Tutti noi conosciamo circa 40.000 parole, anche se nella vita di ogni giorno ne usiamo al massimo 8.000, poco più, poco meno.
Gastone era un artista, uno scrittore, un poeta. C'era in lui la necessità impellente di esprimersi con le parole. A volte pensava scrivo, quindi esisto. In lui ogni sentimento, ogni pensiero, ogni soprassalto dell'anima, si rifiutava di passare inosservato, entrando nel mirino della sua lente di attento studioso di se stesso. Era convinto che quello che provava non era altro che un riflesso di ciò che provavano tutti. Sentiva di essere, in forma singola, l'intera umanità. Quindi, essendo convinto di non dire nulla di nuovo, scriveva per se stesso. Tuttavia, era profondamente contrario all'uso della carta, perché amava le foreste, in particolare quella Amazzonica, benché non l'avesse mai vista, né, in fondo, avesse mai desiderato andarci. Purtroppo era contrario anche all'uso della tecnologia, quindi non possedeva un computer, e se pure qualcuno gliene avesse regalato uno, non gli sarebbe mai venuto in mente di usarlo per scrivere. Battere sui tasti non gli avrebbe mai offerto quella soddisfazione che solo poteva donargli scrivere con una penna, una matita o un pennarello tra le dita. Gastone scriveva sui muri. Da ragazzino gli piacevano quelli delle case, della scuola, dei negozi, a volte anche i cristalli delle automobili, quando ne trovava di particolarmente impolverati. In quel caso usava la punta di un dito. E a furia di scrivere, li aveva usati tutti, quei 40.000 termini che conosciamo. Da grande aveva poi iniziato a usare le bianche pareti di casa sua, con una scrittura fitta fitta, in un carattere stampatello tondeggiante, producendo a volte i puntini sulle i in forma di circoletti, con le lettere tutte della medesima dimensione, a meno che non avesse deciso di metterne una in evidenza, e allora quella parola veniva scritta in un formato più grande, e ricalcata più volte. Poi c'erano i colori. Aveva cominciato a vedere le parole a colori la prima volta che si era innamorato. L'erba era verde, il sole era giallo, il mare era blu, il cuore era rosso. Quando aveva conosciuto Rosalba si era armato di pennarelli colorati. Rosalba era rosa, rossa, gialla, verde, viola, blu, anche nera, qualche volta. Rosalba era la causa del suo sentirsi sempre inadeguato. Rosalba era la sua felicità, ma a volte anche la causa di una malinconica tristezza. Eppure, il giorno in cui decise di confessarle finalmente il suo amore incondizionato, fu anche il primo di una lunga storia che lo portò al matrimonio, con sua immensa felicità, ma anche a smettere di scrivere, con sua immensa frustrazione. Anche scrivere sulle lenzuola del letto, sulle tovaglie da tavola e sulle tende, gli fu via via vietato, non con rimproveri, beninteso, ma con logici ragionamenti intrisi di saggezza, a cui Gastone non riuscì mai ad opporsi, sia perché in cuor suo comprendeva perfettamente le ragioni di sua moglie, sia perché per amor suo avrebbe fatto qualunque cosa. Così passò il tempo. Per molti anni non si accorsero di nulla. Tutto sembrava esattamente come prima, con l'unica differenza che Gastone non scriveva più e Rosalba non doveva chiamare continuamente l'imbianchino, o mettere in candeggina lenzuola, tovaglie e tende, con risultati non sempre apprezzabili. Fino al giorno in cui Rosalba, che soffriva di pigrizia acuta, non chiese a Gastone il favore di portarle un bicchiere d'acqua. Allora si resero conto che qualcosa non funzionava a dovere. Gastone restò immobile per qualche secondo, con lo sguardo perso nel vuoto.
– Che c'è amore? Non ricordi dove sono i bicchieri?
– No, anima mia, non so cosa siano questi cosi di cui mi parli.
Rosalba fu percorsa da un brivido lungo la schiena. Mise via il libro che stava leggendo, si alzò dalla poltrona, un po' a fatica e, passando davanti al marito, aprì l'anta di un pensile e prese un bicchiere.
– Questo è un bicchiere. – gli disse, mostrandoglielo.
– Bello, così trasparente.
– Gastone, ti senti bene?
– Benissimo, amore mio.
Con l'andar dei giorni, la situazione non migliorò. Sparirono dalla mente di Gastone, l'una dopo l'altra, parole d'uso comune, come pavimento, palazzo, balcone, finestra, poi fiore, albero, automobile, negozio, e via dicendo. Le ultime a sparire furono le parti del corpo. E benché fosse ormai un po' sfiorita, a Rosalba dispiacque, perché le sembrò che sparisse anche il ricordo della bellezza di quando era giovane e fresca. Un brutto giorno, Rosalba si ritrovò senza il suo bel nasino all'insù, poi svanirono i suoi seni sodi, i suoi fianchi, le braccia marmoree, i capelli di fiamma, gli occhi cerulei, le labbra vermiglie, quindi le lunghe gambe, il ventre tondeggiante, il sesso, il collo flessuoso, le orecchie. Infine Gastone dimenticò il nome di sua moglie. Non si accorse neppure più delle lacrime di Rosalba, perché le aveva perse durante le ultime feste natalizie. Il giorno che lo ricoverarono gli rimanevano sette parole.
Le ripeteva tutto il giorno, come fosse una litania imparata da bambino, o come un mantra propiziatorio. Non le voleva perdere.
Rosalba lo ascoltava piangendo in silenzio e sospirando.
– Lago, ventilatore, post-it, ramo, ragno, forchetta, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ramo, ragno, forchetta, amore.

 

Il martedì Gastone perse il ramo.
E con esso, il ricordo di quella volta che si era presentato a Rosalba con un intero ramo di ciliegio, con i frutti appesi a ciuffi, grappoli succosi e croccanti che esaltarono la loro effimera esistenza finendo sotto i denti candidi e perfetti di lei. Rosalba andava matta per le ciliegie.
Rosalba cominciò a ripetere le parole insieme con lui, in tono simile a un controcanto sussurrato, come a sostenerlo in quell'ultima impresa.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, forchetta, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, forchetta, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, forchetta, amore.

Il mercoledì sparì la forchetta.
E con essa il ricordo di quella volta che fecero un pic-nic in Trentino. Avevano scelto un gran bel prato, con l'erba di un verde acceso, di quella tonalità che Gastone aveva sempre identificato come l'essenza assoluta del verde. Avevano steso un bel plaid su quel tappeto morbido, avevano aperto il cesto delle leccornie preparate per l'occasione e solo in ultimo si erano accorti di aver dimenticato le forchette. Così mangiarono con le mani, ridendo e imboccandosi a vicenda, mentre il sugo colava giù per il mento e lungo le dita, fino ai polsi. Era stato il pic-nic più divertente che avessero fatto.
Rosalba ripetè con Gastone il nuovo mantra, sbagliando solo due volte.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, amore.
– Lago, ventilatore, post-it, ragno, amore.

 

Il giovedì Rosalba sperò assurdamente in un miracolo, ma appena entrata nella camera di Gastone, dovette rassegnarsi all'evidenza.
– Lago, post-it, ragno, amore.
– Lago, post-it, ragno, amore.
– Lago, post-it, ragno, amore.
– Lago, post-it, ragno, amore.
– Lago, post-it, ragno, amore.
Rosalba si ricordò di quella volta che, stremati da un'estate rovente, Gastone si era deciso a comprare un ventilatore. Il giorno seguente la temperatura era scesa di dieci gradi, preannunciando l'inizio di un autunno precoce.

Il venerdì Rosalba lo ascoltò senza fiatare. Del resto le sembrava di non aver più fiato.
– Post-it, ragno, amore.
– Post-it, ragno, amore.
– Post-it, ragno, amore.
– Post-it, ragno, amore.
– Post-it, ragno, amore.
– Post-it, ragno, amore.
Quel venerdì svanì il ricordo della vacanza sul Lago di Como, dove avevano affittato una casa sull'acqua, con tanto di pontile e barca, circondata da alti e robusti alberi secolari che la nascondevano alla vista. Una delle più belle vacanze che Rosalba ricordasse. Seduti all'ombra dei bassi rami fronzuti, lei aveva letto ad alta voce Il Piccolo Principe, mentre Gastone l'ascoltava con l'espressione sognante di un bambino.

 

Il sabato Rosalba arrivò vestita di nero. Era l'unico colore che si accordava al suo stato d'animo. Si sentiva in lutto.
Era sparito anche il ragno. Ma a Rosalba, che li aveva in odio, non dispiacque per niente.
– Post-it, amore.
– Post-it, amore.
– Post-it, amore.
– Post-it, amore.
– Post-it, amore.
– Post-it, amore.

La domenica Rosalba si fermò per qualche istante fuori dalla camera 18. Non voleva quasi entrare. Non sapeva più dove trovare il coraggio. Ma poi da qualche parte venne fuori e riuscì ad aprire quella porta.
– Amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore, amore...
– Sì, Gastone. Amore. L'ultima cosa che ti resta.
Gastone sorrise. Rosalba gli aveva portato una penna e un quaderno.
– Scrivila, amore. Guarda. La scrivo prima io.  A M O R E.
Rosalba la scrisse con mano tremante. Gastone afferrò il quaderno e la penna e copiò la parola che Rosalba aveva scritto.
Ne riempì tutta la pagina e poi ne iniziò un'altra.
Intanto Rosalba pensava ai post-it che Gastone attaccava dappertutto, soprattutto quando ormai si era rassegnato a non scrivere sulle pareti, sulle lenzuola, sulle tende e sulle tovaglie da tavola. Attaccava i post-it sul frigorifero, per lo più, e ogni volta che apriva le finestre, si sollevavano come ali di farfalle pronte a spiccare il volo. A volte quelle ali trasportavano una sola parola: amore. Non c'era bisogno di altre spiegazioni, perché sapeva che quello era un messaggio per lei.

 

Il lunedì Rosalba arrivò mezz'ora prima che fosse orario di visite, ma non la fecero entrare. Camminò avanti e indietro, lentamente, lungo il porticato della casa di cura, finché non si decisero ad aprire il portone.
Quando entrò nella stanza, l'accolse il silenzio. Pensò che Gastone stesse ancora dormendo, ma poi lo vide seduto davanti alla finestra, sul cui davanzale cinguettava un passerotto.
Restò sulla porta e da lì sentì Gastone cinguettare. Imitava perfettamente il volatile e anzi, sembrava proprio che gli rispondesse.

Rosalba tornò a casa sconsolata. Aveva perduto il suo Gastone, il suo unico amore, per sempre. Era tanto sconvolta che sbagliò la fermata dell'autobus e dovette farsi un bel pezzo di strada in più. Fu così che passò davanti a un negozio di animali, che non aveva mai visto prima. Due cagnolini pelosi e quattro splendidi micini giocavano in un vascone imbottito, accanto alla vetrina. Rosalba sollevò lo sguardo, ammirando le gabbie con i pappagalli e un grosso uccello nero. Dalla porta aperta uscivano miagolii, cinguettii, fischi e strani rumori che sembravano brusche frenate di camion. Rosalba si stupì. Poi, affascinata, entrò, guardandosi intorno. Diede un colpo di tosse. E dopo due secondi Rosalba lo udì vicino a lei, esattamente riprodotto.
– È il merlo indiano. Riesce a imitare qualunque rumore.
Rosalba sorrise al giovane negoziante.
– È il merlo indiano. È il merlo indiano – ripetè il merlo con la voce del negoziante.
Rosalba scoppiò a ridere. Una risata stanca, dalle inflessioni crepate e roche, il tipo di risata di chi non ride da moltissimo tempo.
Il merlo la imitò alla perfezione.
– Lo voglio portare a mio marito – disse, decidendo in un lampo.
– L'avverto che ripete qualunque cosa senta. È un compagno molto impegnativo. Se vuole mantenere la sua privacy, dovrà parlare lontano da lui. Si chiama Zigulì.
– Dovrà parlare lontano da lui. Si chiama Zigulì. - concordò il merlo indiano.
– Al contrario, giovanotto - disse Rosalba, nella più totale incomprensione del negoziante.
– Al contrario, giovanotto - confermò Zigulì.

 

Fu così che Rosalba si presentò a Villa del Sole con una bella gabbia dorata e un trespolo, avendo precedentemente chiesto il permesso al serio direttore della casa di cura. Quel mattino scese dal taxi con rinnovato entusiasmo.
Vedendola entrare, Gastone non diede segno di riconoscerla, ma Rosalba era sostenuta da una strana speranza fiorita nel suo cuore a dispetto di tutte le pessimistiche diagnosi mediche.
– Amore – disse, baciando Gastone.
– Amore – la imitò Zigulì.
Dopo qualche secondo, Gastone guardò affascinato il merlo indiano.
– Amore – ripeté Gastone.
E per tutto il giorno, quell'unica parola rimbalzò tra Rosalba, Zigulì e Gastone.
Con pazienza infinita, giorno dopo giorno, Rosalba impose a Zigulì una nuova parola, e Zigulì la trasmise a Gastone, mentre Rosalba la scriveva sul quaderno, in modo che lui la copiasse.
Alla fine del quarto quaderno, Gastone iniziò a scrivere una parola che nessuno gli aveva insegnato: Rosalba.
L'emozione fu così grande, che Rosalba si sentì male. Il giorno seguente aveva la febbre alta, tanto che dovette desistere, nonostante il grande rammarico, dall'uscire di casa. Quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi, erano trascorsi tre giorni.
Al suo ingresso a Villa del Sole, la ragazza alla reception la bloccò al suo passaggio, comunicandole con un sorriso affabile che il direttore voleva parlare con lei.
Dietro la sua scrivania, il direttore sedeva con espressione incredibilmente seria, e senza sollevare di un millimetro gli angoli della bocca, la invitò a sedersi di fronte a lui. Rosalba si preoccupò moltissimo. Quella faccia impassibile sotto il riporto teneramente ingenuo che tentava di coprire una calvizie ormai degenerata, le fece temere il peggio. In fondo era rimasta lontana solo per tre giorni. Che cosa poteva essere accaduto di così terribile al suo adorato Gastone?
– Signora, mi rincresce dirglielo, ma la presenza di suo marito in questo istituto non è più gradita.
– Come? Perché? - chiese Rosalba, con un tuffo al cuore.
– Venga con me, per favore - la pregò il direttore, invece di risponderle.
Percorsero in silenzio il largo corridoio, superando una dopo l'altra le porte numerate, fino alla camera 18. Qui, il direttore afferrò la maniglia, abbassandola con una lentezza esasperante. Quando la porta si aprì davanti a loro, gli occhi di Rosalba brillarono di gioia, poi scoppiò in un'incredibile risata, che fece offendere a morte il direttore.
– Faccia i bagagli e se lo porti via al più presto possibile – fu il duro commiato dell'uomo.
– Gastone, amore mio! – esclamò Rosalba, entrando ad abbracciarlo.
– Rosalba, voglio tornare a casa.
– Certo, ce ne andiamo subito - acconsentì lei, guardando le pareti della stanza, ricoperte dalla sua fitta scrittura tondeggiante e ben allineata.
– Avevo finito il quaderno - si giustificò Gastone, rinnovando la pazza risata di lei.
Quel giorno Gastone conosceva solo qualche centinaio di parole, ma con il tempo tornarono a essere migliaia. Ritornarono a trasformarsi in poesie e poi in piccoli racconti, o semplici dichiarazioni d'amore, o piccole fiabe, distribuite sulle pareti come macchie colorate, al posto dei quadri. Rosalba gli procurò anche tovaglie nuove e lenzuola candide. E ogni volta che Gastone non vi trovava più lo spazio per scrivere, le riponeva con cura e ne comprava altre. Perché, a dispetto di tutte le convenzioni che ci tengono prigionieri, l'amore vero è fatto così, riesce a tradurre in pregi anche quelli che sembrerebbero difetti.