo.”
“Ah! Lo dicevo io! Non deve sottovalutare lo stress.”
“Appunto.”
Non gliel’ho promesso. Se ci torno non infrango nessuna promessa.
Intanto è successo qualcosa al mio computer. Quando sono riuscito a farlo ripartire, la foto di Mauro non c’era più. Neppure dove ne avevo salvato una copia. E quando sono andato a recuperarla nella memoria del mio cellulare, ho scoperto che, incredibilmente, era scomparsa anche da lì. Mi consolo pensando che se voglio rivederlo, non devo far altro che tornare da lui. Non ho il suo numero di telefono. E in ogni caso non lo chiamerei. Sentire la sua voce al telefono non potrebbe bastarmi. Ma non riesco a decidermi.

 

Sono al bar di Gaetano, quando sento di nuovo la sua voce che mi chiama. Poco dopo entra lui. Ormai non mi stupisco più di niente. La telepatia non mi spaventa. Sono altre confuse sensazioni che lo fanno.
Il suo sguardo mi aggancia senza pietà. Mi sento tirare l’anima, come se volesse estrarmela dal corpo. Ma lei resiste e s’impunta, rifiutandosi di cedere.
Mauro guarda altrove. Io torno a rilassarmi.
- Sono felice di trovarti qui. - mi dice.
- E io sono contento di vederti.
- Facciamo due passi? Ti accompagno a casa.
- Ho la macchina.
- Fa lo stesso. Poi torno a piedi. Mi piace camminare.
- Come vuoi. Tanto abito vicino.
Mauro sale sull’auto, poi si volta a guardarmi, senza parlare. Io metto in moto e ingrano la prima.
- Tutto bene? - gli chiedo.
- Oggi ho perso un paziente.
- Mi dispiace.
- A me di più. Sembrava un uomo robusto. Non me l’aspettavo. Di solito so valutare meglio, ma in questo periodo sono distratto. Ti penso spesso.
- Cosa pensi?
- Hai deciso, riguardo a noi due?
- Cosa dovevo decidere? Mi hai detto di andarmene e di non farmi più rivedere. O mi sbaglio?
- L’ho detto per il tuo bene.
- E adesso cosa vuoi che faccia? Ci hai ripensato? Non mi piacciono questi giochetti infantili. Il tira e molla non l’ho mai digerito. Non ti capisco. E nemmeno questo mi aggrada troppo.
- Hai ragione. Dovrei spiegarti. Ma non posso.
- E allora cosa vuoi da me?
- Pazienza? Comprensione?
Mi viene da pensare che la pazienza sia solo l’arte di sperare e la comprensione quella di cedere a una visione che non sia la propria. E in questo momento mi sento terribilmente refrattario a entrambe. Intanto parcheggio sotto casa. Spengo il motore e mi volto verso di lui. In realtà, sono esasperato.
- Mauro, che cazzo stiamo facendo? Siamo due persone adulte. Parliamoci chiaramente, e decidiamo una volta per tutte a che gioco giochiamo.
Mauro mi guarda con tristezza.
- Nessuno mi ha mai messo con le spalle al muro. A nessuno l’ho mai permesso. Ma è giusto che sia proprio tu a farlo. Credo di essere arrivato troppo oltre.
- Vuoi salire? Così parliamo con calma.
- Mi stai invitando a entrare?
- Sì, Mauro. Vuoi un invito scritto?
- No. Questo è sufficiente.
- Ti odio, quando fai così.
- L’odio è pur sempre un sentimento. - mi dice, mentre scende dalla macchina.
- Un sentimento? Una perversione, piuttosto!
Quando apro la porta di casa, accendendo le luci, lo vedo varcare la soglia come se non fosse convinto di trovare un pavimento ad accogliere i suoi passi.
Lo invito a sedersi sull’unico divano del soggiorno. Qui c’è poco da scegliere. Non vivo in una specie di castello, io.
- Bevi qualcosa?
- No, grazie.
Mi accomodo su una sedia, proprio di fronte a lui.
- Allora parliamo. Facciamo chiarezza, senza giochini e senza reticenze. Cosa vuoi da me? Veramente.
- Non posso darti una risposta se prima non ti spiego chi sono.
- Avanti, sentiamo questo scoop.
- Prima sarà meglio che ti dica che non sono come te.
- A questo c’ero arrivato anch’io.
- Voglio dire fisicamente.
- Mi pare evidente anche questo.
- No, non è così evidente. Te l’assicuro.
- Ma insomma, devo andare a prendere le tenaglie, per farti parlare?
- Ho bisogno che mi giuri che quanto ti dirò non uscirà mai da questa stanza.
- Dio mio, chi sei? Il capo di Cosa Nostra? La spia che venne dal freddo? L’alieno del pianeta accanto?
- L’ultima che hai detto ci si avvicina.
Se fossimo dentro un fumetto, adesso apparirebbe un enorme punto interrogativo sopra la mia testa.
- Non sono del tutto umano, Federico.
Dalla gravità della sua espressione e del suo tono, capisco che non sta scherzando.
- E vorresti dirmi cosa sei?
- Ecco, non è facile...
- Mauro, cazzo, datti una mossa o ti caccio di casa a calci nel culo.
- Non puoi farmi fretta. Non è come dire a qualcuno ‘sono un bibliotecario’.
- Cosa diavolo sei? - urlo, esasperato.
- Sono un vampiro. - ammette sottovoce.
- Cosa???
È pazzo. È pazzo sul serio. E io l’ho pure fatto entrare in casa mia.
- Mi hai sentito. So che mi senti anche quando t’invio i miei pensieri.
- Telepatia?
- Non dirmi che non te ne sei accorto.
- Forse sì, ma un conto è la telepatia e un altro credere che tu sia un vampiro. I vampiri non esistono. Deve averli inventati uno scrittore che beveva assenzio e lo mischiava con l’oppio. Era una sua allucinazione. Non c’è niente di vero in...
Mauro mi sorride, mostrando i denti. I lunghi canini si sovrappongono al suo labbro inferiore, lanciando un bagliore innaturale. Oddio, menomale che sono seduto, perché le gambe mi tremano tanto che non mi reggerebbero.
Sì, forse i vampiri esistono davvero.
Mauro fa per muoversi.
- Resta dove sei. - gli ingiungo con decisione.
- Non voglio farti del male.
- Credo che la nostra storia finisca qui. Ti dispiacerebbe non farti più vedere?
- Non posso. Ho dei progetti su di te.
- Scordateli!
- Ti chiedo soltanto di ascoltarmi.
- No, i tuoi progetti non m’interessano. A priori.
- So che sei una persona sensibile...
- ... Di me so tutto. È di te che non mi fido.
- Quando ti ho visto per la prima volta, mi ha colpito la tua aura.
- Ti prego, risparmiami. Non credo a queste stronzate.
- Vuoi tacere per due minuti? Se non m’interrompi, saranno sufficienti.
Ma che sta succedendo? C’è un uomo seduto sul mio divano che mi ha appena comunicato di essere un vampiro e io gli credo. Sto impazzendo anch’io?
Eppure, - Vai avanti. - gli dico, con un sospiro di rassegnazione.
- La tua aura richiama l’attenzione come un faro nel buio. È splendente, limpida, un arcobaleno di colori nitidi e magnifici. Non riuscivo a staccare gli occhi da te. Erano moltissimi anni che cercavo qualcuno che potessi amare davvero e che magari mi amasse anche un po’. Quel giorno ho capito che l’avevo trovato. Non è stato per caso che ci siamo incontrati da Sebastiano. La serratura te l’ho forzata io e a metterti in testa l’idea di farla riparare subito, sono stato ancora io. Quel giorno ti aspettavo. Quello che non mi aspettavo era che tu ti presentassi e ti mostrassi con me tanto cordiale, sapendo che questo non fa parte del tuo carattere. Per natura non sei così espansivo. Allora ho capito che anche tu volevi conoscermi. Questo mi ha in parte sorpreso e in parte fornito quella speranza che mi mancava. Poi, però, non ho avuto il coraggio di cercarti ancora. Era troppo pericoloso.
- Per te!? - gli chiedo, incredulo.
- No, per te. L’attrazione che provavo mi smuoveva il sangue. Da tempo ho affrontato il mio bisogno, approfittando della mia posizione, sfruttando la mia professione. Di sangue mi posso nutrire ogni giorno senza problemi e senza fare del male a nessuno. Ma stando vicino a te, è riemerso quel desiderio angosciante... quel bisogno famelico... Vedi, solo a parlarne, ti salterei addosso. È tremendo. Tremendo. E sei l’ultima persona al mondo a cui vorrei fare del male.
- Dio mio. È tutto vero?
- Vorrei che non lo fosse.
Anch’io lo vorrei.
- Perché mi hai cercato, stasera? Perché mi stai dicendo queste cose?
- Ho deciso di smettere.
- Cosa... come...
- Voglio che tu faccia una cosa per me. Voglio che sia tu, l’uomo che amo.
- Come... cosa...
- Federico, mi vuoi uccidere?
Salto su dalla sedia.
- Sei pazzo, vero? Sì, tu sei un pazzo scappato dal manicomio. E io sto qui a sentire le tue fregnacce come se fossi una persona ragionevole. Sei pazzo!
- Solo da te posso accettarlo.
- Ma vuoi scherzare? Mi vuoi mandare in galera? O mi vuoi fare secco mentre non guardo?
- Siediti, Federico.
- Siediti un cazzo!
- Capisco che non sia facile...
- Ah, lo capisci?
- ...credermi, ma è la verità. Solo a qualcuno che amo potrei affidare il compito di uccidermi. E io sono davvero stanco di questa vita infame.
- Suicidati!!!
- Credi che non ci abbia provato?
- Quante volte, figliolo? - gli chiedo, con l’inopportuna ironia che scaturisce dalla disperazione.
- Un’infinità.
- E allora come pensi che possa riuscirci io?
- Perché ti dirò esattamente come fare. Un sistema c’è, ma io da solo non riesco a metterlo in pratica.
Lo guardo. Mauro è l’uomo più affascinante che mi sia capitato di conoscere. E non è neppure un uomo. Dovevo capirlo subito che non potevo essere stato tanto fortunato. Non potrei trovare la forza o il coraggio di ucciderlo neppure se ne dipendesse della mia vita. Già lo so.
- La mia aura non ti ha detto che non sarei capace di uccidere neppure una mosca?
- Mi ha detto chiaramente che sai decidere quale sia la cosa giusta.
- Beh, non è questo il caso. Mi dispiace.
- Mi odi?
- Certo che no.
- Perché non ne sei capace. Tu agisci sempre e solo per amore.
- E per amore nessuno ammazza nessuno.
- Forse dovrai ricrederti.
- No, Mauro. Qualunque argomento mi spingerai a considerare, non ci sarà mai nulla che potrà convincermi a farti fuori. Rassegnati.
- Allora dovrò vivere ancora.
- Spero di sì. Ma non pensare neppure lontanamente di cambiare la tua dieta. Io non sono commestibile.
- Se sapessi che richiamo è per me il sangue che ti scorre nelle vene...
- Oddio, mi dai i brividi. Smettila!
- Eppure tu non mi temi...
- Ho una pistola nel cassetto della scrivania.
- Non ci credo.
- Fidati. Ho subito tre furti e durante il terzo mi trovavo in casa. Il giorno dopo sono andato a chiedere il porto d’armi. Vado regolarmente al poligono ad allenarmi e ho una mira infallibile.
- Ma non possiedi proiettili d’argento.
- Ah, ci vogliono quelli? Me li procurerò.
- Non sarebbero sufficienti. Ti ci vorrebbe un paletto di frassino, da piantarmi nel cuore. E poi, alla fine, dovresti darmi fuoco. Solo così sparirei per sempre.
- Troppo cruento. Troppo complicato. E poi la miglior vendetta è il perdono.
Non so più cosa dico. È un delirio. Mi sembra di essere prigioniero di un incubo.
- Lo sapevo che non saresti stato facile da convincere.
- Però ci hai provato lo stesso.
- Dovevo farlo. Dovevo essere sicuro.
- Di che cosa?
- Che già mi ami un po’.
E infatti, adesso che me lo dice, credo di amarlo davvero.
A questo punto comincio ad avere seri dubbi anche sulla mia sanità mentale.
- Mauro, fammi un favore. Sparisci!
- Non senti il bisogno di abbracciarmi?
- In questo momento sento solo il bisogno di andarmene a dormire.
- Ci vediamo domani.
- Meglio se mi lasci qualche giorno di vantaggio. Credo che tenterò l’espatrio.
Mauro ride. È bellissimo quando ride.

Dunque non mi resta che meditare sull’intera faccenda. A un primo stadio d’incredulità, è subentrato uno stato di rassegnata consapevolezza. Ora ho raggiunto la fase ‘e adesso che cazzo faccio?’. 
Davvero Mauro aspira all’eterno riposo? Sarebbe un delitto. L’uomo più affascinante che abbia mai conosciuto... Uomo, beh, vampiro, diciamo. Ma qualunque cosa sia, è la creatura che mi attrae più d’ogni altra al mondo. Invece, neppure lo posso avvicinare. E dire che ho sognato notti di fuoco accanto a lui. Perché ho concesso a Danilo quello che io non potrò mai ottenere? Ma certo, erano stupidi racconti di fantasia. Una valvola di sfogo per scaricare le mie tensioni. E adesso che invece di scrivere devo vivere, mi appare tutto di gran lunga più assurdo. Un incubo. Magari tra poco mi sveglio e scopro che è stato tutto un sogno. Dev’essere proprio così. Mi torturo un braccio per agevolare il risveglio, ma non accade niente. Mauro. Che sfiga averti incontrato. Sei diventato la mia ossessione. Forse, per guarire, dovrò davvero annientarti.

 

Sono curioso per natura. Approfondisco ogni argomento che susciti il mio interesse. Ma studiare i vampiri non è facile come studiare il rospo ansonia latidisca. Le notizie che mi riesce di estrapolare dalle varie leggende, parlano di esseri il cui riflesso non appare negli specchi, che non possono sopportare la luce del sole, che non fanno ombra, che non possono mangiare o bere, e altre astrusità del genere. Sul sistema brevettato per ucciderli, pare che vada per la maggiore il paletto confitto nel cuore. Ma poi il cuore si deve dare alle fiamme, mentre è buona cosa spiccare la testa dal corpo, tanto per essere più sicuri. I proiettili d’argento servono solo a rallentarli, mentre l’aglio li terrebbe lontani. Anche a me l’aglio mi tiene lontano, eppure non sono un vampiro. Mauro non ha molto a che vedere con tutte queste storie. Mauro è Mauro. Se qualcosa di vampiresco distingue la sua figura, si tratta di un elemento che a me sfugge completamente. Anche la telepatia non è rara come sembra. Quante volte, prima di rispondere al telefono, ci appare l’immagine di chi è all’altro capo del filo? Quante volte pensiamo a qualcosa che un istante dopo viene pronunciata da chi ci sta vicino? Il pensiero viaggia veloce e noi siamo trasmittenti e riceventi con lunghissime antenne invisibili. E va bene, Mauro si nutre di sangue, ma non sarà mica la fine del mondo. A chi non piace una bella fiorentina al sangue? Siamo tutti vampiri?


Non sono espatriato. Sono chiuso in casa da due giorni, quando Mauro trova la sfacciataggine di ritornare alla carica. Anche questa volta, varca la porta solo dopo il mio esplicito invito. Mi stupisco che non mi chieda un’autorizzazione scritta.
- Si può sapere cos’è questa storia?
- Se non esprimi chiaramente la tua volontà di entrare in casa mia o che io entri in casa tua, c’è una forza che m’impedisce di avvicinarmi a te. Quando siamo all’aperto non è influente.
- Che genere di forza?
- Non so spiegartelo. È una forza magnetica. La mia esistenza segue leggi molto severe. Credo sia una difesa che la natura ha elaborato per difendere la tua specie dalla mia.
- La tua specie? Vuoi dire che siete in tanti?
- Eravamo, in tanti. Oggi siamo una specie in lenta ma inesorabile estinzione. Ci siamo ammorbiditi. Ci siamo lasciati condizionare dalle vostre leggi morali, per quanto, sembrerebbe più il contrario, leggendo i giornali. Sono ormai molto rari i miei simili che si nutrono direttamente dagli esseri umani.
- Scusa, ma tu l’altra sera non avevi intenzione di fare proprio questo, tuffandoti sul mio collo?
- No, volevo solo baciarti, ma non credo che avrei resistito per molto alla tentazione di...
- Bucarmi e succhiarmi, vuoi dire?
- Federico, non puoi immaginare cosa mi provochi la tua vicinanza.
- E tu non sai cosa mi provoca la tua.
- Hai paura?
- No, non è questo.
- Attrazione fatale? - dice, sorridendo.
- Sì, sì, ma il problema è che non diminuisce quando tu sei lontano.
- È lo stesso per me. Quando ti penso mi sembra di sintonizzarmi sui tuoi pensieri. Per me tu risuoni come un diapason e non mi resta che intonare la tua stessa nota. Mi sono innamorato di te.
- Capisco. Però non me la sento di offrirti una cannuccia, scusami.
- Potremmo fare un patto.
- Già so che non mi piacerà.
Mauro guarda il soffitto. Non c’è niente da vedere. È totalmente bianco. Ma i suoi pensieri sembrano seguire un corso che ha bisogno di uno sfondo neutro per dipanarsi liberamente. Infine abbassa la testa, continuando a tacere.
- A che pensi? - gli chiedo, infine.
Ho un vago timore dei risultati della sua meditazione, ma la curiosità è sempre stato il mio tallone d’Achille.
- Al patto che vorrei fare con te.
- È così tremendo?
- Io voglio qualcosa da te e tu qualcosa da me. Potremmo ottenerla entrambi.
- Di che stai parlando?
- Tu potresti soddisfare il tuo desiderio e io il mio.
- No, non credo che sia una buona idea.
- Non mi trovi più attraente?
- Al contrario, ma vorrei tenermi i miei sei litri di sangue. Sai, ormai ci sono affezionato.
- Non ne toccherò neppure una goccia, te lo prometto.
- Forse un giuramento sarebbe più rassicurante.
Mauro ride. È sleale. Questa è un’arma illegale, che dovrebbe essere vietata dalle Convenzioni di Ginevra. Sono condannato. So che qualunque cosa dirà adesso, io l’accetterò senza condizioni.
- So trattenermi. E tu potrai imbavagliarmi, se ciò potrà renderti più tranquillo. Staremo insieme per una settimana. Poi tu farai ciò che ti chiederò, permettendomi di sparire per sempre.
Una settimana? Un mese, un anno, un decennio, piuttosto. Che me ne farei di una settimana?
- Che ne pensi, Federico?
- Io... io penso che una settimana mi sembra troppo poco.
Mauro ride di nuovo. Mi manda in orbita.
- Quanto pensi che ti ci vorrà?
- Vent’anni?
- Sei impazzito? Ah, no, era solo una battuta, vero?
- Sarebbe una battuta se ti proponessi cinquant’anni.
- Federico, ti ho offerto il massimo del tempo che credo di poter resistere. Se fosse di più, non sono certo che sarei in grado di mantenere la mia promessa.
Lui dice sul serio. Ma sarei io che non potrei adempiere al patto.
- No. Non ce la farei mai.
- Saprò convincerti. Posso insinuarmi nei tuoi pensieri fino a costringerti alla mia volontà. Tu non te ne accorgeresti nemmeno.
- Mauro, io voglio che tu viva.
- Ho vissuto già troppo. È tempo che vada.
- Ma si può sapere quanti anni hai?
- Milletrecentosettanta.
- Cazzo! Lo credo che ti sei rotto le palle! Ma voi non morite mai?
- A volte capita che non riusciamo a nutrirci per lungo tempo. E allora ci consumiamo, ma è la morte più atroce che si possa immaginare. Preferirei andarmene con dignità. Un bel paletto di frassino nel cuore e buonanotte.
- Ti ci dovrai infilzare da solo.
- Sarei disposto a farlo, e non sarebbe neppure la prima volta, ma poi tu dovrai completare la procedura, e alla fine appiccare il fuoco.
- Mauro, ti prego, trova qualcun altro. Mi sento male solo a pensarci.
- Tutti i tuoi dubbi sarebbero spazzati via dalla mia volontà. Sarai in grado di farlo, anche se adesso ti sembra impossibile. Fidati di me.
- Che succede se tu rispetti il patto e io no?
- Niente. Non succede niente... - commenta con una tristezza infinita, che mi fa un effetto devastante, più di tutte le sue argomentazioni per convincermi.
- Mauro, ho bisogno di pensarci. Non voglio prometterti qualcosa che non mi sento in grado... anzi, che non voglio fare.
- Vieni a trovarmi, quando avrai preso la tua decisione.

 

Io sono solo un essere umano. Non sono programmato per questo. Se lo studio dei vampiri fosse stato inserito nei programmi scolastici, quand’ero un ragazzino, forse oggi sarei più preparato. Ma la consapevolezza della loro esistenza è stata cancellata, assimilandola a quella di streghe, maghi, alieni, big foot, unicorni e ogni altro genere di creatura immaginaria, bollato come superstizione, mera fantasia. Il mio cervello si rifiuta di crederci, ma quando gli sono vicino non si tratta più di credere, solo di accettare ciò che vedo. Mauro, il mio incubo. Ci sono momenti in cui vorrei disfarmene davvero, magari cambiando città. Mi ritroverebbe? Sono talmente fuori di testa che decido di mettermi in ferie. Libero da impegni, mi trascino per casa in cerca di una risposta che tarda ad arrivare. La logica non mi aiuta. I miei ragionamenti si avvitano in vortici e mulinelli, che trovano ampio spazio nella mia testa vuota. Il mio corpo prende il sopravvento. Il suo desiderio non muta. Piuttosto si rafforza. Per questo riesce a condurmi fino al villino di Mauro, senza la partecipazione di una decisione cosciente. E adesso che gli racconto? Non sono giunto ad alcuna conclusione. Mi perdo in un marasma totale.
Mi risveglio all’improvviso. È come riemergere da una trance. Che ci faccio qui? Devo andarmene subito. Ma non ho ancora fatto un passo nella direzione opposta che sento Mauro chiamarmi. È sulla porta. Il suo richiamo è risuonato solo dentro la mia testa. Mi fa un cenno di saluto con la mano. Che ci faccio qui?
Mauro mi viene incontro. Mi raggiunge sul marciapiede.
- Non hai ancora preso una decisione, vedo.
- No, è difficile.
- Stiamo un po’ insieme, ti va?
- Solo se non cercherai ancora di convincermi.
- Non lo farò.
Quando arriviamo alla porta, si volta verso di me.
- Vuoi entrare?
- Sì, voglio entrare.
- Sei il benvenuto.
Corridoio buio.
- Si può sapere perché non metti una luce qui?
- Io ci vedo benissimo, non ne ho bisogno. Erano trent’anni che nessuno veniva a trovarmi, ma per te metterò un lume su quel troumeau.
- Quale troumeau?
Mauro ride. Sento il suo alito sulla mia guancia. Una sensazione fortissima. Il suo respiro mi ricorda la brezza marina in una notte d’estate. Salsedine e caldo. Il suo braccio sulle mie spalle è un calore che mi turba profondamente. Il suo tocco produce l’effetto di farmi pulsare il sangue con violenza, come se tutto accelerasse dentro di me. È una sensazione nuova. E strana. Qualcosa che non ho mai provato prima. Solo quando Mauro si stacca, allontanandosi, improvvisamente in me tutto rallenta, smette di agitarsi, si placa.
- Siediti.
Non è un ordine, ma il mio corpo risponde immediatamente, come se lo fosse. Mi sento strano, dissociato. Il mio corpo e la mia mente convivono come separati in casa. Mauro resta in piedi, appoggiato alla mensola del camino.
- Cosa mi stai facendo? - gli chiedo, perché sono sicuro che sia lui a ridurmi così.
- Niente. Avevo soltanto un gran desiderio di vederti. Pensavo a questo.
- Ogni tuo desiderio si traduce in un ordine, per il mio corpo. Non è leale. Tu te ne stai approfittando.
- Vuoi che mi senta in colpa? Sfrutto i talenti che ho, come tu sfrutti i tuoi.
- Io non ne ho.
- Al contrario. Sei molto ben dotato. Ogni volta che pensi ad andartene, a fuggire, a non rivedermi più, per me è un colpo al cuore, doloroso come una stilettata di fuoco a cui non posso sottrarmi.
- Mi dispiace.
- Perché vuoi andartene? Sarà sufficiente che tu decida cosa vuoi fare. Se non vuoi più vedermi, non ci vedremo più. Ti assicuro che rispetterò ogni tua decisione.
- Non ci riesco... - dico, con voce improvvisamente arrochita.
- Vuoi bere qualcosa?
- Sì, grazie, un po’ d’acqua.
- Torno subito.
Mauro si stacca dal caminetto e si allontana, con quel portamento incredibile che me lo farebbe riconoscere tra un milione. Com’è lontano dal Mauro che mi ero inventato io. La mia fantasia non sarebbe mai arrivata a tanto.
Quando ritorna, mi porge un bicchiere d’acqua. Aspetta che io beva e poi si siede accanto a me. Di nuovo accade quella cosa. Tutto sembra accelerare. Il mio respiro per primo, poi il battito del mio cuore, persino i miei pensieri. Mi appare un’immagine di noi in una stanza che non ho mai visto. Siamo distesi su un letto dalle lenzuola nere, lucide. Raso, o forse seta. Mauro mi accarezza il viso, mentre mi sento soffocare.
- Mauro, ti prego, non farlo.
- Mi leggi nei pensieri, adesso? Non ti avevo invitato.
- Vorrei restarne fuori, te lo assicuro, ma non so come fare.
- Immagina un muro. Un muro bianco, alto, al di là del quale non puoi vedere nulla e nessuno ti può vedere.
Eseguo senza chiedermi se funzionerà. Ma è difficile tenere la mente su quell’unico soggetto.
- Devi immaginartelo con cura, con ogni crepa, mattone per mattone.
- Sì, ci sono. E adesso?
- Tienilo sempre tra noi.
- Ma non posso pensare ad altro!
- Dipingi i tuoi pensieri su quel muro. Tienilo come sfondo.
- Mi ci vorranno dieci anni di esercizio per riuscire in un’impresa del genere!
- Io ce ne ho impiegati cinquanta.
- Perché ti diverte tanto prendermi per il culo?
- Mi piace guardare le tue espressioni. Il tuo viso riflette perfettamente ogni tua emozione, ogni sentimento. È bellissimo.
- A me piace guardarti ridere. Valeva la pena conoscerti, anche solo per questo.
Mauro si rattrista di colpo.
- Qualcuno, tanto tempo fa, mi ha detto la stessa cosa.
- Forse era meglio se stavo zitto.
- No, non preoccuparti. Sono abituato ai ricordi tristi. Di felici quasi non ne ho.
- Con una vita tanto lunga? È impossibile.
- Ti assicuro che è possibile, se sei un...
S’interrompe senza pronunciare la parola. Vampiro.
- Non accetti quello che sei?
- Perché dovrei? Ero un umano, prima di questa trasformazione. E da umano sono stato felice.
- Come funziona? Voglio dire, come sei diventato quello che sei?
- Un giorno ho conosciuto un uomo tanto affascinante che il resto del mondo è caduto nell’ombra. Lui era il mio astro. Vedevo solo lui. L’ho seguito, senza ascoltare i consigli di nessuno, quasi senza salutare la mia famiglia, che mi amava, e che io amavo, prima che apparisse lui a oscurare tutto il resto. Lo amavo alla follia. E lui, in cambio, ha dimostrato il suo amore per me. Non immagini come?
- Succhiandoti a più non posso?
- Fin quasi a prosciugarmi. Sono stato tra la vita e la morte per diversi giorni. Poi mi sono svegliato. Ero debolissimo. Ci ho impiegato quasi un anno a rimettermi in forze. Più mi riprendevo e più sentivo il bisogno impellente di sangue. Lo desideravo, lo imploravo, lo pretendevo. Me lo davano perché si pensava che mi avrebbe aiutato a guarire. Ma era sangue animale. Non era sufficiente. Quando sono finalmente riuscito ad alzarmi dal letto, il mio bisogno mi ha portato verso più ambite prede. Quando ho capito quello ch’ero diventato, ho cercato di uccidermi. Ma come vedi, non ci sono riuscito.
- E quel tale l’hai più incontrato?
- Ah, sì. Ho sperimentato su di lui il sistema perfetto per togliermi di mezzo.
- E tu, ne hai creati altri di...
- No. Quelli che sono caduti nelle mie trappole, quand’ero ancora molto giovane, non sono sopravvissuti. Ero inesperto, ignorante, e non avevo vicino nessuno dei miei simili per guidarmi. Ho dovuto imparare tutto da solo. E intanto, sopravvivere, nascondere la mia nuova natura, lottare con me stesso. Quella persona a cui accennavo poco fa, quella a cui piaceva quando ridevo... avrei voluto che fosse il mio compagno per sempre, ma lo amavo troppo per condannarlo a questa vita infame. Col tempo, l’ho visto invecchiare e poi morire. E non sai quanto l’abbia invidiato. Anche allora ho tentato di raggiungerlo, ma non ci sono riuscito.
- Ti manca giusto quel pizzico di sana cattiveria che t’avrebbe aiutato a fregartene di tutto e di tutti.
- E che mi avrebbe trasformato in un mostro, se già non lo sono a sufficienza.
- Tu non sei un mostro.
- Arriverai anche tu a pensarlo, come hanno fatto tanti altri che mi hanno conosciuto prima di te.
- A me dicono sempre che sono strano, perché non ragiono come gli altri. Per me non sei un mostro. Sei solo una creatura diversa da me. Penserei la stessa cosa incontrando un alieno, o un big foot. Ma forse da loro mi terrei a una prudente distanza.
- Anche da me vorresti tenerti a una prudente distanza?
- Assolutamente no. Preferisco un’imprudente vicinanza.
- Come adesso? - mi chiede, avvicinandosi quasi a sfiorarmi.
È un attimo. Una tempesta vorticosa si scatena dentro di me. Il mio desiderio è un treno impazzito, senza freni, che si precipita in discesa senza alcuna possibilità di controllo. La collisione è inevitabile. Morti e feriti si conteranno dopo. Per il momento l’unica cosa che esiste è lo splendore incontrollato di quest’esplosione.
Un bacio folle, pericoloso, azzardato, esaltante, che mai mi sarei aspettato di sperimentare. Anche se fosse l’ultimo, non me ne pentirei. Le mie mani, assetate del suo volto, lo stringono, accarezzandolo. Le sue braccia vibrano intorno al mio corpo. Da quest’imprudente vicinanza non vorrei allontanarmi per niente al mondo. E invece è Mauro a staccarsi di colpo.
- Basta!
Si alza fulmineamente, tornando verso il camino.
- Scusa. È più difficile di quanto credessi. Sei... sei... ti amo troppo. Mi sento troppo coinvolto.
- Mi avevi promesso una settimana. Sarà fatta di brevi istanti come questo? Ti concederai in dosi omeopatiche, facendo scattare ogni volta il cronometro?
- Mi stai dicendo che hai deciso?
- E tu? Sei davvero deciso ad andare fino in fondo?
- Sì.
- Allora è sì anche per me. - lo sfido.

Mentre lo imbavaglio, mi ricordo della ball gag che nel mio racconto provocava la morte di uno dei personaggi. Adesso mi farebbe comodo, invece di questo semplice fazzoletto di stoffa. Lo lego stretto dietro la sua nuca e Mauro controlla che sia a posto.
- Non mi piace. Così non potrò baciarti. - mi lamento.
Lui non può parlare liberamente, ma i suoi pensieri mi giungono nitidi e precisi.
‘Però hai il vantaggio di essere sicuro che non ceda alla tentazione di farmi uno spuntino.’
Il suo sguardo è ironico e caldo. Ci sono sguardi che non si possono descrivere. Il suo è di questi. Non hanno ancora inventato le parole. Dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Non lo so se è vero che abbiamo un’anima, so comunque che qualcosa c’è e Mauro riesce ad arrivarci solo fissando il suo sguardo nel mio. Sono ipnotizzato. Nello stesso tempo, io leggo, attraverso i suoi occhi, un mondo meraviglioso, una ricchezza antica, una saggezza insondabile, l’esistenza di un amore che scorre violento come un fiume in piena e si precipita su di me come una cascata vaporosa e travolgente. Vorrei baciarlo. Non desidero altro. Faccio uno sforzo tremendo per distogliere il mio sguardo dal suo. Solo allora inizio a sbottonargli la camicia e mentre lo faccio, finalmente posso accarezzarlo. La sua pelle è di fuoco. Mi sento ardere anch’io. Sfilo la camicia, mentre lui comincia a sbottonare la mia. Non c’è alcuna fretta nei suoi gesti. Le sue mani si posano sul mio torace. Le sue dita giocano con i miei peli, seguendo disegni di cui non vedo le forme, ma che sento sulla pelle come onde di calore e fremiti incontrollati. Mi accarezza il viso. Le sue dita seguono il contorno delle mie labbra e io imprigiono il suo indice tra i denti. La mia lingua ci gioca un po’, prima di liberarlo. Mauro mi sfila la camicia e mi abbraccia. Io lo tengo contro di me. Il suo calore m’incendia. Vorrei restare così per sempre. Mauro mi slaccia la cinghia e i pantaloni. In uno strano esercizio da contorsionista faccio lo stesso con i suoi. Poi ci allontaniamo per liberarci di tutto e ci guardiamo. È vero che ci assomigliamo. Gli giro intorno e l’abbraccio da dietro. Sulla schiena ha una leggera peluria, un triangolo, dove finisce il solco tra le natiche, che mi chino a mordere. Mauro si gira di scatto e mi afferra, lanciandomi sul letto. Possiede una forza tremenda. Avevo quasi dimenticato che non è un uomo come gli altri. Ma i miei pensieri si bloccano di colpo, quando Mauro si tuffa su di me. Sento la sua asta possente premere sul solco, mentre le mani mi accarezzano la schiena. Ogni tocco è un tizzone ardente che mi brucia, mi arde, mi manda in orbita. Vorrei le sue labbra su di me, ma il bavaglio è un ostacolo insuperabile. Mauro mi graffia la schiena con artigli acuminati e nel medesimo tempo penetra dentro di me, lentamente, lentamente, ma sempre più in profondità. Nella mente sento il mio nome come un’eco che non smette mai di rimbalzare. Nello stesso splendido modo risuona la sua spada dentro le mie viscere, mandandomi in estasi. Lo sento mugolare. Questo momento, che desidero ardentemente da tempo, è come un dono che temo di non meritare, qualcosa che il destino mi farà pagare a caro prezzo. Ma si tratta di un pensiero fugace, poi la mia mente si perde e rimane solo il corpo, immerso in sensazioni tanto violente da smarrirmi in un luogo che forse non ho mai visitato. Non riconosco nulla. È tutto perfettamente nuovo, imprevedibile, stupefacente. Mauro mi cavalca a lungo, ora con forza, sempre più velocemente, mentre i suoi gemiti, sempre più frequenti, sono attutiti dal fazzoletto. E all’improvviso, al culmine di una tensione che arriva al parossismo, il mio mondo esplode in milioni di frammenti lanciati in tutte le direzioni. Provo un piacere tanto sconvolgente e profondo da strapparmi un grido liberatorio. Mauro è crollato su di me. Mi accarezza ancora chiamandomi nella mente. E la sua voce sembra diversa, ora. Sembra lontana. Mi volto a guardarlo. I suoi occhi sorridono. Quando il nostro respiro riprende un ritmo più regolare, lui esce da me e si distende. Ora siamo uno di fronte all’altro, mentre le nostre mani s’intrecciano. Vorrei baciarlo. È un desiderio davvero irresistibile. Non m’importa più di niente. La mia vita vale solo un bacio o neanche quello. Gli faccio scivolare il bavaglio sul collo e tuffo le mie labbra sulle sue. Un bacio che vale tutto l’oro del mondo.
Mauro si stacca con violenza e si allontana da me.
- Scusami, è troppo. Non ce la faccio.
- Prendimi, Mauro.
- Smettila. Non mi tentare.
- Prendimi. Sono io che lo voglio.
- Federico, avevi promesso...
- Voglio che tu viva.
- Anch’io voglio che tu viva.
- Saprai fermarti in tempo. Ma ora baciami.
- Federico, ti prego...
- Non posso stare lontano da te e non voglio che tu soffra. Baciami.
Mauro mi afferra il volto con un impeto d’impazienza che finora non ha mai mostrato. Un bacio. Il paradiso. Torniamo a stringerci, ma questa volta, senza prudenza, con la passione che il contatto delle nostre labbra ha scatenato. La violenza del desiderio è un vulcano che erompe. Il tempo si ferma, e sull’orlo dell’ultimo rintocco, la bocca di Mauro scivola sull’incavo del mio collo. Brividi. Nella mente percepisco il silenzioso frullare d’ali d’un gufo, l’immagine di un bosco, un ruscello, pietre lucide bagnate dall’acqua. Mauro torna a baciarmi, poi ride, con espressione trionfante.
Dovrei inventare qualche nuovo termine per descrivere questo riso, ma adesso non voglio distrarmi.
- Non è facile, ma ce la posso fare.
- Mi hai deluso...
Mauro ride di nuovo. Il suo riso mi sconvolge, letteralmente.
- Sei l’uomo che amo. - gli confesso.
- Il vampiro, che ami. - mi corregge.
- No, l’uomo, che amo. E anch’io ho alcuni progetti su di te. Dopo, si vedrà.
- Dopo quanto?
- Chi lo sa?

 

Invece è trascorsa precisamente una settimana, quando Mauro torna sull’argomento.
- Il nostro tempo è scaduto, Federico. Io sono stato ai patti, adesso tocca a te. - mi dice, con un tono che vorrebbe essere incisivo, ma che perde mordente sul finale.
Mi casca il mondo addosso.
Sì, lo so, è una frase fatta, trita e ritrita, ma la sensazione è esattamente questa e non saprei in quale altro modo descriverla. Ero convinto che Mauro avesse cambiato idea, che questi giorni, per me sconvolgenti e meravigliosi, lo fossero stati anche per lui. Evidentemente mi sbagliavo. Di grosso. Sono talmente deluso che non riesco a parlare. Respiro a fatica, come se l’aria si fosse trasformata in una sostanza spessa e oleosa, difficile da inalare.
- Federico, hai accettato il patto.
Ha lo stesso sguardo triste di quel giorno in cui gli ho chiesto “che succede se tu rispetti il patto e io no?”. Ma non è solo tristezza, c’è anche una sorta di disperata rassegnazione, come se già conoscesse la mia risposta. E forse è proprio così.
- Mi dispiace. Se prima avevo qualche dubbio, adesso ho la certezza assoluta che mi sarebbe del tutto impossibile. Però ho alcune interessanti proposte alternative.
- Capisco. Ne riparliamo stasera. Adesso devo andare. Sono già in ritardo.
Prima di uscire, come per un ripensamento, torna indietro e mi bacia, a lungo, tanto a lungo che mi sorge il sospetto che non sia affatto in ritardo. Poi esce, senza una parola. Poco dopo esco anch’io.

Per tutto il giorno, i miei pensieri viaggiano per linee curve e irregolari, sbandando vistosamente e arrampicandosi su tornanti con pendenze da brivido. La malinconia di Mauro mi ha contagiato. Non voglio che questa storia finisca. Mai più. Voglio prepararmi un discorso che lo convincerà a cambiare idea e a tornare sulle sue decisioni. Lui dice che mi ama. Beh, se questo è vero, non potrà impedirsi di ascoltarmi e di lasciarsi convincere, cedendo alle mie richieste. Voleva sapere fin dove sarei stato disposto a spingermi? Ecco, adesso glielo posso dire, senza incertezze. Sono disposto ad arrivare fino alle estreme conseguenze. Sono deciso ad accettare tutto, perfino le ripercussioni più implacabili. Pur di restare con lui, sono disposto a diventare un vampiro. Poi, tra duecento anni, ne possiamo riparlare. Mi sono preparato bene. Mi sento deciso e sicuro. Ora non vedo l’ora di rivederlo. Sarò convincente come mai sono stato nella vita. Quando torno al villino, è ormai scesa la sera, ma le luci sono ancora spente. Mauro ha di nuovo fatto tardi. Gli sarà capitato a fine turno un intervento difficile.

 

Quella sera, quando sono entrato, ho acceso la luce che Mauro aveva istallato solo per me. Nello stesso istante il mio cuore si è fermato. Il villino era completamente vuoto, fatta eccezione per alcune nude lampadine che pendevano dai fili elettrici. Di Mauro non era rimasta alcuna traccia. Sulla polvere dei pavimenti, tanto compatta da far pensare che la casa fosse abbandonata da secoli, i miei passi echeggiavano rimbalzando dalle pareti nude con un tono metallico e sgradevole.
Solo allora ho capito che Mauro era davvero un mostro.

Mi sto organizzando. Mi sono procurato un paletto di frassino, proiettili d’argento, benzina e accendini. E adesso comincia la caccia.